Sentenza n.207 del 1987

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SENTENZA N. 207

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 104, primo comma, della legge 1ø aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 27 maggio 1981 dal Giudice istruttore del Tribunale militare di Bari nel procedimento penale a carico di Ruggieri Antonio, iscritta al n. 557 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 325 dell'anno 1981;

2) ordinanza emessa il 6 gennaio 1982 dal Giudice istruttore del Tribunale di Mantova nel procedimento penale a carico di Cucinotta Marco, iscritta al n. 196 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 255 dell'anno 1982;

3) ordinanza emessa il 19 febbraio 1982 dal Giudice istruttore del Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Campo Francesco, iscritta al n. 332 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 303 dell'anno 1982;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 7 aprile 1987 il Giudice relatore Giovanni Conso;

Udito l'Avvocato dello Stato Piergiorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri;

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Ruggieri Antonio, il Giudice istruttore del Tribunale militare di Bari ha sollevato, in riferimento all'art. 103, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 104, primo comma, della legge 1ø aprile 1981, n. 121.

Rilevato che i fatti oggetto delle imputazioni erano considerati, al momento in cui vennero commessi, reati militari e che l'imputato, quale "componente il corpo delle guardie di pubblica sicurezza", era un militare in servizio alle armi assoggettato alla giurisdizione penale militare, perché appartenente alle Forze armate, il giudice a quo ha ravvisato lesione dell'art. 103, terzo comma, della Costituzione ad opera dell'art. 104 della legge n. 121 del 1981, laddove viene stabilito che tutti i processi penali pendenti, a carico del personale del disciolto Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, davanti ai tribunali militari, sono trasferiti all'autorità giudiziaria ordinaria.

Ad avviso del giudice a quo, l'art. 103,terzo comma, della Costituzione ha riservato ai tribunali militari "in modo esclusivo", in tempo di pace, la cognizione dei reati militari commessi da appartenenti alla Forze armate, "operando, in dipendenza del limite fissato, la vis attractiva del giudice ordinario ed intervenendo, conseguentemente, l'assorbimento della giurisdizione penale militare da parte di detto giudice ordinario soltanto" nell'ipotesi prevista dall'art. 264 del codice penale militare di pace.

Poiché l'esclusività della cognizione dei tribunali militari opera in relazione al tempus commissi delicti (v. art. 15 del codice penale militare di pace) e poiché la condizione del soggetto attivo, attenendo al contenuto stesso del reato, opera in relazione al momento in cui questo si verifica, ne consegue che il colpevole é assoggettato alla giurisdizione penale militare per i reati "commessi" durante il servizio militare, anche se "scoperti o giudicati" quando si trovi in congedo o abbia cessato di appartenere alle Forze armate dello Stato. Né può trovare applicazione, trattandosi di successione di leggi processuali, il principio della legge più favorevole.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 325 del 25 novembre 1981.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Deduce in primo luogo l'Avvocatura che, superata l'antinomia solo apparente rilevabile fra gli artt. 15 del codice penale militare di pace e 104, primo comma, della legge n. 121 del 1981, da un lato, e l'art. 103, terzo comma, della Costituzione, dall'altro, l'ambito di applicabilità di quest'ultimo va, alla stregua della giurisprudenza costituzionale, correttamente identificato non nel senso dell'"esclusività" della giurisdizione penale militare in tempo di pace, ma, per la deroga al principio dell'unità della giurisdizione che esso comporta, nel senso della "preferenza" della giurisdizione ordinaria.

E ciò perché la Costituzione ha certamente voluto la sopravvivenza della giurisdizione militare, "ma, in relazione alla natura derogatoria che essa presenta rispetto a quella ordinaria, é da ritenere abbia inibito qualsiasi sconfinamento dei tribunali militari in materia di reati comuni, nonché di soggetti non appartenenti alle Forze armate, mentre non é vero il reciproco e, cioè, i magistrati penali ordinari possono giudicare i reati militari purché vi sia un congruo collegamento con la sfera tipica della loro funzione".

