Sentenza n.148 del 1984

 

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SENTENZA N. 148

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Avv Alberto MALAGUGINI

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 53, comma primo e 77, commi primo e secondo, della legge 24 novembre 1981 n. 689 (Modifiche al sistema penale promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 15 dicembre 1981 dal Pretore di Bologna nel procedimento penale a carico di Mohamed Mokhtar iscritta al n. 59 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 143 dell'anno 1982;

2) ordinanze emesse il 19 e 26 marzo 1982 dal Pretore di Reggio Calabria nel procedimento penale a carico di Buontempone Domenico e Barrile Giuseppe iscritte ai nn. 329e 330 del registro ordinanze 1982 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 290 e 297 dell'anno 1982;

3) ordinanza emessa l'11 marzo 1982 dal Pretore di Pontassive nel procedimento penale a carico di Farneti Marino iscritta al 382 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 317 dell'anno 1982;

4) ordinanza emessa il 26 marzo 1982 dal Pretore di Cuneo nel procedimento penale a carico di Petrini Giuseppe ed altro iscritta al n. 481 del registro delle ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 331 dell'anno 1982;

5) ordinanza emessa l'8 giugno 1982 dal Pretore di Chioggia nel procedimento penale a carico di Vianello Clorindo iscritta al n. 598 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 dell'anno 1983;

6) ordinanza emessa il 2 luglio 1982 dal Pretore di Genova nel procedimento penale a carico di Cataneo Salvatore iscritta al n. 706 dal registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 dell'anno 1983;

7) ordinanza emessa il 24 giugno 1982 dal Pretore di Palmi nel procedimento penale a carico di Tedesco Giuseppe iscritta al n. 732 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 67 dell'anno 1983;

8) ordinanza emessa il 21 ottobre 1982 dal Pretore di Livorno nel procedimento penale a carico di Saitta Teodoro iscritta al n. 863 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 108 dell'anno 1983;

9) quattro ordinanze emesse l'8 e 14 ottobre 1982 dal Pretore di Roma nei procedimenti penali a carico di Sette Giulio ed altro, Sermoneta Alberto ed altri, Costanzo Agostino ed altri, Gagliardi Claudio ed altri, iscritte ai nn. 864, 865, 866, 867 del registro ordinanze 1982 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 149 e 163 dell'anno 1983;

10) due ordinanze emesse il 17 giugno e 15 novembre 1982 dal Pretore di Moncalieri nei procedimenti penali a carico di Riatto Luigi e Giordano Filomena iscritta ai nn. 869 e 994 del registro ordinanze 1982 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 114 e 149 dell'anno 1983;

11) ordinanza emessa il 18 novembre 1982 dal Pretore di Livorno nel procedimento penale a carico di Crunelli Michela ed altro iscritta al n. 931 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 135 dell'anno 1983;

12) ordinanza emessa il 29 ottobre 1982 dal Pretore di Parma nei procedimenti penali a carico di Nicoli Umberto iscritta al n. 942 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 121 dell'anno 1983;

visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 16 settembre 1983 il Giudice relatore Ettore Gallo;

udito l'Avvocato generale dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza 15 dicembre 1981 (ord. 59/1982) il Pretore di Bologna dichiarava rilevante e non manifestamente infondata la questione d'illegittimità costituzionale degli artt. 53, primo comma, 77, primo e secondo comma della l. 24 novembre 1981 n. 689, sollevata subordinatamente dalla difesa, in relazione all'art. 3 Cost., nel processo penale contro cittadino algerino imputato del reato di cui all'art. 496 cod. pen.

La difesa, infatti, nei termini previsti dall'art. 77 della legge, e cioè prima che fossero compiute le formalità di apertura del dibattimento, aveva chiesto che il Pretore ritenesse innanzitutto applicabile all'imputato, nel caso di specie, la pena della multa, astrattamente comminata dall'art. 496 cod pen. in alternativa alla pena detentiva; che, dopo di ciò, decidesse di sostituire alla multa analoga misura pecuniaria alternativa, conseguentemente dichiarando l'estinzione del reato. Se, però, il Pretore non avesse ritenuto di addivenire in via interpretativa alla richiesta sollevava la difesa la detta questione incidentale tendente ad ottenere il riconoscimento dell'illegittimità costituzionale del citato art. 77 della legge, nella parte in cui non prevede applicazione di sanzione sostitutiva anche per l'ipotesi in cui sia comminata dal legislatore, per il reato per cui si procede, pena pecuniaria, da sola o in alternativa a quella detentiva, quando il giudice comunque decida di applicare la prima.

