SENTENZA N.100
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Toscana riapprovata il 26 settembre 1989 dal Consiglio regionale, avente per oggetto: < Disposizioni per il controllo ed il contenimento della spesa>, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 16 ottobre 1989, depositato in cancelleria il 26 ottobre 1989 ed iscritto al n. 83 del registro ricorsi 1989. Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana;
udito nell'udienza pubblica del 17 gennaio 1990 il Giudice relatore Mauro Ferri;
uditi l'Avvocato dello Stato Franco Favara, per il ricorrente, e l'avv. Alberto Predieri per la Regione.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato il 16 ottobre 1989, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge della Regione Toscana riapprovata il 26 settembre 1989 e recante "Disposizioni per il controllo ed il contenimento della spesa", per violazione degli artt. 5, 81, 117 e 119 della Costituzione, "integrati dalle sentenze n. 219 dei 1984 e n. 407 del 1989 della Corte costituzionale e dai principi stabiliti dalla legge statale 29 dicembre 1988, n. 554 e dall'art. 19 della legge statale 29 marzo 1983, n. 93, nonchè dagli indirizzi di cui all'art. 12 del d.P.R. 23 agosto 1988, n. 395".
Rileva l'Avvocatura generale dello Stato che la legge n. 554 del 1988, al fine del contenimento della spesa pubblica, ha posto severi limiti alle assunzioni di personale, tra cui, in particolare, quelli stabiliti dagli artt. 1, commi quarto e nono, e 5, comma terzo, secondo i quali rispettivamente: "tutte le predette assunzioni possono effettuarsi a condizione che sia stata data attuazione alla disciplina della mobilità prevista dal d.P.C.M. 5 agosto 1988, n. 325"; "le amministrazioni possono assumere personale per esigenze stagionali, temporanee e straordinarie nei limiti della spesa media annuale sostenuta nell'ultimo triennio allo stesso titolo"; "le regioni provvedono ad attivare i processi di mobilità tra il personale delle regioni, degli enti pubblici non economici dipendenti dalle Regioni e delle unità sanitarie locali in ambito regionale".
Ciò premesso, l'Avvocatura deduce che l'art. 2 della delibera legislativa in esame, nel testo approvato il 12 aprile 1989, non considerava affatto la disciplina della mobilità. In seguito al rinvio governativo all'art. 2 é stato aggiunto un quinto comma, il quale però considera detta disciplina solo parzialmente: si fa infatti riferimento soltanto all'obbligo (strumentale) di "attivazione" della mobilità, e non anche alla "condizione" di "attuazione" della mobilità stessa.
Inoltre, i commi secondo e quarto dello stesso art. 2 pongono limiti individuati, rispettivamente, nell'80 per cento delle "assunzioni allo stesso titolo effettuate nell'anno 1988", ed in misura pari al "limite già stabilito per l'anno 1988"; laddove il limite della spesa media nell'ultimo triennio (di cui alle sopra richiamate norme statali) é di tutt'altra conformazione, in quanto diluisce le eventuali peculiari vicende dei solo 1988 e di fatto comporta, tenuto conto dell'aumento del costo del lavoro, una riduzione dei personale.
Aggiunge il ricorrente che la caducazione del secondo comma dell'art. 2 trascina con sè anche quella del primo periodo del terzo comma dello stesso articolo (periodo che sarebbe dei resto esso pure non coerente con la legge n. 554/88); ed analogo discorso vale per il primo comma, per quanto esso é subordinato aria "attuazione" (non solo "attivazione") della mobilità.
L'Avvocatura conclude rilevando che l'"interesse nazionale" non soltanto ha connotato la citata legge n. 554/88, ma - una volta ravvisato dal Parlamento - si é anche tradotto in un vincolo costituzionalmente rilevante per il legislatore regionale.
2.- Si é costituita in giudizio la Regione Toscana, la quale chiede che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque non fondate.
Sussisterebbero innanzitutto, ad avviso della resistente, due motivi di inammissibilità: da un lato, mancherebbe la necessaria corrispondenza tra motivi del rinvio e motivi del ricorso, in quanto l'atto di rinvio si limita a denunciare un contrasto tra la norma regionale e quella statale senza attribuire a quest'ultima carattere di principio fondamentale e senza richiamare norme costituzionali che sarebbero state violate, alle quali si fa riferimento (unicamente a quelle di cui alla legge n. 93/83 e al d.P.R. n. 395188) soltanto nel successivo ricorso; dall'altro, se, come sostiene l'Avvocatura, é l'interesse nazionale - in quanto posto a base della legge n. 554/88 - a fondare le censure del Governo, la questione non sarebbe di legittimità costituzionale, ma di contrasto di interessi, con conseguente obbligo di promuovere la questione di merito dinanzi alle Camere ai sensi dell'art. 127, ultimo comma, della Costituzione.
