SENTENZA N.314
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 8 del decreto legge 9 ottobre 1989, n. 338 (Disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali e di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati) promossi con ricorsi delle Regioni Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Umbria, Toscana e Lombardia notificati il 28 ottobre, 4 e 8 novembre 1989, depositati in cancelleria il 3, 6 e 15 novembre 1989 ed iscritti rispettivamente ai nn. 91, 92, 93, 94, 95 e 98 del registro ricorsi 1989; nonchè nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 8 del decreto legge 9 ottobre 1989, n. 338 convertito, senza modificazioni, nella legge 7 dicembre 1989, n. 389 promossi con ricorsi delle Regioni Abruzzo, Umbria, Toscana, Veneto e Lombardia, notificati il 3, 5 e 8 gennaio 1990, depositati in cancelleria l'8 e 12 successivi ed iscritti rispettivamente ai nn. 3, 4, 5, 6 e 7 del registro ricorsi 1990; e nel giudizio promosso con ricorso della Regione Toscana notificato l'8 novembre 1989, depositato in cancelleria il 15 novembre successivo ed iscritto al n. 19 del registro ricorsi 1989, per conflitto di attribuzione sorto a seguito dell'art. 8 del decreto legge 9 ottobre 1989, n. 338.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 20 febbraio 1990 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;
uditi gli Avvocati Valerio Onida per le Regioni Piemonte e Lombardia, Giorgio Berti per la Regione Veneto, Alberto Predieri per le Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Toscana, Marco di Raimondo per la Regione Abruzzo e l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Le Regioni Piemonte, Veneto, Emilia- Romagna, Umbria, Toscana, Lombardia e Abruzzo hanno proposto ricorso per la dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 8 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338 (Disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali e di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati).
2.- L'art. 8 del decreto-legge n. 338 del 1989 é ritenuto dalla Regione Piemonte contrastante con l'art. 77 della Costituzione, in relazione all'art. 15 della legge 23 agosto 1988, n. 400, nonchè con gli artt. 16 e 22 della legge 21 dicembre 1978, n. 845, e, in subordine, con gli artt. 24, 101 e 113 della Costituzione.
La ricorrente premette che la disciplina impugnata segue la legge quadro in materia di formazione professionale (legge 21 dicembre 1978, n. 845), la quale, sul presupposto del trasferimento delle relative competenze alle regioni, stabiliva (art. 16) che queste ultime, ai fini del pagamento dei contributi attinenti all'assistenza sociale obbligatoria per gli apprendisti (art. 21 della legge n. 25 del 1955), dovessero stipulare con gli istituti assicuratori convenzioni per il pagamento delle somme occorrenti per l'assicurazione in favore degli apprendisti artigiani, a valere sui fondi di cui all'art. 22, primo comma, della medesima legge (fondo comune previsto dall'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281, integrato con gli stanziamenti statali già attinenti alle attività trasferite e con le disponibilità dei Fondo per l'addestramento professionale dei lavoratori (F.A.P.L.) per l'anno 1979.
Questa disciplina - la quale, secondo la ricorrente, faceva sorgere l'obbligo del pagamento dei contributi solo a seguito della stipulazione delle apposite convenzioni (peraltro mai avvenuta) - é stata sostituita dall'impugnato decreto legge n. 338 del 1989, il quale, all'art. 8, ha stabilito una più articolata normativa, consistente nei seguenti punti: a) le regioni sono tenute a comunicare al Ministro del lavoro e a quello del tesoro, entro il 20 ottobre 1989, le convenzioni con gli istituti previdenziali di cui all'art. 16, terzo comma, della legge 21 dicembre 1978, n. 845, convenzioni che devono prevedere il pagamento dei contributi per gli anni 1988 e precedenti in dieci annualità costanti e alla stregua dei criteri previsti nel secondo comma dello stesso articolo; b) nel caso che le convenzioni non fossero stipulate e comunicate nei termini previsti, il Ministro del tesoro provvede ad accantonare importi annuali corrispondenti a quelli dovuti, a valere sulle erogazioni spettanti alle regioni per gli anni 1990 e successivi ai sensi dell'art. 8 della legge 12 maggio 1970, n. 281; c) in attesa della stipula delle convenzioni, le somme dovute da ogni regione per gli anni 1989 e successivi vengono trattenute sulle quote ad esse spettanti a titolo di ripartizione dei fondo comune afferente all'anno successivo a quello di competenza dei contributi, assumendo a base di calcolo i crediti annualmente comunicati dal Ministro del lavoro ai fini della successiva erogazione a favore degli istituti assicuratori.
Secondo la ricorrente, le disposizioni ora ricordate violerebbero, innanzitutto, l'art. 77 della Costituzione, sia perchè l'impugnato decreto-legge difetterebbe dei requisiti di necessità e di urgenza, sia perchè l'art. 8 sarebbe inserito in un decreto-legge che, in contrasto con quanto stabilito dall'art. 15 della legge n. 400 del 1988, sembrerebbe privo di un contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo.
In secondo luogo, le stesse disposizioni violerebbero gli artt. 117 e 119 della Costituzione in quanto, laddove impone alle regioni oneri previdenziale e assicurativi non rispondenti ad alcuna competenza regionale (essendo affidata al Ministro del tesoro la competenza a fissare i contributi), realizzerebbe una sorta di fiscalizzazione di oneri sociali a carico delle sole finanze regionali, e non della collettività generale.
In terzo luogo, la ricorrente ravvisa una violazione degli artt. 81, quarto comma, e 119 della Costituzione da parte dell'art. 8 del decreto-legge impugnato, in quanto gli oneri accollati alle regioni sarebbero privi della relativa copertura ed inciderebbero in maniera dirompente sulla programmazione finanziaria regionale.
In altre parole, precisa la ricorrente, ad una situazione, in cui l'obbligo del versamento dei contributi e della loro misura dipendevano dalla stipula di convenzioni con gli enti assicuratori, ne subentrerebbe un'altra, quella delineata dall'art. 8 del decreto-legge impugnato, la quale sarebbe caratterizzata dalla impostazione ex lege dell'obbligo contributivo non accompagnata dal necessario adeguamento dello stanziamento dei fondi. Infatti, secondo la regione, non si potrebbe in alcun modo rinvenire un'adeguata copertura nei fondi indicati nell'art. 22 della legge n. 845 del 1978, i quali si sarebbero rivelati assolutamente insufficienti già nel 1979. Quest'ultimo dato, del resto, potrebbe essere agevolmente accertato da questa Corte, ove si decidesse di acquisirlo con ordinanza istruttoria. Resterebbe il fatto, ad avviso della ricorrente, che la quota del F.A.P.L. confluita nel fondo comune non sarebbe mai stata rivalutata dopo il 1979, mentre gli importi dei contributi sarebbero aumentati di circa tre volte a seguito dei decreti del Ministero del lavoro. Sicchè sussisterebbe un ulteriore profilo di violazione dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione, in dipendenza del fatto che i contributi il cui onere é stato addossato alle regioni risulterebbero indeterminati e, in ogni caso, sarebbero sicuramente destinati ad aumentare in ragione di due fattori - l'aumento degli apprendisti e l'aumento dei contributi - che non sarebbero controllabili dalle regioni, le quali non hanno competenze in materia.
In via subordinata, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 24, 101 e 113 della Costituzione, in quanto la disposizione impugnata, nel determinare autoritativamente l'esistenza e l'entità del presunto obbligo, interferirebbe con le funzioni dell'autorità giudiziaria e comprimerebbe il diritto delle regioni alla tutela giudiziaria nei confronti delle pretese degli istituti assicuratori.
3.- La Regione Veneto ha contestato la legittimità costituzionale dell'art. 8 del decreto-legge n. 338 del 1989 sotto tre distinti profili.
A suo giudizio, risulterebbero innanzitutto violati gli artt. 117, 118, 119 e 77 della Costituzione. in relazione all'art. 15, terzo comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400, dal momento che si tratterebbe di un insieme di norme che, essendo contenuto in un decreto-legge non omogeneo ed essendo stato emanato senza la necessaria urgenza del provvedere, realizzerebbe una violazione dei requisiti di forma propri della decretazione di cui all'art. 77 della Costituzione.
In secondo luogo, l'art. 8 del decreto impugnato contrasterebbe con gli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, in relazione all'art. 8 della legge n. 281 del 1970 e 21 della legge n. 335 del 1976, in quanto dall'applicazione delle disposizioni impugnate deriverebbe un vincolo a scopi specifici di una porzione dei fondo comune - il quale ha come sua esclusiva destinazione quella di fronteggiare autonomamente le spese necessarie allo svolgimento delle funzioni normali delle regioni -, un vincolo che inciderebbe, dunque, sul bilancio regionale. In particolare, la ricorrente osserva che l'impugnato art. 8 innova radicalmente la disciplina posta dall'art. 16, terzo comma, della legge n. 845 del 1978, con la quale si collegherebbe in modo affatto artificioso. Infatti, le convenzioni di cui all'art. 16 erano strettamente correlate all'esercizio di funzioni regionali in materia di formazione professionale che avessero determinato di per sè, per le particolari modalità di esplicazione della formazione, il ricorso a forme assicurative. Di qui derivava, a giudizio della ricorrente, che gli oneri assicurativi erano accollati dalle singole regioni solo nei limiti in cui queste avessero esercitato, direttamente o indirettamente, compiti di formazione professionale in senso stretto. La disposizione impugnata, invece, prevedrebbe un onere relativo a tutte le assicurazioni obbligatorie dovute per gli apprendisti artigiani, un onere che, pertanto, sarebbe molto simile a un'imposta, come si desumerebbe anche dalla configurazione delle penalità per le regioni che non stipulano le convenzioni con gli enti assicuratori.
Infine, l'art. 8 del decreto-legge n. 338 del 1989 violerebbe gli artt. 5, 117, 118, 119 e 125 della Costituzione, in connessione con le relative norme sul trasferimento delle funzioni amministrative (d.P.R. n. 616 del 1977), a quelle della legge quadro in materia di formazione professionale (arti. 16 e 22, nonchè 3, 4 e 5 della legge n. 845 del 1978) e a quelle sulla disciplina dell'apprendistato (art. 21 della legge n. 25 del 1955). Più precisamente, la ricorrente osserva che, in base alle leggi appena citate, le competenze regionali concernerebbero solamente le attività pubblicistiche o costituenti servizi d'interesse pubblico, e non invece la costituzione del rapporto di lavoro o gli aspetti retributivi, contributivi e previdenziali ivi compresi. Sul piano finanziario a questa divisione ne corrisponderebbe un'altra per la quale, mentre le prime attività dovrebbero essere finanziate nell'ambito del fondo comune di cui all'art. 8 della legge n. 281 del 1970, le altre, invece, troverebbero la loro copertura in un apposito capitolo dello stato di previsione del bilancio del Ministero dei lavoro (art. 18 della legge n. 845 del 1978). In questo sistema le regioni dovrebbero provvedere soltanto alle spese relative alle attività nelle quali si concretizzano gli interventi regionali (e non già a quelle inerenti al rapporto di lavoro di apprendista), come sembrerebbe confermato dalla scelta dello strumento convenzionale per determinare di volta in volta l'obbligo contributivo. L'impugnato art. 8, invece, stravolgerebbe questo sistema estendendo l'obbligo di contribuzione delle regioni ad aspetti del rapporto di lavoro e caricando retroattivamente sulle regioni stesse un onere finanziario privo di qualsiasi titolo, senza prevedere i relativi mezzi di copertura. Come effetto di tale stravolgimento, l'art. 8 conferirebbe inoltre al Ministro del tesoro una posizione di supremazia e il potere di appropriarsi di quote del fondo comune, in violazione dell'art. 125 della Costituzione.
4.- Con tre distinti ricorsi dal contenuto identico, le Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Toscana contestano la legittimità costituzionale dell'art. 8 del decreto-legge n. 338 del 1989 in riferimento agli artt. 5, 77, 117, 118 e 119 della Costituzione.
Nello svolgere argomentazioni analoghe a quelle dedotte nei precedenti ricorsi, le ricorrenti insistono sulla rilevanza della reiterazione del decreto-legge in ordine alla lesione delle competenze regionali da parte di un potere statale illegittimamente esercitato.
In relazione al contenuto normativo dell'art. 8, esse lamentano in particolare la sostanziale introduzione di un meccanismo sanzionatorio ai danni delle regioni alle cui finanze verrebbero sottratte anche le somme dovute per la mancata stipula delle convenzioni per fatto o colpa degli enti previdenziali. Di qui deriverebbe una lesione delle competenze proprie delle regioni in materia di formazione professionale, entro la quale andrebbero ricomprese le competenze in discussione sull'apprendistato degli artigiani.