Il Pretore rilevava nell'ordinanza che il fatto di specie era effettivamente di modesta entità, per cui pena adeguata sarebbe stata senz'altro la pena pecuniaria nel suo minimo; che, però, esplicito e tassativo essendo il disposto di cui all'art. 53 della legge, che riserva esclusivamente alla pena detentiva la possibilità di sostituzione con sanzioni alternative, egli avrebbe dovuto respingere la richiesta; mentre avrebbe potuto accoglierla se il fatto commesso o il reato stesso fossero stati più gravi, e si fosse dovuta perciò applicare la pena detentiva.

Tutto ciò integra - secondo il Pretore - una disciplina irragionevole, perché discriminatrice proprio nei confronti di chi ha tenuto comportamento di più lieve disvalore, e perciò contrastante col disposto di cui all'art. 3 Cost.

Le altre sedici ordinanze di vari Pretori, pure richiamate in epigrafe, propongono tutte analoghe questioni, sia perché - come nel caso ora riportato - si tratta di ipotesi per le quali la pena pecuniaria é comminata in alternativa a quella detentiva, ma il Pretore ritiene adeguata l'irrogazione della prima

(Ordinanze nn. 481, 598, 864, 865, 866, 867, 869, 944/82), sia perché si tratta di fattispecie per le quali già in astratto il legislatore ha previsto la sola pena pecuniaria (Ordinanze nn. 329, 330, 382, 706, 732, 863, 931, 942/82) : per tutte la motivazione é sempre quella stessa adottata dal Pretore di Bologna.

Tuttavia, mentre alcuni giudici si limitano ad impugnare il solo art. 77, primo e secondo comma della legge (Ordinanze nn. 329, 330, 382, 481, 931, 944 e 942/82), le altre ordinanze impugnano, invece, direttamente o per relationem coll'art. 77, anche l'art. 53 primo comma della legge stessa.

Qualche Pretore, però, ha ritenuto d'investire direttamente o indirettamente anche altri articoli della legge.

Così il Pretore di Livorno che, colle ordinanze nn. 863 e 931 impugna anche l'art. 81 della legge: disposizione che, a suo dire - rifletterebbe ulteriormente la denunciata discriminazione attuata dall'art. 77, in quanto prescrive l'iscrizione nel casellario della sentenza estintiva al solo fine di precluderne l'ulteriore applicazione.

Così il Pretore di Parma (ord. 942/82) che, investendo l'art. 77, non limita la relazione all'art. 53 ma vi coinvolge anche l'art. 32 secondo comma che - com'è noto - esclude dalla depenalizzazione tutte quelle violazioni che, pur essendo punite colla sola pena pecuniaria nella ipotesi semplice, sono punibili con pena detentiva anche alternativa nelle ipotesi aggravate.

Due giudici, infine, hanno richiamato, oltre all'art. 3 Cost., comune a tutte le ordinanze, anche altri parametri.

Il Pretore di Roma, infatti, nelle ordinanze 864, 865, 866 e 867/82 fa riferimento anche all'art. 24 Cost., in quanto la denunziata situazione limiterebbe e condizionerebbe la funzione del difensore costretto, per ottenere la sentenza estintiva, a chiedere l'irrogazione di pena detentiva anche dove la tenuità del fatto comporterebbe l'applicazione della sanzione pecuniaria alternativa. Mentre il Pretore di Pontassieve, coll'ordinanza 382/82, ravvisa contrasto anche nei riguardi dell'art. 27 Cost.

Se é vero, infatti, - sostiene il magistrato - che il trattamento penale deve tendere alla rieducazione del condannato - e che le sanzioni sostitutive sono finalizzate a favorirne il reinserimento sociale, sarebbe irrazionale che siffatta funzione venga negata proprio nell'ipotesi delle più lievi violazioni: e ciò tanto più ora che proprio la legge in esame ha reintrodotto l'istituto della conversione delle pene pecuniarie.

Fatta eccezione per le questioni sollevate con le ordinanze nn. 864, 942 e 944/82, si é costituito in tutti gli altri giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato.

Questa, nei rispettivi atti d'intervento tutti ispirati alle stesse argomentazioni, chiede dichiararsi l'infondatezza per tutte le questioni proposte.

Secondo l'Avvocatura, infatti, le conseguenze lamentate dai giudici rimettenti sono dovute ad un'interpretazione meramente letterale. Ma poiché si tratta di conseguenze assurde ed "absurda sunt vitanda", é necessario ricorrere ad altri strumenti ermeneutici, vale a dire ad un'interpretazione estensiva o magari addirittura analogica: per la quale ultima non sussisterebbero nella specie i divieti delle preleggi, posto che non si tratterebbe di norme incriminatrici, e nemmeno di leggi eccezionali. Esse, infatti, lungi dal rappresentare deroga alle direttive generali, si ispirano, anzi, ai più moderni principi dell'ordinamento.

Sulla base di tale interpretazione, l'art. 77 primo comma della legge - ad avviso dell'Avvocatura Generale - risulta applicabile anche nei casi tutti denunciati: unica differenza sarà che il giudice non potrà in realtà applicare una vera e propria sanzione sostitutiva, ma infliggerà semplicemente la stessa sanzione pecuniaria prevista per il reato ascritto all'imputato, facendo salve, però, le favorevoli conseguenze indicate dall'art. 77 della legge. Secondo l'Avvocatura, infatti, queste non tanto si ricollegano all'adozione di una misura sostitutiva, quanto invece alla manifesta volontà dell'imputato di sottomettersi ad essa.

Considerato in diritto

1. - Le questioni sollevate dalle ordinanze in epigrafe si riferiscono tutte allo stesso problema della sostituibilità della pena pecuniaria. Tanto nell'ipotesi in cui questa é comminata dalla norma penale alternativamente a quella detentiva, ma il giudice decida di applicare la pena pecuniaria, quanto per i casi in cui questa é prevista da sola. I giudizi, pertanto, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza. Resta, perciò, escluso dalla presente decisione ogni riferimento alle ipotesi in cui la legge commina congiuntamente le due specie di pene, trattandosi di problema che non é stato sollevato e che, comunque, per quanto talvolta accomunato dalla giurisprudenza a quello dei casi qui contemplati, presenta, in realtà, profili diversi.

2. - Devono essere ora esaminate alcune questioni assolutamente preliminari di ammissibilità in punto di rilevanza.

Così, il Pretore di Pontassieve (ord. 382/82) non riferisce sul momento in cui l'imputato ha avanzato la richiesta di procedura ex art. 77 della legge, mentre dà atto del parere espresso dal Pubblico Ministero al dibattimento, in guisa da far dubitare che anche la richiesta sia stata presentata nella stessa fase processuale. Mancano, comunque, elementi certi, per poter valutare il favorevole giudizio di rilevanza espresso dal Pretore.

Dalle ordinanze dei Pretori di Palmi (n. 732/82), Livorno (nn. 931/82 e 863/83) e Parma (n. 942/82) risulta, invece, che la difesa non ha nemmeno chiesto l'applicazione della procedura in parola, e non sarebbe pi nei termini per poterlo fare, quand'anche la questione sollevata fosse accolta, perché i procedimenti sono gia 'pervenuti alla fase del dibattimento.

Il Pretore di Cuneo (n. 481/82), dato atto che l'imputato, istante per la procedura ex art. 77 della legge, é tratto a giudizio per il delitto di cui all'art. 590 cod. pen. (lesioni colpose), afferma che la richiesta procedura "potrebbe essere negata ove venisse ritenuta la violazione specifica di norme antinfortunistiche...", e ciò a causa dell'esclusione oggettiva prevista, ex art. 60, primo comma, della legge. Soggiunge, però, il Pretore, che l'imputato "potrebbe al limite essere - in ipotesi - ritenuto responsabile per colpa generica" e che "pertanto, stante le invocate attenuanti previste dagli artt. 62 n. 6, 62bis cod. pen., potrebbe essergli irrogata la condanna ad una pena pecuniaria...". Dal che si evince che, allo stato, il Pretore non solo non ha preso alcuna determinazione in ordine all'inflizione di una pena pecuniaria, ma non sa nemmeno se, in definitiva, non sia per ricorrere nella specie una causa di esclusione oggettiva della procedura.

Analogamente il Pretore di Roma nelle quattro ordinanze nn. 864, 865, 866 e 867/82, che riguardano reati per i quali la pena pecuniaria é prevista in via alternativa a quella detentiva, si limita ad affermare che, in ipotesi, avrebbe anche potuto applicare la sola multa. Ma é evidente che la rilevanza si concreta soltanto nel momento in cui il magistrato, tenuto conto degli elementi della fattispecie storica così come risultanti dagli atti, ritiene che si debba senz'altro applicare la pena pecuniaria.