Nel merito, prosegue la Regione, le questioni non sono fondate.
Innanzitutto, non é chiaro come e perchè l'eventuale - e peraltro inesistente - discostarsi della Regione da quanto stabilito nella legge n. 554 possa comportare una violazione degli artt. 5, 81 e 119 della Costituzione, nè alcuna indicazione al riguardo é fornita nell'atto di rinvio o nel ricorso. Quanto alle altre norme richiamate nel ricorso, l'art. 12 del d.P.R. n. 395/88 contiene una disposizione il cui contenuto non é invocabile nella fattispecie, in quanto implica l'autonomo esercizio di poteri da parte delle regioni; la legge n. 554 del 1988 e l'art. 19 della legge n. 93/83 contengono invece disposizioni che si impongono all'attività legislativa regionale in quanto attengono al principio della mobilità del personale del pubblico impiego, cui la Corte ha riconosciuto natura di principio fondamentale ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. Conseguentemente, una censura di illegittimità costituzionale può essere conferente solo se lamenta la violazione di detto principio: ma la modificazione apportata dal Consiglio regionale a seguito del rinvio governativo esclude che possa continuare a parlarsi di violazione degli artt. 5, 81 e 119 della Costituzione e dell'art. 12 del d.P.R. 395/88.
Ma neppure sussiste la violazione dell'art. 117 della Costituzione. Essa non sussiste per l'anno 1990 (in quanto i principi di cui alla legge n. 554 valgono per il solo 1989), ma neppure per il 1989, dal momento che con il quinto comma aggiunto all'art. 2 (secondo cui "la Regione effettua le assunzioni di cui al primo comma previa attivazione delle procedure di mobilità di cui ai commi secondo e terzo dell'art. 5 della legge 29 dicembre 1988, n. 554") la Regione si é sostanzialmente adeguata ai rilievi dei Governo, stabilendo appunto che non si sarebbe proceduto ad alcuna assunzione se non dopo le suddette operazioni di mobilità. Quanto al distinguo introdotto dall'Avvocatura tra "attivazione" ed "attuazione" della mobilità, la Regione ne sostiene l'infondatezza, in quanto il temporaneo blocco delle assunzioni é per l'appunto l'effetto che conseguirebbe all'entrata in vigore della legge regionale e, inoltre, il termine "attivazione" dei processi di mobilità é quello usato proprio dall'art. 5 della legge n. 554.
Identiche considerazioni valgono, prosegue la Regione, in ordine alla censura relativa al primo comma dell'art. 2.
Quanto, poi, ai commi secondo e quarto dello stesso articolo, anch'essi oggetto di censura, la resistente afferma che, a parte il fatto che tali disposizioni impongono una contrazione di un quinto delle assunzioni straordinarie rispetto all'anno precedente e la impongono anche per il 1990 (e quindi anche oltre le previsione della legge n. 554), il nono comma dell'art. 1 della citata legge nazionale non é applicabile alle regioni nella sua interezza, in quanto si riferisce alle amministrazioni, che sono diverse dalle regioni, come risulta dal primo comma dello stesso art. 1 ed é stato ritenuto da questa Corte nella sentenza n. 410 del 1989; al massimo, l'art. 1 nono comma può valere come disposizione di principio in ordine alle esigenze stagionali, senza che tutte le previsioni puntuali e concrete costituiscano vincolo assoluto per le regioni.
Infine, in ordine alla censura relativa al terzo comma dell'art. 2, la Regione ne deduce l'inammissibilità, in quanto non contenuta nell'atto di rinvio, e comunque l'infondatezza, poichè la diversità di contenuto e di oggetto (nonchè di ambito temporale di riferimento) della norma impugnata rispetto al comma secondo ne esclude l'automatica caducazione a seguito della caducazione di quest'ultimo, come dedotto dall'Avvocatura.
3.- Nell'imminenza dell'udienza ha depositato memoria la Regione Toscana, sviluppando le argomentazioni già svolte e insistendo nelle conclusioni formulate nell'atto di costituzione.
