SENTENZA N. 179
ANNO 1987
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Prof. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco P. CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi per conflitti di attribuzioni, promossi con ricorsi della Presidenza del Consiglio dei ministri contro la Regione Puglia, notificato l'8 maggio 1986, la Regione Marche, notificato il 17 giugno 1986, la Regione Lombardia, notificato il 1ø agosto 1986, e la Regione Lazio, notificato il 14 agosto 1986, in materia di c.d. "potere estero", iscritti nel registro conflitti dell'anno 1986, nn. 23, 32, 37 e 38;
Visti gli atti di costituzione della Regione Puglia e della Regione Lazio;
Udito nell'udienza pubblica del 24 marzo 1987 il Giudice relatore Francesco Saja;
Uditi l'avvocato Vincenzo Caputi Jambrenghi per la Regione Puglia e l'Avvocato dello Stato Ignazio Francesco Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato l'8 maggio 1986 (reg. confl. n. 23 del 1986) la Presidenza del Consiglio dei ministri esponeva che con lettera pervenuta il 15 marzo precedente il Presidente del Consiglio regionale della Puglia aveva trasmesso copia di una "Dichiarazione di intenti", sottoscritta dal medesimo e dal Presidente dell'Assemblea della Repubblica socialista di Montenegro al termine di una visita ivi resa da una delegazione del Consiglio regionale pugliese.
Detta dichiarazione, oltre ad un'enunciazione di principio sulla pace in Europa e nel Mediterraneo, concerneva diverse attività, che le parti ritenevano opportuno coordinare, in materia di industria, commercio, traffico marittimo ed aereo, turismo, cultura, scienza, sanità, radiotelecomunicazioni.
Riteneva la ricorrente che tale atto configurasse una iniziativa della Regione in materia di rapporti internazionali, riservata alla competenza esclusiva agli organi dello Stato, come risultava non solo dagli artt. 1, 5, 80, 87, 115 e 117 Cost., bensì anche dall'art. 4 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616: quest'ultimo infatti attribuiva allo Stato le funzioni amministrative attinenti ai rapporti internazionali (primo comma), e permetteva alle regioni di svolgere all'estero soltanto "attività promozionali" relative alle materie di loro competenza, alla duplice condizione che vi fosse una previa intesa col Governo e che fosse rispettato l'indirizzo ed il coordinamento statale (secondo comma).
Per di più, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 11 marzo 1980 escludeva che le regioni potessero stipulare con rappresentanti di altri paesi accordi, intese o altri atti formali, idonei ad assumere impegni o ad esprimere valutazioni politiche.
Pertanto la ricorrente chiedeva che la Corte annullasse la detta dichiarazione di intenti.
2. - Analoga impugnativa (reg. confl. n. 32 del 1986) la Presidenza del Consiglio rivolgeva, con atto notificato il 17 giugno 1986, contro un "accordo per intenti" stipulato dal Presidente del Consiglio regionale delle Marche ed il rappresentante del Dipartimento brevetti della Provincia cinese di Shandong, portato a conoscenza della ricorrente con lettera pervenuta il 28 aprile 1986.
Detto accordo - che il Presidente della regione affermava, senza documentazione, essere stato autorizzato in via informale dalla Giunta e comunque subordinato alle "determinazioni" del Ministero degli affari esteri - conteneva una serie di impegni in materia culturale, commerciale, scientifica e tecnologica, con una clausola di durata e la previsione di una missione in Cina di una delegazione della Regione.
3. - Altra impugnativa (reg. confl. n. 37 del 1986) la Presidenza del Consiglio rivolgeva, con atto notificato il 1ø agosto 1986, contro un "accordo di collaborazione sanitaria" stipulato dall'Assessore alla sanità della Regione Lombardia e dal Presidente della Regione Benadir della Repubblica di Somalia, accordo di cui la ricorrente aveva avuto notizia prima da un'informativa dell'Ambasciata a Mogadiscio e poi da una lettera del Presidente della Giunta regionale, pervenuta il 4 giugno 1986.
4. - Infine la Presidenza del Consiglio impugnava (reg. confl. n. 38 del 1986), con atto notificato il 14 agosto 1986, un protocollo "di collaborazione" stipulato il 26 maggio 1984 dal Presidente della Giunta regionale del Lazio ed il Governatore dello Stato di Sonora (Messico) nonché i successivi protocolli sottoscritti il 22 luglio 1985 dal Presidente della Regione e il 3 e 4 giugno 1986 dall'Assessore all'agricoltura.
La ricorrente aggiungeva di aver consentito a che una delegazione regionale approfondisse e definisse un progetto relativo ad interventi in materia di sviluppo agro-forestale. Da informative dell'Ambasciata e dall'acquisizione (avvenuta il 31 luglio 1986) di copia integrale degli atti, prima conosciuti solo nei limiti di una menzione contenuta in una nota del 14 aprile 1986, essa aveva però appreso che i medesimi potevano comportare l'assunzione di impegni sul piano internazionale.
5. - Si costituiva la Regione Puglia, la quale preliminarmente eccepiva l'inammissibilità del ricorso dello Stato per decadenza dai termini: infatti l'impugnata dichiarazione di intenti era stata preceduta da un telegramma inviato il 31 gennaio 1986 dal Presidente del consiglio regionale al Presidente del Consiglio dei ministri onde informarlo di aver accettato l'invito rivoltogli dalla Repubblica del Montenegro; dalla ricezione di tale telegramma avrebbe dovuto calcolarsi il termine di sessanta giorni previsto dall'art. 39 l. 11 marzo 1957 n. 83 per la produzione del ricorso.
La resistente eccepiva ancora che un atto sottoscritto dal solo Presidente del Consiglio non poteva considerarsi come manifestazione di volontà della Regione, esprimibile solo dagli organi competenti: il ricorso doveva perciò considerarsi inammissibile perché privo di oggetto.
Nel merito la Regione escludeva che una semplice "dichiarazione di intenti", contenente ovvie constatazioni politiche, mere espressioni di desiderio nonché informazioni e sollecitazioni dirette ai competenti organi statali, avesse un contenuto giuridico tale da poter formare oggetto di un conflitto di attribuzioni.
6. - Si costituiva anche la Regione Lazio, che però presentava le proprie deduzioni oltre venti giorni dopo la notificazione del ricorso, ossia il 23 settembre 1986 (art. 27, terzo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale).
Essa sosteneva preliminarmente che il detto termine doveva farsi decorrere non dalla notificazione del ricorso bensì dalla costituzione in giudizio del ricorrente, avvenuta il 3 settembre 1986, e richiamava in proposito l'ordinanza di questa Corte n. 109 del 1975.
La Regione eccepiva poi che l'atto introduttivo del giudizio doveva considerarsi tardivo, in quanto già con la nota dell'aprile 1986 la controparte aveva avuto modo di conoscere l'asserita lesione del proprio interesse.
Nel merito la resistente sosteneva l'infondatezza del ricorso, trattandosi di attività regionali "promozionali", permesse dal citato art. 4 d.P.R. n. 616 del 1977.
Questi argomenti venivano ulteriormente svolti dalla Regione in una memoria presentata in prossimità dell'udienza.
Considerato in diritto
1. - I quattro conflitti di attribuzioni indicati in epigrafe propongono alla Corte la medesima questione, deducendosi dallo Stato ricorrente che il c.d. "potere estero" é riservato al Governo in via esclusiva, senza che, sia pure limitatamente alle materie di competenza delle regioni, possa essere riconosciuto anche a queste ultime. In conseguenza di tale identità dell'oggetto, tutti i giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Delle quattro Regioni convenute (Puglia, Marche Lombardia, Lazio) si sono costituite soltanto la prima e l'ultima.
Ma la costituzione della Regione Lazio risulta inammissibile per essere avvenuta oltre il termine di venti giorni, stabilito dall'art. 27, terzo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale del 16 marzo 1966, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 24 successivo: tale termine, che come tutti quelli afferenti al processo costituzionale ha carattere perentorio, decorre dalla notificazione del ricorso (avvenuta nella specie il 14 agosto 1986) e perciò era scaduto al momento in cui é avvenuta la costituzione (23 settembre 1986). La contraria pretesa della Regione, secondo cui il termine di costituzione del resistente decorrerebbe dalla scadenza di quello previsto per il deposito del ricorso, urta contro il chiaro, inequivocabile disposto della norma indicata, mentre fuor di proposito risulta il richiamo alla decisione n. 109 del 7 maggio 1975, che ha ben altro oggetto e nella quale la Corte non afferma affatto quanto dedotto dalla resistente. Del pari, non é pertinente il richiamo all'art. 22, primo comma, l. 11 marzo 1953 n. 87, dato che il rinvio al regolamento di procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale opera soltanto se manca una disposizione appositamente dettata per il giudizio costituzionale, disposizione che invece nella specie sussiste ed é data appunto dal ricordato art. 27, terzo comma, delle Norme integrative.
3. - La su indicata tardività della costituzione non impedisce però alla Corte di rilevare d'ufficio l'inammissibilità del ricorso concernente i protocolli siglati il 26 maggio 1984 e il 22 luglio 1985, chiaramente e inequivocabilmente indicati (oltre che nella precedente corrispondenza) nella nota del 14 aprile 1986, con cui la Regione richiese l'autorizzazione a proseguire i contatti già iniziati: a tale istanza la Presidenza del Consiglio aderì con nota del 2 maggio successivo, autorizzando, ovviamente sul presupposto della conoscenza di precedenti contatti, la chiesta prosecuzione; pertanto, almeno da questa data allo Stato era sicuramente noto il contenuto di detti protocolli, onde il termine di sessanta giorni, fissato dall'art. 39, secondo comma, l. n. 87 del 1953 per la proposizione del regolamento di competenza, era scaduto allorquando l'impugnativa venne notificata, in data 14 agosto 1986 (al procedimento costituzionale, non si applicano, per ius receptum, le norme sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, di cui alla l. 7 ottobre 1969 n. 742: v. sent. n. 239 del 1982).
Il ricorso é invece ammissibile, contrariamente a quanto eccepisce la Regione, per il protocollo del 3 e 4 giugno 1986, in quanto il suo contenuto fu comunicato al Governo dall'Ambasciata italiana di Città del Messico con nota del 31 luglio, sicché il termine era ancora in corso il 14 agosto successivo, al momento della proposizione dell'impugnativa.
4. - Pacificamente ammissibili sono pure i ricorsi contro le Regioni Marche e Lombardia.
E ad analoga conclusione si deve pervenire in ordine al ricorso contro la Regione Puglia, non potendosi accogliere l'eccezione di intempestività da questa formulata: infatti il Ministero degli affari esteri fu informato del contenuto del protocollo in questione soltanto il 15 marzo 1986 e l'impugnazione venne proposta l'8 maggio successivo, ossia nel termine di sessanta giorni fissato dalla legge.
Né regge l'altra eccezione, con cui si deduce la giuridica inesistenza dell'impugnata "Dichiarazione di intenti" perché posta in essere dal Presidente del Consiglio regionale anziché dal Presidente della Giunta, a cui spetta la rappresentanza della Regione a norma dell'art. 51 dello Statuto. A parte invero ogni altro rilievo che pure potrebbe formularsi in ordine alla qualificazione e agli effetti del vizio dedotto, é preliminare ed assorbente l'evidente inesattezza della premessa. La Regione invero si riferisce al potere di rappresentanza organica ai fini dell'ordinamento interno, ma sul piano internazionale il detto potere va considerato diversamente, giacché esso spetta agli uffici a cui per legge o per volontà degli organi interni é conferito, e che sono così legittimati a svolgere una determinata attività con soggetti di ordinamenti stranieri. Nella specie, secondo quanto risulta anche dalla memoria della resistente, la delegazione pugliese era guidata, per deliberazione degli organi competenti e come già in passato, dal Presidente del Consiglio regionale, non nella propria funzione istituzionale, bensì in quella di capo missione, con la sua conseguente legittimazione a sottoscrivere l'impugnato protocollo.
5. - Ciò posto, la Corte deve ribadire, nel merito della proposta questione, la propria precedente giurisprudenza, secondo cui in linea di principio rientra nell'esclusiva competenza degli organi centrali dello Stato il potere di determinare ed attuare gli indirizzi di politica estera, in senso lato, comprensiva anche della materia socio-economica (cfr. da ultimo sent. n. 187 del 1985).
Il carattere unitario e indivisibile della Repubblica condiziona e subordina le autonomie locali (art. 5 Cost.), nelle quali perciò non può essere compresa la potestà di decidere sulla instaurazione e gestione dei rapporti internazionali; ciò é anche ribadito espressamente dal primo comma dell'art. 4 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, il quale dispone testualmente: "Lo Stato... esercita le funzioni, anche nelle materie trasferite o delegate, attinenti ai rapporti internazionali...".
Questi ultimi rientrano pertanto nella competenza dello Stato, in quanto attengono all'attività politica, economica, sociale e culturale del Paese nei confronti degli altri Stati: essi trovano la loro origine in patti stipulati da soggetti di diritto internazionale, con l'assunzione di impegni dei quali risponde lo Stato.
Né al riguardo può riconoscersi alcun rilievo alla maggiore o minore importanza dei singoli accordi, i quali, anche se di modesta portata, potrebbero in ipotesi pur sempre incidere sulla politica estera, per sua natura non suscettibile di frazionamenti e di una pluralità di titolari.
6. - Il vigente sistema costituzionale ammette peraltro esplicitamente, come ora si é accennato, che il legislatore ordinario possa introdurre deroghe alla regola fondamentale ora enunciata: deroghe che, come tali, sono di stretta interpretazione, e non possono perciò essere estese al di là dei casi espressamente previsti.
A tale possibilità si collega anzitutto l'art. 4, secondo comma, del cit. d.P.R. n. 616 del 1977, secondo cui le regioni possono svolgere all'estero attività promozionali relative alle materie di loro competenza, previa intesa con il Governo e nell'ambito degli indirizzi e degli atti di coordinamento emanati da quest'ultimo.
La categoria delle attività promozionali, secondo un orientamento assolutamente prevalente, comprende ogni comportamento legato da un rigoroso nesso strumentale con le materie di competenza regionale, ossia qualsiasi comportamento diretto, in tali settori, allo sviluppo economico, sociale e culturale nel territorio dell'ente locale. L'ambito così rigorosamente delimitato della potestà regionale, la necessaria preventiva intesa con il Governo e la obbligatoria conformità agli indirizzi ed agli atti di coordinamento degli organi centrali garantiscono l'indispensabile aderenza degli atti "promozionali" alla politica estera perseguita dallo Stato. E va peraltro aggiunto che tali atti non possono comunque concernere le materie contemplate dall'art. 80 Cost., che salvaguarda le funzioni del Parlamento. Alla ricordata possibilità offerta dal sistema costituzionale va pure ricondotta la recente disposizione risultante dal combinato disposto degli artt. 3 e 4 l. 19 novembre 1984 n. 948, relativa alla ratifica della convenzione europea sulla cooperazione transfrontaliera, adottata a Madrid il 21 maggio 1980, la quale, nell'ambito degli enti competenti a stipulare gli accordi e le intese previsti dalla convenzione stessa, include espressamente le regioni. Naturalmente non mancano anche in questa legge le opportune cautele: così, da un lato, il cit. art. 3 dispone che il compimento degli atti ora indicati ad opera degli enti locali é subordinato alla previa stipulazione, da parte dello Stato, di convenzioni bilaterali con gli Stati confinanti, convenzioni contenenti l'indicazione delle relative materie, escluse in ogni caso quelle pregiudizievoli agli interessi politici ed economici nazionali, della difesa, dell'ordine e della sicurezza pubblica; e, d'altro canto, l'art. 6 stabilisce che gli atti regionali di approvazione di accordi ed intese sono soggetti ai controlli previsti dal vigente ordinamento interno. Infine, va ricordata l'attività consentita alle regioni nell'ambito dell'organizzazione europea (Consiglio d'Europa, Comunità europee), la quale assume estensione sempre maggiore (in proposito vedasi, tra l'altro, la recente Carta europea delle autonomie locali, adottata nella Conferenza di Roma del novembre 1984 ed aperta alla firma, a Strasburgo, a decorrere dal 15 ottobre 1985).
Nei casi anzidetti si ha sempre la responsabilità dello Stato, il quale risponde degli impegni assunti anche se l'ordinamento interno eccezionalmente consente l'iniziativa di enti minori.
7. - Oltre alle fattispecie indicate nei paragrafi precedenti e concernenti accordi in senso proprio, é dato riscontrare nell'ambito della realtà internazionale, come ha notato autorevole dottrina e come emerge dalla concreta esperienza, alcune attività di vario contenuto, congiuntamente compiute dalle regioni e da altri (di norma, omologhi) organismi esteri aventi per oggetto finalità di studio o di informazione (in materie tecniche) oppure la previsione di partecipazione a manifestazioni dirette ad agevolare il progresso culturale o economico in ambito locale, ovvero, infine, l'enunciazione di propositi diretti ad armonizzare unilateralmente le rispettive condotte. La varietà della materia non consente una precisa classificazione, come peraltro si verifica per i trattati propriamente detti, ma si può rilevare trattarsi di attività non collegate con situazioni concernenti l'intero territorio nazionale e perciò rimesse all'iniziativa degli enti locali. Attraverso gli atti ora nominati le regioni, interessate alla realizzazione degli scopi connessi alle materie loro devolute, non pongono in essere veri accordi né assumono diritti ed obblighi tali da impegnare la responsabilità internazionale dello Stato, ma si limitano, come sopra si é accennato, a prevedere lo scambio di informazioni utili ovvero l'approfondimento di conoscenze in materie di comune interesse, oppure, ancora, ad enunciare analoghi intenti ed aspirazioni, proponendosi di favorirne unilateralmente la realizzazione mediante atti propri o, al più, mediante sollecitazione dei competenti organi nazionali.
Si tratta, evidentemente, di attività non suscettibili di essere ricondotte nell'ambito dei rapporti internazionali sopra indicati, poiché il loro contenuto non può assolutamente incidere sulla politica estera dello Stato né, come s'é detto, può far sorgere responsabilità di qualsiasi genere a carico del medesimo. Perciò ritiene la Corte, la quale per la prima volta ha occasione di occuparsi dello specifico problema, che non sussiste ostacolo alcuno nel nostro sistema costituzionale a riconoscere la legittimità di tali attività, per le quali può essere accolta la denominazione, proposta dalla dottrina, di "attività di mero rilievo internazionale delle regioni".
8. - Dalle caratteristiche di tali attività discende quale conseguenza necessaria che, se pur non espressamente prescritto, deve ritenersi sempre indispensabile il previo assenso del Governo, in modo che lo Stato possa controllare la loro conformità agli indirizzi di politica internazionale, e resti così escluso il pericolo di un pregiudizio agli interessi del Paese. Perciò le regioni, prima di avviare i contatti con organismi esteri, sono tenute a darne tempestiva notizia al Governo, il quale ha il potere di porre un divieto quando ritenga che essi mal si concilino con l'indirizzo politico generale. Intuitivamente é necessario che le regioni, nel richiedere l'assenso, espongano adeguatamente il contenuto dell'atto che si propongono di compiere, in modo che questo possa essere sottoposto ad un'effettiva e approfondita valutazione. Inoltre, dopo il compimento, l'atto regionale é soggetto alle regole generali in materia di controlli.
9. - Non va taciuto come la presente decisione sia sostanzialmente conforme all'orientamento già accolto dallo Stato, il quale, sempre sensibile nel difendere la propria competenza nei confronti delle regioni, dopo una iniziale resistenza ha notevolmente ceduto, in subiecta materia, alle pretese locali. In particolare, oltre alla circolare della Presidenza del Consiglio 3 febbraio 1983, va ricordata la nota 16 febbraio 1984, indirizzata dallo stesso Ufficio ai Commissari governativi regionali e al Ministero degli affari esteri, nella quale espressamente si consentono le attività su indicate, previa "notizia" alla Presidenza medesima. Di conseguenza l'attuale pronuncia della Corte viene in definitiva e sostanzialmente a convalidare una prassi già invalsa, valutata favorevolmente anche in qualche decisione della giurisdizione amministrativa.
La soluzione qui accolta, in parte positiva, si estende naturalmente anche alle regioni differenziate, se nulla é disposto in proposito dai relativi statuti, per effetto del noto principio secondo cui a queste ultime non può essere riservato un trattamento deteriore rispetto alle prime.
10. - In base a quanto sin qui detto risulta non plausibile, né coerente con il ricordato orientamento della Presidenza del Consiglio dei ministri, la linea seguita nei quattro conflitti in esame dall'Avvocatura erariale, la quale ha fondato le sue deduzioni esclusivamente sulla riserva allo Stato del "potere estero", concepita come assoluta e illimitata e quindi senza che residui alcun margine per le regioni.
Seguendo invece la distinzione sopra posta, é necessario esaminare ogni ricorso secondo le caratteristiche proprie delle singole fattispecie, onde debbono ritenersi non fondate le due impugnative contro le Regioni Puglia e Lazio, mentre vanno accolte quelle proposte contro le Regioni Marche e Lombardia.
Invero, le Regioni Lazio e Puglia hanno dato tempestivo avviso all'autorità centrale, che ha prestato il proprio assenso alle attività di cui si trattava; le quali in effetti, pur con i loro contorni variamente modulati, non fuoriescono dalla categoria sopra denominata di "attività di mero rilievo internazionale". E infatti per quanto riguarda la Puglia, a parte qualche retorica affermazione, si tratta dell'enunciazione di semplici propositi e aspirazioni da rassegnare agli organi statali competenti, affinché questi possano (liberamente) valutare l'opportunità della loro realizzazione; mentre il rappresentante della Regione Lazio si é limitato a proseguire "colloqui esplorativi", già avviati nel settore agro-forestale nel 1984 e 1985, e quindi a porre in essere una mera attività di studio e di informazione.
Le Marche e la Lombardia, per contro, non solo non hanno curato di chiedere il prescritto assenso, ma hanno compiuto atti che integrano veri e propri accordi, con assunzione di obblighi in materie tecnologiche e scientifiche nonché nel campo sanitario, e con la possibile implicazione della responsabilità dello Stato, la cui sfera di competenza risulta pertanto invasa.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara che spetta allo Stato il potere relativo alla determinazione della politica estera (c.d. "potere estero") e di conseguenza annulla: a) l'"Accordo per intenti" stipulato ad Ancona il 16 aprile 1986 dal Presidente della Regione Marche e dal Rappresentante del Dipartimento brevetti della Provincia di Shandong (Repubblica popolare di Cina); b) l'"Accordo di collaborazione sanitaria" sottoscritto il 5 gennaio 1986 a Mogadiscio dall'Assessore alla sanità della Regione Lombardia insieme al Presidente della Regione Benadir (Somalia);
2) dichiara che spetta alle regioni il potere di porre in essere atti di mero rilievo internazionale e che di conseguenza: a) rientra nelle attribuzioni della Regione Puglia la "Dichiarazione di intenti" sottoscritta il 27 gennaio 1986 dal Presidente del Consiglio regionale, insieme al Presidente della Repubblica socialista del Montenegro (Jugoslavia); b) rientra nelle attribuzioni della Regione Lazio il protocollo sottoscritto il 3 e 4 giugno 1986 dall'Assessore regionale all'agricoltura, insieme al Governatore dello Stato di Sonora (Messico); 3) dichiara inammissibile il ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e diretto contro il protocollo sottoscritto ad Hermosillo tra la Regione Lazio e il Governo dello Stato di Sonora (Messico)il 26 maggio 1984, nonché contro il successivo protocollo sottoscritto dalle stesse parti nella medesima località il 22 luglio 1985.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 20 maggio 1987.
Il Presidente: LA PERGOLA
Il Redattore: SAJA
Depositata in cancelleria il 22 maggio 1987.
Il direttore di cancelleria: VITALE