SENTENZA N. 7
ANNO 1987
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 589 del codice penale promossi con tre ordinanze emesse il 7 febbraio e il 7 marzo 1985 dal Tribunale di Frosinone nei procedimenti penali a carico di Ottaviano Rocco, Santi Umberto e Mastrogiacomo Nazzarena iscritte al n. 316 del registro ordinanze 1985 e ai nn. 160 e 161 del registro ordinanze 1986 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 226-bis dell'anno 1985 e n. 30, 1a serie speciale, dell'anno 1986;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nella camera di consiglio dell'8 ottobre 1986 il giudice relatore Ugo Spagnoli;
Ritenuto in fattoCon tre distinte ordinanze, emesse rispettivamente il 7 febbraio 1985 (n. 316 r.o. 1985) ed il 7 marzo 1985 (nn. 160 e 161 r.o.1986), il Tribunale di Frosinone ha sollevato innanzi a questa Corte questione di legittimità costituzionale dell'art. 589 c.p., in riferimento al "combinato disposto" degli artt. 3, 29 e 30 della Costituzione.
Parere del giudice rimettente, irragionevolmente il legislatore avrebbe previsto un eguale trattamento - sia sotto il profilo della pena, sia sotto quello della procedibilità ex officio - per l'omicidio colposo "fra congiunti" (così l'ordinanza n. 161/1986) ovvero "fra stretti congiunti" (così le ordd. nn. 316/1985 e 160/1986), e per quello "commesso in danno di estranei".
In tutte le predette ordinanze, il giudice a quo rileva, che:
a) il delitto colposo costituirebbe, nel nostro ordinamento, una "figura eccezionale", e risulterebbe sempre punito in misura più lieve della (eventualmente) corrispondente figura criminosa dolosa;
b) l'art. 3 della Costituzione farebbe divieto, oltre che di trattare in modo diseguale situazioni eguali, anche di trattare in modo eguale situazioni diverse;
c) gli artt. 29 e 30 della Costituzione, che riconoscono la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, implicherebbero, tra i soggetti che della famiglia fanno parte, "tutela e protezione che non può non essere diversa da quella di un cittadino nei confronti di un estraneo";
d) l'art. 590 c.p., "salvo una limitata eccezione", prevederebbe sempre la punibilità a querela di parte dei reati ivi previsti, e non potrebbe dimenticarsi che "le conseguenze di una lesione gravissima possono essere anche peggiori dell'evento letale";
e) lo stesso art. 649 c.p. distinguerebbe (pur - precisa la sola ord. n. 161/86 - "con la limitazione del requisito della convivenza") fra estranei e congiunti "ai fini della punibilità" dei reati contro il patrimonio, alcuni dei quali, per di più, sanzionati con pene ben più gravi di quelle comminate per l'omicidio colposo (e non potrebbe "disconoscersi che un sintomo della gravità del reato é anche dato dalla misura della pena").
Nella prima di dette ordinanze, dopo aver così motivato in punto di non manifesta infondatezza, si osserva: "le considerazioni esposte rendono non manifestamente infondata la questione relativa al trattamento identico... tra l'omicidio colposo fra stretti congiunti, nel caso di specie marito e moglie, e quello commesso in danno di estranei...". Tale succinta descrizione dei fatti di causa, non é seguita da motivazione espressa in punto di rilevanza.
Nelle altre due ordinanze sono contenuti, quanto alla descrizione dei fatti di causa, passaggi identici a quello già testualmente riportato, con la sola differenza che l'inciso "nel caso di specie marito e moglie" é sostituito, quanto all'ord. n. 160/1986, dall'inciso "nel caso di specie figlio (imputato) e madre (deceduta)"; e quanto all'ord. n. 161/1986, dall'inciso "nella specie zia e nipote ex sorore".
In punto di rilevanza, nell'ord. n. 160/1986 si osserva che "la questione prospettata é rilevante, perché dalle prove acquisite si potrebbe pervenire ad una sentenza di condanna o, nella migliore delle ipotesi, ad una assoluzione con formula dubitativa". Considerazioni identiche, salve marginali diversità formali, sono rinvenibili nell'ord. n. 161/1986.
Nel giudizio introdotto con la prima delle menzionate ordinanze ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio, il quale, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, reclama una declaratoria di inammissibilità o, in subordine, di infondatezza della questione in oggetto.
