Ordinanza n. 362 del 1990

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ORDINANZA N.362

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, n. 7, del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria) come convertito nella legge 7 agosto 1982, n. 516, promossi con quattro ordinanze emesse il 23 gennaio 1990 dalla Corte d'appello di Torino, il 9 febbraio 1990, il 15 febbraio 1990 dal Tribunale di Torino ed il 22 gennaio 1990 dal G.I.P. presso il Tribunale di Reggio Emilia, iscritte ai nn. 218, 220, 221 e 267 del registro ordinanze 1990 e pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica nn. 20 e 21/1a s.s. dell'anno 1990.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 giugno 1990 il Giudice relatore Renato Dell'Andro.

Ritenuto che, con due ordinanze emesse rispettivamente il 9 ed il 15 febbraio 1990 (Reg. ord. nn. 220 e 221/1990) il Tribunale di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, n. 7, del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429, come convertito nella legge 7 agosto 1982, n. 516;

che, innanzi tutto, il giudice a quo ritiene che il citato art. 4, n. 7, violi l'art. 25, secondo comma, Cost., in quanto sarebbe carente di parametri normativi determinati o di criteri di massima che consentano di individuare la fattispecie di reato, con particolare riferimento ai concetti di simulazione o dissimulazione e di alterazione della misura rilevante;

che, in secondo luogo, il Tribunale di Torino afferma il contrasto con l'art. 3 Cost. del citato art. 4, n. 7, in quanto produrrebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra la categoria dei contribuenti titolari di <redditi di lavoro autonomo o d'impresa> e quella dei titolari di <(redditi fondiari o di capitali o altri redditi> di cui all'art. 1, secondo comma, n. 3 dello stesso decreto legge n. 429 del 1982, convertito in legge n. 516 del 1982;

che il giudice a quo, peraltro, ritiene di non condividere l'interpretazione con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le predette questioni (sentenza n. 247 del 1989) ed in base alla quale, ai fini dell'integrazione del reato previsto e punito dal predetto art. 4, n. 7, da un lato, non è sufficiente il solo simulare o dissimulare ma sarebbe necessario un qualcosa di ulteriore, e cioè un'attività preparatoria (fraudolenta) alla dichiarazione finale, volta all'alterazione del risultato della dichiarazione stessa; e, d'altro lato, la misura rilevante dell'alterazione sarebbe un elemento estraneo alla vera e propria condotta, un elemento di carattere oggettivo e quindi non determinante ai fini dell'individuazione della fattispecie;

che l'ordinanza di rimessione rileva che anche la Corte di cassazione (Sez. III, 3 luglio 1989, n. 12495) ha adottato l'interpretazione, condivisa dal giudice a quo ma difforme da quella, innanzi citata, resa dalla Corte costituzionale;

che, pertanto, il Tribunale di Torino, non condividendo la predetta interpretazione accolta dalla Corte costituzionale, ritiene opportuno sollevare nuovamente la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, n. 7, del decreto legge n. 429 del 1982, convertito in legge n. 516 del 1982;

che identica questione è stata sollevata, in riferimento al solo art. 3 Cost., dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Emilia con ordinanza 22 gennaio 1990 (Reg. ord. nn. 267/1990) nonchè dalla Corte d'Appello di Torino con ordinanza 23 gennaio 1990 (Reg. ord. n. 218/1990);

che, nei giudizi sollevati dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Emilia e dalla Corte d'appello di Torino è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità e, comunque, per la non fondatezza della questione.

Considerato che, in ragione dell'identità delle questioni sollevate, i relativi giudizi possono essere riuniti;

che identica questione è stata già dichiarata manifestamente infondata con ordinanza n. 279 del 1990 con la quale è stato ribadito che l'interpretazione adottata da questa Corte con la citata sentenza n. 247 del 1989 6condiziona la costituzionalità dell'art. 4, n. 7 del decreto legge n. 429 del 1982, come convertito in legge n. 516 del 1982>; che la predetta interpretazione è stata del resto seguita da un più recente orientamento della Corte di cassazione (Sez. III, 1° febbraio 1990, n. 4664) e che, comunque, quando, come nel caso di specie, una norma consente interpretazioni diverse, delle quali solo una rende la norma stessa compatibile con il testo costituzionale, va seguita quest'ultima;

che, pertanto, le sollevate questioni di legittimità costituzionale vanno dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, n. 7, del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria) come convertito nella legge 7 agosto 1982, n. 516, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost., dal Tribunale di Torino nonchè, in riferimento al solo art. 3 Cost., dal giudice per l'istruttoria preliminare presso il Tribunale di Reggio Emilia e dalla Corte d'appello di Torino con le ordinanze indicate in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/07/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Renato DELL'ANDRO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 20/07/90.