SENTENZA N. 216
ANNO 1974
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 542, secondo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 6 giugno 1972 dal pretore di Siracusa nel procedimento penale a carico di Sirugo Paolo, iscritta al n. 257 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 240 del 13 settembre 1972.
Udito nella camera di consiglio del 30 maggio 1974 il Giudice relatore Ercole Rocchetti.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza emessa il 6 giugno 1972, nel procedimento penale a carico di Sirugo Paolo, imputato dei delitti di corruzione di minorenni e sottrazione consensuale di minori, il pretore di Siracusa ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 542, secondo comma del codice penale che, per i delitti contro la libertà sessuale e per il reato di corruzione di minorenni, stabilisce che la querela proposta dall'offeso é irrevocabile.
Secondo il giudice a quo la norma impugnata, che costituisce eccezione al principio generale della remissibilità della querela, si pone in contrasto "non solo con il principio di eguaglianza, sancito dall'art. 3 della Costituzione, ma anche con il principio di ragionevolezza che del primo costituisce l'evidente corollario".
Al riguardo il pretore di Siracusa ritiene che i reati contro la libertà sessuale non presentino assolutamente caratteristiche tali da giustificare un trattamento differenziato in ordine all'istituto della remissione della querela, perché la pretesa immoralità del principio della revocabilità della querela e la pubblicità inerente al processo verificatasi dopo la presentazione della querela, non costituiscono un razionale e solido fondamento della speciale regolamentazione sancita dal secondo comma dell'art. 542 del codice penale.
Nel giudizio dinanzi a questa Corte nessuna delle parti si é costituita né é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri: la causa pertanto viene decisa in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, primo comma, delle Norme integrative.
Considerato in diritto
1. - Viene proposta alla Corte questione di legittimità costituzionale dell'art. 542, secondo comma, del codice penale, il quale dispone che la querela proposta per i delitti contro la libertà sessuale (artt. 519 - 526 c.p.) é irrevocabile. Secondo il giudice a quo, la norma in esame violerebbe l'art. 3 della Costituzione perché distinguerebbe tali delitti dagli altri reati punibili a querela di parte, sulla base di ragioni prive di intrinseca consistenza. In particolare, lo stesso giudice ritiene che l'attribuzione alla persona offesa del potere di condizionare il promovimento dell'azione penale non possa non implicare l'attribuzione alla stessa persona del potere di decidere, "dopo una più matura e ponderata riflessione", se sia opportuno revocare la querela o quanto meno di valutare quando la pubblicità inerente al processo cominci a nuocerle. Più razionale, al riguardo, dovrebbe perciò considerarsi la disciplina del codice penale del 1889, che all'art. 336 consentiva la remissione della querela sino all'apertura del dibattimento.
2. - La questione non é fondata.
Osserva la Corte, in via preliminare, che l'istituto della querela, nel vigente ordinamento, non é stato disciplinato dal legislatore per tutelare situazioni e interessi omogenei noto, infatti, che la deroga al principio generale della perseguibilità d'ufficio dei reati risponde a differenti esigenze e a diversi criteri di politica criminale: nella maggior parte dei casi, la perseguibilità a querela della persona offesa é stata prevista per reati di lieve entità, in considerazione della tenuità dell'interesse pubblico all'esercizio dell'azione penale; in altri casi, invece, come nei delitti contro la libertà sessuale, che, di regola, sono reati particolarmente gravi, il legislatore, nonostante la sussistenza di un rilevante interesse pubblico, ha ritenuto di lasciare al soggetto passivo, in ordine a fatti che lo toccano profondamente nella vita privata, la valutazione della opportunità del procedimento giurisdizionale.
Sulla base della differente gravità dei reati, il contemperamento fra interesse pubblico e interesse privato comporta, per i reati previsti nella norma impugnata, la perseguibilità a querela e il divieto di remissione della querela stessa.
3. - Alla stregua delle considerazioni che precedono, risultano prive di consistenza le censure rivolte dal giudice a quo alla norma impugnata.
E opportuno innanzi tutto precisare che i rilievi contenuti nella Relazione ministeriale secondo cui "la irrevocabilità fu stabilita allo scopo di evitare turpi accomodamenti e ripugnanti estorsioni" si spiegano proprio in relazione alla gravità dei reati, richiamati nell'art. 542, con la conseguenza che la disposizione del secondo comma, lungi dall'apparire una deroga al c.d. principio della remissione della querela, risulta aderente alle esigenze tutelate dalla norma e trova la sua giustificazione nell'interesse pubblico di evitare che il promovimento della azione penale possa essere strumentalizzato, o comunque subordinato, ai fini diversi da quelli perseguiti dall'ordinamento.
4. - Neppure risulta fondata la critica all'ulteriore giustificazione, posta comunemente a fondamento della irrevocabilità, relativa alla pubblicità inerente al processo. Ed invero, se il fondamento dell'istituto della querela, per i reati previsti dall'art. 542 c.p., va ravvisato nella opportunità di lasciare all'interessato la facoltà di evitare la pubblicità derivante dal processo, é evidente che la ragione di riservatezza, alla cui tutela é stata sacrificata l'iniziativa pubblica dell'azione punitiva, viene meno quando, in seguito alla proposizione della querela, il fatto acquista un carattere di pubblicità che prima non aveva.
Né può avere rilevanza la circostanza che la pubblicità di cui si tratta si verifica per gradi e con intensità variabile, perché ciò che conta é il contributo alla conoscenza del fatto che la parte offesa é costretta a fornire se non vuole rinunciare alla punizione del colpevole.
Ora, é evidente che, anche da questo punto di vista, la gravità dei reati, cui fa riferimento la norma impugnata, ha indotto il legislatore a limitare la rilevanza dell'interesse privato al momento della scelta tra l'interesse alla riservatezza e l'interesse alla punizione del colpevole.
Pertanto, la soluzione accolta dal legislatore, nella sua discrezionalità, non contrasta con il principio di eguaglianza sia perché, come si é detto, la fattispecie legislativa risulta oggettivamente differenziata dai casi in cui la remissione della querela é ordinariamente ammessa, sia perché la irrevocabilità trova una adeguata e logica giustificazione nel rilevante interesse pubblico alla repressione di questo tipo di reato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 542, secondo comma, del codice penale, sollevata con ordinanza del 6 giugno 1972 dal pretore di Siracusa, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1974.
Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 9 luglio 1974.