Considerato in diritto
1.-Con il ricorso in esame il Presidente del Consiglio dei ministri solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge della Regione Toscana riapprovata il 26 settembre 1989 (intitolata < Disposizioni per il controllo ed il contenimento della spesa>), in riferimento agli artt. 5, 81, 117 e 119 della Costituzione.
Le censure avverso la norma impugnata- la quale, in particolare, detta disposizioni in materia di assunzioni di personale-sono sostanzialmente due: la prima concerne il quinto comma (aggiunto a seguito del rinvio governativo del 12 maggio 1989) in quanto subordina le assunzioni di personale indicate nel primo comma all'obbligo della sola < attivazione> delle procedure di mobilità di cui all'art. 5 della legge statale 29 dicembre 1988, n. 554, anzichè alla < attuazione> della mobilità stessa, secondo il principio contenuto nell'art. 1 della medesima legge n. 554; la seconda concerne i commi secondo e quarto nella parte in cui individuano il limite per le assunzioni di personale straordinario per gli anni 1989 e 1990 in modo difforme da quanto disposto dalla predetta legge statale (art. 1, comma nono): in particolare, laddove quest'ultima indica il limite della < spesa media annuale sostenuta nell'ultimo triennio allo stesso titolo>, le impugnate disposizioni stabiliscono, per la Regione, gli organismi di ricerca e gli enti dipendenti dalla Regione, l'obbligo di ridurre le assunzioni di detto personale < in misura non inferiore al 20 per cento rispetto alle assunzioni allo stesso titolo effettuate nell'anno 1988>, e, per gli enti turistici regionali, la possibilità di assumere personale per esigenze stagionali, temporanee o straordinarie < nel limite già stabilito per l'anno 1988>.
I restanti commi primo e terzo dell'art. 2, infine, dovrebbero, secondo il ricorrente, seguire la sorte di quelli direttamente oggetto di censura, in quanto ad essi strettamente collegati.
2. - La Regione Toscana solleva due eccezioni di inammissibilità.
In primo luogo mancherebbe la necessaria corrispondenza tra i motivi del ricorso e quelli precedentemente indicati nell'atto di rinvio, nel quale il Governo si limitava a denunciare un contrasto tra legge regionale e normativa statale, senza attribuire a quest'ultima carattere di principio fondamentale e senza menzionare le norme costituzionali che sarebbero state violate. In secondo luogo, poichè la stessa Avvocatura dello Stato invoca a fondamento del ricorso l'interesse nazionale che connota la legge n. 554 del 1988, la questione sollevata sarebbe in realtà di merito e non di legittimità costituzionale, con conseguente promovibilità della stessa dinanzi alle Camere ai sensi dell'art. 127, ultimo comma, della Costituzione.
Le eccezioni vanno entrambe rigettate.
Quanto alla prima, va ricordato il costante orientamento di questa Corte secondo cui per il rispetto del principio della corrispondenza tra motivi di rinvio e motivi di impugnazione è sufficiente che con l'atto di rinvio la regione sia posta in condizione di comprendere la sostanza delle censure prospettate, al fine di poter consapevolmente assumere le proprie decisioni di fronte ai rilievi del Governo (da ultimo, sentt. nn. 38, 102 e 561 del 1989); nella specie, non vi è dubbio-e di ciò del resto la Regione stessa si è resa ben conto modificando l'originaria stesura della norma censurata-che dall'atto di rinvio si evincesse chiaramente (pur nella sua imperfetta formulazione) che alle invocate disposizioni della legge n. 554 del 1988 andasse attribuita, ad avviso del Governo, la natura di norme di principio, con conseguente implicita violazione dell'art. 117 della Costituzione (ed a questo profilo, come si dirà in seguito, va circoscritto lo stesso ricorso, a prescindere dal richiamo, non motivato, degli altri parametri suindicati).
In ordine alla seconda eccezione di inammissibilità, va osservato che, a parte l'accenno contenuto nel ricorso all'interesse nazionale posto a base della legge n. 554 del 1988, il ricorso stesso si fonda sulla pretesa violazione di regole sancite in norme costituzionali espressamente richiamate: ciò è sufficiente ad escludere che la questione in esame possa annoverarsi tra quelle di merito anzichè di legittimità, in quanto le prime sono le questioni per la cui risoluzione è invocato un parametro non codificato in alcuna disposizione costituzionale (cfr. sent. n. 991 del 1988).
3.1. - Le questioni non sono fondate.
Va premesso che entrambe le censure vanno esaminate, come già accennato, sotto l'esclusivo profilo della presunta violazione dell'art. 117 della Costituzione per asserita lesione di norme di principio contenute nella legge n. 554 del 1988, poichè in ciò va individuata, al di là di altre disposizioni di rango costituzionale o ordinario invocate, la sostanza del ricorso statale.
Passando all'esame della prima questione (secondo l'ordine del ricorso), la Corte ha già ritenuto, nelle sentenze nn. 219 del 1984 e 407 del 1989, che il criterio della mobilità del personale del pubblico impiego (art. 19 della legge 29 marzo 1983, n. 93) costituisce un principio fondamentale della materia e che la legge 29 dicembre 1988, n. 554 ha il fine essenziale di dare concreta attuazione al principio stesso ed è pienamente legittima là dove (art. 5) impone anche alle regioni l'obbligo di effettuare i processi di mobilità nel loro ambito.
Va anche riconosciuto, a questo punto, che il criterio della antecedenza delle operazioni di mobilità rispetto alle assunzioni di personale-già ritenuto da questa Corte perfettamente ragionevole e coerente nella citata sentenza n. 407 del 1989 -, pur espressamente enunciato nella legge n. 554 (art. 1, quarto comma) con riferimento ad enti diversi dalle regioni e dagli enti da queste dipendenti, costituisce un evidente e logico corollario del principio della mobilità, che deve quindi essere rispettato anche dalle regioni.
Ciò posto, è tuttavia da ritenersi che la Regione Toscana, con l'aggiungere il quinto comma dell'art. 2 in sede di riesame a seguito del rinvio governativo, si sia sostanzialmente adeguata a quest'ultimo, disponendo che le assunzioni dovessero avvenire < previa attivazione delle procedure di mobilità>. Il termine < attivazione> esprime effettivamente un concetto diverso da quello del termine < attuazione>, richiamando il primo propriamente l'atto dell'avviare, dell'iniziare e il secondo quello del realizzare; ma l'uso, sia pur improprio, dell'anzidetto termine nella norma in discussione non esclude che si sia con ciò voluto ugualmente esprimere il principio invocato dal Governo. In tal senso depone- a parte il fatto che la stessa Regione così interpreta < autenticamente> la disposizione censurata nella memoria aggiuntiva - sia il rilievo che la resistente potrebbe essersi limitata a riprodurre la dizione contenuta nel terzo comma dell'art. 5 della citata legge n. 554 del 1988 (che appunto impone alle regioni l'obbligo di < attivare> i processi di mobilità), sia, soprattutto, la considerazione secondo cui, dal punto di vista della logica e della economicità dell'azione amministrativa, appare difficilmente immaginabile che la Regione intenda avviare la mobilità e contemporaneamente procedere ad assunzioni di personale.
Resta salvo, com'è ovvio, il potere dello Stato di assicurare, in sede di controllo sugli atti amministrativi regionali, il rispetto da parte della Regione dell'anzidetto principio nella fase di concreta attuazione della legge qui in discussione.
3.2.-Quanto alla seconda questione, è assorbente rilevare che l'invocato comma nono dell'art. 1 della legge n. 554 del 1988 concerne le regioni esclusivamente nella parte in cui fa riferimento-nel testo vigente a seguito della sostituzione operata dall'art. 10-bis della legge 24 aprile 1989, n. 144, di conversione, con modificazioni, del decreto legge 2 marzo 1989, n. 66-alle unità sanitarie locali, non potendo le regioni rientrare nella categoria degli < enti locali>, come già ritenuto da questa Corte nella sentenza n. 407 del 1989 proprio in relazione al quarto comma dello stesso art. 1.
Si deve, pertanto, concludere che, poichè i commi secondo e quarto dell'impugnato art. 2 non concernono assunzioni di personale presso le unità sanitarie locali, il limite di spesa indicato nel comma nono dell'art. 1 della legge n. 554 esula del tutto dal caso in esame.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge della Regione Toscana riapprovata il 26 settembre 1989 (Disposizioni per il controllo ed il contenimento della spesa), sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento agli artt. 5, 81, 117 e 119 della Costituzione con il ricorso di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21/02/90.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Mauro FERRI, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 02/03/90.