SENTENZA N. 96
ANNO 1987
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco P. CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali) e art. 35, u.c. legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), promossi con l'ordinanza emessa il 10 maggio 1986 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Zeno Agostino e S.p.A. Saipem iscritta al n. 552 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, 1a serie speciale, dell'anno 1986;
Visti gli atti di costituzione di Zeno Agostino nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 10 febbraio 1987 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;
Uditi l'avv. Roberto Muggia per Zeno Agostino e l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri;
Ritenuto in fatto
Zeno Agostino, arruolato con mansioni di "piccolo di cucina" su alcuni mezzi navali speciali della soc. Saipem, aveva impugnato il suo licenziamento perché avvenuto senza giusta causa e chiedeva la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento dei danni. Il Pretore di Milano, investito del giudizio, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604, nella parte in cui non prevede l'applicabilità della legge medesima al personale navigante, allegandone il contrasto con l'art. 3 Cost. Con l'ordinanza é stato impugnato anche l'art. 35, ultimo comma della l. 20 maggio 1970, n. 300, per contrasto con gli artt. 3 e 76 Cost., nella parte in cui dispone che i contratti collettivi di lavoro provvedono ad applicare i princìpi in essa stabiliti alle imprese di navigazione per il personale navigante "con specifico riferimento ai princìpi contenuti nell'art. 18".
Nell'ordinanza si premette che la normativa che consente il recesso ad nutum (artt. 342-345 cod. nav.) dell'armatore non può ritenersi abrogata per effetto dell'entrata in vigore della l. n. 604 del 1966, stante il disposto dell'art. 1, comma secondo, cod. nav., che prevede l'applicabilità alla materia della navigazione delle norme di diritto civile solo in assenza di una specifica disciplina speciale, che, invece, é espressamente dettata riguardo al contratto di arruolamento. Si afferma che gli accordi collettivi, nei casi all'esame del giudice a quo, prevedono una disciplina dei licenziamenti meno favorevole di quella stabilita dalla l. n. 604 del 1966 e si deduce il contrasto dell'art. 10 di tale legge con l'art. 3 Cost. perché, non avendo disposto espressamente l'applicabilità della l. n. 604 al contratto di arruolamento, il personale navigante resta escluso ingiustificatamente dalle garanzie di stabilità del posto di lavoro previste per gli altri lavoratori.
Nell'ordinanza si deduce analogo profilo d'illegittimità costituzionale riguardo all'art. 35, ultimo comma, dello Statuto dei lavoratori in quanto, rinviando ai contratti collettivi di disporre l'applicazione al personale navigante dell'art. 18 dello Statuto stesso (riguardante la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore licenziato senza giusta causa), porrebbe in essere anch'esso una ingiustificata discriminazione, giacché i contratti collettivi potrebbero non estendere mai la garanzia prevista dall'art. 18 ai lavoratori marittimi. Tenuto conto che la Corte costituzionale ha già dichiarato non fondata la questione con sentenza n. 129 del 1976, nell'ordinanza se ne chiede il riesame, sottolineandosi che nel frattempo la contrattazione collettiva ha esteso la garanzia dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori ai piloti ed agli assistenti di volo, così introducendo ulteriori elementi di discriminazione tra i lavoratori. In relazione all'art. 35 dello Statuto dei lavoratori, si deduce altresì la violazione dell'art. 76 Cost., sotto il profilo che i princìpi contenuti nello Statuto dei lavoratori sono inderogabili e pertanto non ne può essere rimessa alla contrattazione collettiva l'applicazione ad alcune categorie di lavoratori. In proposito si sottolinea che, ormai, la navigazione non é un'attività più pericolosa di molte altre (come quelle attinenti all'energia), cosicché non si giustificano minori garanzie per i lavoratori motivate da ragioni di "sicurezza della navigazione".
Dinanzi a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri ed ha chiesto che le questioni siano dichiarate manifestamente infondate per essere state già decise nel senso della non fondatezza con la sentenza 129 del 1976. Nella comparsa di costituzione si sostiene in particolare la piena legittimità del rinvio operato dall'art. 35 alla contrattazione collettiva, sottolineandosi che proprio le differenti discipline da essa adottate per le varie categorie di personale navigante dimostrano la necessità di una normativa articolata in relazione alla varietà di funzioni di quel personale.
