Sentenza n.254 del 1985

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SENTENZA N. 254

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Avv. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 81, secondo comma, e 158 del codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 22 luglio 1977 dal Pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Piccini Rino, iscritta al n. 567 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 dell'anno 1978;

2) ordinanza emessa il 18 novembre 1978 dal Pretore di Chieri nel procedimento penale a carico di Brunato Quinto, iscritta al n. 405 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 196 dell'anno 1979.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 14 maggio 1985 il Giudice relatore Giovanni Conso.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Piccini Rino, imputato dei reati di cui agli artt. 1161 cod. nav. (reato accertato in Ostia il 1 luglio 1976) e 1164 cod. nav. (reato commesso in Ostia dal 1972), il Pretore di Roma, con ordinanza del 22 luglio 1977, premesso che l'imputato, in caso di condanna, "potrebbe chiedere che venga considerata la continuazione fra i due reati contestati", il primo dei quali "può essere ritenuto prescritto se considerato a sé", ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità degli artt. 81 (norma indicata nel solo dispositivo dell'ordinanza di rimessione) e 158 del codice penale, nella parte in cui viene disposto che "nel caso di reato continuato la prescrizione decorre dall'ultimo dei fatti commessi dall'imputato".

Secondo il giudice a quo, l'art. 158 del codice penale, imponendo "ai fini della determinazione della prescrizione, una considerazione unitaria dei vari reati uniti dal vincolo della continuazione", impedisce l'estinzione dei reati che, autonomamente considerati, sarebbero già prescritti: di conseguenza, "contrariamente allo spirito della legge" (soprattutto dopo la recente modifica dell'art. 81 del codice penale), "l'autore di una pluralità di reati in continuazione finisce con l'essere trattato, per quanto attiene alla prescrizione, in misura più severa di quanto avvenga per l'autore di un concorso materiale di reati".

Di qui il contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione: per l'irragionevolezza del diverso trattamento, ai fini della prescrizione, fra concorso materiale di reati e reato continuato, istituto che appare ispirato "al principio di assicurare all'autore di una pluralità di reati in continuazione un trattamento penale meno severo di quello assicurato dalla legge all'autore di una pluralità numericamente corrispondente di reati non uniti dal vincolo della continuazione"; per l'irragionevolezza della diversa operatività dell'amnistia rispetto alla prescrizione, essendo ammessa per la prima e non per la seconda la scissione del reato continuato al fine di consentire la declaratoria di estinzione del reato; per la scelta cui é costretto l'imputato fra il sostenere l'esistenza della continuazione, rinunciando a beneficiare della prescrizione per i reati in ordine ai quali non é ancora trascorso il relativo termine, e il rinunciare alla continuazione "per ottenere la prescrizione accettando... le più gravose conseguenze del concorso materiale".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 53 del 22 febbraio 1978.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

In relazione alla dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione, l'Avvocatura rileva che la regola fissata dall'art. 158 del codice penale costituisce il risultato di una scelta operata dal legislatore, scelta non censurabile perché fondata su considerazioni da ritenersi "logiche e ragionevoli", se é vero che la giustificazione della prescrizione del reato viene da taluno individuata nella presunzione che il trascorrere del tempo comporti l'affievolimento dell'allarme sociale suscitato dal reato, ovvero faccia venir meno la pericolosità sociale del reo; situazione certamente non ipotizzabile allorché il successivo fatto criminoso sia legato ai precedenti dal nesso della continuazione. In tal caso l'allarme sociale verrebbe ad essere risvegliato, anzi aggravato, così da confermare la permanente ed integra pericolosità del reo (con conseguente impossibilità di confronto della previsione dell'art. 158 del codice penale con le fattispecie nelle quali la legge stabilisce la scissione delle singole violazioni costituenti reato).

Quanto alla pretesa violazione dell'art. 24 della Costituzione, l'Avvocatura, rilevata l'assenza di ogni motivazione sul punto, afferma che, anche se il giudice a quo si fosse richiamato a quella teoria - peraltro contrastata - la quale vede nella prescrizione un rimedio all'inevitabile usura derivante per ogni elemento di prova dal trascorrere del tempo, la questione sarebbe comunque infondata, ben potendo ritenersi che la prova del fatto reato, il quale sia stato seguito da altri fatti analoghi legati dal vincolo della continuazione, risulti più agevole rispetto alla prova di un episodio criminoso rimasto isolato.

