Sentenza n.276 del 1988

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SENTENZA N.276

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 17, terzo e quarto comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri) e 21 della legge 19 gennaio 1955, n. 25 (Disciplina dell'apprendistato), modificato dall'art. 3 della legge 8 luglio 1956, n. 706 (Modifiche alla legge 19 gennaio 1955, n. 25) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 7 dicembre 1984 dal Pretore di Crema nel procedimento civile vertente tra Chizzoli Caterina e l'I.N.P.S., iscritta al n. 99 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 137 bis dell'anno 1985;

2) ordinanza emessa il 19 novembre 1985 dal Tribunale di Pisa nel procedimento civile vertente tra l'I.N.P.S. e Martellacci Carla, iscritta al n. 314 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1986;

Visti gli atti di costituzione dell'I.N.P.S.;

udito nell'udienza pubblica del 15 dicembre 1987 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

udito l'avv. Vito Lipari per l'I.N.P.S.

Considerato in diritto

l.-L'art. 17 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 garantisce alla lavoratrice madre l'indennità giornaliera correlata al periodo di astensione obbligatoria dal lavoro anche nelle ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro, sospensione, assenza dal lavoro senza retribuzione, disoccupazione.

Per quanto in particolare concerne il caso della disoccupazione, il secondo comma garantisce l'indennità alla lavoratrice che all'inizio di detto periodo si trovi disoccupata da non oltre sessanta giorni; il terzo comma dispone poi che: <Qualora l'astensione obbligatoria dal lavoro abbia inizio trascorsi sessanta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e la lavoratrice si trovi, all'inizio dell'astensione obbligatoria, disoccupata e in godimento dell'indennità di disoccupazione, essa ha diritto all'indennità giornaliera di maternità anzichè all'indennità ordinaria di disoccupazione>; il quarto comma recita: <La lavoratrice che si trovi nelle condizioni indicate dal precedente comma ma che non e in godimento dell'indennità di disoccupazione perchè nell'ultimo biennio ha effettuato lavorazioni alle dipendenze di terzi non soggette all'obbligo della assicurazione contro la disoccupazione, ha diritto all'indennità giornaliera di maternità, purchè al momento dell'astensione obbligatoria dal lavoro non siano trascorsi più di 180 giorni dalla data di risoluzione del rapporto e, nell'ultimo biennio che precede il suddetto periodo, risultino a suo favore ai fini dell'assicurazione di malattia 26 contributi settimanali>.

Infine il quinto comma prevede che la lavoratrice sospesa da oltre sessanta giorni e in godimento del trattamento di integrazione salariale a carico della Cassa integrazione guadagni, abbia diritto, in luogo di tale trattamento, all'indennità giornaliera di maternità.

L'art. 21 l. 19 gennaio 1955, n. 25 (come modificato dall'art. 3 l. 8 luglio 1956, n. 706), elencando le diverse forme di previdenza e assistenza sociale obbligatoria estese ai lavoratori apprendisti, non prevede l'assicurazione contro la disoccupazione involontaria.

2.-Il Pretore di Crema dubita della legittimità costituzionale dell'art. 17, terzo e quarto comma della l. n. 1204 del 1971 e dell'art. 21 della l. n. 25 del 1955 poichè non consentirebbero di riconoscere alla lavoratrice apprendista disoccupata il diritto all'indennità giornaliera di maternità; a suo avviso tale normativa non sarebbe rispettosa dell'art. 3 Cost., perchè determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento in danno della lavoratrice apprendista rispetto alla lavoratrice subordinata ordinaria, pur essendo assimilabili i rispettivi rapporti di lavoro; confliggerebbe inoltre con gli artt. 31 e 37 Cost., non consentendo di soddisfare le esigenze di tutela della maternità e della lavoratrice madre ivi contemplate; con l'art. 35 Cost. perchè si tradurebbe in un inammissibile ostacolo alla formazione ed all'elevazione professionale dei lavoratori; con l'art. 38 Cost. poichè negherebbe all'apprendista un mezzo di mantenimento in un periodo di inabilita a qualsiasi attività lavorativa.

