Sentenza n.172 del 1987

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SENTENZA N. 172

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 72 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), e art. 74 cod. proc. pen., promosso con ordinanza emessa il 7 dicembre 1985 dal Pretore di Palestrina nei procedimenti penali riuniti a carico di Casarin ed altra, iscritta al n. 776 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima s.s. dell'anno 1987;

Udito nella camera di consiglio del 26 marzo 1987 il Giudice relatore Ettore Gallo.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza 7 dicembre 1985 (pervenuta a questa Corte il 10 novembre 1986), il Vicepretore onorario di Palestrina sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 72 del r.d. 30 gennaio 1941 n. 12 (Ordinamento giudiziario) e 74 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono la costituzione e il funzionamento effettivo di un autonomo ufficio del Pubblico ministero nei giudizi davanti al Pretore: e ciò sia con riferimento agli artt. 2, 3, 10, 102 e 107 Cost., sia con riferimento alla Conv. Europea dei diritti dell'uomo, ratificata dall'Italia con l. 4 agosto 1955, n. 848.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

Nessuno si é costituito nel giudizio davanti alla Corte, né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

Nell'ampia motivazione l'ordinanza svolge, da una parte, i noti motivi concernenti il profilo d'illegittimità derivante dalla natura anfibia del Pretore che, essendo Pubblico ministero nella parte preliminare o di eventuale istruttoria, diventa al dibattimento egli stesso giudice delle cause da lui istruite, o comunque da lui portate a giudizio. Ma sul punto la Corte si é già pronunziata con sent. n. 268 del 1986, e prima ancora con le sentenze nn. 45 e 61 del 1967 e 123 del 1970. L'esigenza di separare le due funzioni anche nella fase preliminare o istruttoria, così come ora segnala anche il Pretore di Palestrina, é reale ma, nell'imminenza ormai della riforma processuale, e a nuova legge-delega già approvata, é opportuno che sia il legislatore a dare al rito pretorile una completa disciplina: anche per i necessari interventi in quella parte del connesso settore dell'ordinamento giudiziario che la riforma non potrà non coinvolgere. Spetta, perciò, lo stesso legislatore, proprio per le ragioni ora indicate, a dare attuazione all'art. 6, par. 1 della Convenzione di Strasburgo.

Il pretore, però, svolge anche altro profilo.

Secondo il magistrato rimettente, il rappresentante del Pubblico ministero al dibattimento dovrebbe essere nominato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, come si evincerebbe dall'art. 70, terzo comma, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario) che dispone che i Procuratori della Repubblica "esercitano le loro funzioni personalmente o per mezzo dei dipendenti addetti ai rispettivi uffici".

Trascura, però, il Pretore che il primo comma dello stesso articolo limita al Tribunale la competenza del Procuratore della Repubblica, sì che questi non potrebbe mai esercitare le funzioni di Pubblico ministero nel dibattimento pretoreo: e, se non può egli stesso esercitarle, non può evidentemente delegare ad altri poteri che non gli competono.

Infatti, é proprio l'art. 72, secondo comma, del detto Ordinamento che, con l'indicare espressamente e direttamente le persone che possono essere chiamate ad esercitare nell'udienza pretorea le funzioni di Pubblico ministero, esclude che le funzioni stesse possono essere esercitate da magistrati addetti all'Ufficio del Procuratore della Repubblica. E si tratta di persone, le prime, che non "dipendono" da quest'ultimo magistrato, e non necessitano di alcuna sua delega perché derivano direttamente dalla legge il loro potere. Occorre soltanto che abbiano "la chiamata" al concreto esercizio delle funzioni per quella certa udienza, o anche per quel singolo dibattimento: ma a chiamare non può essere che colui cui é affidata la direzione del dibattimento, analogamente a quanto accade per il difensore dell'altra parte processuale, l'imputato, quando questi non abbia provveduto per suo conto.

Eppure, problemi ben più gravi e delicati potrebbero sorgere per colui che é chiamato alla difesa dell'accusato, nell'area dell'art. 24, secondo e terzo co. Cost., se fosse vero che, per il solo fatto che é il Pretore a nominarlo, il difensore soggiace a metus reverentialis nei confronti del giudice.

Tutti sanno, però, che così non é, e che, se dovesse accadere, non dipenderebbe comunque dal fatto della nomina, ma semmai dall'animo timoroso o servile del professionista, che dovrebbe subito essere sostituito.

Nemmeno questo profilo, pertanto, può essere accolto.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 72 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario) e 74 cod. proc. pen., sollevata dal vicepretore onorario di Palestrina in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 102 e 107 Cost., con ordinanza 7 dicembre 1985 (Reg. ord. n. 776/1986).

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 7 maggio 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il Redattore: GALLO

Depositata in cancelleria il 15 maggio 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE