Ordinanza n. 373 del 1990

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ORDINANZA N.373

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 247 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), e degli artt. 438, 440, primo comma, e 442, secondo comma, del codice di procedura penale, promossi con quattro ordinanze emesse l'8 gennaio 1990 dal Tribunale di Napoli, il 19 gennaio 1990 dal Tribunale di Milano, il 1° febbraio 1990 dal Tribunale di Mondovì e l'11 gennaio 1990 dal Tribunale di Bergamo, iscritte rispettivamente ai nn. 224, 237, 252 e 277 del registro ordinanze 1990 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 20 e 21, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Udito nella camera di consiglio del 26 giugno 1990 il Giudice relatore Giovanni Conso.

Ritenuto che il Tribunale di Napoli con ordinanza dell'8 gennaio 1990, il Tribunale di Bergamo con ordinanza dell'11 gennaio 1990, il Tribunale di Milano con ordinanza del 19 gennaio 1990 e il Tribunale di Mondovì con ordinanza del 1° febbraio 1990 hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 102 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 438 e 442 del codice di procedura penale e dell'art. 247 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie di tale codice (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), nella parte in cui non prevedono che il pubblico ministero sia tenuto a motivare il proprio dissenso sulla richiesta di giudizio abbreviato formulata dall'imputato e nella parte in cui non attribuiscono al giudice, una volta ritenuto il dissenso ingiustificato, il potere di applicare la diminuzione di pena prevista dall'art. 442 del codice di procedura penale.

Considerato che i giudizi riguardano questioni identiche e vanno, quindi, riuniti;

che le ordinanze di rimessione sono state emesse prima delle formalità d'apertura di dibattimenti di primo grado relativi a processi già in corso alla data d'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale;

che, per quanto riguarda i <procedimenti in corso> a tale data, la possibilità di far luogo al giudizio abbreviato è appositamente disciplinata dall'art. 247 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), con la conseguenza che gli artt. 438 e 442 del nuovo codice non potrebbero ricevere diretta applicazione nei giudizi a quibus, data la diversità e l'autonomia della disciplina transitoria rispetto alla corrispondente disciplina codicistica (v. sentenza n. 66 del 1990; ordinanze n. 173, n. 174, n. 208, n. 210, n. 253, n. 289 e n. 301 del 1990);

che questa Corte, con sentenza n. 66 del 1990, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 247, primo, secondo e terzo comma, del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), proprio <nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero, in caso di dissenso, debba enunciarne le ragioni e nella parte in cui non prevede che il giudice, quando, a dibattimento concluso, ritiene ingiustificato il dissenso, possa applicare all'imputato la riduzione di pena contemplata dall'art. 442, secondo comma, del codice di procedura penale del 1988>.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 438 e 442 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 102 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Napoli, dal Tribunale di Bergamo, dal Tribunale di Milano e dal Tribunale di Mondovì con le ordinanze in epigrafe;

2) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 247 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), già dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 66 del 1990 <nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero, in caso di dissenso, debba enunciarne le ragioni e nella parte in cui non prevede che il giudice, quando, a dibattimento concluso, ritiene ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, possa applicare all'imputato la riduzione di pena contemplata dall'art. 442, secondo comma, del codice di procedura penale del 1988>, questione sollevata dal Tribunale di Napoli, dal Tribunale di Bergamo, dal Tribunale di Milano e dal Tribunale di Mondovì con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/07/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Giovanni CONSO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 25/07/90.