SENTENZA N. 246
ANNO 1985
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti promossi con ricorsi delle regioni Sicilia, Toscana, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia, notificati rispettivamente il 14 maggio 1979, 8 agosto 1983, il 5 agosto 1983, l'8 ottobre 1984 e il 13 ottobre 1984, depositati in cancelleria il 21 maggio 1979, 10 agosto 1983, 12 agosto 1983, il 19 ottobre 1984 e il 26 ottobre 1984 ed iscritti al n. 14 del registro 1979, ai nn. 24 e 25 del registro 1983, ai nn. 44 e 45 del registro 1984, per conflitti di attribuzione sorti a seguito dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri in data 5 marzo 1979, 2 luglio 1983, 8 agosto 1984 e del Ministro del Tesoro del 10 agosto 1984, concernenti alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio.
Udito nell'udienza pubblica del 25 giugno 1985 il Giudice relatore Livio Paladin;
uditi gli avv.ti Giuseppe Fazio per la Regione Sicilia, Enzo Cheli e Alberto Predieri per la Regione Toscana, Gaspare Pacia per la Regione Friuli-Venezia Giulia e l'avvocato dello Stato Paolo Vittoria per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato il 14 maggio 1979, la Regione siciliana ha promosso conflitto di attribuzione avverso il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 marzo 1979: per aver incluso anche l'Ente acquedotti siciliani nell'elenco degli enti tenuti a modificare la propria struttura di bilancio ed il proprio ordinamento contabile, adeguandoli al sistema annuale di competenza e di cassa dello Stato, in applicazione dell'art. 25 della legge 5 agosto 1978, n. 468. Ritiene infatti la ricorrente che sia stata, con tale inclusione, invasa la sfera di competenza regionale. E ciò per effetto delle nuove norme di attuazione dello Statuto speciale adottate con d.P.R. n. 683 del 1977: il cui art. 5 ha appunto devoluto alla Regione "le funzioni amministrative, ivi comprese quelle di vigilanza e di tutela, svolte dagli organi centrali e periferici dello Stato in ordine agli enti... operanti esclusivamente in Sicilia", nella materia delle opere e delle acque pubbliche.
Avendo omesso di considerare la nuova situazione giuridica dell'E.A.S., l'atto impugnato incorrerebbe nella violazione sia dell'art. 20 St., che attribuisce alla Regione la potestà amministrativa nelle materie enumerate dall'art. 14, sia dell'art. 43 St., in quanto vanificherebbe la "determinazione" compiuta nella specie dall'apposita Commissione paritetica.
2. - Si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
In primo luogo - argomenta l'Avvocatura dello Stato - l'E.A.S. non sarebbe in realtà compreso tra gli enti cui si riferisce il trasferimento operato con il d.P.R. 683/1977 in materia di acque pubbliche, dato che l'attività dell'ente stesso (costituito per provvedere in Sicilia alla costruzione ed all'esercizio di acquedotti "a servizio di centri abitati") riguarderebbe la prestazione di un pubblico servizio di idroalimentazione e non "l'amministrazione del bene demaniale", per sé considerata. In secondo luogo - pur in ipotesi ammesso che l'E.A.S. ricada fra gli enti considerati dal citato art. 5 del d.P.R. n. 683 - alla Regione risulterebbero comunque trasferite le sole funzioni amministrative ad esso inerenti: funzioni che il combinato disposto dell'art. 25 della legge n. 468 e dell'art. 1 dell'impugnato decreto non toccherebbero minimamente, in quanto atto di esercizio di una potestà normativa, attinente al coordinamento della finanza pubblica. Sicché - conclude l'Avvocatura - "spetterà poi alla Regione, quale ente di controllo, vigilare che l'E.A.S. si sia adeguata alle prescrizioni contabili stabilite dal ridetto art. 25".
3. - Il nuovo testo dell'art. 25 della legge n. 468, come sostituito dall'art. 12 del d.l. 11 maggio 1983, n. 176 (contenente "Misure urgenti... per il contenimento della spesa pubblica..."), ha imposto al Presidente del Consiglio dei ministri di rideterminare "gli organismi e gli enti anche di natura economica a carattere nazionale e regionale, che gestiscono fondi direttamente o indirettamente interessanti la finanza pubblica,... ai quali si applicano le disposizioni del presente articolo". In esecuzione dell'art. 12, il Presidente del Consiglio dei ministri ha quindi adottato il decreto 2 luglio 1983, che é stato impugnato dalle Regioni Lombardia e Toscana mediante i ricorsi rispettivamente notificati il 5 e l'8 agosto 1983. Entrambe le ricorrenti si dolgono, infatti, della inclusione di una serie di enti da esse dipendenti fra quelli tenuti ad osservare la disciplina del citato art. 25.
I ricorsi deducono, in sostanza, che alla stregua degli artt. 117 e 118 Cost. gli enti dipendenti dalle Regioni rappresentano un'autonoma e specifica materia di competenza regionale, entro la quale le leggi dello Stato possono solo stabilire principi fondamentali. Ciò é precisamente avvenuto in virtù della legge 19 maggio 1976, n. 335, che ha preveduto fra l'altro - anche in attuazione dell'art. 119 Cost. - l'approvazione dei bilanci degli enti in questione "nei termini e nelle forme stabiliti dallo Statuto e dalle leggi regionali" (e la Toscana richiama, sul punto, l'art. 53 del proprio Statuto, nonché gli artt. 152 ss. della propria legge n. 28 del 1977). Per contro, il decreto impugnato altererebbe illegittimamente questo disegno, "obbligando tutto ad un tratto enti amministrativi dipendenti dalla Regione a uniformare invece il proprio bilancio e la propria contabilità a quelli dello Stato...".
4. - Costituitosi in entrambi i giudizi, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto in un primo tempo la reiezione dei ricorsi, ribadendo che la sottoposizione degli enti dipendenti dalle Regioni ai disposti dettati dall'art. 25 della legge n. 468 muoverebbe nell'orbita della funzione di coordinamento della finanza statale e regionale.
Per altro, mediante una memoria aggiunta, l'Avvocatura dello Stato ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità dei ricorsi medesimi, data la mancata conversione del d.l. n. 176, come pure del successivo d.l. n. 317 del 1983, e dato - inoltre - che l'atto impugnato sarebbe "venuto meno sin dall'origine", essendo stato integralmente sostituito dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 novembre 1983.
5. - A sua volta, però, anche la Regione Toscana ha depositato una memoria aggiunta, osservando che gli atti adottati in applicazione del d.l. n. 176 del 1983 sono stati convalidati dalla legge n. 638 del 1983, di conversione del d.l. n. 463 del medesimo anno, e riaffermando pertanto l'attualità dell'interesse regionale a proporre ricorso. Dopo di che, la difesa regionale ha nuovamente sviluppato le ragioni che dovrebbero condurre all'accoglimento del ricorso stesso; ed ha indicato, in particolar modo, gli argomenti che dimostrerebbero la dipendenza dalla Regione di alcuni fra gli enti coinvolti dal decreto presidenziale impugnato: quali gli Enti provinciali per il turismo e le Aziende autonome di cura, soggiorno e turismo, l'Ente regionale di sviluppo agricolo in Toscana, l'Istituto zooprofilattico sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, nonché gli Istituti autonomi case popolari.
6. - La Regione Friuli-Venezia Giulia, con ricorso del 6 ottobre 1984, ha proposto a sua volta conflitto avverso il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 agosto 1984, che ha nuovamente determinato gli enti soggetti alla disciplina degli artt. 25 l. 468/1978 e 40 l. 119/1981: per la parte in cui detto provvedimento si riferisce ad enti (Camere di commercio, Istituti autonomi case popolari, Aziende autonome di cura, soggiorno e turismo, Ente zona industriale di Trieste) che si assumono dipendenti dalla Regione. Ma l'impugnativa é stata estesa ai decreti del Ministro del tesoro e del Ministro dei lavori pubblici, in data 10 agosto 1984, relativi agli adempimenti connessi all'applicazione del citato art. 40: il primo su un piano generale, il secondo con specifico riguardo ai fondi destinati agli I.A.C.P.. I tre provvedimenti violerebbero infatti - secondo la ricorrente - la primaria competenza regionale in materia di "ordinamento degli enti dipendenti", di cui all'art. 4 n. 1 dello Statuto speciale.
