SENTENZA N. 288
ANNO 1987
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Prof. Virgilio ANDRIOLI , Presidente
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Prof. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma primo, ultima parte, del Regolamento interno del Consiglio provinciale di Trento, approvato con delibera del 25 ottobre 1973, n. 7, promosso con ordinanza emessa il 27 ottobre 1982 dal Consiglio di Stato - Sezione quinta giurisdizionale - sui ricorsi riuniti proposti da De Guelmi Carlo contro il Consiglio della Provincia autonoma di Trento ed altri, iscritta al n. 537 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 329 dell'anno 1983;
Visti gli atti di costituzione del Consiglio della Provincia autonoma di Trento ed altri e di De Guelmi Carlo;
Udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 1987 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;
Udito l'avv. Renato Ballardini per il Consiglio della Provincia autonoma di Trento.
Ritenuto di fatto
1. - Con ordinanza emessa il 27 ottobre 1982, il Consiglio di Stato, sui ricorsi proposti da De Guelmi Carlo, funzionario del Consiglio provinciale della Provincia autonoma di Trento, in materia attinente al suo rapporto di impiego, nei confronti del predetto Consiglio, ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma primo, secondo periodo, del regolamento interno del Consiglio provinciale di Trento, approvato con delibera 25 ottobre 1973, n. 7, in riferimento all'art. 8 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) ed agli artt. 24, 113, 102, comma secondo, e 108, comma secondo, Cost.
Procedendo alla verifica della sua giurisdizione - contestata dal resistente - osserva il Consiglio di Stato che l'art. 12 della delibera consiliare 25 ottobre 1973, n. 7, recante "Regolamento interno del Consiglio provinciale" - impugnato, per quanto di ragione, dal ricorrente, e sul quale, direttamente o indirettamente, si fondano tutti gli atti impugnati - dispone in ordine al personale del Consiglio, demandando: a) all'Ufficio di Presidenza di provvedere su nomine, promozioni e altre vicende riguardanti gli impiegati; b) ad un regolamento del consiglio provinciale di fissare il trattamento giuridico ed economico degli impiegati, stabilendone altresì numero e qualifiche; c) a regolamenti speciali, da adottarsi dall'Ufficio di Presidenza, di determinare attribuzioni e compiti.
Inoltre, alla fine del primo comma, stabilisce che "Ad esso" (cioè all'Ufficio di Presidenza) "spetta altresì il giudizio definitivo su eventuali ricorsi" aventi ad oggetto gli atti indicati nella prima parte del comma stesso, e cioè quelli relativi al rapporto d'impiego del personale consiliare.
Poiché i ricorsi proposti dal De Guelmi attengono al suo rapporto d'impiego, ne deriva l'esigenza di verificare se il Consiglio di Stato possa giudicare su materia che la norma ricordata riserva all'Ufficio di Presidenza del Consiglio provinciale di Trento.
Ad avviso del giudice a quo, la norma non prevede una sorta di ricorso amministrativo, esaurito il quale la controversia possa essere portata all'esame del giudice.
Non a caso, infatti, parla di "giudizio", adottando una terminologia riferibile alle pronunce dei giudici, in luogo del termine di "decisione" che meglio si attaglia a statuizioni rese nei c.d. procedimenti amministrativi giustiziali. Al "giudizio", poi, si conferisce l'attributo di "definitivo"; termine, questo, il cui unico ragionevole significato é quello di precludere il riesame della pronuncia in ogni ulteriore e diversa istanza, onde "giudizio definitivo" equivale a statuizione avverso la quale non é dato dolersi in altra sede.
Ben scarso peso potrebbe darsi all'obbiezione che "definitivo" é attributo riferibile anche al provvedimento amministrativo e che, di conseguenza, l'espressione "giudizio definitivo" assumerebbe il diverso significato di decisione su ricorso volto ad ottenere il provvedimento definitivo avverso il quale ricorrere al giudice. Infatti, alle difficoltà che un tentativo del genere incontra già sul piano letterale, si aggiungono due rilievi sistematici. In primo luogo, l'Ufficio di Presidenza, per quanto attiene agli atti relativi al personale consiliare, é certamente organo di vertice: e dunque i suoi provvedimenti sono già di per sé definitivi senza bisogno di ricorsi, che nella specie sarebbero proposti alla stessa autorità e non ad una autorità sovraordinata. In secondo luogo, sarebbe quantomeno singolare, e comunque difficilmente spiegabile, che un atto normativo di una Provincia autonoma, successivo a disposizioni statali (v. legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199) che consentono il ricorso giurisdizionale contro atti non definitivi, ponga invece una regola contraria e in evidente disarmonia con il sistema.
