Sentenza n.278 del 1988

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SENTENZA N.278

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11, ultimo comma, della legge 27 dicembre 1977, n. 968 (Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia), promosso con ordinanza emessa l'8 novembre 1982 dal T.A.R. del Lazio su ricorsi riuniti proposti dalla Federazione Italiana della Caccia ed altra contro il Presidente del Consiglio dei ministri ed altro, iscritta al n. 388 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 273 bis dell'anno 1985;

Visti gli atti di costituzione della Lega per l'abolizione della Caccia, della Federazione Italiana Caccia e dell'Unione Nazionale Enalcaccia Pesca e Tiro nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 26 gennaio 1988 il Giudice relatore Ettore Gallo;

udito l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

l. -L'ultimo comma dell'art. 11 della legge impugnata non sembra meritare le censure d'illegittimità costituzionale che ad esso vengono mosse.

2. - Seguendo l'ordine stesso delle doglianze, va detto subito che gli argomenti desunti dagli art.li 95 e 97 Cost. non hanno consistenza.

E' evidente, infatti, che l'attribuzione ex art. 95 Cost. al Presidente del Consiglio di funzioni costituzionali non esclude che la legge possa assegnargli anche compiti di natura amministrativa, specie se si riferiscono a interessi generali non facilmente classificabili nell'ambito delle competenze dei singoli ministeri: e, del resto, numerosissimi sono tali compiti amministrativi che tuttora sussistono, per gran parte previsti da leggi lontanissime, anche precedenti al rafforzamento e all'accentramento di poteri nel Presidente introdotti dalla dittatura, e molti anzi attribuiti ex novo da leggi della Repubblica.

Nè rileva, ai fini del presente giudizio, che non siano state ancora emanate le disposizioni di legge per l'organizzazione della Presidenza del Consiglio ex art. 97 Cost. Ciò non ha, infatti, finora impedito il funzionamento dell'Organo dello Stato, regolato da prassi e convenzioni, anche costituzionali, e da talune vecchie leggi interpretate in adeguamento alla Costituzione.

Mentre poi la procedura per l'attuazione della funzione amministrativa in esame é specificamente prevista nel comma impugnato, ed il relativo potere decisionale é ben collocato a livello così elevato, trattandosi di salvaguardare un interesse generale dello Stato (art. 1 della legge).

A tale proposito, anzi, va subito respinta l'idea che si tratti di procedura anomala per essere stato il decreto in parola emanato su proposta del Ministro dell'Agricoltura e foreste, che lo ha controfirmato. Non va dimenticato, infatti, che il Comitato di cui all'art. 4 che deve essere sentito, a sensi dell'art. 11, per l'emanazione del Decreto da parte del Presidente del Consiglio, e il Comitato tecnico-venatorio nazionale, costituito appunto presso il Ministero dell'agricoltura e foreste. E' comprensibile che il Presidente del Consiglio non prenda spontanee iniziative in una materia cosi squisitamente tecnica, se non quando riceva segnalazioni circa la necessita di variazioni all'elenco, proprio da parte dei due enti (Istituto nazionale di biologia della selvaggina e Comitato venatorio nazionale) che egli comunque é tenuto a sentire quando intenda procedere a seguito di segnalazioni pervenutegli da altre fonti.

Non può stupire, pertanto, che, quando il Comitato venatorio nazionale ritenga opportuno di assumersi l'iniziativa di una segnalazione in materia, lo faccia attraverso l'intermediazione del Ministro, del cui Dicastero e organo, secondo prassi amministrativa consolidata. Del resto, e la legge stessa che, proprio nel penultimo comma del richiamato art. 4, prevede poteri propositivi da parte del Comitato in tema di adeguamento della legislazione nazionale alle norme comunitarie e alle Convenzioni internazionali concernenti l'esercizio della caccia, come bene e stato ricordato dalla Lega per l'abolizione della caccia nella sua memoria: ed il contestato Decreto del Presidente 4 maggio 1982 fa appunto riferimento alla Direttiva comunitaria n. 79/409/CEE del 2 aprile 1979.

Parimenti corretto, comunque, in proposito é il rilievo del l'Avvocatura Generale, secondo cui, quand'anche si dovesse ritenere che l'atto emanato si discosti dal modello legale, potrebbero al più trarsene conseguenze sul piano della legittimità del procedimento. In realtà, le anomalie denunziate - ammesso che abbiano rilevanza pregiudizievole- riguarderebbero la regolarità del procedimento amministrativo, ma non entrerebbero in conflitto con alcuna norma costituzionale, considerato che, comunque, il potere é stato esercitato dal Presidente del Consiglio e che i due enti tecnici hanno espresso il loro avviso.

3. - Piu penetrante si direbbe, invece, prima facie la preoccupazione relativa all'ampia e generica formulazione del comma impugnato che-secondo l'ordinanza di rimessione -sarebbe tale da consentire al Presidente del Consiglio di innovare alle scelte di fondo operate dal legislatore per l'elencazione delle specie cacciabili, cosi derogando ai principi generali delineati dalla legge.

Ma si tratta soltanto di impressioni dovute all'apparente sommarietà della tecnica di normazione. In realtà, invece, già nel corpo stesso della disposizione vi é un elemento significativo che ne orienta l'interpretazione e la collega alla ratio della legge. Si vuol alludere al parere obbligatorio, anche se non vincolante, di due organi tecnici che sta alla base del provvedimento del Presidente: il parere dell'Istituto nazionale di biologia della selvaggina é quello del Comitato tecnico venatorio nazionale.