In tutti i casi suesposti, la questione sollevata va dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza o di motivazione sulla rilevanza.

3. - In effetti, nel merito una volta che il legislatore ha deciso di introdurre nell'ordinamento, sotto determinate condizioni, il ricorso a misure alternative, potrebbe non sembrare giustificata la differenza fra il trattamento usato al cittadino autore di reato più grave, ammesso a fruire della particolare procedura, e quello che tocca a chi ne rimane escluso pur essendo incorso in più lieve infrazione, se questa é punita astrattamente, o viene comunque in concreto punita, con pena pecuniaria.

Proprio per questa apparente ovvietà della discriminazione, una parte più recente della giurisprudenza, tuttavia non prevalente, ha ritenuto di poter risolvere il problema sul piano interpretativo: e la stessa Avvocatura si é mostrata favorevole a siffatto indirizzo. A, perciò, opportuno prendere innanzitutto in esame queste posizioni, giacché se davvero la questione trovasse adeguata soluzione in sede ermeneutica dovrebbe escludersi la fondatezza di un problema di legittimità costituzionale.

Va subito rilevata intanto la contraddittorietà delle ragioni su cui giurisprudenza di merito e quella di legittimità fondano la rispettiva tesi interpretativa. La prima, infatti, propende a ritenere che, a differenza del procedimento di cui all'art. 53, quello ex art. 77 della legge porterebbe a sanzioni sostitutive di natura amministrativa contenute in una sentenza di proscioglimento. Ciò comporterebbe la possibilità di sostituire la pena pecuniaria con una analoga sanzione di natura amministrativa, mentre altrettanto non sarebbe praticabile nell'altra procedura dove si dovrebbe sostituire la pena pecuniaria con se stessa.

Ma se la tesi fosse esatta, non si capirebbe come alla stessa conclusione pervenga tuttavia la Corte di Cassazione che assegna, invece, alla sentenza estintiva natura di sostanziale condanna ad effetti limitati, e alla sanzione sostitutiva identico carattere penale di quella sostituita.

Vero é che il giudice di legittimità si é finora occupato esclusivamente dell'ipotesi della pena pecuniaria comminata "congiuntamente" a quella detentiva: situazione che - come già si é rilevato - non é in tutto assimilabile a quella in esame. Si danno, infatti, decisioni che, pur partendo dalla comune esatta osservazione secondo cui anche in quel caso la procedura ex art. 77 é applicabile (e lo é sicuramente nei limiti della pena detentiva), pervengono però poi alla conclusione che ciò non riguarda la pena pecuniaria di cui il legislatore non consente la sostituibilità. Se ne deduce, perciò, che la pena pecuniaria, pur estinguendosi quella detentiva, vada tuttavia inflitta come tale, oppure - secondo altre decisioni - che non debba essere irrogata ritenendosi

(non si sa bene come) assorbita nella pena detentiva sostituita.

Non manca, però, l'indirizzo secondo cui si sostiene che la pena pecuniaria debba essere conguagliata - secondo i principi - a quella detentiva congiunta seguendone la sorte. Il che comporta che, se la pena detentiva viene sostituita colla libertà controllata, anche la pena pecuniaria dovrebbe commutarsi in uguale sanzione sostitutiva. Secondo la Corte di Cassazione non vi sarebbe in ciò pregiudizio, dato che quest'ultima sanzione non é detentiva. Essa, però, é certamente e notevolmente limitativa della libertà personale, talché non appare certo vantaggiosa a fronte di una pena pecuniaria che non investe in alcun modo la libertà.

Si é riportato anche quest'ultimo indirizzo giacché sono proprio le decisioni che lo contemplano a sostenere - benché non fossero chiamate a deciderlo - che il principio di cui s'e detto sarebbe estensibile anche ai casi in cui la pena pecuniaria é comminata da sola o in alternativa alla pena detentiva. Ovviamente in queste ultime ipotesi la pena pecuniaria verrebbe sostituita con identica sanzione penale, ma l'imputato godrebbe dell'estinzione del reato.

I punti su cui il detto indirizzo giurisprudenziale fonda il suo assunto sono due.