La norma in esame dunque va intesa nel senso che in ordine alle doglianze di impiegati del Consiglio provinciale di Trento possa pronunciarsi esclusivamente l'Ufficio di Presidenza del Consiglio medesimo; e, fino a che la norma stessa non venga travolta, ogni altro Consesso non può decidere sul medesimo oggetto.
Osserva ancora il Consiglio di Stato che il ricorrente ha impugnato la norma per quanto di ragione e cioè come mezzo al fine di sostenere la illegittimità degli atti che hanno inciso sul suo rapporto di impiego. Il che impone di appurare se il più volte ricordato art. 12 e, più in generale, il regolamento interno del Consiglio provinciale di Trento, rientri nell'oggetto del giudizio o sia, invece, parametro di giudizio e cioè norma che il giudice, soggetto alla "legge", deve applicare, salvo a sollevare questione di legittimità costituzionale ove dubiti che la norma contrasti con norme di rango costituzionale: si tratta dunque di stabilire se il accennato regolamento sia una fonte secondaria - così rientrando tra gli atti sindacabili ed annullabili dal giudice amministrativo - o se invece rientri nel novero degli atti con "forza di legge" e quindi sindacabili soltanto dalla Corte costituzionale.
Il regolamento interno in questione risulta adottato ai sensi degli artt. 31 e 49 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e reca le norme disciplinanti l'attività del Consiglio della Provincia autonoma. Si tratta certamente di una fonte diversa dalla legge provinciale, rispetto alla quale differisce sia per denominazione, sia per il tipo di maggioranza richiesto per l'approvazione, sia, infine, per il regime dei controlli; di una fonte, però, cui é demandato di regolare in via esclusiva un determinato oggetto che, altrimenti, dovrebbe essere disciplinato dalla legge provinciale.
Ciò rende ragionevole ritenere - prosegue l'ordinanza - che il regolamento in questione - approvato, tra l'altro e per giunta con maggioranza assoluta, dall'organo esclusivamente titolare della funzione legislativa - si collochi nel sistema delle fonti nello stesso grado della legge delle Province autonome e rientri tra gli atti "aventi forza di legge" ai sensi dell'art. 134 della Costituzione.
A tale conclusione non é di ostacolo né il nome di "regolamento", poiché tale sostantivo ben può indicare un insieme articolato di precetti la cui portata e collocazione nel sistema può essere la più varia; e neppure l'attributo di "interno" non essendo decisiva tale qualificazione, del resto spiegabile residuo di terminologia oggi abbandonata, e comunque tanto poco "interno" da disciplinare, per quanto qui interessa, profili e tutela giurisdizionale del rapporto intersoggettivo di impiego che intercorre tra il Consiglio provinciale ed il suo personale dipendente.
Ma la suesposta conclusione trova conforto in autorevole dottrina e nella stessa giurisprudenza costituzionale (sentenza 18 febbraio 1970, n. 18), ove, sia pur non affrontando ex professo la questione e pronunciando riguardo ad altra Regione a Statuto speciale, si afferma l'analogia tra delibere approvanti i regolamenti consiliari e delibere legislative, concludendo che anche le prime, al pari delle seconde, possono formare oggetto di impugnativa in via principale.
E, se così é, sembra necessario ritenere che il regolamento in questione possa essere oggetto di sindacato anche e soprattutto in via incidentale, non ponendosi in questa sede le difficoltà segnalate da autorevole dottrina a proposito dei giudizi in via principale su atti il cui iter procedimentale differisce per vari aspetti da quello tipico della legge.