A giudizio dell'Avvocatura dello Stato la questione de qua sarebbe inammissibile per carenza assoluta di motivazione sulla rilevanza ed insufficienza della descrizione della fattispecie concreta oggetto del giudizio principale. Risulterebbe, poi, comunque infondata perché la tutela della famiglia non richiederebbe certo un minor rigore del trattamento del reato di omicidio colposo commesso in danno di congiunti rispetto a quello del reato commesso in danno di estranei. Al contrario, l'attuale sistema penale risulterebbe ispirato all'opposto principio dell'inasprimento delle pene nei casi di reati "consumati in danno di familiari" (vengono citati gli artt. 576, 577 e 583 c.p.), né potrebbe indurre a rompere tale principio la natura - colpa, anziché dolo - dell'elemento psicologico del reato di cui alla norma impugnata. L'impostazione accolta dal giudice a quo, infine, porterebbe all'assurda conseguenza che, venendo meno nel caso di omicidio colposo la persona offesa dal reato (sola titolare, ex art. 120 c.p., del diritto di querela), si "renderebbe praticamente inoperante ogni seguito penale alla vicenda".
Considerato in diritto1. - Le ordinanze di rimessione del Tribunale di Frosinone iscritte ai nn. 316 r.o. 1985, 160 e 161 r.o. 1986, propongono questioni di legittimità costituzionale sostanzialmente identiche. I tre giudizi possono perciò essere riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Il giudice rimettente dubita che l'art. 589 c.p., che prevede e punisce il reato di omicidio colposo, sia costituzionalmente illegittimo, in riferimento al combinato disposto degli artt. 3, 29 e 30 Cost. Ciò in quanto irragionevolmente, nella norma risultante dal predetto articolo, sarebbe previsto un eguale trattamento - sia sotto il profilo della pena che sotto quello dell'impulso processuale richiesto per l'azione penale - per l'omicidio colposo in danno di congiunti (così l'ordinanza n. 161/1986) o di stretti congiunti (così le ordinanze 316/85 e 160/86) e per quello commesso in danno di estranei. Così facendo il legislatore avrebbe violato l'art. 3 Cost., trattando in modo eguale situazioni diseguali, ed avrebbe altresì inciso sugli artt. 29 e 30 Cost., che - specie per effetto del riconoscimento della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio - richiederebbero una tutela e una protezione nei confronti degli atti illeciti commessi da congiunti che non potrebbe non essere diversa da quella che va assicurata ad ogni cittadino nei confronti degli atti illeciti commessi da un estraneo. Il giudice rimettente, a sostegno del dubbio di legittimità costituzionale così sollevato, ricorda che il codice penale già prevede, all'art. 649 c.p., un diverso trattamento per i reati contro il patrimonio (alcuni dei quali puniti in misura più grave di quanto non sia l'omicidio colposo) allorché essi siano stati commessi nei confronti di congiunti; e fa riferimento alla perseguibilità a querela prevista, dall'art. 590 dello stesso c.p., per il reato di lesioni colpose, che a giudizio del Tribunale rimettente potrebbe produrre conseguenze anche più gravi dell'evento letale.
3. - Nella descrizione dei fatti oggetto dei giudizi principali, il Tribunale di Frosinone si limita a segnalare - nell'ambito di un inciso facente parte di un periodo più ampio - che vittima e autori degli stessi erano stati - nei casi di specie - "marito e moglie", "figlio (imputato) e madre (deceduta)", "zia e nipote ex sorore". Apodittica, se non assente, parrebbe altresì la motivazione della rilevanza. Di qui l'eccezione, sollevata dalla Avvocatura dello Stato, di inammissibilità della questione de qua per carenza assoluta di motivazione ed insufficienza della descrizione della fattispecie concreta oggetto del giudizio principale. Tale eccezione va peraltro respinta, in quanto nel caso di specie (v. anche la sent. di questa Corte n. 46 del 1970) é possibile ritenere sufficiente, ai fini dell'accertamento della sussistenza del requisito della rilevanza, che dalle ordinanze risulti il fatto dell'avvenuta sottoposizione a giudizio per il reato in ordine al quale la questione é stata sollevata e che dai dati attinenti alla fattispecie (qui, omicidio colposo nei confronti di congiunti) si desuma in concreto l'influenza che nel giudizio principale discenderebbe dalla risoluzione della dedotta questione di legittimità costituzionale.
4. - Nel merito, la questione é infondata.
É opportuno esaminare separatamente, nonostante la identica ispirazione, i due profili sui quali si impernia il dubbio del giudice rimettente. Per quanto anzitutto riguarda la censura relativa alla mancata previsione - nell'ambito della generale disciplina del reato di omicidio colposo - d'una diversa e meno grave sanzione per il reato commesso nei confronti di congiunti rispetto a quello commesso nei confronti di estranei, va richiamata la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, in materia di configurazione di fattispecie criminose, spetta al legislatore apprezzare discrezionalmente parità o disparità di situazioni, sì che solo la manifesta irragionevolezza di tale apprezzamento può essere dal giudice costituzionale censurata in sede di controllo di legittimità (da ultimo, sent. n.171 del 1986).
Nella specie non é ravvisabile alcuna irragionevolezza nella scelta del legislatore di non prevedere né una diversa pena edittale né una speciale attenuante nel caso di omicidio colposo in danno d'un congiunto.
La norma che punisce "chiunque cagiona per colpa la morte di una persona" tutela il bene supremo della vita umana. La protezione giuridica predisposta dalla norma impugnata specificamente nei confronti di comportamenti qualificati come colposi, trova la sua ragione nei diffusi rischi cui la vita della persona é esposta a causa di detti comportamenti, che tuttora determinano - nonostante il ricorso a varie forme e strumenti di prevenzione - un numero elevatissimo di vittime. Il particolare valore del bene protetto comporta quindi l'esigenza di una tutela assoluta, che non può tenere in alcuna considerazione - ai fini del trattamento sanzionatorio - l'eventuale rapporto di parentela, di coniugio o di affinità tra l'autore e la vittima del reato.
Va poi rilevato che l'ordinamento protegge la vita umana non solo nell'interesse della persona ma anche in quello della collettività e delle formazioni sociali - come la famiglia - in cui l'uomo opera e svolge la sua personalità. La tutela della famiglia si realizza - in primo luogo - nella salvaguardia della vita dei suoi componenti, anche in considerazione dell'interesse generale all'adempimento dei doveri ed all'assolvimento dei compiti e delle funzioni che essi sono chiamati, dalla stessa Costituzione, a svolgere. Proprio tale tutela, allora, richiede che non vi sia affatto minor rigore, o siano previste più lievi sanzioni, allorché il bene della vita di uno dei membri della famiglia sia leso da atti, pur meramente colposi, commessi da un altro componente della stessa. Del resto, nei reati dolosi contro la persona (l'omicidio e le lesioni) le pene sono addirittura inasprite ove essi siano commessi in danno di un familiare. E se la diversità dell'elemento psicologico del reato - colpa anziché dolo - giustifica che l'inasprimento della pena non si preveda nel caso di reati colposi, é allo stesso tempo perfettamente razionale che per questi non si sia avuta una radicale inversione di scelta, tale da portare all'attenuazione della pena. Il minore rigore della sanzione non potrebbe infatti non assumere il significato di una affievolita considerazione dei rischi che discendono per la vita dei familiari da comportamenti negligenti o imprudenti o in generale colposi, rischi che invece sono particolarmente preoccupanti in ragione delle occasioni e di situazioni - connesse alla vita familiare - da cui possono derivare. I rapporti esistenti con la persona colpita e le conseguenze molteplici - soprattutto affettive - che da un reato colposo commesso nei confronti di un congiunto possono derivare, non giustificano affatto, a livello di previsione edittale, quella minor protezione del bene della vita che si avrebbe con l'indebolita previsione derivante da un affievolito trattamento sanzionatorio degli atti che lo ledono. Tanto più, va ricordato, che il giudice chiamato alla valutazione di tali atti, ben potrà tener conto dell'esistenza di un rapporto di parentela fra vittima e reo in sede di applicazione della pena, che potrà essere opportunamente graduata entro i generali limiti edittali.
5. - Le considerazioni ora formulate per quanto riguarda l'entità della pena valgono altresì a dimostrare l'infondatezza dell'altro dubbio espresso nella ordinanza di rimessione, che vorrebbe violati il principio di eguaglianza e le norme costituzionali poste a tutela della famiglia, in ragione della mancata previsione della procedibilità a querela del reato di omicidio colposo nel caso in cui questo sia stato commesso nei confronti di un congiunto. Invero, la perseguibilità di un reato a querela - che costituisce nel nostro ordinamento una deroga al principio della obbligatorietà dell'azione penale - risponde in genere ad un criterio di politica criminale, per il quale il legislatore - per esigenze diverse, spesso, pur se non necessariamente, connesse alla minor gravità degli illeciti (v. sent. n. 216 del 1974) - subordina l'interesse generale alla persecuzione degli illeciti penali alle determinazioni delle parti private offese, in relazione all'eventuale interesse allo svolgimento dell'azione penale. Trattasi di scelta discrezionale, insindacabile dal giudice costituzionale ove non sia affetta da manifesta irrazionalità (sent. n. 46 del 1970).
