SENTENZA N. 72
ANNO 1976
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Paolo ROSSI, Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 14 ottobre 1974, n. 497 (nuove norme contro la criminalità), e degli artt. 1, 2, 3 del d.l. 10 gennaio 1975, n. 2 (disposizioni transitorie della predetta legge), e degli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale (r.d. 16 marzo 1942, n. 262), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 18 novembre 1974 dalla Corte d'assise di Venezia nel procedimento penale a carico di Marotta Sabina ed altro, iscritta al n. 2 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufliciale della Repubblica n. 48 del 19 febbraio 1975;
2) ordinanze emesse il 5 dicembre 1974 dal tribunale di Sondrio in due procedimenti penali rispettivamente a carico di Perlini Firmino Giuseppe ed altro e di Moiser Ferruccio ed altro, iscritte ai nn. 59 e 60 del registro ordinanze 1975 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 77 del 20 marzo 1975;
3) ordinanze emesse il 12, 18, 19 dicembre e 12 novembre 1974 dalla Corte d'assise di Venezia nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Gregolin Gastone ed altri, Voltini Andrea ed altri, Carraro Costante ed altri e Predosin Gino ed altro, iscritte ai nn. 66, 67, 68 e 87 del registro ordinanze 1975 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 88 del 2 aprile 1975;
4) ordinanza emessa il 20 novembre 1974 dalla Corte d'assise di Venezia nel procedimento penale a carico di Zanovello Luciano ed altro, iscritta al n. 113 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 140 del 28 maggio 1975;
5) ordinanza emessa il 7 marzo 1975 dal tribunale di Sondrio nel procedimento penale a carico di Bonelli Walter ed altro, iscritta al n. 129 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 dell'11 giugno 1975;
6) ordinanza emessa il 4 febbraio 1975 dal giudice istruttore del tribunale di Padova nel procedimento penale a carico di Todarello Vincenzo ed altri, iscritta al n. 278 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 221 del 20 agosto 1975;
7) ordinanza emessa il 23 maggio 1975 dal tribunale di Sondrio nel procedimento penale a carico di Angel Franco ed altri, iscritta al n. 310 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 242 del 10 settembre 1975;
8) ordinanza emessa il 20 giugno 1975 dal tribunale di Tolmezzo nel procedimento penale a carico di Salvi Ettore ed altri, iscritta al n. 431 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 306 del 19 novembre 1975;
9) ordinanza emessa il 12 marzo 1975 dal tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Licata Giuseppe ed altro, iscritta al n. 486 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 320 del 3 dicembre 1975;
10) ordinanza emessa il 2 luglio 1975 dalla Corte d'appello di Trento nel procedimento penale a carico di Libardoni Roberto ed altri, iscritta al n. 503 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 332 del 17 dicembre 1975;
11) ordinanze emesse il 4 giugno 1975 dal tribunale di Milano e il 15 ottobre 1975 dal tribunale di Reggio Emilia nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Castellano Antonio ed altri e di Bertarelli Claudio ed altri, iscritte ai nn. 516 e 527 del registro ordinanze 1975 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5 del 7 gennaio 1976.
Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 12 febbraio 1976 il Giudice relatore Leonetto Amadei;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Le sedici ordinanze, emesse da giudici ordinari diversi, propongono, sia in riferimento al solo art. 25, primo comma, sia in riferimento al predetto e all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 14 ottobre 1974, n. 497 - Nuove norme contro la criminalità -, il quale, abrogando il primo cpv. dell'art. 29 del codice di procedura penale, sottrae alla competenza della Corte di assise la cognizione dei delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata e di sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione. Alcune ordinanze estendono, altresì, la questione di legittimità costituzionale agli artt. 1, 2 e 3 del d.l. 10 gennaio 1975, n. 2 - Disposizioni transitorie alla legge n. 497 del 1974 - ed altre anche, in subordine, agli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale (r.d. 16 marzo 1942, n. 262) nella parte in cui non si prevede che le norme relative alla variazione della competenza penale non si applicano ai reati commessi prima dell'entrata in vigore della legge di modifica.
2. - Avuto riguardo al giudice, alla fase del procedimento e all'epoca della consumazione del fatto costituente reato le ordinanze possono essere contraddistinte per gruppi:
le ordinanze n. 2, del 1975, emessa il 13 novembre 1974; n. 66 del 1975, emessa il 12 dicembre 1974; n. 67 del 1975, emessa il 18 dicembre 1974; n. 68 del 1975, emessa il 19 dicembre 1974; n. 87 del 1975, emessa il 12 novembre 1974, e n. 113, emessa il 20 novembre 1974, tutte della Corte di assise di Venezia, riguardano procedimenti per i quali, anteriormente all'entrata in vigore della legge impugnata (6 novembre 1974), vi era già stata ordinanza di rinvio a giudizio degli imputati davanti alla predetta Corte.
É da rilevare, inoltre, che l'ordinanza n. 113 del 20 novembre 1974 sembrerebbe prospettare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge n. 497 del 1974 anche in relazione ai delitti commessi dopo l'entrata in vigore della legge.
Le ordinanze nn. 59 e 60 del 1975, emesse il 5 dicembre 1974; n. 129 del 1975, emessa il 7 marzo 1975, e n. 310 del 1975, emessa il 23 maggio 1975 dal tribunale di Sondrio, riguardano anch'esse procedimenti relativi a delitti commessi prima dell'entrata in vigore della legge di modifica della competenza e risoltisi o con l'ordinanza di rinvio a giudizio davanti alla Corte di assise o davanti a quel tribunale per essere stata completata l'istruttoria dopo l'entrata in vigore della legge stessa. Nel primo caso il tribunale ha provveduto ex art. 50 della legge 10 aprile 1951, n. 287. Pure le ordinanze n. 431 del 1975, emessa il 20 giugno 1975 dal tribunale di Tolmezzo; n. 516 del 1975, emessa il 4 giugno 1975 e n. 486 emessa il 12 marzo 1975 dal tribunale di Milano, riguardano fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge ma con rinvio a giudizio dopo l'entrata in vigore della stessa.
L'ordinanza n. 278 del 1975, emessa dal giudice istruttore di Padova il 4 febbraio 1975, al compimento della formale istruttoria, riguarda anch'essa fatti anteriori al 6 novembre 1974.
L'ordinanza n. 527 del 1975, emessa il 15 ottobre 1975 dal tribunale di Reggio Emilia é relativa ad un procedimento trasmesso ad esso per competenza dalla Corte di assise, investita della cognizione prima della legge del 1974.
Un iter particolare accompagna l'ordinanza n. 503 del 1975, emessa il 2 luglio 1975 dalla Corte di appello di Trento. Come per la precedente vi era stata rimessione del procedimento alla Corte di assise di tale città, procedimento passato, poi, dalla Corte al tribunale a seguito del mutare della competenza.
La questione respinta dal tribunale é stata riproposta e accolta in sede di appello contro la sentenza di condanna.
3. - Tutte le ordinanze sviluppano, sia pure con accentuazioni diverse, motivazioni conformi. Si lamenta, in particolare, che la legge n. 497 del 1974, non abbia affrontato, per il mancato inserimento in essa di una norma transitoria specifica, il problema della applicabilità della norma impugnata in procedimenti per delitti commessi prima della sua entrata in vigore, per cui, in mancanza di una norma transitoria, automaticamente troverebbe applicazione il principio di diritto processuale per il quale le leggi processuali entrano senz'altro in vigore allo scadere del termine generale o particolare decorrente dalla loro pubblicazione e si estenderebbero automaticamente oltre ai giudizi nuovi anche a quelli in corso, quantunque i relativi reati o rapporti siano stati commessi o siano insorti sotto l'imperio della legge processuale precedente.
Per i proponenti tale applicazione automatica sarebbe in contrasto con l'art. 25, primo comma, della Costituzione in forza del quale nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge, dovendosi interpretare la norma costituzionale nel senso che la determinazione della competenza deve riferirsi a "fattispecie astratte realizzabili in futuro, non già a posteriori, in relazione ad una regiudicanda già insorta", ossia "deve essere stabilita prima della commissione del fatto".
In sostanza l'art. 25 imporrebbe che, a garanzia e tutela del cittadino, non possa procedersi a distrazione da quel giudice imparziale e indipendente che la legge ha preventivamente designato. Detto articolo non farebbe altro che attribuire al cittadino giudicabile un diritto soggettivo pubblico, che troverebbe il suo fondamento nella certezza del giudice competente, certezza che nel caso sottoposto all'esame della Corte risulterebbe ambigua per la mancanza soprattutto di una norma transitoria. In conclusione, il principio fissato dall'art. 25 non consentirebbe restrizioni o riduzioni sia attraverso una costituzione a posteriori del giudice, sia attraverso un mutamento della competenza per materia funzionale, la quale, una volta radicata, nei riguardi del soggetto che ha commesso il reato, non sarebbe suscettibile di modifica in relazione a tale soggetto.