Si é costituita pure la parte privata chiedendo che le questioni siano ritenute fondate e, nella memoria, ha svolto particolari considerazioni sulla minore tutela del lavoratore prevista, nella fattispecie, dall'art. 6.3 lett. h) dell'accordo integrativo aziendale 18 febbraio 1982 e sui princìpi sui quali si fonda la sent. n. 29 del 1976 di questa Corte, contestandone la fondatezza. Si sottolinea, in particolare, la disparità che la contrattazione collettiva ha accentuato tra categorie di personale nautico molto simili, come i piloti e gli assistenti di volo e il personale marittimo navigante, dimostrandosi inidonea a realizzare, dopo 17 anni dall'entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori, un'omogenea e adeguata tutela di un vasto complesso di lavoratori marittimi.
Considerato in diritto
1. - La prima censura dell'ordinanza di rimessione del Pretore di Milano, giudice del lavoro, si riferisce all'art. 10 della l. 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali) nella parte in cui non prevede l'applicabilità della legge stessa al personale marittimo navigante, in riferimento all'art. 3 Cost. Viene, poi, sospettato di incostituzionalità l'art. 35, ultimo comma, della l. 20 maggio 1970, n. 300 (statuto dei lavoratori), in relazione agli artt. 3 e 76 Cost., nella parte in cui dispone che i contratti collettivi di lavoro provvedono ad applicare i princìpi dello statuto dei lavoratori alle imprese di navigazione per il personale navigante, con specifico riferimento ai princìpi contenuti nell'art. 18 dello stesso statuto.
2. - Esattamente il giudice rimettente esclude che l'art. 345 cod. nav., che dà facoltà all'armatore di risolvere il contratto di arruolamento in qualsiasi tempo e luogo, salvi i diritti spettanti all'arruolato, debba ritenersi abrogato a seguito dell'entrata in vigore della l. 15 luglio 1966, n. 604, che introduce il principio del licenziamento del lavoratore per giusta causa o per giustificato motivo.
In materia di navigazione, il sistema delle fonti, regolato dall'art. 1 cod. nav., consente l'applicazione delle leggi generali ('diritto civile) qualora manchino disposizioni del diritto della navigazione e non ve ne siano di applicabili per analogia (cfr. sent. di questa Corte 19 maggio 1976, n. 129).
L'art. 345 cod. nav. pone una regola speciale in materia di risoluzione del contratto di arruolamento, che impedisce il ricorso alla disciplina generale sui licenziamenti posta dalla l. n. 604 del 1966.
Né é ipotizzabile l'abrogazione dello stesso art. 345 per incompatibilità con tale legge. La norma, attribuendo all'armatore la facoltà di risolvere ad nutum il contratto di arruolamento, obbedisce ad una valutazione dell'equilibrio delle situazioni soggettive del rapporto di lavoro, nel quadro degli interessi della spedizione marittima, e si configura come una disposizione speciale con forza normativa operante nei confronti dei titolari di quelle situazioni. Non sussiste, quindi, incompatibilità fra la disciplina, relativa al lavoro comune, posta dalla l. n. 604 e quella, concernente l'arruolamento, posta dall'art. 345 c. nav.
Il contratto di arruolamento - sottotipo qualificato del rapporto di lavoro comune - inserisce l'arruolato nell'equipaggio della nave e nella comunità di lavoro a bordo, che, con il complesso delle sue prestazioni, concorre al raggiungimento dei fini della spedizione marittima, ai quali non sono estranei interessi di ordine generale.
Rispetto alla disciplina della l. n. 604 cit., l'art. 345 cod. nav. pone una normativa diversificata per contenuto, per fini e per destinatari, che sopravvive alla normativa posteriore, di carattere generale, sui licenziamenti individuali nel rapporto di lavoro comune.
3. - La vigenza, nella sua propria sfera, dell'art. 345 cod. nav., é testualmente confermata dall'art. 10 della l. n. 604 del 1966 - impugnato dall'ordinanza di rimessione -, che delimita l'applicazione di questa legge "ai prestatori di lavoro che rivestano la qualifica di impiegato e di operaio". Tali categorie si diversificano da quella del personale navigante, cui appartiene il lavoratore, soggetto della fattispecie che ha dato luogo all'ordinanza.
Si tratta di un dipendente della Saipem S.p.A., arruolato con le mansioni di "piccolo di cucina", che, avendo espletato la sua prestazione di lavoro a bordo per oltre cinque anni, si duole di essere stato licenziato senza giustificato motivo e chiede la reintegrazione nel suo posto di lavoro.
4. - Questa Corte ha avuto occasione, anche recente, di precisare la forza delle norme regolatrici del rapporto di lavoro del personale marittimo navigante, in due distinte proiezioni: rispetto alle norme di diritto civile (o comune) e alle norme costituzionali.
Nei confronti delle prime la prevalenza della norma speciale é determinata dal suo carattere di regola propria e diretta del rapporto, mentre la prevalenza del precetto costituzionale é da ascrivere al suo rango di norma superiore (cfr. sent. 2 marzo 1987, n. 63).
In tale quadro sono da approfondire il fondamento e i fini dianzi accennati - dell'art. 345 c. nav. e, una volta definita questa indagine, la norma va sottoposta al vaglio di costituzionalità richiesto dall'ordinanza di rimessione.
La peculiarità della disciplina posta dall'art. 345 cod. nav. viene tradizionalmente ricondotta alla necessità di attribuire all'armatore i poteri necessari per garantire la disciplina di bordo e la sicurezza della navigazione, alle quali farebbero riscontro la struttura fiduciaria e la rilevanza personale della prestazione a bordo del marittimo.
Sennonché lo stesso codice della navigazione, col prevedere (art. 374) la derogabilità dell'art. 345 da parte dei contratti collettivi e, se a favore dell'arruolato, dei contratti individuali, configura l'ampia facoltà di licenziamento del marittimo come diretta a tutelare un interesse, il cui perseguimento é rimesso alla disponibilità dell'armatore; tale facoltà non appare, di conseguenza, intesa a realizzare finalità generali, indisponibili, della spedizione.
Quanto alle esigenze della sicurezza, l'ordinanza di rimessione pone in luce la supervalutazione che se n'é data rispetto alla navigazione. In questo ambito esse non sono più pregnanti di quelle esistenti in settori di lavoro terrestre a più elevato rischio (come nei settori dell'energia). E non senza efficacia nella memoria della parte privata si fa riferimento all'applicabilità delle leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970 ai lavoratori addetti alle centrali nucleari, agli altiforni siderurgici e agli impianti chimici ad alta tossicità. É, peraltro, opportuno porre in rilievo che in questi casi la tutela della sicurezza si collega a un fattore statico (impianto produttore), laddove nella navigazione essa é correlata a un fenomeno dinamico. Tale diversità non rileva sull'effetto, che accomuna in una fascia particolare di pericolosità tutti i prestatori di lavoro innanzi indicati e, sotto questo riguardo, certamente non li discrimina.
5. - É stata ancora invocata a fondamento della regola posta dall'art. 345 la particolare, ampia autonomia dell'armatore di organizzare la comunità di bordo; essa si esprime anche nella formazione e nella composizione qualitativa dell'equipaggio (sotto l'aspetto della piena affidabilità dei suoi membri).
Osserva la Corte che l'esercizio di tale potestà organizzativa non può ritenersi pregiudicato dall'esistenza dei razionali limiti posti alla facoltà di licenziamento dalla l. n. 604 del 1966, considerate la intrinseca obiettività e la elasticità dei concetti di giusta causa e di giustificato motivo, il cui controllo giurisdizionale é destinato inoltre ad esplicarsi ex post, quando sono esauriti non soltanto la fase tipicamente organizzativa della spedizione ma lo stesso rapporto negoziale. Il giudizio sulla legittimità del provvedimento dell'armatore - giudizio certamente capace di valutare le esigenze della comunità di bordo e il correlativo comportamento richiesto alle persone dell'equipaggio non può dunque pregiudicare l'indefettibile salvaguardia della vita umana e dei beni coinvolti nella spedizione marittima.