Questione non dissimile prospetta anche il Tribunale di Pisa, che impugna solo il quarto comma dell'art. 17, in riferimento all'art. 3 Cost. Data la stretta analogia delle questioni, i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

3.-La doglianza dei giudici a quibus, per la esclusione della lavoratrice apprendista disoccupata da oltre sessanta giorni dal godimento dell'indennità di maternità per assenza obbligatoria, discende, per un verso, dalla convinzione che, per il riconoscimento del relativo diritto, il terzo comma dell'art. 17 richiederebbe, come condizione essenziale, che la lavoratrice fruisca di quell'indennità di disoccupazione che non compete viceversa alle apprendiste, alle quali l'art. 21 della l. n. 25 del 1955 non riserva il diritto all'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione; per altro verso, dalla convinzione che, a tenore del successivo quarto comma, le uniche lavoratrici ammesse a percepire l'indennità di maternità nonostante non fruiscano dell'indennità di disoccupazione sarebbero quelle che tale mancata fruizione derivino dalle caratteristiche oggettive delle lavorazioni cui erano addette (non soggette ad obbligo assicurativo) e non già dalle loro condizioni soggettive, quale, appunto, quella di apprendiste.

4. - Le questioni non sono fondate.

Ad avviso di questa Corte, le premesse interpretative sulle quali poggia la doglianza in esame, che ha indotto le autorità remittenti a sollevare le presenti questioni, non sono frutto di un corretto procedimento ermeneutico, poichè trascurano di tenere in adeguata considerazione i principi, anche di rango costituzionale, che informano l'intera legge n. 1204 del 1971.

Tale provvedimento legislativo, come questa Corte ha già avuto occasione di osservare (sentenza n. 1 del 1987) ha ampliato sensibilmente, rispetto alla pur significativa legge 26 agosto 1950, n. 860, il complesso delle provvidenze a favore della lavoratrice madre, sulla base, ad un tempo, di una più sviluppata coscienza della funzione sociale della maternità e della concorrente considerazione degli interessi del bambino.

Espressione di tale impostazione é, tra l'altro, l'estensione della sfera dei soggetti beneficiari della tutela a nuove categorie di lavoratrici, secondo un processo che ha segnato la sua tappa più recente nella l. 29 dicembre 1987, n. 546, che ha attribuito una indennità di gravidanza e puerperio alle lavoratrici autonome.

Parallelamente, attraverso la più ampia rifrangenza dei principi costituzionali, la legge del 1971 ha ampliato ulteriormente le situazioni nelle quali la tutela e operante al di la di una ristretta considerazione del rapporto di lavoro in atto, assicurando alla lavoratrice misure di sostegno economico anche allorquando essa si trovi nella condizione-particolarmente difficile sotto l'aspetto economico e psicologico-di disoccupata, di assente dal lavoro senza retribuzione o di sospesa; l'attribuzione, in simili casi, della indennità giornaliera appare invero misura particolarmente opportuna per attenuare gli effetti negativi che da quelle condizioni possono derivare nel periodo finale della gestazione e in quello iniziale della maternità.

5. - Per quanto in particolare concerne le apprendiste, l'innovazione legislativa del 1971 sta non tanto nel loro inserimento tra le destinatarie della tutela-già effettuato, con riferimento alle misure della precedente l. n. 860 del 1950, dalla l. 9 gennaio 1963, n. 7-quanto nel fatto che esse, a differenza che nel passato, sono oggetto di specifica ed espressa menzione nella generale categoria delle lavoratrici dipendenti, beneficiarie delle <norme protettive> (art. 1) e, in virtù del richiamo dell'art. 13, del corrispondente trattamento economico.