Infine, l'art. 8, terzo comma, presenterebbe un ulteriore motivo d'illegittimità costituzionale laddove introduce un controllo sostitutivo non rispondente ai requisiti di cui all'art. 125 della Costituzione, come enucleati da questa Corte, in quanto si tratterebbe di un controllo affidato a un Ministro, anzichè al Governo, ed effettuato inaudita altera parte.
Le ricorrenti chiedono altresì che questa Corte disponga in via cautelare la sospensione dell'efficacia delle disposizioni impugnate.
5.- La Regione Lombardia ha presentato un ricorso con il quale contesta la legittimità costituzionale dell'art. 8 dei decreto-legge n. 338 del 1989 con argomentazioni identiche a quelle svolte dalla Regione Piemonte nel ricorso precedentemente illustrato (v. punto 2).
6.- La Regione Abruzzo ha presentato un ricorso di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 8 del decreto-legge n. 338 del 1989, convertito, senza modificazioni, nella legge 7 dicembre 1989, n. 389.
Sul presupposto che la legge quadro sulla formazione professionale abbia trasferito alle regioni anche gli oneri previdenziali ed assicurativi inerenti alle posizioni degli apprendisti artigiani, la ricorrente ricorda che tale trasferimento sarebbe stato sottoposto a due condizioni, che non si sono verificate: la copertura attraverso il fondo comune integrato e la stipulazione delle convenzioni con gli istituti assicuratori. La causa di ciò sarebbe da ricondurre al fatto che non si é mai registrato un equilibrio tra il finanziamento disposto e i costi presuntivi. Di qui conseguirebbe la palese incostituzionalità della disposizione impugnata, perchè imporrebbe alla regione oneri che non le competono e lederebbe il principio dell'autonomia finanziaria. Nè, ad avviso della ricorrente, lo Stato potrebbe lamentarsi ora della mancata stipula delle convenzioni, dal momento che avrebbe dovuto sollevare allora conflitto di attribuzione. In luogo di questo, lo Stato, a giudizio della ricorrente, ha invece introdotto H meccanismo di cui all'impugnato art. 8.
Infine, quest'ultimo articolo violerebbe anche gli artt. 81, quarto comma, e 119 della Costituzione per omessa copertura finanziaria degli oneri gravanti sulle regioni, dal momento che, mentre lo Stato ha aumentato gli importi dei contributi, non risulterebbero corrispondentemente incrementate le entrate necessarie a farvi fronte.
7.- Le Regioni Umbria, Toscana, Veneto e Lombardia hanno presentato ulteriori ricorsi nei confronti dell'art. 8 del decreto-legge n. 338 del 1989 dopo che questo é stato convertito, senza modificazioni, nella legge 7 dicembre 1989, n. 389. In essi vengono sostanzialmente riformulate le stesse argomentazioni svolte nei ricorsi precedentemente presentati dalle medesime ricorrenti salvo le osservazioni relative alla reiterazione dei decreti-legge.
8.- Rispetto a tutti i ricorsi illustrati nei punti precedenti si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, eccependo, innanzitutto, l'inammissibilità dei profili d'illegittimità costituzionale relativi all'art. 77 della Costituzione, in quanto sarebbero connessi a pretesi vizi procedurali non comportanti lesioni delle competenze regionali. L'Avvocatura dello Stato nega anche che possa essere accolta la richiesta delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Toscana diretta a ottenere la sospensione dell'efficacia delle disposizioni impugnate, rilevando che il potere cautelare su cui si pretende di fondare la richiesta non potrebbe esser considerato come componente essenziale della tutela giurisdizionale.
A proposito delle pretese violazioni degli artt. 117 e 119 della Costituzione, il resistente osserva che la materia previdenziale non rientrerebbe nelle competenze proprie delle regioni, ma sarebbe stata delegata a queste dall'art. 16, terzo comma, della legge n. 845 del 1978. Replicando, in particolare, alle osservazioni della Regione Veneto, l'Avvocatura afferma che, a suo giudizio, la disciplina dell'impugnato art. 8 non rientrerebbe nella "istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica", nè nell'"artigianato". Ciò si desumerebbe chiaramente dall'art. 35 del d.P.R. n. 616 del 1977 e dagli artt. 2, 3 e 16 della legge n. 845 del 1978.
Riguardo alle censure mosse in riferimento agli artt. 81, quarto comma, e 119 della Costituzione, l'Avvocatura dello Stato contesta che l'impugnato art. 8 abbia addossato alle regioni nuovi oneri e non abbia garantito alle stesse la provvista dei mezzi finanziari per farvi fronte. Al contrario, secondo l'Avvocatura, l'articolo impugnato confermerebbe obblighi già contenuti nell'art. 16, terzo comma, della legge n. 845 del 1978, ma rimasti a lungo inadempiuti; nello stesso tempo, prevederebbe agevolazioni a favore delle regioni, come quelle sugli arretrati e sui pagamenti rateizzati. Del resto, continua l'Avvocatura dello Stato, la provvista dei mezzi finanziari andrebbe ricercata nelle norme poste dall'art. 22, primo comma, della legge n. 845 del 1978, il quale fa riferimento al fondo comune di cui all'art. 8 della legge n. 281 del 1970, integrato con tutti gli stanziamenti di spesa iscritti nel bilancio dello Stato attinenti ad attività di formazione professionale trasferite o da trasferire, nonchè con l'importo corrispondente alla disponibilità del F.A.P.L. per il 1979.
Quanto, poi, alla prospettazione delle ricorrenti, secondo la quale i fondi sarebbero stati in ogni caso insufficienti, l'Avvocatura dello Stato, dopo aver sottolineato che tale argomentazione sembra presupporre l'ammissione dell'obbligo, replica con quattro ordini di ragioni. Innanzitutto, sostiene che non sia possibile dubitare oggi della legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge n. 845 del 1978, al quale va fatta risalire l'imposizione dell'obbligo alle regioni. In ogni caso, continua l'Avvocatura, non si dovrebbe porre un problema di copertura di nuove o maggiori spese, dal momento che si tratterebbe di semplice trasferimento dallo Stato alle regioni di oneri già esistenti e delle relative risorse finanziarie. In terzo luogo, non andrebbe trascurato che l'impugnato art. 8 porrebbe norme di favore per le regioni per quanto riguarda le funzioni amministrative delegate relative alla sicurezza sociale degli apprendisti artigiani. Infine, osserva l'Avvocatura, non sarebbe rispondente al vero che i fondi trasferiti nel 1979 non siano stati rivalutati, anche se non sembrerebbe ammissibile che questa Corte produca un'ordinanza istruttoria su dati che atterrebbero al merito della questione, e non alla sua legittimità costituzionale.
Il resistente contesta anche la fondatezza della censura prospettata dalla Regione Veneto in riferimento all'art. 125 della Costituzione, dal momento che, a suo giudizio, il controllo sostitutivo dello Stato nei confronti delle regioni sarebbe del tutto normale riguardo a funzioni delegate.
Infine, in relazione alle censure mosse dalle Regioni Piemonte e Lombardia in via subordinata, l'Avvocatura dello Stato ne eccepisce l'inammissibilità e, in ogni caso, ne contesta la fondatezza, dal momento che le regioni potrebbero sempre ottenere in sede giurisdizionale la determinazione del corrispettivo forfettario dovuto agli istituti assicuratori.
9.- In prossimità dell'udienza hanno depositato memorie le Regioni Piemonte, Lombardia, Toscana, Umbria, Emilia-Romagna e Veneto, le quali insistono nelle proprie richieste.
Nel ribadire l'esigenza di un'ordinanza istruttoria, le Regioni Piemonte e Lombardia sottolineano che - in assenza di convenzioni dirette a regolare il numero degli apprendisti, il flusso di denaro e altri aspetti rilevanti del rapporto con gli enti assicuratori - l'obbligo imposto dall'art. 16, terzo comma, della legge n. 845 del 1978 non poteva non esser limitato ai fondi così come individuati e trasferiti al fondo comune dall'art. 22, primo comma, della stessa legge. L'impugnato art. 8, invece, accolta alle regioni spese che, secondo i dati in possesso delle ricorrenti, sarebbero giunte ormai a livelli elevatissimi senza prevedere alcun coordinamento con lo Stato. Di qui discenderebbe l'illegittimità costituzionale di disposizioni che imporrebbero alle regioni l'obbligo di sopportare uno sproporzionato aumento dei costi senza alcun intervento riequilibratore dello Stato.
Le Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Umbria, nel contestare l'affermazione dell'Avvocatura dello Stato secondo la quale le competenze contestate sarebbero delegate (e non trasferite), osservano che nell'ambito della previdenza e assistenza sussistono funzioni alcune delle quali sono dello Stato e altre delle regioni. Nel caso oggetto dei ricorsi in discussione vi sarebbe, secondo le ricorrenti, un'esplicita attribuzione alle regioni di competenze concernenti il pagamento dei contributi assicurativi obbligatori per gli apprendisti artigiani, dal momento che tali competenze sarebbero sistematicamente collocate all'interno della materia della formazione professionale. Questa conclusione risulterebbe confermata, sempre a giudizio delle ricorrenti, dalla previsione della stipula delle convenzioni tra le regioni e gli istituti assicuratori nonchè dal pagamento della somma "a valere" sui fondi di cui all'art. 22, primo comma, della legge n. 845 del 1978, che porterebbero a individuare un adempimento funzionalmente collegato a un settore attribuito alla competenza concorrente delle regioni.
Dopo aver insistito sull'opportunità di un'indagine istruttoria volta ad acquisire i dati relativi alle richieste complessivamente avanzate dagli enti assicuratori per poterli utilmente comparare con i fondi messi a disposizione delle regioni per il relativo pagamento, le stesse ricorrenti sottolineano l'illegittimità di un meccanismo sanzionatorio che renderebbe automatico e necessario il blocco di parte dei fondi attribuiti alle regioni (allorchè li condizionano alla stipula delle convenzioni), sottraendo così alle stesse regioni somme che non sono quelle effettivamente dovute, ma quelle richieste dagli enti assicuratori (le quali, invece, andrebbero accertate all'interno del modulo convenzionale).
La Regione Veneto, nel ribadire le proprie argomentazioni, richiama a sostegno delle stesse il parere espresso dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali.
10.- Con un separato ricorso la Regione Toscana ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione all'art. 8 del decreto-legge n. 338 del 1989, di cui chiede anche la sospensione. Ad avviso della ricorrente, il Governo, nel reiterare per quattro volte disposizioni identiche già contenute in precedenti decreti-legge, avrebbe illegittimamente operato una sorta di conversione surrettizia di norme già decadute (perchè non convertite) e, quindi, non più esistenti. Come tali, queste norme non potrebbero essere richiamate in vita da un atto, come quello impugnato, che essendo stato posto in frode alla Costituzione, dovrebbe essere probabilmente considerato come privo di forza o di valore di legge. In ogni caso, qualunque sia la sua natura, non si dovrebbe dubitare della esperibilità, in relazione ad esso, di un conflitto di attribuzione, poichè, sostiene la ricorrente, é insegnamento di questa Corte che a radicare quel giudizio sia sufficiente un qualsiasi atto, anche privo di regime 0 di valore tipico, purchè espressivo di un'affermazione di competenza.
Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, che ha eccepito l'inammissibilità del conflitto ed ha richiesto, comunque, il suo rigetto senza addurre argomenti specifici.
11. - Nel corso della discussione nella pubblica udienza le regioni ricorrenti, oltre a ribadire i propri punti di vista, hanno addotto nuovi argomenti. In particolare le Regioni Piemonte e Lombardia hanno osservato che, a voler sostenere che le competenze m discussione siano delegate e non trasferite (come afferma l'Avvocatura dello Stato), si dovrebbe concludere che i relativi oneri debbano essere addossati allo Stato. La Regione Abruzzo ha sottolineato che tutta la vicenda sarebbe stata condotta dallo Stato in assoluto spregio del principio di cooperazione, più volte affermato da questa Corte.
L'Avvocatura dello Stato, nel ribadire che i giudizi hanno ad oggetto funzioni delegate alle regioni in base all'art. 118, ultimo comma, della Costituzione e che il F.A.P.L. deve considerarsi assorbito nel Fondo comune a partire dalla legge finanziaria del 1982, osserva che la situazione disciplinata dall'impugnato art. 8 é caratterizzata da una variegata rete di rapporti di debito e di credito rispetto ai quali lo Stato avrebbe la posizione di fidejussore, di modo che esso sarebbe legittimato a intervenire nei casi in cui le regioni non adempissero.