Ne consegue che può ritenersi razionale la sussistenza di una vis attractiva che rende ineccepibile la previsione del trasferimento dei procedimenti in corso nei confronti del personale proveniente dal disciolto Corpo delle Guardie di pubblica sicurezza alla cognizione dell'autorità giudiziaria ordinaria.

Quanto, poi, al dedotto contrasto dell'art. 104, primo comma, della legge n. 121 del 1981 con l'art. 15 del codice penale militare di pace, l'Avvocatura rileva che le due norme operano su piani diversi. Mentre nella fattispecie prevista dall'art. 15 del codice penale militare di pace "si verte in ipotesi di cessazione di appartenenza alle Forze armate dello Stato di soggetti per cessazione del loro precedente status in funzione di vicende fisiologicamente collegantesi alla vita dei medesimi", nella fattispecie prevista dall'art. 104, primo comma, della legge 121 del 1981 "si verte in ipotesi di perdita dello status di militari in virtù dell'entrata in vigore di una legge che quello status, prima esistente, ha per intero modificato, sostituendo all'applicabilità della legge penale militare una rosa di figure di reati propri per il personale della polizia di Stato". La legge n. 121 del 1981,quindi, ha operato, anzitutto, sul piano del diritto penale sostanziale, escludendo l'assoggettamento degli ex appartenenti al Corpo delle guardie di pubblica sicurezza alla legge penale militare, in seguito all'intervenuta "smilitarizzazione" del personale, " situazione, questa, ben diversa rispetto all'altra presa in considerazione nella parte terminale dell'art. 15 del c.p.m.p.".

Tale constatazione, conclude l'Avvocatura, porrebbe il problema delle norme di diritto penale sostanziale applicabili e dell'operatività, nella specie, del secondo e del terzo comma dell'art. 2 del codice penale, ma tale problema non avrebbe motivo di essere affrontato, in quanto, "se pur residuasse nel giudice, militare od ordinario che sia, la sola competenza di dichiarare che il fatto non é previsto dalla legge come reato, sarebbe pur sempre rilevante lo stabilire se la giurisdizione, anche entro quei limiti, spetti al giudice militare od ordinario".

2. - Una analoga questione é stata sollevata dal Giudice istruttore del Tribunale di Mantova, con ordinanza del 6 gennaio 1982, emessa nel corso del procedimento penale a carico di Cucinotta Marco.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 255 del 15 settembre 1982.

Nel giudizio non vi é stato né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri né costituzione della parte privata.

3. - Nel corso del procedimento penale a carico dell'agente di pubblica sicurezza Campo Francesco, imputato di furto continuato militare, il Giudice istruttore del Tribunale di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, primo comma, e 103, terzo comma, della Costituzione, "in relazione" agli artt. 15, 16 e 263 del codice penale militare di pace, questione di legittimità dell'art. 104, primo comma, della legge 1ø aprile 1981, n. 121, "in quanto, prevedendo che i procedimenti pendenti a carico del personale del disciolto Corpo delle Guardie di P.S. davanti ai Tribunali militari sono trasferiti alla Corte di Appello e alla Corte di Assise di Appello competenti per territorio, attua un trattamento ingiustificato e in contrasto con i principi generali".

L'art. 3, primo comma, della Costituzione sarebbe violato, perché, nonostante che gli artt. 15, 16 e 263 del codice penale militare di pace, in armonia con il principio "della parità di trattamento di casi eguali di fronte alla legge", stabiliscano la sottoposizione alla giurisdizione militare sia del militare in servizio sia del militare considerato tale sia del militare in congedo assoluto sia del militare di fatto, anche se il reato contestato venga scoperto dopo che abbiano cessato di appartenere alle Forze armate, la norma impugnata "applica un trattamento del tutto diverso e ingiustificato per il personale del disciolto Corpo delle Guardie di P.S. perché assoggetta alla giurisdizione ordinaria i procedimenti penali pendenti alla data della sua entrata in vigore".