6. - Il superamento del drastico principio del licenziamento ad nutum posto dall'art. 345 c. nav. e non corretto - per la inapplicabilità al lavoro nautico - dalla legge n. 604, non é stato garantito dalla già rilevata derogabilità della norma del codice della navigazione ad opera dei contratti collettivi (art. 374 cod. nav. cit.).
La fattispecie dalla quale é mossa l'ordinanza di rimessione, ne é chiara prova.
L'art. 6.3 lett. h) dell'accordo integrativo aziendale Saipem del 1982, applicabile nel caso, prevede la cancellazione dal turno particolare per "riduzione o fine dell'attività dei mezzi speciali o disarmo degli stessi". Ha rilevato l'ordinanza che queste ipotesi, se riducono di fatto il potere di recesso dell'armatore, non sono equiparabili a quella del giustificato motivo obiettivo ex art. 3 della l. n. 604, nel contenuto, nella incidenza dell'onere della prova e nelle conseguenze risarcitorie.
Quanto all'attuazione, in generale, della deroga all'art. 345 cod. nav. da parte della contrattazione collettiva, é da osservare che si é ravvisato un ostacolo all'applicabilità della l. n. 604 al personale marittimo navigante nella mancata partecipazione delle associazioni sindacali degli armatori e dei marittimi alla stipulazione dell'accordo confederale sui licenziamenti (che sarebbe stato recepito dalla legge ora indicata).
Non pare che questa opinione sia da condividere.
Dall'inerzia delle associazioni sindacali in una fase preliminare, non necessaria e formalmente irrilevante nella produzione della normativa, non può derivare la preclusione della applicabilità della normativa stessa ai lavoratori iscritti a quei sindacati. Ed é, poi, assorbente rilievo che nella legge non é alcuna traccia di quell'accordo come elemento o limite per la sua operatività.
Le norme agiscono nella loro autonomia obiettiva, indipendentemente dai particolari impulsi che le hanno determinate, quando non ne risulti traccia o riscontro nella concreta disciplina da esse posta.
7. - Non sussistono, dunque, valide ragioni per escludere il personale marittimo navigante dalla disciplina della l. n. 604 del 1966 ed é da riconoscere fondato il sospetto di illegittimità costituzionale dell'art. 10 di questa legge nella parte in cui non prevede la sua applicabilità anche a tale personale. La sostanziale omogeneità delle relative situazioni afferenti ai lavoratori comuni ed a quelli nautici impone l'uniformità delle discipline, nella mancanza di fondate ragioni per differenziarle.
É da dichiarare pertanto illegittimo il su indicato art. 10 della l. n. 604, in riferimento all'art. 3 Cost.
La rimozione dei limiti, innanzi precisati, all'operatività di questa norma nei riguardi del personale marittimo arruolato comporta anche l'adempimento dell'obbligo assunto dallo Stato italiano con l'adesione alla convenzione sul "contratto di arruolamento dei marittimi". Tale convenzione, adottata dalla conferenza generale dell'Organizzazione del lavoro nella nona sessione di Ginevra del 24 giugno 1926, é stata approvata e ratificata dall'Italia con l. 14 gennaio 1929, n. 417 ed é diventata esecutiva il 20 ottobre dello stesso anno. Essa obbliga (artt. 11, 15 e 19) lo Stato italiano a fissare nell'ordinamento interno "les circostances dans lesquelles l'armateur ou le capitaine a la faculté de congédier immediatement le marin".
Dando, così, attuazione alla normativa internazionale, la legislazione italiana si riallaccia ad un precetto tradizionalmente osservato dai paesi marinari, dal Nord dell'Europa al bacino del Mediterraneo.
É opinione comune che tutte le leggi marittime manifestarono la tendenza ad impedire la risoluzione dell'"ingaggio" senza giusta causa ed alcune di esse specificarono i motivi, in base ai quali il licenziamento era permesso.
Come efficace espressione di questo indirizzo si ricorda il Consolato del mare, il cui capitolo 122 consentiva di "cavar marinaro dalla nave" soltanto in quattro casi: "per ladro", "per eresia", "se non fa il comandamento del nocchiero", "se spergiurerà".
