SENTENZA N.404
ANNO 1988
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (<Disciplina delle locazioni di immobili- urbani>), promossi con ordinanze emesse il 21 dicembre 1981 dal Pretore di Rodi Garganico, il 21 maggio 1982 dal Pretore di Cecina, il 6 ottobre 1982 dal Tribunale di Firenze e il 30 gennaio 1984 dal Pretore di Sestri Ponente, iscritte rispettivamente ai nn. 116 e 588 del registro ordinanze 1982, al n. 368 del registro ordinanze 1983 e al n. 478 del registro ordinanze 1984 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 185 dell'anno 1982, nn. 39 e 253 dell'anno 1983 e n. 259 dell'anno 1984.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1988 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola.
Considerato in diritto
l.-Le quattro questioni, di cui alle ordinanze in epigrafe, riguardano l'art. 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (<Disciplina delle locazioni di immobili urbani>) e vanno decise con unica sentenza.
2. - L'articolo suindicato e sospettato: a) dal Pretore di Rodi Garganico, con ordinanza del 21 dicembre 1981 (R. O. n. 116/1982), di violare il principio d'eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione <nella parte in cui non prevede la successione dell'altro coniuge al conduttore anche in caso di separazione di fatto, se tra i due si sia così convenuto>; b) dal Pretore di Cecina, con ordinanza del 21 maggio 1982 (R. O. n. 588/1982), di violare il principio d'eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione <nella parte in cui non prevede la possibilità di succedere nel contratto di locazione al coniuge del conduttore defunto, a lui unito da matrimonio religioso non trascritto>; c) dal Pretore di Sestri Ponente, con ordinanza del 30 gennaio 1984 (R.O. n. 478/1984), di violare, oltre all'art. 3, anche gli artt. 2 e 42, secondo comma, della Costituzione <nella parte in cui esclude il convivente more uxorio del conduttore defunto dal diritto a succedergli nel contratto di locazione>; d) dal Tribunale di Firenze, con ordinanza del 6 ottobre 1982 (R. O. n. 368/1983), di violare, oltre all'art. 3, anche gli artt. 2 e 30 della Costituzione <nella parte in cui non prevede la successione nel contratto per il convivente more uxorio se così sia convenuto nell'atto di separazione e vi sia prole naturale>.
3. - Le questioni sono fondate.
Il profilo, che tutte le accomuna, consiste nel chiedersi se la mancata previsione della successione nella titolarità del contratto di locazione, fino alla normale consumazione della durata quadriennale del rapporto, come stabilita ex lege, non contrasti con valori presenti in Costituzione.
Non viene qui in evidenza, come ritengono i giudici a quibus, un trattamento discriminatorio a sfavore della convivenza more uxorio, che violerebbe il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. E neppure un contrasto con la spontaneità delle formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità dell'uomo, di cui all'art. 2 della Costituzione, o, nel particolare caso di specie sub d), un ostacolo all'esercizio e all'adempimento dei diritti e doveri dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori del matrimonio, di cui all'art. 30, primo comma, della Costituzione.
Come affermato da una recente sentenza di questa Corte (n. 217 del 1988): <il "diritto all'abitazione" rientra fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione... In breve, creare le condizioni minime di uno Stato sociale, concorrere a garantire al maggior numero di cittadini possibile un fondamentale diritto sociale, quale quello all'abitazione, contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l'immagine universale della dignità umana, sono compiti cui lo Stato non può abdicare in nessun caso>. Altra sentenza di questa Corte (sent. n. 49 del 1987) aveva già riconosciuto <indubbiamente doveroso da parte della collettività intera impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione>.
Tali statuizioni, pur espresse in ordine allo specifico favor, di cui all'art. 47 , secondo comma, della Costituzione, per l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, hanno una portata più generale ricollegandosi al fondamentale diritto umano all'abitazione riscontrabile nell'art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (New York, 10 dicembre 1948) e nell'art. 11 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali (approvato il 16 dicembre 1966 dall'Assemblea generale della Nazioni Unite é ratificato dall'Italia il 15 settembre 1978, in seguito ad autorizzazione disposta con legge 25 ottobre 1977, n. 881).