Così individuata la natura del regolamento approvato con delibera del Consiglio provinciale di Trento n. 7 del 25 ottobre 1973, ritiene il giudice a quo di sollevare d'ufficio la questione di costituzionalità dell'art. 12 della accennata delibera, nella parte in cui demanda (comma primo, secondo periodo) all'Ufficio di Presidenza il "giudizio definitivo" sui "ricorsi" degli impiegati.
Invero, la rilevanza della questione risulta evidente sol che si consideri come la norma della cui costituzionalità si dubita imporrebbe, allo stato, di dichiarare i ricorsi inammissibili per difetto di giurisdizione, mentre una declaratoria di illegittimità costituzionale consentirebbe di esaminare gli ulteriori profili di rito e di merito.
La questione, inoltre, non é manifestamente infondata.
Rileva il Consiglio di Stato che, come si é osservato (Cass., Sez. Un., 11 luglio 1977, n. 356) a proposito di norme di analoga portata contenute in regolamenti delle Camere del Parlamento, la norma in esame, pur certamente univoca nell'escludere la giurisdizione del giudice amministrativo, é per altro aspetto plurivoca, potendo significare o che sul rapporto di impiego dei dipendenti del Consiglio provinciale di Trento é negato il ricorso ad ogni giudice e che le controversie possono trovare soluzione solo all'interno dell'ordinamento del Consiglio provinciale; oppure che per tali controversie si é istituito un giudice speciale: per l'appunto, l'Ufficio di Presidenza del Consiglio provinciale.
Pur a voler preferire tale seconda interpretazione, sembra violato l'articolo 8 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, in quanto, equiparando il regolamento in questione alla legge provinciale, devono valere anche per il primo i limiti generali di materia imposti alla seconda, cui certamente é inibito disporre in ordine alla istituzione di organi giurisdizionali.
Tale organo, comunque, sarebbe certamente un giudice speciale istituito dopo l'entrata in vigore della Costituzione, risultando altresì violato l'art. 102, secondo comma, della Costituzione, né potendo trovare applicazione la VI disposizione transitoria.
Ancora deve osservarsi - prosegue l'ordinanza - che l'istituito giudice speciale non sarebbe in posizione di terzietà poiché lo stesso ufficio di Presidenza conoscerebbe in veste di giudice dei ricorsi avverso atti che l'Ufficio stesso (e non altra articolazione del Consiglio provinciale) abbia adottato: si avrebbe dunque un giudice che decide in causa propria e, di conseguenza, una tutela giurisdizionale tutt'altro che effettiva, in contrasto con gli articoli 24 e 113 Cost., proprio perché affidata ad un giudice non indipendente, in contrasto con l'art. 108, secondo comma, Cost.
Così rilevanti limitazioni alla tutela giurisdizionale non sembrano trovare - ad avviso del giudice a quo - giustificazione in principi o norme costituzionali attinenti alla posizione ed al rango che all'organo debba riservarsi nell'ordinamento. Ed infatti, già con riguardo all'autodichia nei confronti del personale dipendente spettante alle Camere si é autorevolmente dubitato dell'esistenza di tale principio, soprattutto nei confronti di atti - come quelli in discorso - attinenti non già all'esercizio della funzione primaria e riguardanti soggetti non componenti dell'organo, ma che rispetto all'organo stesso si trovano in posizione servente. E se tali dubbi circa l'esistenza dell'ipotizzato principio giustificativo vengono seriamente avanzati quanto alle Camere, in favore delle quali la Costituzione stessa prevede rilevanti deroghe al principio di azionabilità in sede giurisdizionale (ad es., art. 66 Cost.), deve escludersi l'esistenza di analogo principio con riguardo ai corpi legislativi delle Regioni e delle Province autonome, la cui differenza rispetto alle Camere é stata chiarita dalla Corte costituzionale con sentenza 30 giugno 1964, n. 66.
2. - Si é costituito il Consiglio della Provincia autonoma di Trento osservando che la questione di legittimità costituzionale sollevata di ufficio dal Consiglio di Stato configura, nella sostanza, un'ipotesi di conflitto di attribuzioni e, quindi, é inammissibile, sia perché il conflitto non é in atto, sia perché come tale, non é proponibile in via incidentale.