8. - La seconda censura di illegittimità costituzionale, mossa dall'ordinanza, concerne in modo specifico l'art. 35, ultimo comma, della l. 20 maggio 1970, n. 300 (statuto dei lavoratori), per la mancata previsione della tutela reale del marittimo licenziato, con la reintegrazione nel posto di lavoro, ai sensi dell'art. 18 dello statuto stesso.
É, questa, una delle norme dichiarate di non immediata e diretta applicabilità, in quanto l'art. 35 dello statuto ne demanda alla contrattazione collettiva la determinazione dei princìpi relativi, per quanto concerne il personale navigante delle "imprese di navigazione".
Si trasferisce, così, all'autonomia sindacale - che risulta nella materia relativamente limitata (Cass. 13 marzo 1982, n. 1651) - la determinazione dei criteri fondamentali di restituzione del "diritto al lavoro" al personale navigante, diritto esattamente definito come l'essere, che condiziona l'avere e ogni altro bene e che costituisce espressione diretta dell'articolo 4 Cost.
9. - La Corte non condivide il profilo della censura, che l'ordinanza fonda sulla violazione dell'art. 76 Cost.
L'art. 35, ultimo comma, dello statuto dei lavoratori non conferisce, invero, una delega legislativa al sindacato, ma ravvisa nel contratto collettivo il mezzo più idoneo per garantire gradualmente al personale navigante la stabilità del posto di lavoro, adattando la disciplina posta in generale dalle leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970 alla particolarità della situazione di tale personale.
Su questa base, la potestà negoziale delle organizzazioni sindacali é stata considerata da questa Corte (sent. 19 maggio 1976, n. 129 cit.) particolarmente idonea alla concreta valutazione delle esigenze proprie del settore, convalidando un indirizzo normativo che, anche di recente, é stato ritenuto strumento essenziale per la disciplina del rapporto di lavoro nautico dallo schema di disegno di legge di delega al Governo (1986) per l'emanazione del nuovo codice della navigazione (art. 6, n. 35 e n. 20 della Relazione illustrativa).
Sotto altro profilo, in relazione all'art. 3 Cost., l'ordinanza di rimessione pone in particolare rilievo la non adeguata risposta della contrattazione collettiva all'auspicato adeguamento dei princìpi dello statuto al settore nautico.
La libertà (e discrezionalità) dei sindacati di esercitare la loro autonomia normativa é stata, infatti, causa di ulteriore sperequazione tra le diverse categorie di lavoratori nautici.
10. - Rileva la Corte che dal 1976 (anno nel quale essa emanò la ricordata sentenza n. 129) la contrattazione collettiva o non é intervenuta ad eliminare, in materia di tutela reale, lo squilibrio a svantaggio dei marittimi rispetto alle altre categorie di prestatori di opere o, quando é intervenuta, non é riuscita a realizzare risultati appaganti.
Invero, non risulta venuta meno la diversità di trattamento tra marittimi iscritti e non iscritti ai sindacati. Né a questo fine ha giovato la contrattazione aziendale (applicabile, per la sua struttura, a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla iscrizione al sindacato): tale tipo di contrattazione si é esplicato in misura rilevante nel rapporto di lavoro del personale di volo, ma ha avuto trascurabile e non uniforme impiego nella navigazione marittima.
Il contratto collettivo nazionale di lavoro per i piloti di aeromobile (30 dicembre 1978) e quello per gli assistenti di volo (23 marzo 1979) non soltanto dichiarano l'applicabilità a queste categorie degli artt. 2 e 3 della l. n. 604 del 1966 (cfr. Cass. 6 aprile 1984, n. 2241), ma prevedono espressamente per esse la tutela reale attraverso la reintegrazione nel posto di lavoro, sempre che sussista la idoneità e, per i piloti comandanti, limitatamente al grado.
11. - Né può dirsi che abbia in concreto pienamente operato l'obbligo, configurato a carico delle imprese, di trattare in buona fede sul piano collettivo le condizioni per l'applicazione dello statuto, dato il non preciso contenuto di siffatto obbligo, non assistito inoltre da alcun meccanismo attuativo.