Non ricorrerebbero "ragioni giuridiche per ritenere diversa la condizione del militare, anche di fatto, che commetta reato militare, scoperto anche quando non appartenga più alle Forze armate (per congedo o inidoneità) rispetto alla condizione dell'appartenente al disciolto Corpo di agenti di P.S. quando abbia commesso il reato in epoca antecedente alla entrata in vigore della legge".

Sarebbe, altresì, vulnerato il principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge, dato che l'art. 104, primo comma, della legge n. 121 del 1981 dispone una eccezione alle regole generali sulla competenza solo per i reati commessi da una categoria di soggetti già appartenenti alle Forze armate, mediante l'"istituzione a posteriori del giudice che dovrà" giudicarli.

Sarebbe violato, infine, l'art. 103, terzo comma, della Costituzione, per la deroga al principio "della esclusiva giurisdizione del giudice militare", "malgrado continuino a permanere i presupposti oggettivi e soggettivi per sottoporre il cittadino alla speciale giurisdizione militare".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 3 novembre 1982.

Nel giudizio non vi é stato né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri né costituzione della parte privata.

Considerato in diritto

1. - Le tre ordinanze in esame, tutte emanate nella fase istruttoria (la prima dal Giudice istruttore del Tribunale militare di Bari, la seconda dal Giudice istruttore del Tribunale di Mantova, la terza dal Giudice istruttore del Tribunale di Roma), sottopongono alla Corte questioni di legittimità costituzionale strettamente connesse, quando addirittura non coincidenti. I relativi giudizi vanno, pertanto, riuniti onde essere decisi con un'unica sentenza.

2. - Comune oggetto di censura é l'art. 104, primo comma, della legge 1ø aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza).

Si tratta dell'articolo con cui - in conformità al principio che, salvo diversa statuizione del legislatore, vuole applicabili anche ai procedimenti in corso le norme modificatrici della giurisdizione o della competenza - la legge 1ø aprile 1981, n. 121, dopo aver disposto lo scioglimento del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza (art. 23, primo comma) e la smilitarizzazione di tutti i suoi componenti, conseguentemente assoggettandoli "alla giurisdizione penale dell'autorità giudiziaria ordinaria" (art. 71), detta alcune norme transitorie in materia di giurisdizione. Più in particolare, il primo comma stabilisce che "I procedimenti pendenti a carico del personale del disciolto Corpo delle guardie di pubblica sicurezza davanti ai tribunali militari sono trasferiti all'autorità giudiziaria competente per territorio e per materia".

3. - Chiamati ad occuparsi di procedimenti già "trasferiti" (Tribunale di Mantova, Tribunale di Roma) o ancora "da trasferire" (Tribunale militare di Bari), il tutto appunto in applicazione dell'art. 104, primo comma, della legge 1ø aprile 1981, n. 121, i giudici a quibus ne denunciano il contrasto con l'art. 103, terzo comma, della Costituzione, in quanto i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate - quali sicuramente erano al momento dei fatti loro addebitati gli imputati dei tre procedimenti in corso - sono da intendersi "riservati" (reg. ord. n. 557 del 1981) in tempo di pace alla giurisdizione "esclusiva" (reg. ord. n. 332 del 1982) dei tribunali militari, senza che a nulla rilevi la cessazione dell'appartenenza alle Forze armate posteriormente alla commissione del reato (reg. ord. n. 196 del 1982).

Ad avviso del Giudice istruttore del Tribunale di Roma, l'art. 104, primo comma, della legge 1ø aprile 1981, n. 121, violerebbe altresì gli artt. 25 e 3, primo comma, della Costituzione: l'art. 25, primo comma, in quanto "sottrae l'appartenente al disciolto Corpo degli agenti di P.S. al giudice precostituito per legge", realizzando "una istituzione a posteriori del giudice che dovrà giudicarlo", e l'art. 3, in quanto prevede "un trattamento del tutto diverso e ingiustificato" rispetto a quello che, in ordine all'applicazione della legge penale militare nel tempo, stabiliscono sia l'art. 15 sia l'art. 16 del codice penale militare di pace, entrambi richiamati, seppur solamente nella motivazione, anche dal Giudice istruttore del Tribunale militare di Bari.