Invero, la norma su cui il giudice a quo ha espresso il dubbio di costituzionalità contemplerebbe, secondo l'interpretazione assunta, una riserva di giurisdizione in capo ad un organo della Provincia autonoma di Trento. Tale rivendicazione di una funzione che é invece dalla Costituzione demandata ad organi dello Stato, realizza un potenziale conflitto di attribuzioni fra lo Stato e la Provincia autonoma di Trento. Però tale conflitto non é attuale, poiché la Provincia non ha esercitato, né preteso di esercitare la funzione giurisdizionale che si asserisce riservata con la norma de qua. Ed in ogni caso il conflitto, potenziale o attuale, poteva essere proposto alla Corte solo in via diretta, non già in via incidentale.
Nel merito e subordinatamente, ha ancora rilevato che la norma sottoposta a dubbio di legittimità deve interpretarsi nel senso che essa riserva all'Ufficio di Presidenza del Consiglio un potere di riesame su opposizione avente natura amministrativa, e non già un giudizio inoppugnabile di natura giurisdizionale.
3. - Si é altresì costituito il De Guelmi, concludendo in conformità con l'ordinanza.
Considerato in diritto
1. - La norma che, con diffusa e argomentata motivazione, il giudice a quo interpreta come attributiva all'Ufficio di Presidenza del Consiglio provinciale della Provincia autonoma di Trento di autodichia sui dipendenti dal Consiglio, e che, sulla base di tale interpretazione, sottopone al sindacato incidentale di questa Corte ai sensi dell'art. 134, prima parte, Cost., - sospettandone l'illegittimità per contrasto con l'art. 8 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante approvazione del Testo Unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto per il Trentino-Alto Adige (già art. 11, l. cost. 26 febbraio 1948, n. 5, come sostituito dall'art. 5, l. cost. 10 novembre 1971, n. 1) nonché con gli artt. 24, 113, 102, comma secondo, e 108, comma secondo, Cost. - é l'art. 12, primo comma (particolarmente l'ultima parte), del regolamento interno del Consiglio provinciale di Trento approvato con delibera consiliare 25 ottobre 1973, n. 7.
Il regolamento - secondo quanto riferisce il giudice a quo - é adottato ai sensi degli artt. 31 e 49 del suddetto d.P.R. n. 670: l'art. 49, primo comma (già art. 43, primo comma, l. cost. n. 5 del 1948, come sostituito dall'art. 21, l. cost. n. 1 del 1971) si richiama, per i poteri del Consiglio provinciale, all'art. 31 (già art. 25, l. cost. n. 5 del 1948) e questo dispone, al primo comma, che "le norme che disciplinano l'attività del Consiglio regionale sono stabilite da un regolamento interno approvato a maggioranza assoluta dei consiglieri".
É pregiudiziale il problema dell'ammissibilità della proposta impugnazione incidentale, in quanto diretta contro una norma contenuta in un regolamento consiliare di Provincia autonoma, come sopra equiparato ai regolamenti consiliari della Regione Trentino-Alto Adige. Occorre, cioè, stabilire in primo luogo se nell'area di sindacabilità
ex art. 134, prima parte, Cost., oltre agli atti ai quali é espressamente attribuita da specifiche previsioni costituzionali forza di legge, possa farsi rientrare il regolamento di cui si tratta (individuato ovviamente per i suoi caratteri formali e indipendentemente dal suo contenuto).
2. - Le sentenze di questa Corte concernenti regolamenti consiliari non forniscono indicazioni favorevoli alla loro sindacabilità ai sensi del accennato precetto costituzionale.
Con la sentenza n. 14 del 1965, in ordine a un regolamento consiliare di Regione a Statuto speciale (Friuli-Venezia Giulia), la Corte ha ritenuto ammissibile il conflitto di attribuzione fra Stato e Regione, rimedio dato contro atti non aventi forza di legge. E se, pur in sede di conflitto di attribuzione, ha sottoposto le norme contenute nel regolamento consiliare a un sindacato analogo a quello di legittimità costituzionale, ciò ha fatto in quanto ha affermato l'applicabilità al conflitto di attribuzione della regola, propria del giudizio di impugnazione in via principale, secondo la quale, quando la detta impugnazione é promossa dallo Stato, gli atti regionali possono essere censurati anche per vizi di legittimità sostanziale in quanto comunque eccedenti la competenza regionale (art. 127, comma terzo, Cost.).
Con la sentenza n. 18 del 1970, la Corte, mentre ha ritenuto inammissibile il conflitto di attribuzione sollevato contro una norma contenuta in un regolamento interno della Regione Sardegna argomentando che il vizio dedotto non era di incompetenza della Regione, bensì di uso scorretto di una competenza regionale, ha affermato che, qualora il procedimento regolamentare sia adottato dalla Regione allo scopo di sottrarsi agli adempimenti e ai controlli propri di quello legislativo, potrebbe farsi ricorso all'impugnazione diretta. Ma, ciò affermando, ha solo prospettato una sorta di sindacato sanzionatorio per una ipotesi di fraus constitutioni in riferimento ai rapporti fra Stato e Regione, e non anche in riferimento al regime giuridico del regolamento.
Univoche indicazioni non possono trarsi dalla sentenza n. 66 del 1964, malgrado l'identità sostanziale del merito (si tratta di un conflitto di attribuzione risolto con la statuizione che "spetta allo Stato la giurisdizione sugli atti dell'Assemblea regionale siciliana relativi ai rapporti d'impiego dei propri dipendenti"), perché il conflitto era stato sollevato dalla Regione contro decisioni giurisdizionali che la Regione medesima assumeva lesive di poteri regolamentari ad essa conferiti da norme dello Statuto speciale.
3. - Indicazioni non del tutto univoche, ma in ogni caso non favorevoli, si traggono dalla sentenza n. 154 del 1985, con la quale la sindacabilità ex art. 134, prima parte, Cost., é stata negata in ordine ai regolamenti parlamentari previsti dall'art. 64 Cost. (pur relativamente a norme concernenti l'autodichia delle Camere nei confronti dei propri dipendenti) in ragione dell'autonomia costituzionalmente garantita da essi espressa.
Infatti, anche se si potesse, malgrado le differenze, istituire una comparazione, ai fini qui avuti di mira, fra regolamenti parlamentari e regolamenti consiliari, occorrerebbe rilevare che il minor rilievo normativo che questi ultimi rivestono é ulteriore elemento idoneo a contrastare la postulata estensione del sindacato costituzionale, mentre il minor grado di autonomia che essi esprimono é elemento per sé non sufficiente a giustificare l'estensione medesima.
4. - Anche indipendentemente dalle dette indicazioni, va considerato che il sindacato costituzionale non potrebbe estendersi che a fattori normativi, i quali abbiano un ruolo essenziale nella produzione dell'ordinamento. Orbene, per i regolamenti consiliari (e ciò vale ovviamente anche per quelli previsti da Statuti speciali) di siffatta essenzialità di ruolo non sono, né singolarmente né complessivamente considerati, indici sicuri: né la competenza normativa, peraltro a oggetto limitato (disciplina del procedimento legislativo regionale, e, più in generale, dell'attività e del funzionamento del Consiglio) e non sempre ad essi interamente riservato; né la connessa funzione cui essi assolvono; né la qualità dell'organo; né il tipo di procedimento (pur rinforzato rispetto a quello legislativo dalla maggioranza qualificata prescritta a tutela delle minoranze).
5. - Non si ravvisano, dunque, ragioni per riconoscere sindacabilità ex art. 134, prima parte, Cost. al regolamento consiliare di cui si tratta.
Va conseguentemente dichiarata l'inammissibilità della questione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma primo, ultima parte, del Regolamento interno del Consiglio provinciale di Trento, approvato con delibera consiliare 25 ottobre 1973, n. 7, sollevata, in riferimento all'art. 8 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale Trentino-Alto Adige) ed agli artt. 24, 113, 102, comma secondo, e 108, comma secondo, Cost., dal Consiglio di Stato con ordinanza emessa il 27 ottobre 1982.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1987.
Il Presidente: ANDRIOLI
Il Redattore: CORASANITI
Depositata in cancelleria il 28 luglio 1987.
Il direttore della cancelleria: MINELLI