Ulteriore e significativa caratteristica della complessiva posizione riconosciuta da questa legge alle apprendiste sta nel fatto che esse sono indicate, al pari delle lavoratrici subordinate <ordinarie>, e senza distinzione o riserva alcuna, quali destinatarie dell'intero sistema di provvidenze apprestato dalla legge medesima, a differenza di altre lavoratrici (quelle a domicilio e le addette ai servizi domestici e familiari), a favore delle quali invece sono riconosciute soltanto singole e specifiche misure protettive.

Una simile equiparazione, tra le apprendiste e la generalità delle lavoratrici dipendenti, non può non riverberarsi, in linea interpretativa, su tutta la legge così come sui singoli istituti, rendendo inaccettabile ogni operazione ermeneutica che restringa la portata della protezione della maternità, introducendo discriminazioni che la legge stessa nettamente respinge. Il legislatore, sancendo in modo pieno tale equiparazione ha inteso affermare che la peculiarità dell'apprendistato non può in ogni caso comportare differenziazioni di trattamento o limitazioni di protezione rispetto alla finalità di tutelare la maternità, soprattutto nel periodo di cui tale tutela e maggiormente necessaria e che coincide con l'astensione obbligatoria dal lavoro: e ciò sia nel caso in cui il rapporto risulti in corso, sia in caso di disoccupazione.

E d'altra parte, l'apprendistato é pur sempre un rapporto di lavoro, sia pure speciale, assimilabile all'ordinario rapporto di lavoro subordinato anche e soprattutto ai fini del riconoscimento di forme di protezione del lavoratore imposte da norme costituzionali (v. sentenze nn. 14 del 1970 e 169 del 1973) quale, senza alcun dubbio, e quella qui oggetto di esame.

A simili decisive considerazioni non si può opporre l'argomento che la legge stessa avrebbe inteso - collegando il godimento dell'indennità di maternità alla fruizione dell'indennità di disoccupazione-privare della prima le apprendiste poichè non percepiscono la seconda.

Infatti, anche a prescindere dalla osservazione che il godimento, da parte della lavoratrice disoccupata da oltre sessanta giorni, della indennità di disoccupazione (come, peraltro, quello del trattamento di integrazione salariale da parte della lavoratrice sospesa), sembra preso in considerazione, dall'art. 17, non tanto quale condizione essenziale per far sorgere il diritto all'indennità di maternità, quanto piuttosto allo scopo di sancire che, nella concorrenza delle due provvidenze, debba essere corrisposta quella più conveniente per la lavoratrice, deve comunque e conclusivamente ritenersi che, come ha di recente affermato la Suprema Corte di Cassazione, l'estraneità all'evento disoccupazione di taluni elementi peculiari del rapporto di apprendistato sia circoscritta, quanto ai suoi effetti, alla mancata previsione della relativa assicurazione e non può estendersi sino ad escludere il diritto all'indennità di maternità che costituisce attuazione concreta di una generale esigenza di tutela costituzionalmente rilevante. Va anzi rilevato che la mancata possibilità di fruire dell'indennità di disoccupazione comporta a maggior ragione-in relazione alla ratio e agli scopi di tale tutela-che il trattamento di maternità competa alle apprendiste disoccupate, che rimarrebbero altrimenti prive di qualsiasi sostegno.

Così riconosciuto il diritto delle lavoratrici apprendiste, mediante una interpretazione adeguatrice del terzo comma dell'art. 17, il riferimento al quarto comma si rivela inconferente, poichè esso contempla una ipotesi particolare, che non concerne dette lavoratrici.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 17, terzo e quarto comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri) e 21 della legge 19 gennaio 1955, n . 25 (Disciplina dell'apprendistato, come mod. dall'art. 3 della legge 8 luglio 1956, n. 706), in riferimento agli artt. 3, 31, 35, 37 e 38 Cost., sollevate dal Pretore di Crema e dal Tribunale di Pisa con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, il 25 febbraio 1988.

Francesco SAJA, Presidente

Ugo SPAGNOLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 10 marzo 1988.