Considerato in diritto
1.-I numerosi ricorsi di legittimità costituzionale, di cui in epigrafe, presentati dalle Regioni Piemonte, Veneto, Emilia- Romagna, Umbria, Toscana, Lombardia e Abruzzo, nonchè il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Toscana, anch'esso indicato in epigrafe, possono essere riuniti per essere discussi congiuntamente e per essere decisi con un'unica sentenza, dal momento che hanno un medesimo oggetto, costituito dall'art. 8 del decreto legge 9 ottobre 1989, n. 338 (Disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, e di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati), convertito, senza modificazioni, nella legge 7 dicembre 1989, n. 389.
2. - La fissazione dell'udienza per il dibattimento delle questioni di costituzionalità sollevate dai ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Toscana nonchè del conflitto proposto dalla Regione Toscana induce a considerare assorbita la richiesta di sospensione del decreto-legge impugnato, presentata dalle suddette regioni.
3. - Va, innanzitutto, dichiarata l'inammissibilità delle censure che le Regioni Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Umbria, Toscana e Lombardia propongono, con varie argomentazioni, in riferimento all'art. 77 della Costituzione, anche in connessione con l'art. 15, lett. c), della legge 23 agosto 1988, n. 400.
É giurisprudenza costante di questa Corte (v., da ultimo, sentt. nn. 243 del 1987, 302 e 1044 del 1988, 544 del 1989) che le regioni, allorchè agiscono nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, non possono legittimamente far valere presunte violazioni delle norme costituzionali regolanti il potere governativo di adozione dei decreti-legge, le quali non comportano di per sè alcuna lesione della sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita alle stesse. In tali casi, infatti, difetta quell'interesse a ricorrere qualificato dalla finalità di ripristinare l'integrità delle competenze regionali, che è proprio dei giudizi in questione.
4. - Inammissibile è, altresì, il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Toscana nei confronti dello Stato in relazione all'art. 8 del decreto-legge n. 338 del 1989, a causa dell'inidoneità dell'atto impugnato a dar origine a un conflitto di attribuzione tra Stato e regioni.
Il ricorso in questione ha ad oggetto un decreto-legge, che, ai sensi dell'art. 77 della Costituzione, è stato adottato dal Governo, è stato emanato dal Presidente della Repubblica ed è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Si tratta, dunque, di un atto che, anche a voler dubitare della sua conformità a Costituzione, ha nondimeno un indubbio valore di legge ed esiste nell'ordinamento positivo con il particolare regime giuridico che lo caratterizza, fintantochè non sia eliminato dallo stesso in conseguenza di abrogazione o non sia privato di efficacia a seguito di dichiarazione d'illegittimità costituzionale nelle forme e nei modi prescritti dalla Costituzione. A motivo della sua natura legislativa, in relazione a tale atto la regione non può sollevare conflitto di attribuzione, dal momento che, al fine di ripristinare l'integrità delle proprie competenze costituzionali eventualmente lese da atti statali di carattere legislativo, la regione dispone del distinto strumento del ricorso di legittimità costituzionale in via principale, ricorso in relazione al quale sono previsti termini di presentazione più brevi (v. art. 32, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87) e, soprattutto, un oggetto diverso e una decisione avente contenuto, natura ed efficacia differenti (v., nello stesso senso, sent. n. 358 del 1985).
5.-Tutte le Regioni ricorrenti contestano la legittimità costituzionale dell'art. 8 del decreto-legge n. 338 del 1989, convertito nella legge n. 389 del 1989, il quale contiene le seguenti disposizioni:
a) le regioni a statuto ordinario sono tenute a comunicare, entro il 20 ottobre 1989, al Ministro del lavoro e della previdenza sociale e al Ministro del tesoro la stipula delle convenzioni di cui all'art. 16, terzo comma, della legge 21 dicembre 1978, n. 845, per il pagamento delle assicurazioni obbligatorie a favore degli apprendisti artigiani (primo comma);
b) le stesse regioni sono tenute a pagare, di norma in dieci annualità costanti, i contributi dovuti per gli anni 1988 e precedenti (secondo comma);
c) nel caso che le convenzioni non fossero stipulate e comunicate nei termini previsti, <il Ministro del tesoro provvede ad accantonare, a valere sulle erogazioni spettanti alle regioni per gli anni 1990 e successivi, ai sensi dell'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281, importi annuali corrispondenti a quelli dovuti in forza del comma secondo>>, importi che vengono calcolati sulla base dei crediti comunicati (entro il 15 novembre 1989) dal Ministro del lavoro e vengono corrisposti agli istituti assicuratori entro il termine di ogni esercizio (terzo comma);
d) in attesa della stipula delle convenzioni, i contributi dovuti da ogni regione per gli anni 1989 e successivi verranno trattenuti sulle quote ad esse spettanti a titolo di ripartizione del fondo comune afferente all'anno successivo a quello di competenza dei contributi, assumendo a base di calcolo i crediti annualmente comunicati al Ministro del lavoro ai fini della successiva erogazione a favore degli istituti assicuratori (quarto comma).
Ad avviso delle ricorrenti, l'insieme delle disposizioni ora indicato contrasterebbe con la Costituzione innanzitutto sotto un duplice profilo:
a) per violazione dell'autonomia finanziaria goduta dalle regioni nelle materie ad esse assegnate (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione), dal momento che le disposizioni impugnate imporrebbero alle regioni stesse oneri assicurativi cui non corrisponderebbe un potere regionale di determinazione dei medesimi e per i quali non sarebbe garantita in modo certo la provvista dei fondi necessari al loro pagamento;
b) per violazione del combinato disposto formato dagli artt. 81, quarto comma, e 119 della Costituzione, in quanto le disposizioni impugnate porrebbero a carico delle regioni oneri assicurativi senza contestualmente prevedere i mezzi necessari per farvi fronte, producendo così un grave pregiudizio alla programmazione finanziaria regionale.
6.-Non fondate sono, innanzitutto, le questioni di legittimità costituzionale relative all 'art . 8 , primo comma, del decreto- legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito nella legge n. 389 del 1989, il quale, come s'è appena ricordato, impone alle regioni di comunicare, entro il 20 ottobre 1989, ai Ministri del lavoro e del tesoro la stipula delle convenzioni di cui all'art. 16, terzo comma, della legge 21 dicembre 1978, n. 845.
Riguardo a tale articolo la Regione Veneto prospetta un particolare profilo d'illegittimità costituzionale. A suo giudizio, l'impugnato art. 8 innoverebbe profondamente la precedente disciplina, disposta dall'art. 16 della legge n. 845 del 1978, nel senso che, mentre quest'ultima circoscriverebbe gli obblighi contributivi delle regioni al pagamento delle sole assicurazioni obbligatorie eventualmente connesse alle attività svolte dagli apprendisti nell'ambito del progetti formativi di competenza regionale, l'art. 8, invece, estenderebbe l'impegno delle regioni a tutti gli oneri relativi alle assicurazioni obbligatorie garantite per legge agli apprendisti artigiani. Da tale estensione, secondo la ricorrente, deriverebbe uno squilibrio notevole tra le prestazioni obbligatorie cui le regioni sono tenute e i fondi che l'impugnato art. 8 destina a copertura di quelle prestazioni, squilibrio che comporterebbe una lesione dell'art. 119 della Costituzione.
L'interpretazione formulata dalla ricorrente non può essere condivisa tanto per quel che concerne il significato da attribuire all'art. 8 del decreto-legge n. 338 del 1989, quanto per quel che riguarda il senso da riconoscere all'art. 16, terzo comma, della legge n. 845 del 1978.
Sotto il primo del profili indicati, occorre sottolineare che l'art. 8 non contiene alcuna norma relativa alla pretesa estensione dell'oggetto delle assicurazioni obbligatorie addossate alle regioni, dal momento che esso si limita a stabilire un obbligo di comunicazione delle convenzioni riguardanti le assicurazioni obbligatorie indicate nell'art. 16, terzo comma, della legge n. 845 del 1978. Per i restanti commi, l'art. 8 pone norme che, pur se indubbiamente incidono sulla natura degli obblighi contributivi delle regioni, non ne toccano, tuttavia, l'estensione.
D'altra parte, non si può neppure affermare che il ricordato art. 16 della legge n. 845 del 1978 circoscriva l'obbligo delle regioni al pagamento delle sole assicurazioni eventualmente connesse alle attività svolte dagli apprendisti artigiani nell'ambito dei corsi di formazione professionale organizzati dalle regioni stesse. Una tale delimitazione è, anzi, espressamente esclusa dallo stesso art. 16, il quale, al comma terzo, stabilisce che le convenzioni tra le regioni e gli istituti assicuratori sono stipulate <per i fini di cui all'art. 21 della legge 19 gennaio 1955, n. 25>, vale a dire allo scopo di soddisfare gli obblighi previdenziali e assicurativi generalmente previsti a favore di tutti gli apprendisti artigiani, indipendentemente dalla loro frequenza (o dal periodo di frequenza relativo) ai corsi professionali organizzati dalle regioni.
L'interpretazione ora enunciata, oltre ad essere confortata dai lavori preparatori relativi alla legge n. 845 del 1978, trova una conferma di ordine sistematico sia nel trasferimento alle regioni dell'onere complessivo relativo al pagamento dei contributi assicurativi che per l'innanzi era imputato al Fondo di addestramento professionale dei lavoratori (disposto dallo stesso art. 16, terzo comma), sia nella norma concernente l'esclusione di oneri assicurativi a carico degli imprenditori artigiani (norma che, dopo l'abrogazione dell'art. 28, operata dall'art. 16, quarto comma, della legge n. 845 del 1978, è tuttora deducibile dall'art. 26 della legge n. 25 del 1955, che esonera gli imprenditori artigiani dal pagamento delle marche settimanali di cui all'art. 22 della stessa legge).
In definitiva, poichè l'estensione dei contributi assicurativi dovuti dalle regioni in base all'art. 16, terzo comma, della legge n. 845 del 1978 è la medesima implicata dall'impugnato art. 8 (che anzi rinvia, per quel che concerne l'oggetto dell'onere dovuto, all'art. 16), viene meno la premessa sulla base della quale la Regione Veneto ha ipotizzato l'illegittimità costituzionale della disposizione impugnata.
Parimenti non fondate sono le censure di incostituzionalità formulate dalle altre ricorrenti limitatamente alla disposizione contenuta nell'art. 8, primo comma, del decreto-legge n. 338 del 1989. Di per sè, questo articolo non pone alcun obbligo alle regioni a statuto ordinario in ordine al pagamento dei contributi assicurativi, ma le vincola, più semplicemente, a comunicare ai Ministri del lavoro e del tesoro la stipulazione delle convenzioni eventualmente avvenuta fra le stesse regioni e gli istituti assi curatori in relazione al pagamento delle assicurazioni obbligatorie a favore degli apprendisti artigiani. Sebbene tale obbligo di comunicazione sia correlato, nell'ambito dell'impugnato art. 8, a un meccanismo sostitutivo operante come sanzione al mancato adempimento degli obblighi assicurativi nel termine del 20 ottobre 1989, esso gioca altresì un ruolo autonomo, nel senso che è strumentale anche rispetto alla conoscenza da parte dei ministeri indicati delle convenzioni stipulate ai sensi dell'art. 16 della legge n. 845 del 1989 e della quantificazione della spesa relativa, anche in vista della previsione degli oneri finanziari da stanziare con legge dello Stato. Considerato sotto tale aspetto, l'art. 8, primo comma, non comporta alcuna lesione dell'autonomia regionale, poichè, come questa Corte ha costantemente affermato (v., ad esempio, sentt. nn. 359 del 1985; 730 del 1988 e 338 del 1989), nessuna violazione di quell'autonomia può derivare da doveri di informazione che siano eventualmente imposti alle regioni nei confronti dello Stato.
Nè, in realtà, possono trarsi argomenti contrari dalla pretesa irrazionalità del termine breve imposto alle regioni stesse dalla disposizione impugnata, sia perchè l'obbligo regionale di stipulare le convenzioni preesisteva da oltre un decennio (ex art. 16, 1. n. 845 del 1978), sia perchè l'obbligo di comunicazione dell'eventuale stipula delle predette convenzioni tendeva altresì a fotografare la situazione esistente al momento dell'adozione del l'impugnato decreto-legge, una situazione che il legislatore statale presumeva, fondatamente, caratterizzata da una massiccia evasione da parte delle regioni nel pagamento dei contributi assicurativi a favore degli apprendisti artigiani.