Il primo riguarda l'art. 60 della legge, ed é un motivo che viene ripetuto in più decisioni. Questo articolo - si dice - elenca tassativamente i reati esclusi dall'applicabilità della procedura che comporta misure sostitutive. Ebbene, poiché fra questi vi sono reati puniti in astratto, congiuntamente o alternativamente, con pene pecuniarie, vuol dire - si conclude - che anche questa può essere sostituita; se così non fosse, il legislatore non si sarebbe preoccupato di includere quei reati fra le ipotesi di esclusione oggettiva.

Ma l'equivoco di siffatto assunto é evidente.

Il legislatore doveva necessariamente annoverare quei reati nell'elenco delle esclusioni perché altrimenti il giudice avrebbe comunque potuto estinguere e sostituire la pena detentiva. La giurisprudenza della Cassazione é concorde, infatti, nel ritenere che, anche nel caso delle pene congiunte, la pena detentiva ben può essere sostituita, e quindi tanto più se si tratta di previsione alternativa: i contrasti sopravvengono nella seconda parte, quando si tratta di decidere la sorte da attribuire alla pena pecuniaria congiunta.

II ragionamento della Corte di Cassazione sarebbe stato convincente se avesse potuto indicare un solo caso in cui il legislatore ha annoverato, fra i reati esclusi dalla procedura ex art. 77 della legge, una fattispecie punita esclusivamente con pena pecuniaria.

Il secondo punto, che acquista un qualche significato soltanto se appoggiato al primo, consiste nel rilievo secondo cui, in definitiva, dal disegno generale della legge emergerebbe che il legislatore avrebbe inteso disporre la possibilità della procedura ex art. 77 per ogni reato di competenza del Pretore, "qualunque sia la previsione punitiva astratta", salvo per quelli che espressamente sono stati esclusi.

Sta di fatto, però, che il Capo III della legge, nel quale é inclusa la Sezione seconda concernente le sanzioni sostitutive in esame, s'intitola a chiare lettere "Sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi". Mentre poi non esiste articolo, comma od inciso da cui sia lecito arguire quanto si pretende. Di pena pecuniaria il legislatore parla esclusivamente nell'ultimo inciso del primo comma dell'art. 53 per indicarla, sotto le condizioni ivi previste, unicamente come misura sostitutiva della pena detentiva.

Vero é che - secondo le decisioni che si vanno esaminando - la perentoria indicazione dell'art. 53 non rappresenterebbe un ostacolo, in quanto il legislatore si sarebbe riferito "all'ipotesi punitiva più grave come criterio discretivo unico per l'applicabilità dell'istituto", senza con ciò voler escludere da esso la pena pecuniaria. Ma si tratta ancora una volta di affermazione che avrebbe potuto trovare qualche validità soltanto col supporto dell'argomento indicato al punto primo: ma, una volta dimostrata l'incosistenza di quello, l'assunto rimane vigorosamente resistito dal dato testuale inequivoco.

Né sembra il caso di ricorrere a opinabili analogie con l'eterogeneo istituto della sospensione condizionale della pena, dato che i criteri di ragguaglio fra le due pene di specie diversa sono previsti anche dalla legge in parola: ma lo sono all'art. 53, secondo comma, secondo inciso, là dove appunto é contemplata la sostituzione della pena pecuniaria a quella detentiva. Ed é entro tali limiti che quelle norme comuni si estendono dalla I alla II Sezione del Capo III.

Del resto, più recenti sentenze della Corte di Cassazione, pur correttamente affermando che l'art. 77 é applicabile anche alle ipotesi di pena detentiva congiunta a pena pecuniaria, hanno tuttavia ben precisato che "la sostituzione non può essere però applicata alla sanzione pecuniaria" "in quanto multa e ammenda" non sono per sé soggette a sostituzione".

4. - Senza ricorrere a tali discutibili argomenti, una parte della dottrina (autorevole ma non prevalente) insiste tuttavia nella possibilità di superare, attraverso un'interpretazione estensiva, le conseguenze paradossali di una lettura meramente letterale dell'art. 77 della legge.

Secondo tale assunto che, come si é detto, é condiviso dall'Avvocatura il legislatore avrebbe regolato l'ipotesi più grave sottintendendo l'altra.

In altri termini, la legge avrebbe detto meno di quanto intendeva, ricomprendendo tacitamente il meno in un più ampio esplicitato concetto. Attraverso il cosidetto argomento" a fortiori", di cui viene utilizzato l'aspetto "a majori ad minus", il senso della legge si estende così dal caso espresso ad altro inespresso.

Ma l'interpretazione estensiva altro non é che uno dei risultati ai quali si perviene attraverso l'interpretazione teleologica della norma: l'interpretazione appunto per la quale, superando quella meramente letterale o lessicale - come si suggerisce nella specie dalla dottrina, - si tien conto dello" scopo" della norma per la ricerca della sua "ratio", senza peraltro abbandonare altri elementi della ricerca, come quello "storico" o quello "razionale sistematico". Ciò significa che l'estensione del significato della norma é arbitrario se non corre sul binario teleologico e, perciò, nell'ambito della sua ratio.

Ma proprio lo scopo della norma e la sua stessa ratio indicano chiaramente che il legislatore, lungi dal sottintendere la pena pecuniaria nella procedura per le sanzioni sostitutive (tanto d'ufficio quanto a richiesta dell'imputato), ha inteso invece manifestamente di escluderla. Suo scopo, infatti, é stato quello di apprestare misure alternative alle pene detentive brevi, ritenute portatrici, sul piano criminogeno, su quello rieducativo e su quello stesso dell'organizzazione penitenziaria, di quei mali di cui diffusamente si legge nei lavori preparatori: mali che peraltro non trovano compenso nemmeno sul piano della prevenzione generale, attesa la scarsa intimidazione inerente alla brevità dell'afflizione minacciata.

Al contrario, non ha ritenuto il legislatore che la pena pecunaria meritasse la stessa sfiducia in relazione al recupero sociale del reo, né, che rappresentasse cagione di rilevante aggravio al carico processuale degli uffici giudiziari: il tutto nel quadro di una attuale generale tendenza di politica criminale ad un più ampio ricorso preferenziale (e non soltanto in Italia) alla pena pecuniaria piuttosto che a quella detentiva, nei confronti di una certa fascia di criminalità.

Del resto, il problema nemmeno riguarderebbe la pena dell'ammenda per la quale esiste un'autentica causa di estinzione (l'oblazione: art. 162 cod. pen.), rimessa esclusivamente alla volontà dell'imputato, e ben più incisiva di quanto non sia quella prevista dall'art. 77 della legge.

La multa, d'altra parte, non ha effetto afflittivo diverso da una sanzione amministrativa, non impone il dibattimento giacché può essere irrogata per decreto, e non impedisce successive concessioni della sospensione condizionale della pena. In presenza di tali caratteri positivi, il legislatore deve avere altresì considerato che la sostituzione di una pena pecuniaria avrebbe potuto risultare addirittura pregiudizievole a causa della definitiva preclusione della possibilità di ottenere, successivamente, la sostituzione di eventuale pena detentiva breve (art. 80). Pregiudizio quest'ultimo assolutamente non compensato da una atipica formula di estinzione di un reato punito con la multa, che la stessa Cassazione ha valutato, in numerose decisioni, in termini di sostanziale condanna ad effetti limitati

In tali condizioni, l'interpretazione estensiva della norma di cui all'art. 77 della legge in guisa da ricomprendervi anche la sostituzione della pena pecuniaria (multa), si sostanzierebbe in un'aperta violazione della norma e della sua ratio.

5. - L'Avvocatura dello Stato, però, propone anche un eventuale ricorso all'interpretazione analogica: ricorso, per verità, di regola assai problematico in materia penale, solo che si consideri che l'art. 12 delle preleggi lo suggerisce al giudice proprio per colmare spazi vuoti, nei quali non gli é dato rintracciare disposizioni che gli consentano la risoluzione del caso concreto. Non senza ragione, infatti il successivo art. 14 pone il divieto di quel procedimento per le norme penali, e l'art. 1 cod. pen. lo ribadisce nel principio di legalità che l'art. 25 secondo comma Cost. costituzionalizza.

Ciononostante, come esattamente ricorda l'Avvocatura dello Stato, per riconoscimento ormai prevalente della dottrina penalistica il divieto deve intendersi limitato alle norme penali incriminatrici: non a quelle integratrici né alle scriminanti: e qui effettivamente non siamo in presenza di norma incriminatrice. Senonché, il citato art. 14 non limita il divieto di analogia alle leggi penali, ma lo estende anche a quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi. Ad avviso della Corte é proprio questo l'ostacolo che si frappone all'utilizzazione dell'analogia nel caso in esame.

L'Avvocatura, nell'intento di aggirarlo, afferma che le disposizioni di cui all'art. 77 della legge, "lungi dal costituire deviazioni dalle direttive dell'ordinamento giuridico, sono esse stesse espressioni di principi generali".

Ora, che l'ordinamento si vada effettivamente aprendo a nuove regole, sia sul piano sostanziale che su quello processuale, non può essere negato. Ma che queste, per ora appena entrate non senza contrasti, e tuttora con gravi incertezze sulla loro natura e sul loro inquadramento sistematico, siano di già assurte a principi generali dell'ordinamento, é affermazione ancora tutta da dimostrare.

Appare, invece, evidente che quelle disposizioni si propongono, almeno per ora, come "eccezione" ai principi consolidati del corpus delle leggi penali. I1 diritto sostanziale esige, secondo i suoi principi essenziali ancora fermi, che il giudice sia tenuto di regola ad irrogare la pena esclusivamente nella specie astrattamente comminata dalla norma incriminatrice. I1 diritto processuale, per parte sua, esclude che, di norma, nell'istruttoria o negli atti preliminari si possa pronunziare condanna a sanzioni penali, salvo il caso del procedimento monitorio, che peraltro non esclude ma differisce il dibattimento in caso di opposizione.

Ebbene, come é appunto eccezionale il procedimento per decreto rispetto alle regole generali, così evidentemente sono, almeno per ora, eccezionali le disposizioni di cui agli artt. 53 e 77 della legge che, in deroga agli anzidetti principi, consentono, in quei casi particolari che fanno appunto eccezione, la sostituzione delle pene edittali con altre sanzioni e una sostanziale pronunzia di condanna penale, con effetti limitati, senza giudizio dibattimentale.

Anche sotto questo profilo, dunque, non appare possibile il ricorso ad attività interpretative per risolvere la questione sollevata.

6. - Ciò posto, deve ora verificarsi se sia possibile alla Corte procedere alla declaratoria d'illegittimità, auspicata dai giudici remittenti.

Sembra evidente però che, trattandosi di una pretesa lacuna delle norme impugnate, la semplice declaratoria che si limitasse a dare atto che quella carenza legislativa determinerebbe la denunziata situazione di disuguaglianza, non produrrebbe alcun effetto se non si indicasse al giudice, nel contempo, in qual modo sia possibile ovviarvi nel rispetto dei principi costituzionali.

Senonché, é proprio una siffatta ricerca, che dovrebbe portare ad una sentenza "additiva", a porre in crisi la stessa possibilità di addivenire alla dichiarazione d'illegittimità costituzionale delle norme impugnate.

Ed infatti, poiché non esiste nell'ordinamento sostanziale penale una sanzione che, nella scala dei valori, si ponga al disotto della pena pecuniaria, alla Corte non resterebbe che la seguente alternativa: o sostituire la pena pecuniaria con identica misura di carattere penale - come l'avvocatura suggerisce - oppure ricorrere a misure estranee all'ordinamento giuridico-penale, sostituendo la pena pecuniaria con una analoga sanzione amministrativa. Ma in ambo i casi si avrebbe una sostanziale innovazione al sistema delineato dal legislatore in materia di sanzioni sostitutive. Il sistema, infatti, prevede la sostituzione delle pene detentive brevi con altre sanzioni, della stessa natura, ma di carattere diverso, come dimostra la sostituzione con la libertà controllata o con la pena pecuniaria della reclusione o dell'arresto (e, per la procedura ex art. 53, anche la sostituzione con la semidetenzione). Si é visto, invece, che, utilizzando la prima ipotesi dell'alternativa, la sostituzione avverrebbe mediante sanzione assolutamente identica, sia per natura che per carattere, mentre ricorrendo all'altra ipotesi si introdurrebbe una misura di natura assolutamente diversa (amministrativa), che il legislatore non ha mai ipotizzato come sanzione sostitutiva. In altri termini, qualunque fosse per essere la strada prescelta, la Corte dovrebbe ricorrere ad una regola che non trova alcun riscontro nel sistema, e che si risolverebbe, perciò, in un atto creativo.

Né le difficoltà finirebbero colla scelta di una diversa sanzione, giacché dovrebbe anche essere stabilito il limite oltre il quale l'operatività della sostituzione non sarebbe lecita. A meno che non si ritenesse che la sostituzione della pena pecuniaria debba essere ammessa senza alcun limite: ma anche questa rappresenterebbe una scelta creativa, visto che, invece, il sistema delineato dal legislatore non ammette il ricorso a misure sostitutive quando la pena superi un certo limite, discrezionalmente indicato nell'ambito del concetto di "brevità".

Ebbene, tornando a questo limite, sarebbe illusorio, e solo apparentemente rispettoso di un parametro già esistente nella disciplina della legge, ancorarlo a quello di un mese di pena detentiva previsto dall'art. 53, comma primo, ultimo inciso, con il ragguaglio di cui all'art. 135 cod. pen. Infatti, quel parametro, proprio perché si riferirebbe al rapporto pena pecunaria rispetto a se stessa, perderebbe il significato ed il valore che il legislatore ha inteso attribuirgli in quella ben diversa relazione. Basti considerare che un siffatto ragguaglio darebbe per risultato un limite operativo della possibilità di sostituire la pena pecuniaria rappresentato da L. 750 mila, per rendersi conto della sua inadeguatezza.

Vero é che soltanto il legislatore potrebbe compiutamente e liberamente disciplinare l'introduzione nell'ordinamento della prospettata sostituzione. E ciò stabilendo innanzitutto quale debba essere la misura da adottarsi in sostituzione della pena pecuniaria e precisandone la natura. Il problema della natura é fondamentale, in quanto se la sostituzione venisse ammessa con identica sanzione pecuniaria di natura penale, bisognerebbe anche regolare le modalità della sua esecuzione, chiarendo se ad essa si applica l'art. 586 cod. proc. pen. nel testo modificato dall'art. 106 della legge in esame (come prescrive l'art. 71 della legge per le pene pecuniarie sostituite a quelle detentive ex art. 35), oppure se, anche per queste sostituzioni, debba valere, in caso d'inadempienza, il rigore della fattispecie di cui all'art. 83 della legge. Ma soprattutto sarebbe libero il legislatore di usare del suo potere discrezionale per fissare il limite entro cui la sostituzione può operare, tenendo conto, da una parte, del potere d'acquisto attuale della lira italiana e, dall'altra, del rapporto afflittivo ben diverso fra pene detentive e pecuniarie.

Appare ormai evidente a questo punto che le questioni sollevate non possono essere ammesse, perché l'eventuale risoluzione del problema prospettato non rientra nei poteri di questa Corte ma spetta al legislatore.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara inammissibile per difetto di rilevanza la questione di legittimità costituzionale dell'art. 77, primo e secondo comma della l. 24 novembre 1981 n. 689 sollevata dal Pretore di Pontassieve con ord. 11 marzo 1982 (n. 382/82), dal Pretore di Cuneo con ord. 20 marzo 1982 (n. 481/82), dal Pretore di Roma con le tre ordinanze, 8 ottobre 1982, (nn. 865, 866 e 867/82) nonché con ord. 14 ottobre 1982 (n. 864/82), dal Pretore di Livorno con le ordinanze 21 ottobre e 18 novembre 1982 (nn. 863 e 931/82) e dal Pretore di Parma con ord. 29 ottobre 1982

(n. 942/82), ma dai Pretori di Roma, Parma e Livorno

(limitatamente all'ord. n. 863/83) anche nei confronti dell'art. 53 della legge, ed inoltre per questi ultimi due anche nei riguardi dell'art. 32 quanto al primo, e 81 quanto al secondo, per contrasto con l'art. 3 Cost., ma per il Pretore di Pontassieve anche con l'art. 27, e per il Pretore di Roma anche con l'art. 24.

Dichiara altresì inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Pretore di Bologna con ord. 15 dicembre 1981 (n. 59/82), dal Pretore di Chioggia con ord. 8 giugno 1982 (n. 598/82), dal Pretore di Ginosa con ord. 2 luglio 1982 (n. 706/82) e dal Pretore di Moncalieri con ord. 17 giugno 1982 (n. 869/82) degli artt. 53 e 77 della l. 24 novembre 1981 n. 689, nonché dal Pretore di Reggio Calabria con le ord. 19 e 26 marzo 1982 (nn. 329 e 330/82) e dal Pretore di Moncalieri con ord. 15 novembre 1982 (n. 944/82) limitatamente al solo art. 77, tutti per contrasto coll'art. 3 Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 maggio 1984.

 

 Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Alberto MALAGUGINI - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI  - Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA - Prof. Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 24 maggio 1984.