4. - Nessuna delle questioni risulta fondata.

Non lo é, anzitutto, quella, più generalmente dedotta, che fa riferimento all'art. 103, terzo comma, della Costituzione. Sin dalla sentenza n. 29 del 1958, questa Corte ha escluso che da tale comma possa desumersi "l'esistenza, anche per il tempo di pace, di una competenza dei tribunali militari assolutamente e in ogni caso inderogabile, in confronto della competenza attribuita al giudice ordinario", "da considerare, per il tempo di pace, come la giurisdizione normale". L'assunto é stato, poi, più volte ribadito, così da assumere "permanente validità" (v. la sentenza n. 81 del 1980; ed ancora le sentenze n. 112 e n. 113 del 1986), nel senso che l'uso dell'avverbio "soltanto" da parte dell'art. 103, terzo comma, della Costituzione - lungi dal rappresentare la fonte di una riserva di giurisdizione e, quindi, di una giurisdizione esclusiva per i tribunali militari in tempo di pace - sta ad esprimere la chiara volontà che la giurisdizione militare in tempo di pace resti circoscritta entro limiti per nessuna ragione oltrepassabili nei confronti della giurisdizione ordinaria. Questa, pertanto, può ben subentrare a quella, ogni volta che il legislatore pervenga ad individuare una ragione giustificatrice, che, senza vincolarlo, lo induca ad optare per la giurisdizione normale: così accade nei casi di connessione individuati dall'art. 264 del codice penale militare di pace, quale sostituito ad opera della legge 23 marzo 1956, n. 167 (v. le sentenze n. 29 del 1958, n. 196 del 1976 e n. 206 del 1987); così nel caso, ora in esame, di un successivo venir meno per l'imputato della qualità di appartenente alle Forze armate a causa dell'intervenuta smilitarizzazione dello specifico Corpo di appartenenza.

Del resto, per un'esatta valutazione dei termini del problema occorre tener conto di tutti gli aspetti, penalmente rilevanti, della riforma che ha portato alla smilitarizzazione del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza. Essi non si limitano certo ai mutamenti di giurisdizione. É lo stesso art. 71, già ricordato, a precisare che l'assoggettamento alla giurisdizione ordinaria ha luogo "secondo le norme vigenti e quelle contenute nei successivi articoli", caratterizzati dalla previsione di alcune nuove fattispecie criminose, non senza riverberi sui rapporti con la normativa del codice penale comune, anche per la necessità di tener conto dell'art. 2, secondo comma, di tale codice. Rapporti, questi, che l'autorità giudiziaria ordinaria può in ogni caso valutare nel modo più adeguato.

5. - Ancor meno condivisibile é la questione prospettata in riferimento all'art. 25, primo comma, della Costituzione.

Dei due precedenti di questa Corte (sentenza n. 56 del 1967 e n. 128 del 1969), invocati dal Giudice istruttore del Tribunale di Roma a sostegno della tesi secondo cui sarebbero sempre illegittime le norme "istitutive a posteriori del giudice che dovrà giudicare", soltanto il primo attiene a fattispecie del genere in esame, ma le conclusioni da esso raggiunte sono ben diverse da quelle che vorrebbe trarne il giudice a quo. Chiamata a pronunciarsi nell'occasione su una norma che, in seguito alla modifica delle circoscrizioni territoriali di alcuni uffici giudiziari, aveva devoluto gli affari non ancora in decisione nel momento dell'entrata in vigore delle nuove circoscrizioni alla cognizione degli uffici divenuti competenti in forza del nuovo assetto territoriale, la Corte ne aveva escluso ogni contrasto con l'art. 25, primo comma, della Costituzione, ravvisando la violazione di quest'ultimo non già quando "il giudice venga designato a posteriori in relazione a un determinato tipo di controversia", come erroneamente trascrive l'ordinanza di rimessione, bensì quando "il giudice venga designato a posteriori in relazione ad una determinata controversia".