7. -Vanno invece accolti i dubbi di legittimità costituzionale relativi all'art. 8, terzo e quarto comma, del decreto-legge n. 389 del 1989.
7.1. - A differenza delle disposizioni contenute nel primo comma dell'art. 8, quelle poste dai commi successivi modificano profondamente il significato della disciplina preesistente, contenuta nell'art. 16, terzo comma, della legge n. 845 del 1978.
Quest'ultima, infatti, nello stabilire un obbligo delle regioni di pagare le assicurazioni obbligatorie a favore degli apprendisti artigiani, lo aveva subordinato, da un lato, alla utilizzazione delle risorse finanziarie confluite nel fondo comune indicato dall'art. 22 della medesima legge, e, dall'altro, alla stipulazione di convenzioni tra le regioni e gli istituti assicuratori. Con tali convenzioni le regioni a statuto ordinario avevano la possibilità di mantenere il pagamento degli oneri derivanti dalle assicurazioni sociali degli apprendisti artigiani all'interno dei limiti delle disponibilità assicurate a ciascuna di esse ai sensi dell'art. 22, primo comma, della legge n. 845 del 1978. In ogni caso-e ciò va sottolineato-alla luce della precedente disciplina la volontà della regione, seppure all'interno di un modulo convenzionale, era determinante in ordine alla definizione e alla quantificazione dell'onere gravante sulle risorse finanziarie regionali in conseguenza del pagamento delle assicurazioni obbligatorie a favore degli apprendisti artigiani.
Sicchè, qualunque fosse il giudizio di merito da dare al sistema prescelto, l'autonomia regionale ne risultava formalmente rispettata.
L'impugnato art. 8 ha modificato tale sistema attraverso la previsione di un meccanismo di accantonamento forzoso degli importi dovuti e di trattenuta delle quote spettanti a titolo di ripartizione del fondo comune per l'anno successivo, che lo Stato, in forza dei commi terzo e quarto del medesimo articolo, è autorizzato a mettere in atto in caso di mancata stipula delle convenzioni o in attesa della stipulazione delle medesime. In virtù di questo meccanismo, l'obbligo imposto alle regioni per il pagamento delle assicurazioni obbligatorie a favore degli apprendisti artigiani si trasforma in un obbligo che, per un verso è incondizionato, dal momento che, ai fini del suo adempimento da parte delle regioni, diviene irrilevante la stipula, o meno, delle relative convenzioni; e, per altro verso, ha per contenuto l'erogazione di una somma di denaro la cui determinazione sfugge alla volontà della regione.
7.2.-Allo scopo di valutare la legittimità costituzionale di un obbligo come quello appena delineato, si rende necessario verificare previamente se esso rientri tra le competenze trasferite alle regioni (come suppongono l'Emilia-Romagna, l'Umbria e la Toscana) ovvero se sia connesso con funzioni delegate alle stesse (come ritengono l'Abruzzo e l'Avvocatura dello Stato).
Come si è affermato nel punto n. 6, non vi può esser dubbio che l'obbligo di pagare i contributi assicurativi indicati dall'art. 16 della legge n. 845 del 1978, cui l'impugnato art. 8 fa riferimento, rientri nella materia della previdenza e dell'assicurazione obbligatoria (v., da ultimo, sent. n. 227 del 1990). Si tratta di materia che esula dalle competenze proprie delle regioni a statuto ordinario, finanche in riferimento ai rapporti di lavoro che queste ultime stipulano con i propri dipendenti. Del resto, tanto in occasione del trasferimento delle funzioni amministrative alle regioni avvenuto nel 1972 quanto in occasione di quello del 1977, i relativi decreti presidenziali hanno precisato, nel trasferire alle regioni la formazione professionale (anche degli apprendisti), che restava riservata allo Stato la disciplina del rapporto giuridico di apprendistato e, quindi, degli aspetti retributivi, contributivi e previdenziali connessi a quest'ultimo (v. art. 7, lettera c, del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 10; art. 36 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616).
Questa ripartizione di competenze è stata confermata dalla legge quadro in materia di formazione professionale (v. Legge 21 dicembre 1978, n. 845), la quale, tuttavia, all'art. 16, terzo comma, dispone che, ai fini della prestazione della previdenza e dell'assistenza sociale obbligatoria (art. 21, legge 19 gennaio 1955, n. 25), le regioni <stipulano con gli istituti assicuratori convenzioni per il pagamento, a valere sui fondi di cui all'art. 22, primo comma, della presente legge, delle somme occorrenti per le assicurazioni in favore degli apprendisti artigiani>. Sebbene tale disposizione non contenga nella sua formulazione letterale una chiara affermazione sulla natura giuridica delle relative funzioni, queste debbono essere qualificate come funzioni delegate trattandosi di attività previdenziali non comprese in alcuna delle materie fra quelle indicate dall'art. 117 della Costituzione e, pertanto, da considerarsi affidate alle regioni in forza dell'art. 118, secondo comma, della Costituzione.
7.3.-Rispetto ai compiti connessi con l'esercizio delle funzioni delegate, i principi dell'autonomia finanziaria regionale e della copertura finanziaria delle spese comportate dall'espletamento di quei compiti sono stati attuati dall'art. 1, terzo comma, n. 4, della legge 22 luglio 1975, n. 382 (oltrechè da altre disposizioni di legge statale che si muovono nello stesso ordine di idee), il quale stabilisce che lo Stato deve assicurare i <mezzi necessari> per il migliore esercizio delle predette funzioni. Tali principi risultano violati dalle disposizioni impugnate, le quali, a fronte di un obbligo di contribuzione non derogabile da parte delle regioni e non determinabile da queste tanto in relazione all'ammontare dei contributi quanto in relazione al numero dei beneficiari, prevede una provvista di mezzi finanziari incongrua e, comunque, priva della dovuta certezza.
Gli artt. 16, terzo comma, e 22 della legge n. 845 del 1978 stabiliscono un meccanismo di finanziamento delle attività delegate alle regioni in ordine al pagamento dei contributi assicurativi a favore degli apprendisti artigiani che non dà alcuna garanzia circa la sufficienza delle risorse necessarie per l'espletamento di quelle attività. Infatti, i nuovi finanziamenti passati alle regioni a statuto ordinario a fronte del nuovo obbligo di pagamento dei contributi assicurativi relativi agli apprendisti artigiani sono costituiti dalle <disponibilità> del Fondo Addestramento Professionale Lavoratori (F.A.P.L.), che l'art. 22, primo comma, della legge n. 845 del 1978 fa confluire nel Fondo comune. Tali disponibilità, da un lato, non possono identificarsi con tutte le entrate del Fondo per l'Addestramento Professionale dei Lavoratori (F.A.P.L.), perchè con tale gestione fuori bilancio il Governo provvedeva a sostenere altre spese, rimaste a suo carico, oltre a quelle, delegate alle regioni, relative al pagamento degli oneri assicurativi per gli apprendisti artigiani; e, dall'altro, risultano determinate nel loro importo finale a seguito della deduzione dall'ammontare esistente di <tutti gli impegni di spesa e i pagamenti relativi ad attività svolte o in corso di svolgimento alla data di entrata in vigore della legge n. 845 del 1978> (art. 4, D.M. 15 gennaio 1979, relativo alla disciplina della gestione stralcio del soppresso F.A.P.L.). Dal sistema normativo ora delineato consegue che le entrate regionali previste per far fronte alle nuove funzioni delegate dipendono in buona parte da criteri basati su variabili definibili soltanto a posteriori.
Inoltre, l'assenza di meccanismi di adeguamento, contenenti correttivi volti al proporzionamento delle suddette disponibilità allo scopo del pagamento degli oneri contributivi a favore degli apprendisti artigiani, induce a concludere che, a causa delle disposizioni impugnate - vale a dire una volta che gli obblighi contributivi per le assicurazioni sociali a favore degli apprendisti artigiani siano svincolati dalla stipulazione delle convenzioni previste dall'art. 16, terzo comma, della legge n. 845 del 1978 -, viene a mancare la garanzia della proporzionalità delle spese rispetto alle risorse disponibili e della certezza dei mezzi finanziari necessari allo svolgimento delle relative funzioni delegate.
Oltre a non risultare garantita nel suo importo globale messo a disposizione di tutte le regioni a statuto ordinario, la provvista dei mezzi di finanziamento necessari per lo svolgimento delle funzioni delegate in ordine al pagamento dei contributi assicurativi a favore degli apprendisti artigiani non gode di una garanzia certa e adeguata neppure in relazione all'onere contributivo addossato su ciascuna regione. Sotto quest'ultimo profilo, infatti, la ricordata garanzia risulta frustrata dalla previsione della ripartizione dei fondi sulla base di parametri di carattere perequativo, quali quelli del Fondo comune di cui all'art. 8 della legge n. 281 del 1970, che prescindono in gran parte dai costi effettivamente imputabili alle singole regioni per il pagamento delle assicurazioni obbligatorie per gli apprendisti artigiani. Tanto che-in base ai dati acquisiti da questa Corte e con riferimento alla spesa storica, aumentata della stessa percentuale di incremento del fondo comune-appare chiaro che alcune regioni (come quasi tutte quelle ricorrenti) hanno avuto disponibilità di fondi assolutamente insufficienti per far fronte alle effettive necessità di pagamento delle assicurazioni obbligatorie per gli apprendisti artigiani, mentre altre si sono viste trasferire mezzi finanziari di gran lunga superiori alle necessità effettive connesse all'anzidetto obbligo contributivo.
Il quadro normativo offerto dalle disposizioni impugnate risulta, per le ragioni ora dette, profondamente irrazionale ed esige, pertanto, una revisione da parte del legislatore ispirata ai principi costituzionali che presiedono tanto alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato (art. 45, secondo comma, della Costituzione), quanto, ove si ritenga di mantenere la delega delle relative funzioni alle regioni, alla garanzia della certezza della copertura finanziaria degli oneri derivanti dal pagamento delle assicurazioni obbligatorie a favore degli apprendisti artigiani, sia per quanto riguarda le risorse finanziare globalmente assegnate alle regioni, sia per quelle messe a disposizione di ciascuna di esse.
8.-Per motivi analoghi a quelli ora enunciati va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, secondo comma, del decreto-legge n. 338 del 1989. Tale disposizione, nello stabilire che le convenzioni di cui all'art. 16, terzo comma, della legge n. 845 del 1978 abbiano il contenuto da essa stessa determinato (pagamento in annualità costanti dei contributi relativi agli anni 1988 e precedenti), ha svuotato di significato il riferimento dell'obbligo contributivo regionale alla condizione della stipula delle convenzioni. Essa, infatti, ha innanzitutto dato per presupposta l'esistenza di una adeguatezza dei fondi disponibili all'ammontare dei contributi da pagare, mentre, per i motivi già enunciati, ciò non corrisponde alla realtà di una notevole parte delle regioni, tra le quali quasi tutte le ricorrenti. Con ciò stesso, la medesima disposizione ha escluso la possibilità di garantire alle regioni una determinazione degli oneri contributivi sicuramente all'interno dell'ammontare dei mezzi finanziari posti a disposizione delle medesime regioni anche singolarmente considerate. Di qui deriva l'indubbia lesione, da parte della disposizione impugnata, degli artt. 119 e 81, quarto comma, della Costituzione, che garantiscono alle regioni l'autonomia finanziaria e la copertura delle spese necessarie allo svolgimento delle funzioni delegate.
9. - Resta assorbito ogni altro profilo di legittimità costituzionale sollevato dalle ricorrenti.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338 (Disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali e di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati), convertito nella legge 7 dicembre 1989, n. 389, sollevata, in riferimento all'art. 77 della Costituzione anche in connessione con l'art. 15, lett. c) della legge 23 agosto 1988, n. 400, dalle Regioni Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Umbria, Toscana e Lombardia, con i ricorsi indicati in epigrafe; dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione proposto, con il ricorso indicato in epigrafe, dalla Regione Toscana nei confronti dello Stato in relazione all'art. 8 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, primo comma, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito nella legge 7 dicembre 1989, n. 389, sollevata, con riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonchè al combinato disposto degli artt. 81, quarto comma, e 119 della Costituzione, dalle Regioni Piemonte, Veneto, Emilia- Romagna, Umbria, Toscana e Lombardia, con i ricorsi indicati in epigrafe; dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 8, secondo, terzo e quarto comma, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito nella legge 7 dicembre 1989, n. 389.
Così deciso, in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/06/90.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Antonio BALDASSARRE, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 05/07/90.