2. - Con ordinanza del 18 novembre 1978 emessa nel corso del procedimento penale a carico di Brunato Quinto, imputato di una serie di distinti illeciti edilizi che, "commessi dal 1973 al 1976, debbono essere necessariamente ricondotti sotto il vincolo della continuazione, stante la identità del disegno criminoso", il Pretore di Chieri ha sollevato, con argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle adottate dal Pretore di Roma, questione di legittimità, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 158 del codice penale, nella parte in cui dispone che per il reato continuato ("istituto ispirato al favor rei") il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui é cessata la continuazione.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 196 del 18 luglio 1979.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale, riproducendo le precedenti deduzioni, ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due ordinanze in epigrafe sollevano questioni sostanzialmente identiche: i relativi giudizi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

2. - Oggetto di censura é l'art. 158, primo comma, del codice penale, nella parte in cui dispone che, per il reato continuato, il termine della prescrizione decorre dal giorno nel quale é cessata la continuazione.

Una delle due ordinanze - quella emessa dal Pretore di Roma - indica nel dispositivo, accanto all'art. 158, primo comma, l'art. 81, secondo comma, dello stesso codice penale.

Ma l'indicazione non avviene con il proposito di coinvolgere tale precetto nella declaratoria di illegittimità costituzionale perseguita, bensì soltanto perché l'art. 81, secondo comma, é la norma cui la parte denunciata dell'art. 158, primo comma, inevitabilmente rimanda.

3. - Peraltro, la questione sollevata dal Pretore di Roma risulta chiaramente sfornita dell'indispensabile requisito della rilevanza.

Come questa Corte ha avuto modo di precisare con riguardo ad un'altra questione in materia di reato continuato, la rilevanza presuppone "che il giudice indichi nella sua ordinanza gli elementi per i quali ritiene di propendere per la effettiva sussistenza nella specie in esame del vincolo unificatore dell'unico disegno criminoso tra i fatti giudicati e quelli da giudicare" (v. la pronuncia n. 305 del 1983).

Sintomaticamente emanata subito dopo l'apertura del dibattimento, l'ordinanza del Pretore di Roma si limita, invece, ad ipotizzare che l'imputato "in caso di condanna, potrebbe chiedere che venga considerata la continuazione tra i due reati contestati", così da prospettare come mera eventualità sia la condanna sia la stessa richiesta di applicazione dell'art. 81, secondo comma, del codice penale.

In mancanza del necessario requisito dell'attualità (v. anche la sentenza n. 300 del 1983), la questione va dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza.

4. - Quanto all'ordinanza del Pretore di Chieri - puntualmente emanata al termine della discussione finale, momento in cui il giudice si é trovato a constatare che una serie di illeciti edilizi non tutti amnistiabili "debbono essere necessariamente ricondotti sotto il vincolo della continuazione, stante la identità del disegno criminoso" - occorre, anzitutto, tenere presente che il giudice a quo avanza due ordini di censure, sempre lamentando la violazione dell'art. 3 della Costituzione sotto il profilo dell'irragionevolezza.

Con la prima censura si deduce "l'irragionevolezza della discriminazione" tra due cause estintive analoghe negli effetti, quali la prescrizione e l'amnistia: mentre ai fini di quest'ultima "il reato continuato va scisso poiché l'applicabilità del beneficio va esaminata in rapporto a ciascuna azione delittuosa considerata separatamente dalle altre", ai fini della prescrizione il reato continuato é oggetto di considerazione unitaria. Con l'altra censura si deduce "l'irragionevolezza di un trattamento" meno favorevole per l'autore di una pluralità di fatti uniti dal vincolo della continuazione "rispetto all'ipotesi in cui gli stessi fatti si pongono in regime di semplice concorso materiale": mentre nella prima ipotesi la prescrizione decorre dalla cessazione della continuazione, nella seconda opera il più generale criterio che ricollega la decorrenza del termine per la maturazione di tale causa estintiva ad ogni singolo fatto criminoso.

Nessuna delle censure é, però, fondata.

5. - In ordine alla prima censura avanzata dal Pretore di Chieri, non basta l'invocata analogia di effetti tra prescrizione ed amnistia per dedurne che il loro modo di incidere nei confronti del reato continuato, e più precisamente dei singoli illeciti legati dal vincolo della continuazione, debba essere, per esigenze di ordine razionale, il medesimo. Assume in proposito portata decisiva quanto già più volte evidenziato da questa Corte nel raffrontare amnistia e prescrizione (v. le sentenze n. 202 del 1971 e n. 68 del 1983): anche se i relativi effetti sono analoghi, ben diversi sono i meccanismi e le finalità che sovraintendono al loro rispettivo prodursi. Mentre nel caso dell'amnistia l'estinzione del reato viene fatta dipendere da una scelta effettuata di volta in volta dal Parlamento e dal Presidente della Repubblica "sotto l'influsso di considerazioni politiche", nel caso della prescrizione l'effetto estintivo viene ricollegato ad un evento legislativamente predeterminato in relazione al presunto venir meno dell'"allarme della coscienza comune" (v. la già ricordata sentenza n. 202 del 1971), qual é il decorso del tempo. Tutto ciò vale ad escludere che l'attuale trattamento differenziato fra le due cause estintive sia privo di giustificazione e dia luogo ad irrazionalità con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione.

6. - Quanto alla seconda censura avanzata dal Pretore di Chieri, é ben vero che il trattamento riservato dall'art. 158, primo comma, del codice penale all'autore di una pluralità di reati uniti dal vincolo della continuazione viene a risultare meno favorevole del corrispondente trattamento riservato all'autore di altrettanti reati non uniti da tale vincolo. Né é men vero che il reato continuato costituisce un tipico istituto ispirato al favor rei (v. le sentenze n. 217 del 1972 e n. 108 del 1973), nell'intento di mitigare l'eccessiva severità del concorso materiale di reati. Ma gli eccessi rigoristici cui si é voluto ovviare con la previsione del reato continuato sono gli eccessi inerenti alla determinazione della pena da irrogare in concreto. Prova ne sia che la norma-base del reato continuato si preoccupa, sotto il profilo degli effetti, soltanto di fissare la massima pena irrogabile: cioé, "la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo", con l'ulteriore limite - oggi chiaramente esplicitato (v. art. 81, terzo comma, del codice penale, come sostituito ad opera dell'art. 8 del decreto legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito nella legge 7 giugno 1974, n. 220) - derivante dall'impossibilità di infliggere una pena che superi quella che sarebbe applicabile alla stregua delle disposizioni relative al concorso materiale di reati.

Da tutto ciò consegue che nei riguardi di ogni altro effetto giuridico il legislatore non viene a trovarsi affatto vincolato ad adottare sempre e comunque un trattamento più favorevole al reo. Il che significa, al tempo stesso, che il legislatore resta libero di considerare il reato continuato ora come un tutto unitario ora come una pluralità scomponibile di reati, salvo il solo limite di non addivenire a scelte viziate da irrazionalità. A far escludere che tale limite sia stato superato nel caso dell'art. 158, primo comma, del codice penale contribuisce in modo determinante il ruolo che, ai fini dell'integrazione del reato continuato, esplica il requisito rappresentato dal "medesimo disegno criminoso": ciò specialmente dopo l'innovazione apportata dal già ricordato decreto legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito nella legge 7 giugno 1974, n. 220, al secondo comma dell'art. 81 del codice penale, nel senso di ampliarne l'ambito di applicazione sino a ricomprendervi anche violazioni di "diverse" disposizioni di legge (cosiddetto reato continuato eterogeneo).

Come dottrina e giurisprudenza hanno immediatamente rilevato con larga sintonia di accenti, il medesimo disegno criminoso é ormai il solo requisito dal quale viene ad emergere la distinzione tra il reato continuato ed il semplice concorso materiale di reati, donde la necessità di determinare concretamente tale requisito con la dovuta precisione. Ricollegare la decorrenza della prescrizione al cessare della continuazione, e, quindi, dell'effettivo estrinsecarsi del medesimo disegno criminoso, significa tener conto di un elemento di reale consistenza, anzi dell'essenziale elemento che caratterizza il reato continuato: un elemento, per giunta, ben utilizzabile ai fini della prescrizione, legata com'essa é al venir meno di quell'"allarme della coscienza sociale" che ogni fatto criminoso provoca e che il persistente tradursi di un medesimo disegno in più comportamenti criminosi contribuisce a mantenere fermo o addirittura ad acuire.

Non può, dunque, dirsi irrazionale la norma che, in presenza di più fatti uniti dal vincolo della continuazione, ricollega il decorrere del termine della prescrizione alla più recente manifestazione del disegno criminoso in cui si sostanzia tale vincolo. Né basta certo a smentire la suddetta conclusione il fatto che nel 1971 vi sia stata da parte del Senato l'approvazione di un progetto di riforma del codice penale contenente una nuova versione dell'art. 158, senza alcun riferimento al reato continuato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

a) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 81, secondo comma, e 158, primo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Roma con ordinanza del 22 luglio 1977;

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 158, primo comma, del codice penale, nella parte in cui dispone che per il reato continuato il termine della prescrizione decorre dal giorno nel quale é cessata la continuazione, questione sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Chieri con ordinanza del 18 novembre 1978.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 1985.

Guglielmo ROEHRSSEN - Giovanni CONSO

Depositata in cancelleria il 4 novembre 1985.