Né va dimenticato che tale punto di vista é stato riaffermato, con ancor più diffuse argomentazioni, in ordine alle norme transitorie dettate dal decreto-legge 10 gennaio 1975, n. 2, convertito nella legge 8 marzo 1975, n. 48, relativamente al mutamento della competenza per materia introdotto dall'art. 1 della legge 14 ottobre 1974, n. 497, con riguardo ai reati di rapina aggravata, di estorsione aggravata e di sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione: come osserva, tra l'altro, la sentenza n. 72 del 1976, il principio del giudice naturale precostituito per legge "viene rispettato quando la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso, modifica in generale i presupposti o i criteri diretti ad individuare il giudice competente, poiché in tali casi 'lo spostamento di competenza non avviene in conseguenza di una deroga alla disciplina generale, che sia adottata in vista di una determinata o di determinate controversie, ma per effetto di un nuovo ordinamento - e, dunque, della designazione di un nuovo giudice naturale - che il legislatore, nell'esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a quello vigente".

6. - Del pari inaccoglibili sono le considerazioni volte a dimostrare, sotto un duplice profilo, l'esistenza di un contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Infatti, né l'invocata disparità di trattamento con l'art. 15 del codice penale militare di pace, né l'invocata disparità di trattamento con l'art. 16 dello stesso codice appaiono tali da integrare una violazione del principio di eguaglianza da parte dell'art. 104, primo comma, della legge 1ø aprile 1981, n. 121.

La situazione oggetto dell'art. 16 del codice penale militare di pace, in base al quale "La legge penale militare si applica alle persone appartenenti alle forze armate dello Stato, ancorché, posteriormente al reato commesso, sia dichiarata la nullità dell'arruolamento o la loro incapacità di appartenere alle forze stesse; e, in generale, a chiunque presta di fatto servizio alle armi", non può certo dirsi omogenea rispetto a quella di chi abbia appartenuto, per un periodo più o meno lungo, alle forze armate in piena regolarità di rapporti, perdendo poi tale status a seguito di una riforma legislativa, che ha profondamente mutato la natura di quei rapporti con l'Amministrazione dello Stato. E tanto basta ad escludere la proponibilità stessa di una comparazione nell'ottica dell'art. 3 della Costituzione.

Omogenea si appalesa, invece, la situazione oggetto dell'art. 15 del codice penale militare di pace, in base al quale "La legge penale militare si applica per i reati militari commessi durante il servizio militare, ancorché siano scoperti o giudicati quando il colpevole si trovi in congedo o abbia cessato di appartenere alle forze armate dello Stato", ma la differenza di trattamento che, nel raffronto, caratterizza la previsione dell'art. 104 della legge 1ø aprile 1981, n. 121, non risulta affatto priva di ogni razionalità.

Come ben sottolineato dall'Avvocatura dello Stato nell'atto di intervento per il Presidente del Consiglio dei ministri, "i fenomeni presi in considerazione dalle due norme sono fondamentalmente diversi". Ed invero, mentre nel caso dell'art. 15 del codice penale militare di pace "si verte in ipotesi di cessazione del precedente status di militari in funzione di vicende fisiologicamente collegantesi alla vita dei singoli soggetti", nel caso attinente alla smilitarizzazione del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza "si verte in ipotesi di perdita dello status di militari in virtù dell'entrata in vigore di una legge che quello status, prima esistente, ha per intero modificato".

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 104, primo comma, della legge 1ø aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza), sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, primo comma, e 103, terzo comma, della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il Redattore: CONSO

Depositata in cancelleria il 28 maggio 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE