ORDINANZA N.356
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 4, primo comma, n. 7, del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria) come convertito in legge 7 agosto 1982, n. 516, promossi con tre ordinanze emesse il 6 febbraio 1990 dal Tribunale di Torino, il 22 gennaio 1990 e il 1° febbraio 1990 dal G.I.P. presso il Tribunale di Reggio Emilia, iscritte rispettivamente ai nn. 190, 198 e 199 del registro ordinanze 1990 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18/1a s.s. dell'anno 1990.
Visto l'atto di costituzione di Maffei Stefano nonchè gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 13 giugno 1990 il Giudice relatore Renato Dell'Andro.
Ritenuto che, con ordinanza del 6 febbraio 1990, il Tribunale di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, primo comma, n. 7, del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429, come convertito nella legge 7 agosto 1982, n. 516;
che, innanzi tutto, il giudice a quo ritiene che il citato art. 4, primo comma, n. 7, violi l'art. 25, secondo comma, Cost., in quanto sarebbe carente di parametri normativi determinati o di criteri di massima che consentano di individuare la fattispecie di reato, con particolare riferimento ai concetti di simulazione o dissimulazione e di alterazione della misura rilevante;
che, in secondo luogo, il Tribunale di Torino afferma il contrasto con l'art. 3 Cost. del citato art. 4, primo comma, n. 7, in quanto produrrebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra la categoria dei contribuenti titolari di <redditi di lavoro autonomo o d'impresa> e quella dei titolari di <redditi fondiari o di capitali o altri redditi> di cui all'art. 1, secondo comma, n. 3 dello stesso decreto legge n. 429 del 1982, convertito in legge n. 516 del 1982;
che il giudice a quo, peraltro, ritiene di non condividere l'interpretazione di questa Corte che ha dichiarato non fondate le predette questioni (sentenza n. 247 del 1989) e che ha ritenuto che, ai fini dell'integrazione del reato previsto e punito dal predetto art. 4, primo comma, n. 7, da un lato, non è sufficiente il solo simulare o dissimulare ma è necessario un qualcosa di ulteriore, e cioé un'attività preparatoria (fraudolenta) alla dichiarazione finale, volta all'alterazione del risultato della dichiarazione stessa; e, d'altro lato, la misura rilevante dell'alterazione è elemento estraneo alla vera e propria condotta;
che l'ordinanza di rimessione rileva che anche la Corte di cassazione (Sez. III, 3 luglio 1989, n. 12495) ha adottato l'interpretazione, condivisa dal giudice a quo ma difforme da quella, innanzi citata, resa dalla Corte costituzionale;
che, pertanto, il Tribunale di Torino, non condividendo l'interpretazione accolta dalla Corte costituzionale, ritiene opportuno sollevare nuovamente la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, primo comma, n. 7, del decreto legge n. 429 del 1982, convertito in legge n. 516 del 1982;
che si è costituita in giudizio la parte privata Maffei Stefano chiedendo, in via principale, una pronuncia d'illegittimità costituzionale del più volte citato art. 4, primo comma, n. 7, nonchè, in via subordinata, una declaratoria di manifesta infondatezza della questione sollevata dal Tribunale di Torino, in considerazione d'una recente sentenza della Corte di cassazione che ha recepito l'interpretazione resa dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 1989 (Sez. III, 1° febbraio 1990, n. 4664);
che identica questione è stata sollevata, in riferimento al solo art. 3 Cost., dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Emilia con due ordinanze emesse, rispettivamente il 22 gennaio ed il 1° febbraio 1990 (Reg. ord. nn. 198 e 199/1990);
che in tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta infondatezza della questione.
Considerato che, in ragione dell'identità delle questioni sollevate, i relativi giudizi possono essere riuniti;
che identica questione è stata già dichiarata manifestamente infondata con ordinanza n. 279 del 1990 con la quale è stato ribadito che l'interpretazione adottata da questa Corte con la citata sentenza n. 247 del 1989 <condiziona la costituzionalità dell'art. 4, primo comma, n. 7 del decreto legge n. 429 del 1982, come convertito in legge n. 516 del 1982>;
che la predetta interpretazione di questa Corte è stata seguita da un più recente orientamento della Corte di cassazione (Sez. III, 1° febbraio 1990, n. 4664); e che, comunque, quando, come nel caso di specie, una norma consente interpretazioni diverse, delle quali solo una rende la norma stessa compatibile con il testo costituzionale, va seguita quest'ultima;
che, pertanto, le sollevate questioni di legittimità costituzionale vanno dichiarate manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, primo comma, n. 7, del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria) come convertito in legge 7 agosto 1982, n. 516, sollevata dal Tribunale di Torino e dal giudice per l'istruttoria preliminare presso il Tribunale di Reggio Emilia con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/07/90.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Renato DELL'ANDRO, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 20/07/90.