Sentenza n.350 del 1985

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SENTENZA N. 350

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 53, 54, 77 e 78 legge 24 novembre 1981 n. 689 (Modifiche al sistema penale) promossi con ordinanze emesse il 1 dicembre 1982 dal Pretore di Fermo, il 20 gennaio 1983 dal Pretore di Dolo, il 17 gennaio 1983 dal Pretore di Genova, il 24 marzo 1983 dal Pretore di Oristano, il 12 aprile 1983 dal Pretore di Adria, il 4 marzo 1983 dal Pretore di Gubbio, il 6 maggio 1983 dal Pretore di La Spezia (n. 2 ordd.), il 31 gennaio 1983 dal Pretore di Milano, il 30 settembre 1983 dal Pretore di La Spezia, il 17 ottobre 1983 dal Pretore di Poggibonsi, il 29 settembre 1983 dal Pretore di Arezzo, il 28 ottobre 1983 dal Pretore di La Spezia, il 29 novembre 1983 dal Pretore di Assisi, il 1 dicembre 1983 dal Pretore di Rovereto, il 15 novembre 1983 dal Pretore di Assisi, il 31 ottobre 1983 dal Pretore di Poggibonsi, il 21 ottobre 1983 dal Pretore di Bergamo, l'11 novembre 1983 dal Pretore di Gubbio, il 22 novembre 1983 dal Pretore di Vigevano, il 30 gennaio 1984 dal Pretore di Poggibonsi, il 31 gennaio 1984 dal Pretore di Assisi, il 27 gennaio 1984 dal Tribunale di Modena, il 14 febbraio 1984 dal Pretore di La Spezia (n. 2 ordd.), il 13 marzo 1984 dal Pretore di La Spezia, il 28 aprile 1984 dal Pretore di Livorno, il 5 marzo 1984 dal Pretore di Poggibonsi, il 26 marzo 1984 dal Pretore di Frattamaggiore (n. 2 ordd.), il 17 aprile 1984 dal Pretore di La Spezia, il 7 maggio 1984 dal Pretore di Poggibonsi, il 27 aprile 1984 dal Pretore di Asti, il 10 maggio 1984 dal Pretore di Narni (n. 2 ordd.), il 14 maggio 1984 dal Pretore di Frattamaggiore, il 25 maggio 1984 dal Pretore di La Spezia, il 21 maggio 1984 dal Pretore di Poggibonsi, il 28 maggio 1984 dal Pretore di Frattamaggiore, il 10 aprile 1984 dal Pretore di Adria, il 25 ottobre 1983 dal Pretore di Adria, il 22 maggio 1984 dal Tribunale di La Spezia, il 15 giugno 1984 dal Pretore di Castelfranco Veneto, il 24 marzo 1984 dalla Corte di cassazione (n. 2 ordd.), il 14 giugno 1984 dal Pretore di Dolo, il 28 gennaio 1984 dal Pretore di Pergine Valsugana, il 23 ottobre 1984 dal Pretore di Chioggia (n. 2 ordd.), il 26 ottobre 1984 dal Pretore di La Spezia, il 5 novembre 1984 dal Pretore di Castel Baronia, il 27 novembre 1984 dal Pretore di La Spezia, il 17 novembre 1984 dal Pretore di Mirabella Eclano, iscritte rispettivamente ai nn. 68, 220, 309, 492, 498, 527, 562, 563, 571, 981, 991, 1026, 1052 del registro ordinanze 1983, 2, 44, 46, 60, 72, 162, 281, 321, 356, 418, 467, 468, 499, 518, 522, 560, 561, 832, 867, 868, 890, 891, 892, 894, 944, 960, 961, 995, 1008, 1089, 1145, 1146, 1174, 1204, 1281, 1282, 1308 del registro ordinanze 1984, 15, 21 e 139 del registro ordinanze 1985 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 184, 232, 239, 301, 308, 322 del 1983, 4, 102, 88, 95, 155, 141, 162, 204, 245, 252, 266, 231, 273, 307, 354 del 1984, 7 bis, 2 bis, 13 bis, 19 bis, 34 bis, 32 bis, 25 bis, 56 bis, 59 bis, 65 bis, 74 bis, 113 bis, 119 bis, 125 bis e 143 bis del 1985.

Visti gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 novembre 1985 il Giudice relatore Ettore Gallo;

udito l'Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con le cinquantatré ordinanze riportate in epigrafe, le Autorità giudiziarie ivi indicate hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 77 della legge 24 novembre 1981 n. 689 (anche in riferimento all'art. 53 della stessa legge), in quanto non consente l'applicabilità delle sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato quando per il reato é prevista una pena detentiva congiunta a quella pecuniaria. Tutte le ordinanze fanno riferimento all'art. 3 Cost., ma talune anche all'art. 24 o all'art. 27 Cost..

Per i giudici rimettenti la particolare procedura in esame é riservata esclusivamente agli autori di reati previsti con la sola pena detentiva. In particolare, le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione, nelle due ordinanze datate 24 marzo 1984, nn. 1145 e 1146, hanno correttamente rilevato che la limitata area di applicazione dell'art. 77 della legge si desume sia dal dato testuale che dalla collocazione sistematica della norma: indicazioni queste assolutamente preclusive di qualsiasi possibilità di sostituire la pena pecuniaria. Ma poiché - ad avviso delle Sezioni Unite - il meccanismo delle sanzioni sostitutive, attraverso cui si consegue l'effetto estintivo del reato, deve necessariamente investire integralmente la pena principale nella sua composita ma unitaria struttura, l'art. 77 é inapplicabile anche ai reati puniti con pena detentiva congiunta a quella pecuniaria "per la semplice ragione che la pena pecuniaria (componente essenziale della sanzione complessa) non é sostituibile".

2. - Le stesse Sezioni Unite penali, così come altri giudici dei cinquantatré rimettenti, si davano poi carico di prendere in esame le tre soluzioni proposte da una certa parte della dottrina e della giurisprudenza nell'intento di superare le referite difficoltà attraverso la via interpretativa: tutte, però, venivano definite prive di pregio giuridico.

Disattesa subito, intanto, la tesi di chi ritiene che, nel caso di pena congiunta, il giudice debba semplicemente astenersi dall'irrogare la pena pecuniaria; sia perché - si sostiene - ciò presume apoditticamente che i reati a pena congiunta sieno ricompresi nella previsione normativa, sia perché poi ciò comporterebbe soprattutto violazione del principio di legalità e obbligatorietà della pena, sulla indimostrata presunzione di una rinunzia del legislatore all'applicazione di quella pecuniaria.

Nemmeno, però, - sempre ad autorevole avviso delle Sezioni Unite penali - può essere condivisa la tesi che sostiene una regolare applicazione della pena pecuniaria principale da affiancarsi alle sanzioni sostitutive di quella detentiva. Per tal modo, infatti, si verrebbe a dar vita ad un contraddittorio provvedimento del giudice che contestualmente dichiarerebbe la estinzione del reato e tuttavia condannerebbe a pena pecuniaria per un reato estinto: per di più determinerebbe ulteriori situazioni abnormi, come l'irrogazione di una condanna in fase istruttoria o predibattimentale e l'ineseguibilità della pena pecuniaria che resterebbe, comunque, travolta dall'estinzione del reato.

La Corte di cassazione, però, non é favorevole nemmeno al proposto ragguaglio (sia pure ai soli fini della sostituzione) della pena pecuniaria a quella detentiva sulla base dell'art. 135 cod. pen., da cui procedere poi alla sostituzione dell'unica pena detentiva così ottenuta. Ritiene, infatti, la Corte di cassazione che quel ragguaglio sia operabile esclusivamente rispetto agli effetti previsti dal legislatore: si tratterebbe, cioé, di una fictio iuris cui l'interprete non può fare ricorso senza un riferimento normativo che la giustifichi. Esclusa, quindi, la possibilità di risolvere la questione in via interpretativa, ritengono le Sezioni Unite che una siffatta situazione determini una disparità di trattamento fra coloro che possono beneficiare della sostituzione e quelli che ne sono privati per il solo fatto della presenza congiunta di una modesta pena pecuniaria, dato che per ambo le situazioni vale la ratio che domina l'istituto: evitare la sanzione detentiva di breve durata.

Per verità, questa motivazione in punto di non manifesta infondatezza della sollevata questione é integrata dai rilievi dei giudici di merito i quali, comparando una serie di reati, dimostrano che la presenza di una modesta pena pecuniaria congiunta a quella detentiva non é significativa di maggior gravità del reato rispetto a quelli puniti con sola pena detentiva: l'aggiunta, infatti, di una sanzione pecuniaria sottolinea di norma soltanto un certo carattere dell'offesa, ispirata anche da motivi di lucro.

3. - Le ordinanze successive alla sentenza n. 148/1984 di questa Corte, poi, (cfr. fra le altre, quelle del Pretore di Chioggia) rilevando che la maggioranza della magistratura di merito, ed ora anche le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione, si sono trovate concordi con la linea interpretativa della Corte costituzionale in punto di sostituibilità della pena pecuniaria, fanno osservare che questa Corte non si é invece, finora espressa riguardo alla questione ora sollevata, essendo stata questa esplicitamente esclusa dall'ambito di quella sentenza.

Come si é accennato, alcuni giudici fanno anche riferimento all'art. 27 Cost., lamentando, nei casi di specie, la violazione delle finalità rieducative della pena a causa della mancata previsione della sua sostituibilità. Mentre - come pure si é detto - isolate ordinanze (cfr. quelle del Pretore di Poggibonsi), sempre in aggiunta alla denunzia del principio di uguaglianza, fanno anche riferimento a quello di cui all'art. 24 Cost. lamentando, ma senza alcuna motivazione, la violazione del diritto sostanziale di difesa.

Infine, il Pretore di Asti, con ord. 27 aprile 1984 n. 868, impugna l'istituto stesso della sostituibilità della pena detentiva, nella parte in cui prevede l'estinzione del reato in quanto - con riferimento al principio di uguaglianza - rappresenterebbe un ingiustificato beneficio a favore di taluni imputati, con discriminazione degli autori di reati puniti con pena detentiva congiunta a pena pecuniaria.

4. - Le ordinanze sono state ritualmente notificate, comunicate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale. É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato. Per le ordinanze antecedenti alla citata sent. n. 148/1984 di questa Corte, l'Avvocatura ha concluso per una sentenza interpretativa di rigetto, ritenendo applicabile l'art. 77 della legge anche alle ipotesi in esame attraverso un procedimento di interpretazione o estensiva o addirittura analogica.

Per quelle, invece, successive alla richiamata sentenza, l'Avvocatura richiede una pronunzia di inammissibilità della questione.

 

Considerato in diritto

 

1. - Tutte le ordinanze di rimessione impugnano la stessa norma, lamentando che essa non consenta di sostituire la pena detentiva a richiesta dell'imputato, se non quando essa sia prevista da sola o in via alternativa a pena pecuniaria, ma non quando sia comminata congiuntamente a quest'ultima. Tutte sollevano la questione con riferimento al comune parametro di cui all'art. 3 Cost., anche se poi alcune fanno altresì riferimento all'art. 24 o altre all'art. 27 Cost..

É, perciò, opportuno procedere alla riunione dei giudizi allo scopo di decidere con unica sentenza.

2. - Una sola ordinanza, quella 27 aprile 1984 n. 868 del Pretore di Asti, investe, come tale, lo stesso istituto della sostituibilità della pena detentiva, che é visto come ingiustificato privilegio rispetto alle altre ipotesi non sostituibili (pena pecuniaria, sola o congiunta a pena detentiva).

Ma si tratta di questione palesemente irrilevante ex actis, in quanto una pronunzia che annullasse - come si richiede - la denunziata disposizione non avrebbe alcuna influenza sul processo cui l'incidente si riferisce. L'art. 77 della legge, infatti, non potrebbe, in tal caso, essere più applicato in assoluto, esattamente come, attualmente, il Pretore lo giudica comunque inapplicabile al caso di specie.

Ciò dipende dal fatto che il giudice non chiede l'estensione della procedura anche al caso sottoposto al suo esame, ma vuole che essa venga esclusa anche per coloro che attualmente ne godono. E ciò, peraltro, a prescindere dal fatto che il giudice non ha nemmeno risolto il suo dubbio sulla pena che dovrà irrogare.

Così proposta, la questione é manifestamente inammissibile.

3. - Osservano i giudici rimettenti che il solo fatto di una modesta pena pecuniaria, che si aggiunge nella previsione edittale a quella detentiva, non é di per se stesso significativo di un più grave disvalore del fatto di reato, rispetto a molti altri sanzionati con la sola pena detentiva. Ed é bene chiarire che, correttamente si parla di "modesta" pena pecuniaria, con riferimento a quel ragguaglio di cui all'art. 135 cod. pen. che, contestato allo stato della legislazione ai fini della sostituibilità della composita pena in esame (come si é detto in narrativa), trova, invece, precisi riferimenti nel sistema ogni qualvolta il legislatore fa dipendere da un determinato ammontare complessivo della pena l'astratta possibilità di applicazione di taluni istituti (sospensione condizionale della pena - assoggettabilità a taluni provvedimenti restrittivi della libertà personale - possibilità di concedere la libertà provvisoria - ammissibilità di misure sostitutive in sede esecutiva etc.). Ne deriva che qualunque indagine, diretta a stabilire la ragionevolezza della sostituibilità anche delle pene detentive congiunte a quella pecuniaria, ha comunque quale premessa indefettibile che si tratti di una pena pecuniaria che, unita a quella detentiva, non abbia a superare in concreto e nel complesso il limite di mesi tre oppure di un mese, stabilito dal secondo inciso del primo comma dell'art. 53 della legge (cui rimanda l'art. 77), a seconda che la sostituzione debba avvenire con libertà controllata o con pena pecuniaria.

Entro questi limiti, pertanto, non può esservi dubbio che - come lamentano le ordinanze di rimessione - se deve ritenersi che il legislatore non consenta la possibilità di sostituire la pena detentiva quando sia congiunta a pena pecuniaria, si verifichi una disparità di trattamento rispetto agli autori di reati, anche più gravi, puniti con sola pena detentiva: disparità resa evidente dal rilievo secondo cui - scontata la modestia (e quindi la scarsa rilevanza in punto di maggiore gravità) della pena pecuniaria - la componente detentiva residua ha sicuramente quel carattere di brevità che ha ispirato la concezione degli istituti di cui agli artt. 53 e 77 della legge.

4. - In realtà, le cinquantatré ordinanze in epigrafe, ivi comprese le due delle Sezioni Unite penali della Corte di cassazione, partono dalla premessa che, nel sistema e nel dettato della legge, la pena pecuniaria non possa essere in alcun caso e in nessun modo sostituibile.

Va notato che ben quarantanove delle predette ordinanze (Sezione Unite comprese) sono antecedenti alla pubblicazione della sentenza n. 148/1984 di questa Corte, che ha espresso identico pensiero, escludendo ogni possibilità di risolvere la questione in via interpretativa.

Ma tutte le citate ordinanze, ampliando il campo delle preclusioni, assumono anche che uguale sorte tocchi, nell'ambito dell'art. 77 della legge, alla pena detentiva quando sia congiunta a pena pecuniaria, proprio perché, trattandosi di pena complessa, l'insostituibilità di una delle sue componenti renderebbe impossibile l'intera operazione.

Tale indirizzo costituisce diritto vivente, particolarmente per l'intervento delle due ordinanze delle Sezioni Unite penali che, con ampia motivazione, hanno preso in esame le varie tesi che giurisprudenza e dottrina avevano adombrate nell'intento di superare le difficoltà di ordine letterale e sistematico.

La Corte, perciò, non può che prendere atto che il diritto vivente esclude la possibilità di dare soluzione al problema sul piano interpretativo.

5. - É nella costante giurisprudenza di questa Corte, però, il principio secondo cui spetta alla autorità rimettente individuare l'oggetto del giudizio, in guisa da circoscrivere in termini precisi l'incidente di legittimità costituzionale. L'osservanza di tale requisito si modella in vario modo a seconda della questione sollevata dal giudice a quo. Talché, ad esempio, l'esigenza é stata ritenuta insoddisfatta quando all'esame di legittimità, si prospetti in via alternativa l'applicazione della norma denunziata (sent. 146/85), ovvero sia stato portato un coacervo normativo con diversi precetti autonomi campi di operatività (cfr. sent. 81/83) ovvero vengano proposte questioni con un'antinomia di letture interpretative impugnate così radicale da rendere ancipite il thema decidendi (sent. 169/1983).

In particolare quando, come nella specie, si invochi un intervento additivo, e cioé un novum da introdurre nell'ordinamento, questa Corte ha richiesto che il giudice a quo prospetti la soluzione idonea a realizzarlo (cfr. sent. 296/84 e 230/85): soluzione che, in questo caso, rappresenta l'indicazione normativa necessaria ad ancorare il giudizio ad un oggetto determinato.

Orbene siffatta indicazione, nella specie, o manca del tutto o é insufficiente nelle pur numerose ordinanze di rimessione, che si limitano in genere a descrivere il profilo di illegittimità costituzionale, ma non individuano in qual modo a questa carenza si potrebbe porre rimedio con una statuizione che per di più si dovrebbe palesare costituzionalmente obbligata (cfr., tra le altre, sentenze nn. 141, 234, 242, 294/84).

Vero é che talune ordinanze sembrano accennare in positivo una soluzione additiva. Ma si tratta proprio di quei filoni interpretativi che le Sezioni Unite della Cassazione hanno respinto sulla base di precise argomentazioni sistematiche; le soluzioni da essi proposte, non sarebbero, comunque, strettamente obbligate e perciò risulterebbero di pertinenza del legislatore più che del giudice di legittimità costituzionale (cfr. sent. n. 232 del 1984; n. 141/84; e 103/84): per taluna di esse, anzi, la Cassazione ha adombrato anche qualche dubbio di legittimità costituzionale.

6. - Purtroppo tante difficoltà e così gravi incertezze dipendono dalla singolare vicenda parlamentare che la legge ha avuto proprio riguardo al cosidetto "patteggiamento".

Nella sua originaria concezione, così come lo aveva formulato il comitato ristretto della Camera dei deputati, l'art. 52 bis del progetto (l'attuale 77) parlava di applicazione (a richiesta dell'imputato) di "misura corrispondente alla sanzione stessa, mediante sentenza non impugnabile colla quale (il giudice) dichiara l'estinzione del reato". Non si trattava, perciò, di sanzione penale, e la sentenza aveva senza dubbio, nel pensiero dei primi compilatori, carattere di proscioglimento.

Ma, a seguito dei rilievi della Commissione affari costituzionali, che ritenne improponibile in tema di provvedimenti limitativi della libertà personale, un sistema analogo a quello della oblazione, l'art. 52 bis venne modificato coll'introduzione dei brevi accertamenti e colla sostituzione dell'espressione "sanzione" a quella di "misura".

A fronte di tale modificazione, la Commissione giustizia del Senato (rel. Valiante) giudicò a quel punto contraddittoria la previsione di una sentenza estintiva del reato e la soppresse per coerenza colla nuova complessiva struttura della disposizione. Ma la Camera dei deputati, osservando che per tal modo si sarebbe completamente vanificato l'istituto, reintrodusse la sentenza estintiva (rel. Sabbatini), ed il Senato - benché fosse rimasto di parere contrario - non insistette a causa dei "pericoli di intollerabili allungamenti dei tempi" che il rappresentante del Governo metteva in evidenza nella seduta del 22 ottobre 1981. Il dissenso fra i due rami del Parlamento e l'intervento sollecitatorio del Governo cagionarono, quindi, questa frettolosa formulazione definitiva, carica di interne contraddizioni. Non può stupire, perciò, che dottrina e giurisprudenza ne abbiano poi dato interpretazioni così contrastanti, e che questa Corte conseguentemente non abbia la possibilità di operare delle scelte costituzionalmente obbligate, e tanto meno interventi che postulerebbero una diversa e coordinata disciplina normativa.

Non resta, quindi, altra alternativa che la declaratoria di inammissibilità: sicuramente inappagante per i quesiti che la giustizia propone con giustificata preoccupazione. Proprio per questo, però la Corte non può esimersi dal richiamare l'attenzione del legislatore sull'ormai indifferibile esigenza di dare alla materia in esame una più adeguata normativa.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi, dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 77 della l. 24 novembre 1981 n. 689 (modifiche al sistema penale) sollevata dal Pretore di Asti con ordinanza 27 aprile 1984 n. 868/1984 R.O. in riferimento all'art. 3 Cost..

Dichiara inammissibili tutte le questioni concernenti lo stesso art. 77 l. 24 novembre 1981 n. 689 proposte dalle altre Autorità giudiziarie indicate in epigrafe con le ordinanze ivi precisate, tanto con riferimento all'art. 3 Cost., quanto in riferimento agli artt. 24 e 27 Cost. (reg. ord. nn. 68, 220, 309, 492, 498, 527, 562, 563, 571, 981, 991, 1026, 1052/83; 2, 44, 46, 60, 72, 162, 281, 321, 356, 418, 467, 468, 499, 518, 522, 560, 561, 832, 867, 890, 891, 892, 894, 944, 960, 961, 995, 1008, 1089, 1145, 1146, 1174 1204, 1281, 1282, 1308/84; 15, 21, 139/85).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1985.

Livio PALADIN - Ettore GALLO

Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1985.