Pareri che vanno messi in relazione ad uno dei principi fondamentali dettati dalla legge in esame, quello di cui al primo comma dell'art. 8, secondo cui <l'esercizio della caccia e consentito purchè non contrasti con l'esigenza di conservazione della selvaggina e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole>. E' evidente a questo punto che l'obbligo del Presidente del Consiglio di sentire i due citati Istituti prima di emettere qualunque provvedimento di variazione delle specie cacciabili, e voluto dal legislatore proprio in funzione della specifica competenza di quegli Enti in materia di biologia della selvaggina e di problemi venatori, da cui il Presidente attinge gli elementi per esprimere le valutazioni del caso nell'ambito del principio generale di cui al primo comma dell'art. 8.

Ciò dimostra che si tratta di valutazioni tecniche e fattuali, di cui la legge ha perentoriamente segnato i criteri, e che, per ciò stesso, escludono il temuto ampio potere discrezionale, ed ogni possibilità di innovare o di derogare alle scelte di fondo operate dal legislatore per l'elencazione delle specie cacciabili.

4.-Il decreto impugnato innanzi al Giudice amministrativo é esemplare di tali limiti.

La premessa fa innanzitutto riferimento alle indicazioni - come già si e accennato - della direttiva comunitaria che suggerisce la riduzione della pressione venatoria nei confronti di alcune specie dell'avifauna minore, ma anche alla documentazione in campo scientifico relativa alla diminuzione di talune specie su quasi tutta l'area europea da esse interessata: documentazione che evidentemente proviene dagli Enti competenti. Così come dagli stessi Enti e data attestazione circa la potenziale nocività per l'agricoltura e per altre specie selvatiche, della cornacchia grigia, della ghiandaia e della gazza, o della rarità in Italia della Limosa lapponica (Pittima minore).

Nè é esatto che il legislatore abbia cancellato dalla legge la nozione di nocività per talune specie, che anzi, da una parte, ha conferito proprio al Comitato venatorio nazionale compiti di studio e di ricerca, fra l'altro, per <la tutela delle produzioni agricole>, (art. 4, comma terzo) e, dall'altra, ha attribuito alle Regioni il controllo delle specie di cui all'art. 11 per il caso che <moltiplicandosi eccessivamente, arrechino danni gravi alle colture agricole e al patrimonio faunistico...> (art. 12, secondo comma). Proprio, dunque, quella nocività <in particolare per l'agricoltura e per altre specie selvatiche> che il Decreto ha preso in considerazione al comma quinto, dietro suggerimento degli enti specializzati.

5.-Appare chiaro, allora, a questo punto, che la funzione attribuita al Presidente del Consiglio ha quello stesso carattere amministrativo di aggiornamento, in relazione a dati tecnici e di fatto forniti dai competenti istituti, che possiedono analoghi atti dell'Esecutivo diretti all'aggiornamento o all'approvazione o addirittura alla formazione di tabelle contenenti elenchi relativi ad altre materie. Così per le sostanze stupefacenti (cfr. sent. n. 9 del 13 gennaio 1972), per i giochi non d'azzardo (sent. n. 113 del 20 giugno 1972) o per le malattie professionali (sent. n. 127 del 24 giugno 1981).

In tali casi, questa Corte ha avvertito che si tratta di <atti amministrativi> nei quali <non si configura alcuna delega da parte del legislatore>: ha precisato, anzi, la Corte che <nel nostro ordinamento é riscontrabile una certa proclività del legislatore a collocare in un testo legislativo, in aggiunta alla parte normativa, anche dati della realtà, individuati in base a criteri tecnici. Accade sovente in tali casi che il legislatore demandi poi all'Esecutivo, o all'organo dell'Esecutivo competente per materia, di apportare a quei dati gli aggiustamenti che l'esperienza, una più matura riflessione, il progresso tecnico rendono consigliabili> (sent. n. 127 del 1981). In altri termini, si tratta di elementi o di situazioni che non possono essere tutti e compiutamente predeterminati nella normazione primaria. In tal caso, il legislatore formula un elenco, di per se stesso ampiamente indicativo di un certo orientamento nella scelta della selvaggina cacciabile, e detta principi rigorosi, in relazione ai quali, ed entro l'ambito dei quali, conferisce poi all'Esecutivo o ad un suo organo il potere di adeguarli ai mutamenti inevitabili che la realtà subisce nel tempo.

Da tutto ciò appare anche evidente che l'art. 117 Cost. non viene in causa, perchè allo Stato resta ferma la competenza per l'emanazione di principi e disposizioni generali concernenti l'intero territorio nazionale, mentre le Regioni (salvo le competenze esclusive stabilite dagli Statuti speciali di talune Regioni e province autonome - art. 5, ultimo comma) provvedono ai piani annuali o pluriennali territoriali, e intervengono con atti normativi a vietare o a ridurre la caccia per periodi prestabiliti e per determinate specie sulla base delle importanti e motivate ragioni indicate nell'art. 12.

La competenza amministrativa del Presidente del Consiglio e estranea a tutto questo, essendo prevista esclusivamente nei limiti di aggiornamento e di adeguamento degli elenchi nazionali, suggeriti dagli organi tecnici nello stretto ambito dei rigorosi criteri fissati dalla legge.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, ultimo comma, della l. 27 dicembre 1977 n. 968 (Principi generali per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia) sollevata dal T.A.R. del Lazio con ordinanza 8 novembre 1982 con riferimento agli art.li 95, 97 e 117 Cost.

Così deciso in Roma, in Camera di consiglio, nella sede della Corte Costituzionale, palazzo della Consulta, il 25/02/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Ettore GALLO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 10 Marzo 1988.