Molto succinta é la motivazione, nelle ordinanze che vi fanno riferimento, sulla prospettata violazione dei diritti della difesa (art. 24, secondo comma, Cost.). La violazione per i proponenti, si legherebbe oltre che all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo anche alla considerazione che nelle Corti di assise la scelta dei giudici popolari é affidata al sorteggio, il che comporterebbe una tutela maggiore per il giudicabile, soprattutto nel caso di giudizio direttissimo dove la scelta in concreto del giudice, per il trasferimento della competenza al tribunale, sarebbe insindacabile prerogativa del pubblico ministero.
4. - Vi é stato intervento del Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato.
L'Avvocatura dello Stato, dopo un breve accenno alla ratio e all'occasio legis, contesta, sotto profili diversi, il fondamento delle proposte questioni. In via pregiudiziale osserva che l'asserito contrasto tra l'art. 25 della Costituzione e il principio della immediata applicazione delle norme processuali in genere e di quelle modificatrici della competenza in particolare, comunemente applicato nella prassi legislativa, non potrebbe formare, nella mancanza di una specifica disposizione transitoria di richiamo nella legge contestata, oggetto di questione di legittimità costituzionale, ma di interpretazione con le conseguenze giuridiche proprie del normale processo interpretativo.
Nel merito la stessa Avvocatura ritiene la questione non fondata anche perché essa non differirebbe sostanzialmente da quella decisa dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 56 del 1967 e ciò perché se é pur vero che la norma transitoria non é stata espressa dal legislatore, a differenza di quanto era avvenuto nel caso oggetto del surrichiamato giudizio della Corte, tuttavia essa sarebbe deducibile proprio dal principio generale della immediata applicabilità delle norme di diritto processuale.
Il precetto costituzionale, invero, rimarrebbe, a parere dell'Avvocatura dello Stato, violato solo quando la sottrazione della regiudicanda al giudice naturale precostituito si verificasse attraverso una designazione a posteriori del giudice stesso in relazione ad una determinata controversia o direttamente dal legislatore in via di eccezione singolare alle regole generali, ovvero attraverso atti di altri soggetti ai quali la legge attribuisce tale potere. Nel caso, invece, si sarebbe in presenza di un nuovo ordinamento che il legislatore, nel suo insindacabile potere di merito, legittimamente ha sostituito a quello vigente.
Per quanto attiene alla prospettata violazione del diritto di difesa l'Avvocatura esclude che questo possa rimanere violato o comunque attenuato nei giudizi davanti al tribunale.
Comunque la censura non potrebbe riguardare la norma impugnata, ma, eventualmente, quelle norme che potessero impedire, nell'ambito del giudizio davanti al tribunale, il pieno esercizio del diritto stesso.
Per l'accenno che si fa, in una delle ordinanze, alla eventuale illegittimità costituzionale del rito direttissimo, l'Avvocatura si riporta all'orientamento giurisprudenziale della Corte costituzionale.
Considerato in diritto
1. - Le sedici ordinanze precisate in epigrafe chiamano la Corte a decidere su questioni identiche o collegate tra loro per cui le relative cause sono decise con unica sentenza.
2. - Vengono prospettati dai giudici a quibus tre aspetti di incostituzionalità e precisamente:
a) da tutte le ordinanze: se, in riferimento all'art. 25, primo comma, della Costituzione, sia costituzionalmente legittimo l'art. 1 della legge 14 ottobre 1974, n. 497 - Nuove norme contro la criminalità -, il quale abrogando il primo capoverso dell'art. 29 del codice di procedura penale sottrae alla competenza della Corte di assise la cognizione dei delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata, di sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione senza stabilire, in una norma transitoria, la posizione processuale di coloro che commisero tali delitti prima del 6 novembre 1974, data di entrata in vigore della legge stessa;
b) dalle ordinanze nn. 2, 66, 68 e 113 della Corte di assise di Venezia e n. 278 del giudice istruttore di Padova: se, in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost., l'art. 1 della legge 14 ottobre 1974, n. 497, non violi, per la sua implicita estensione ai reati commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge stessa, il diritto della difesa, attesa la diversa composizione della Corte di assise e la conseguente maggior garanzia che essa offre all'imputato e ciò soprattutto nel giudizio direttissimo, dove con lo spostamento della competenza la scelta del giudice cesserebbe di essere precostituita, per il potere riconosciuto al P.M., là dove il tribunale é strutturato in più sezioni penali, di deferire il giudizio ad una sezione piuttosto che ad un'altra;
c) dalle ordinanze nn. 59, 60, 129 e 310 del tribunale di Sondrio: se, in riferimento all'art. 25, primo comma, Cost., siano costituzionalmente legittimi gli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale (r.d. 16 marzo 1942, n. 262), nella parte in cui non si prevede che le norme relative alla variazione della competenza per materia e funzionale non si applicano ai reati per fatti anteriori alla entrata in vigore della legge che le introduce;
d) dalle ordinanze n. 431 del tribunale di Tolmezzo, nn. 486 e 516 del tribunale di Milano, n. 527 del tribunale di Reggio Emilia e n. 503 della Corte di appello di Trento: se, sempre in riferimento all'art. 25, primo comma, Cost., siano costituzionalmente legittimi gli artt. 1, 2 e 3 del d.l. 10 gennaio 1975, n. 2, che, nel disciplinare in via transitoria la legge n. 497 del 1974, non tengono conto dei fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge di modifica della competenza per escluderli dalla nuova disciplina in forza del principio costituzionale di non sottrazione al giudice naturale precostituito per legge.
Le questioni non sono fondate.
3. - In ordine alla violazione del principio sancito nell'art. 25, primo comma, della Costituzione, tutte le ordinanze assumono come presupposto che la norma costituzionale non consentirebbe una mutazione a posteriori della competenza per materia e funzionale in quanto questa, una volta radicata nei confronti di un soggetto che ha commesso un reato, non sarebbe più suscettibile di modifica, avendo già acquisito l'imputato il diritto ad essere giudicato dal giudice che l'ordinamento giuridico prestabiliva al momento in cui é stata violata la norma penale. Ciò rientrerebbe nel quadro di quelle garanzie poste dalla Costituzione a tutela del cittadino e che troverebbe il suo fondamento nella acquisizione da parte dello stesso della certezza a priori del giudice che dovrà giudicarlo.
4. - La tesi secondo la quale la mutazione della competenza con norma generale, senza che il legislatore tenga conto della posizione processuale acquisita da chi abbia commesso il fatto reato anteriormente all'entrata in vigore della legge di modifica, sarebbe in contraddizione con il principio costituzionale che vieta di distrarre dal giudice naturale prestabilito per legge, non può essere accolta.
Moltissime le decisioni della Corte in tema di garanzia di precostituzione del giudice. Già con la sentenza n. 29 del 1958 sono stati fissati i limiti e la portata della locuzione "giudice naturale" ritenuta corrispondente a quella di "giudice precostituito per legge", e riferibile al giudice istituito in anticipo in base a criteri generali e non in vista di determinate controversie, e ciò al fine di dare al cittadino la certezza circa il giudice che lo deve giudicare.
Detti limiti sono stati ribaditi, applicati e sviluppati dalla Corte in ulteriori decisioni in relazione a fattispecie diverse. Particolare rilevanza assume, nei casi sottoposti all'attuale giudizio, la sentenza n. 56 del 1967. Secondo l'ordinanza del pretore di Salerno, che aveva posto la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9 del d.P.R 31 dicembre 1963, n. 2105 - Modificazioni delle circoscrizioni territoriali degli uffici giudiziari -' in riferimento proprio all'art. 25, primo comma, della Costituzione, qualsiasi innovazione in tema di competenza avrebbe dovuto lasciare ferma la disciplina in vigore sia per i procedimenti pendenti, sia per quelli che potessero sorgere in futuro per fatti verificatisi prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina.
La Corte, nel ritenere non fondata la questione, ha stabilito che "l'art. 25 della Costituzione, implica la necessità che la competenza giudiziaria, individuabile in base a criteri generali direttamente posti dalla legge, non venga derogata da atti insindacabili dei pubblici poteri e vuole che la stessa legge debba uniformarsi, nel regolare la materia, ad una esigenza fondamentalmente unitaria, quella, cioè che la competenza degli organi giudiziari venga sottratta, al fine di una rigorosa garanzia della loro imparzialità, ad ogni possibilità di arbitrio". Ha, altresì, precisato che illegittima sottrazione della regiudicanda al giudice naturale precostituito per legge si verifica "tutte le volte in cui il giudice venga designato a posteriori in relazione ad una determinata controversia o dal legislatore in via di eccezione singolare alle regole generali, ovvero attraverso atti di altri soggetti ai quali la legge attribuisce tali poteri al di là dei limiti che la riserva impone".
Sulla base dei principi di carattere generale sopra enunciati, la Corte, con la ricordata sentenza, ha ritenuto che tale diritto viene rispettato quando la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso, modifica in generale i presupposti o i criteri diretti ad individuare il giudice competente, poiché in tali casi lo spostamento della competenza non avviene "in conseguenza di una deroga alla disciplina generale, che sia adottata in vista di una determinata o di determinate controversie, ma per effetto di un nuovo ordinamento - e, dunque, della designazione di un nuovo giudice naturale - che il legislatore, nell'esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a quello vigente".
Con la legge 14 ottobre 1974, n. 497, il legislatore ha operato una riforma dell'art. 29, secondo comma, del codice penale, trasferendo la competenza per determinati reati da un giudice ad un altro giudice, ossia dalla Corte di assise al tribunale, e ciò per una esigenza intimamente legata alla necessità di una più sollecita definizione giudiziaria dei procedimenti relativi a fenomeni delinquenziali particolarmente gravi e con preoccupante ricorrenza. É in questa prospettiva che deve essere esaminato il problema sul quale la Corte é chiamata a decidere in quanto la ratio legis colora di ragionevolezza l'intervento del legislatore e il buon uso da esso fatto di quel potere di discrezionalità politica che gli é proprio. La legge che modifica la competenza oltre ad operare in termini generali e per interessi generali e ad avere per oggetto fatti penali di una notevole rilevanza sociale, si collega, anche, ad una insopprimibile esigenza di giustizia, che l'attuale ordinamento giuridico stenta a soddisfare, quella, cioè, della rapidità di giudizio, che oltre a salvaguardare la società dagli aspetti più gravi della criminalità, concorre inoltre a tutelare anche l'imputato incolpevole, per cui il suo operare retroattivamente non lede nella sostanza quelle garanzie che stanno alla base dell'art. 25, primo comma, della Costituzione. Non ha d'altra parte rilevanza che la legge 1974 non si dia carico di enunciare norme transitorie in ordine ai procedimenti in corso alla sua entrata in vigore, in quanto in tal caso subentrano i principi generali enunciati dagli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale, dei quali le norme di attuazione di singole leggi non costituiscono che un aspetto particolare di logica e armonica applicazione.
5. - Quanto sopra é pienamente riferibile anche alla questione di legittimità costituzionale delle disposizioni transitorie (d.l. 10 gennaio 1975, n. 2) alla legge n. 497 del 1974, prospettata in riferimento all'art. 25, primo comma, della Costituzione. Tale decreto legge costituisce, nella sostanza, una deroga agli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale limitando l'estensione delle nuove norme sulla competenza ai casi in cui la regiudicanda si trovi, all'entrata in vigore della legge, in una predeterminata fase processuale.
In ordine alla asserita violazione del diritto di difesa (articolo 24, secondo comma, Cost.), alla quale le ordinanze precisate nella premessa fanno generico riferimento, é da rilevare che esso non muta - e, d'altra parte, non può mutare - da giudice a giudice, da tipo a tipo di procedimento.
Non si può sostenere che, in linea di principio, il procedimento davanti alla Corte di assise, per la diversa composizione del giudice, assicuri una maggiore e incisiva garanzia di quella che possa offrire il giudizio davanti al tribunale.
La difesa si svolge e sviluppa in un complesso di presenze attive ed efficaci delle parti e, in particolare, per quanto attiene al processo penale, dell'imputato che lo accompagnano in ogni stato o fase del procedimento, qualunque sia il giudice chiamato a decidere secondo la ripartizione della competenza nei suoi vari aspetti. Se, poi, norme specifiche proprie di questa o quella fase, di questo o di quel grado, di questo o di quel tipo di procedimento si presentino come suscettibili di violazione del diritto, saranno le singole norme a dover essere impugnate e non già la composizione del giudice, come tale, che a quelle norme sia eventualmente soggetto.
Per quanto riguarda l'aspetto della questione che investe il procedimento direttissimo la Corte non ha che da riportarsi alla decisione di cui alla sentenza n. 146 del 1969 che tale giudizio ha ritenuto compatibile tanto con l'art. 25, comma primo, quanto con l'art. 24, comma secondo, della Costituzione
Infine, quanto detto in ordine alla caratterizzazione del giudice naturale quale giudice precostituito, si estende a quell'aspetto della ordinanza n. 113 del 1974, emessa dalla Corte di assise di Venezia, diretta ad allargare la questione di legittimità costituzionale, sotto il profilo della distrazione dal "giudice naturale", anche ai fatti commessi dopo l'entrata in vigore della legge modificatrice della competenza funzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 14 ottobre 1974, n. 497 (Nuove norme contro la criminalità), degli artt. 10 e 11 delle disposizioni della legge in generale (r.d. 16 marzo 1942, n. 262), e degli artt. 1, 2, 3 del d.l. 10 gennaio 1975, n. 2 (disposizioni transitorie alla legge 14 ottobre 1974, n. 497, contro la criminalità), proposte, con le ordinanze in epigrafe, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1976.
Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria l'8 aprile 1976.