Può certamente collocarsi in questo quadro il c.d. "regolamento della continuità del rapporto di lavoro", inserito in taluni dei contratti collettivi di maggior rilievo (cfr. c.c.n.l. per imbarco su navi passeggeri superiori a 50 t.s.l., 1ø gennaio 1981, delle società p.i.n. (artt. 70-82); c.c.n.l. su navi da carico delle stesse società, superiori a 500 t.s.l. 1ø gennaio 1981 (artt. 71-83); c.c.n.l. 31 luglio 1981 (armamento libero) per imbarco su piroscafi e motonavi da carico superiori a 3.000 t.s.l. e su quelle adibite a traffici transoceanici (artt. 85-95)).
Sennonché il "regolamento della continuità", se rappresenta un passo rilevante verso la stabilità del rapporto, entro i limiti consentiti dalle peculiarità del lavoro marittimo a bordo, non può valere come generale strumento di "tutela reale". Esso é del tutto avulso dalla vicenda della invalidità ed inefficacia del licenziamento e non realizza la restituzione del lavoro al titolare illegittimamente cessato.
12. - Non é, poi, da sottacere la diversità di situazione dei lavoratori nautici determinata dagli stessi contratti collettivi di settore (come quella, ad esempio, del personale marittimo che svolge attività edilizia a bordo di mezzi nautici), a seconda che detti contratti (il cui ambito é normalmente provinciale) contengano o non la dichiarazione di applicabilità dell'art. 18 dello statuto.
Questa complessa e differenziata situazione ha avuto notevole eco sopratutto nella giurisprudenza di merito, che ha tentato di superare la sperequazione con pronunce coraggiose, ma discutibili; anch'esse hanno talora contribuito ad accentuare la disparità di trattamento (interna ed esterna) del personale marittimo navigante rispetto ad altre categorie di lavoratori, nautici e comuni.
In definitiva, la funzione mediatrice ed adeguatrice rimessa dall'art. 35 dello statuto dei lavoratori ai contratti collettivi, auspicata da questa Corte come strumento di equilibrata attuazione nella materia nautica dei princìpi dello stesso statuto, non ha avuto risposta appagante.
A più di venti anni dalla entrata in vigore della legge sul giustificato motivo di licenziamento e a poco meno dalla vigenza dello statuto dei lavoratori, non si é ridotta la disparità di trattamento tra il personale marittimo navigante e gli altri prestatori di lavoro; anzi, nell'ambito dell'intero settore nautico essa é diventata ancora più grave.
13. - L'applicabilità, innanzi riconosciuta, al personale navigante marittimo della l. n. 604 del 1966 pone alla Corte il problema della tutela reale del marittimo arruolato in termini nuovi (rispetto alla situazione oggetto della sentenza n. 129 del 1976) e, in certo senso, obbligati. Tali termini muovono dal riconoscimento di una grave e ingiustificata lacuna, origine di altrettanto grave e ingiustificata diseguaglianza di trattamento. La lacuna é determinata dall'art. 35, terzo comma, dello statuto dei lavoratori, laddove demanda ai contratti collettivi la indicazione dei princìpi di cui all'art. 18, nei confronti del personale marittimo navigante.
Anche questa norma dovrebbe appartenere alla categoria delle norme direttamente applicabili al relativo rapporto di lavoro, che é assistito - per quanto si é rilevato - dalla garanzia della giusta causa o del giusto motivo di licenziamento.
É da dichiarare, pertanto, la illegittimità, per contrasto con l'art. 3 Cost., del terzo comma dell'art. 35 della l. 20 maggio 1970, n. 300 nella parte in cui non prevede la diretta applicabilità dell'art. 18 al personale marittimo navigante delle "imprese di navigazione".
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 10 della l. 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), nella parte in cui non prevede l'applicabilità della legge stessa al personale marittimo navigante delle imprese di navigazione; dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 35, terzo comma, della l. 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nella parte in cui non prevede la diretta applicabilità al predetto personale anche dell'art. 18 della stessa legge.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 26 marzo 1987.
Il Presidente: LA PERGOLA
Il Redattore: PESCATORE
Depositata in cancelleria il 3 aprile 1987.
Il direttore della cancelleria: VITALE