Quando il legislatore, nel contesto della legge n. 392 del 1978, detta l'art. 6, rubricandolo <Successione nel contratto>, esprime il dovere collettivo di <impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione>, dovere che connota da un canto la forma costituzionale di Stato sociale, e dall'altro riconosce un diritto sociale all'abitazione collocabile fra i diritti inviolabili dell'uomo di cui all'art. 2 della Costituzione.
4.-Ciò conduce ad ulteriore sviluppo le considerazioni svolte nella sentenza di questa Corte n. 252 del 1983.
All'inizio degli anni Ottanta un indirizzo dottrinale e giurisprudenziale tendeva a costruire il diritto all'abitazione come un diritto soggettivo perfetto, destinato a rendere sempre poziore la posizione del locatario su quella del locatore, suggerendo come modello la disciplina francese e tedesca della locazione abitativa a tempo indeterminato con recesso del locatore solo per giusta causa.
La Corte dovette allora obbiettare che la <stabilità della situazione abitativa> non costituisce autonomo e indefettibile presupposto per l'esercizio dei diritti inviolabili di cui all'art. 2 della Costituzione.
La Corte invece affermava in proposito che <indubbiamente l'abitazione costituisce, per la sua fondamentale importanza nella vita dell'individuo, un bene primario il quale deve essere adeguatamente e concretamente tutelato dalla legge>.
La giurisprudenza precedente di questa Corte (sent. n. 45 del 1980; ord. n. 128 del 1980) non aveva dato il dovuto rilievo all'abitazione come bene primario, valutando su un piano prospettico di maggiore rilevanza l'estraneità del convivente more uxorio dagli elenchi tassativi degli aventi diritto alla proroga dei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso di abitazione, in caso di morte del conduttore, sia in base all'art. 2 bis, comma primo, parte prima, della legge 12 agosto 1974, n. 351, sia in base all'art. 1, comma quarto, parte prima, della legge 23 maggio 1950, n. 253.
Ritiene oggi la Corte che la nuova normativa sulla disciplina delle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, introdotta dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, realizzando con il regime dell'equo canone un superamento di quella previgente, fondata sul meccanismo della proroga, determini una minore compressione del diritto del proprietario-locatore e consenta pertanto una più penetrante indagine sui fini che il legislatore ha inteso perseguire nel sostituire la fattispecie <successione nel contratto> a quella della operatività della proroga.
Il legislatore del 1950 ha usato la formula <la proroga opera soltanto a favore del coniuge, degli eredi, dei parenti e degli affini del defunto con lui abitualmente conviventi> (art. 1, comma 4, parte I, l. n. 253/1950); quello del 1974 la variante: <del coniuge, dei figli, dei genitori o dei parenti entro il secondo grado del defunto con lui anagraficamente conviventi> (art. 2-bis, comma 1, parte I, l. n. 351/1974).
La volontà di escludere qualunque soggetto diverso da quelli elencati e fatta palese dall'avverbio <soltanto>.
Diversa formulazione e quella dell'art. 6, primo comma, della vigente legge n. 392 del 1978: <in caso di morte del conduttore, gli succedono nel contratto il coniuge, gli eredi ed i parenti ed affini con lui abitualmente conviventi>.
Le species <figli, genitori, parenti entro il secondo grado, con lui anagraficamente conviventi>, della corrispondente norma del 1974, si espandono nei genera <eredi, parenti, affini con lui abitualmente conviventi>.
Il legislatore del 1978, cioé, ha voluto tutelare non la famiglia nucleare, ne quella parentale, ma la convivenza di un aggregato esteso fino a comprendervi estranei-potendo tra gli eredi esservi estranei-, i parenti senza limiti di grado e finanche gli affini.
E' evidente la volontà legislativa di farsi interprete di quel dovere di solidarietà sociale, che ha per contenuto l'impedire che taluno resti privo di abitazione, e che qui si specifica in un regime di successione nel contratto di locazione, destinato a non privare del tetto, immediatamente dopo la morte del conduttore, il più esteso numero di figure soggettive, anche al di fuori della cerchia della famiglia legittima, purchè con quello abitualmente conviventi.
5.-Se tale é la ratio legis, é irragionevole che nell'elencazione dei successori nel contratto di locazione non compaia chi al titolare originario del contratto era nella stabile convivenza legato more uxorio.
L'art. 3 della Costituzione va qui invocato dunque non per la sua portata eguagliatrice, restando comunque diversificata la condizione del coniuge da quella del convivente more uxorio, ma per la contraddittorietà logica della esclusione di un convivente dalla previsione di una norma che intende tutelare l'abituale convivenza.
Se l'art. 3 della Costituzione é violato per la non ragionevolezza della norma impugnata, l'art. 2 lo é quanto al diritto fondamentale che nella privazione del tetto é direttamente leso.
6.-La questione sub b), sollevata dal Pretore di Cecina -possibilità di succedere nel contratto di locazione al coniuge del conduttore defunto, a lui unito da matrimonio religioso non trascritto - e quella sub c) sollevata dal Pretore di Sestri Ponente - successione anche questa mortis causa nel contratto del convivente more uxorio- sono assolutamente identiche dato che la convivenza con il conduttore defunto non riceve diversa qualificazione dalla circostanza che nell'un caso essa sia stata suggellata dal matrimonio religioso non trascritto e nell'altro sia rimasta affidata all'affectio quotidiana.
Nella questione sub d), sollevata dal Tribunale di Firenze, essendo la separazione tra i conviventi more uxorio soltanto una espressione metaforica che indica in realtà la estinzione del rapporto more uxorio, l'esistenza di prole naturale valorizza ulteriormente la ratio decidendi per la conservazione dell'abitazione alla residua comunità familiare.
Nella questione sub a), sollevata dal Pretore di Rodi Garganico, la separazione di fatto tra coniugi non dovrebbe avere alcuna rilevanza esterna, restando quella locata la casa coniugale. Ma essendosi convenuta tra i coniugi la conservazione dell'abitazione per uno solo di essi, la fattispecie, in base al principio di razionalità di cui all'art. 3 della Costituzione non può ricevere trattamento diverso da quello disposto per le ipotesi previste dal terzo comma dell'art. 6 della legge 392 del 1978 che recita: <In caso di separazione consensuale o di nullità matrimoniale al conduttore succede l'altro coniuge se tra i due si sia così convenuto>.
Rispetto al bene primario dell'abitazione che la ratio legis salvaguarda, il titolo della separazione, di fatto o consensuale, non può avere effetto discriminatorio senza vulnerare ancora una volta il combinato disposto degli artt. 2 e 3 della Costituzione nella configurazione su richiamata.
Che la separazione di fatto non comporti l'evidenza documentale di quanto convenuto tra i coniugi, come nella separazione consensuale, provveduta di verbale e di decreto di omologazione, non é ragione sufficiente per giustificarne l'assenza dalla previsione legale. L'accordo o l'atto concludente tra i separati di fatto sarà oggetto di prova e il relativo accertamento ristabilirà la parità con l'accordo convenuto nel verbale tra i separati con separazione consensuale omologata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 6, primo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392 (<Disciplina delle locazioni di immobili urbani>), nella parte in cui non prevede tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio;
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 6, terzo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui non prevede che il coniuge separato di fatto succeda al conduttore, se tra i due si sia così convenuto;
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui non prevede la successione nel contratto di locazione al conduttore che abbia cessato la convivenza, a favore del già convivente quando vi sia prole naturale.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/03/88.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Francesco Paolo CASAVOLA, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 07 Aprile 1988.