Per valutare le scelte del legislatore, é opportuno anzitutto rilevare che questi, con la legge 24 novembre 1981 n. 689, ha ampliato sensibilmente l'arco dei reati la cui persecuzione viene rimessa all'impulso di parte, anche in ragione dell'esigenza di diminuire l'incidenza dei processi per taluni reati meno gravi sul complessivo, già intollerabile carico della giustizia penale.
Nell'ambito di questa rilevante riforma, nella quale é stata subordinata alla querela di parte - con significative eccezioni - la procedibilità per i reati di lesione colposa, é stata ritenuta intangibile la procedibilità d'ufficio per il reato di omicidio colposo - da chiunque commesso - in considerazione della rilevanza del bene offeso dal reato: bene che possiede un valore che per la persona é assoluto e comunque certamente superiore a quello della stessa integrità fisica, quale che sia la gravità delle conseguenze che dalla lesione di questa possono derivare.
La scelta dal legislatore espressa nell'art. 589 c.p., e mantenuta ferma nella l. n. 689 del 1981, é dunque tutt'altro che irrazionale. Si consideri del resto che la sottoposizione a querela della procedibilità del reato di omicidio colposo commesso in danno di congiunti si tradurrebbe in una - inammissibile - sostanziale immunità per gli autori di tale reato: infatti il decesso del titolare del diritto di querela (che ha natura personalissima ed é intrasmissibile agli eredi salvi i pochi casi espressamente previsti dalla legge) renderebbe, nella generalità dei casi, non esercitabile tale diritto e quindi imperseguibile il reato.
Né, a favore della necessaria procedibilità a querela del reato di omicidio colposo in danno di congiunti, potrebbe invocarsi l'art. 649 c.p., che prevede la non punibilità o la perseguibilità a querela di taluni reati contro il patrimonio - alcuni dei quali puniti più gravemente dell'omicidio colposo - commessi in danno di congiunti. La diversità dei beni tutelati e la indiscutibile preminenza del valore del bene della vita legittimano infatti la diversa disciplina dettata dalle norme sull'omicidio colposo rispetto a quella prevista da norme che tutelano altri interessi. D'altro canto, la particolare disciplina stabilita per buona parte dei reati contro il patrimonio commessi in danno di congiunti discende secondo la relazione al codice penale - dalla considerazione per cui essi non desterebbero allarme sociale e non assumerebbero aspetti di pericolosità tali da giustificare l'incriminazione, mentre, secondo altre opinioni, il trattamento di favore sarebbe suggerito dall'esigenza di proteggere l'onore della famiglia: e certamente nessuna di queste considerazioni può valere per reati che - sia pur colposi - colpiscono la vita delle persone.
Va infine rigettato l'argomento secondo il quale la perseguibilità a querela del reato di omicidio colposo di un congiunto sarebbe strumento più idoneo a tutelare l'unità della famiglia e l'autonomia discendente dal suo riconoscimento - ex art. 29 Cost. - quale società naturale.
Anzitutto, tale argomento presupporrebbe il superamento della critica avanzata in precedenza, secondo la quale la previsione della perseguibilità a querela condurrebbe ad una sostanziale impunità degli autori del reato di omicidio colposo in danno di congiunti.
Esso, comunque, é intrinsecamente inconsistente.
Da un lato, infatti, la previsione della perseguibilità a querela aggraverebbe, anziché lenire, le tensioni all'interno dell'ambiente familiare susseguenti all'evento letale: la scelta di proporre o meno querela porrebbe l'eventuale titolare del relativo diritto di fronte ad una alternativa drammatica, ed ancor più drammatica sarebbe la potenziale compromissione della unità della famiglia una volta che si fosse optato per la soluzione affermativa.
Dall'altro, l'interesse alla protezione dell'unità della famiglia non può comunque essere considerato tanto centrale ed assorbente da consentire il sacrificio del confliggente interesse dello Stato a perseguire e punire atti gravemente lesivi della civile convivenza (v. ancora la sent. n. 46 del 1970), quali sono senza dubbio soprattutto quelli che arrecano danno ad un bene di primaria importanza quale il bene della vita (da ultimo, sent. n. 132 del 1985).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 589 c.p., sollevata in riferimento agli artt. 3, 29 e 30 della Costituzione dal Tribunale di Frosinone con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 1987.
Il Presidente: LA PERGOLA
Il redattore: SPAGNOLI
Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1987.
Il direttore della cancelleria: VITALE
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