Inoltre, nella parte in cui tali atti non escludono la Regione Friuli-Venezia Giulia dal novero degli enti ai quali si applica il predetto art. 40, anche per ciò che attiene alle entrate proprie della Regione medesima, ne deriverebbe un'ulteriore ragione di contrasto con gli artt. 4 n. 1 e 48 dello Statuto, nonché con le norme di attuazione in materia di finanza regionale, di cui al d.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114.
7. - Il costituito Presidente del Consiglio dei ministri ha concluso anche in questo caso per l'infondatezza del ricorso, in nome della funzione di coordinamento prevista dall'art. 119 Cost..
Quanto, poi, alla pretesa estensione dell'ambito di applicabilità del citato art. 40, l'Avvocatura dello Stato obietta che la Regione Friuli-Venezia Giulia e gli enti da essa dipendenti sarebbero già coinvolti dall'originario disposto dell'articolo stesso. Per di più, dal momento che alla data del ricorso era stato emanato il decreto del Ministro del tesoro 8 settembre 1984, riformulante tutte le condizioni e le modalità di funzionamento dei conti, ne discenderebbe l'inammissibilità di questa parte del ricorso medesimo, data l'abrogazione del corrispondente decreto del 10 agosto.
8. - Con una memoria depositata in vista della pubblica udienza, il Friuli-Venezia Giulia ha però replicato che le argomentazioni dell'Avvocatura dello Stato varrebbero per le Regioni a statuto ordinario e non per le Regioni a statuto speciale, dotate in materia di competenza primaria od esclusiva. In particolare, circa l'assoggettamento del Friuli- Venezia Giulia, all'art. 40 della legge n. 119, la ricorrente ha insistito nell'assunto dell'assoluta inconciliabilità di tale disciplina con il vigente congegno di accreditamento delle quote dei tributi spettanti alla Regione, "non potendosi immaginare che le somme in questione debbano essere trasferite dalla tesoreria dello Stato alla tesoreria della Regione (in forza dell'art. 5 del d.P.R. n. 114/1965) e contemporaneamente ritrasferite dalla tesoreria della Regione alla tesoreria dello Stato (in forza del citato art. 40)".
9. - Infine, con ricorso notificato il 13 ottobre 1984, anche la Regione siciliana ha promosso conflitto di attribuzione avverso il decreto del Ministro del tesoro 10 agosto 1984, nella parte in cui riferendosi agli enti elencati nell'art. 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 agosto 1984 - esso estende all'Ente acquedotti siciliani, all'Ente di sviluppo agricolo della Sicilia, agli Istituti autonomi case popolari, alle Aziende autonome di cura, soggiorno e turismo ed agli Enti provinciali del turismo operanti nell'Isola, le limitazioni contestualmente introdotte in tema di disponibilità di cassa e di servizi di tesoreria.
Nel ricorso si premette che il citato decreto presidenziale dell'8 agosto non é stato impugnato, perché reiterativo dell'invasione già attuata dal precedente decreto 5 marzo 1979, in relazione al quale la Sicilia aveva proposto rituale conflitto. Dopo di che, si lamenta ancora una volta la menomazione della sfera delle prerogative regionali di controllo sugli enti pubblici in questione: prerogative che sarebbero garantite dall'art. 20 dello Statuto speciale in collegamento con le norme di attuazione dettate dai d.P.R. n. 683/1977 e n. 510/1956.
Inoltre, con riguardo al metodo di determinazione delle entrate finali stabilito dai commi secondo, terzo e quarto dell'art. 1 del decreto impugnato, il ricorso denuncia che, con provvedimento amministrativo, venga in sostanza variata la base d'incidenza dell'aliquota che segna il limite delle entrate depositabili presso le aziende di credito: "con il risultato concreto di pervenire ad una variazione dell'aliquota stessa in aperta violazione di quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 162 del 19 marzo 1982".
10. - Si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, eccependo in via preliminare l'inammissibilità del ricorso, dato che gli enti di cui si controverte erano già stati ricondotti nell'ambito di applicazione dell'art. 40 della legge n. 119, in virtù del precedente decreto presidenziale 8 agosto 1984. Né rileverebbe che sia stato precedentemente proposto conflitto in relazione al decreto 5 marzo 1979: poiché la competenza che in quell'occasione la ricorrente assumeva violata riguardava il diverso profilo dell'assoggettamento dell'Ente acquedotti siciliani alle regole di contabilità introdotte dall'art. 25 della legge n. 468 del 1978, non già la normativa sull'utilizzazione delle disponibilità di cassa.
Inammissibili sarebbero anche i più specifici motivi di doglianza, formulati dalla Sicilia in ordine al comma terzo dell'art. 1 dell'atto impugnato, che ripeterebbe alla lettera quanto già previsto dall'art. 2, quarto comma, del d.l. n. 463 del 1983; come pure in ordine al comma quarto dello stesso art. 1, che esclude determinate somme dal calcolo delle disponibilità concorrenti a formare il limite del 6 % e "per ciò non dà luogo ad alcuna invasione della sfera di competenza regionale". Del pari, la censura che investe il terzo comma sarebbe almeno in parte inammissibile, là dove tale disposto riproduce l'art. 2 del d. min. 31 luglio 1981; ma dovrebbe dirsi comunque infondata, giacché il disposto stesso non costituirebbe espressione del potere di variare la percentuale (di cui al comma ottavo del citato art. 40), bensì del potere di stabilire le condizioni e modalità di funzionamento dei conti (di cui al comma settimo del medesimo articolo), in conformità della lettera e della ratio delle norme primarie.
Considerato in diritto
1. - I cinque conflitti di attribuzione, promossi con i ricorsi descritti in narrativa, riguardano una serie di provvedimenti statali che hanno applicato ad enti pubblici dipendenti da varie Regioni differenziate ed ordinarie (quali la Sicilia, la Toscana, la Lombardia, il Friuli-Venezia Giulia) le disposizioni dettate dall'art. 25 della legge 5 agosto 1978, n. 468, nonché dall'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119, e successive modificazioni. Comune é dunque il problema se le competenze legislative ed amministrative, che le Regioni possono esercitare nei riguardi degli enti predetti, siano state lese dagli impugnati decreti, emessi dal Presidente del Consiglio dei ministri e dai Ministri del tesoro e dei lavori pubblici, che hanno incluso gli enti stessi fra quelli tenuti ad adeguarsi all'ordinamento statale di contabilità e di bilancio ovvero a sottostare alle norme di tesoreria introdotte dalla legge finanziaria per il 1981. Di conseguenza, i relativi giudizi si prestano ad essere riuniti e congiuntamente decisi.
2. - La Regione Sicilia impugna, anzitutto, il decreto del 5 marzo 1979, per mezzo del quale il Presidente del Consiglio dei ministri ha determinato - ad integrazione della tabella allegata alla legge n. 468 del 1978 - gli "enti pubblici non economici ai quali si applicano le disposizioni riguardanti l'adeguamento del sistema della contabilità e dei relativi bilanci a quello annuale di competenza e di cassa dello Stato"; e chiede specificamente che la Corte annulli tale atto, "per quanto concerne l'indicazione dell'Ente acquedotti siciliani".
L'inserimento dell'E.A.S. accanto agli altri enti pubblici tenuti ad osservare l'art. 25 della legge n. 468 comporterebbe, infatti, l'invasione d'una sfera di competenza regionale "esclusiva", passata alla Sicilia per effetto delle norme sul trasferimento delle funzioni amministrative statali in tema di opere e di acque pubbliche (d.P.R. 1 luglio 1977, n. 683): in conseguente violazione degli artt. 14, 20 e 43 dello Statuto speciale.
La potestà organizzatoria dell'E.A.S., spettante in tal senso alla Sicilia, non lascerebbe spazio - in altri termini - ad atti statali incidenti sulla contabilità dell'ente stesso; tanto più che il modello dovrebbe in tal senso consistere, se mai, nella contabilità della Regione anziché nella contabilità di Stato.
Posto in questi termini il problema, diviene indispensabile affrontare il quesito - cui la difesa regionale e l'Avvocatura dello Stato rispondono in modo antitetico - se le funzioni relative all'Ente acquedotti siciliani, compreso il potere di definirne l'ordinamento e dunque le norme di contabilità, siano state o meno attribuite alla Sicilia. Originariamente, in vero, la legge 19 gennaio 1942, n. 24, istitutiva dell'E.A.S., lo collocava alle dipendenze del Ministero dei lavori pubblici, oltre che sottoporlo alla vigilanza del Ministero delle finanze, quanto alla "gestione finanziaria" (cfr. l'art. 2 l. cit.). Su questa base, per più di un trentennio fu dunque lo Stato a curare il finanziamento della costruzione, del completamento e della sistemazione degli acquedotti siciliani e delle connesse opere igieniche: come già risultava dal d. lg. 17 aprile 1948, n. 774, che nel secondo comma dell'art. 2 conteneva soltanto la generica previsione di "intese da prendersi con la Regione siciliana, circa la scelta delle opere da finanziare". Coerentemente, nella tabella allegata alla legge 20 marzo 1975, n. 70, é stato quindi incluso - accanto ad una serie di altri enti di carattere nazionale - anche l'Ente acquedotti siciliani; ed alla tabella in questione hanno fatto esplicito richiamo le premesse dell'impugnato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 marzo 1979, quale punto di riferimento per l'individuazione degli organismi tenuti ad osservare l'art. 25 della legge n. 468 del 1978.
Tuttavia, l'ultima "concessione di contributi straordinari" a favore dell'Ente acquedotti siciliani é stata effettuata dalla legge statale 25 maggio 1978, n. 229, con il solo intento di ripianarne i disavanzi di bilancio "alla data del 31 dicembre 1976" (cfr. l'art. 2 l. cit.). Nel frattempo, infatti, erano entrate in vigore le nuove norme di attuazione statutaria dettate dal d.P.R. 1 luglio 1977, n. 683 (a modificazione ed integrazione del d.P.R. 30 luglio 1950, n. 878), per cui la Sicilia ha potuto esercitare tutte le attribuzioni degli organi centrali e periferici dello Stato in tema di lavori pubblici (ivi compresi gli enti "operanti esclusivamente in Sicilia"), "eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale": fra le quali, per altro, non figurano gli acquedotti infraregionali (cfr. gli artt. 1, primo comma, 3 e 5 d.P.R. cit.). A confermare l'avvenuto trasferimento delle funzioni in esame concorre, del resto, la legge siciliana 14 settembre 1979, n. 212, in base alla quale la Regione ha disciplinato - fra l'altro - l'ordinamento dell'Ente acquedotti, accanto a vari altri istituti da essa dipendenti; ed a ciò si aggiungono le leggi regionali 9 agosto 1980, n. 81, 6 maggio 1981, n. 92, 2 agosto 1982, n. 81, 21 agosto 1984, n. 59, tutte contenenti disposizioni finanziarie in favore dell'E.A.S..
Di qui discende che, in vista del riparto fra le competenze statali e regionali, l'atto impugnato non dispone più del necessario fondamento giustificativo. "Enti ed organismi dipendenti dalla Regione" vanno "pacificamente esclusi" - come la Corte ha rilevato nella sentenza n. 299 del 1984, sia pure con riguardo alle Amministrazioni regionali di diritto comune "dalla sfera di applicazione dell'art. 25 della... legge n. 468 del 1978". E dunque dev'esser dichiarato che non spetta al Presidente del Consiglio dei ministri includere l'Ente acquedotti siciliani fra quelli tenuti ad adeguarsi all'ordinamento statale di contabilità e di bilancio, con il conseguente annullamento - in parte qua - del decreto 5 marzo 1979.
3. - Le Regioni Toscana e Lombardia richiedono, a loro volta, l'annullamento del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 2 luglio 1983, nella parte in cui si sono inclusi vari tipi di enti dipendenti dalle Regioni medesime (quali le Aziende autonome di cura, soggiorno e turismo, gli Enti provinciali per il turismo, gli Enti regionali di sviluppo agricolo in Toscana ed in Lombardia, i rispettivi Istituti zooprofilattici sperimentali, gli Istituti autonomi case popolari, l'Ente autonomo fiera mostra mercato nazionale dell'artigianato di Firenze, l'Istituto sperimentale per lo studio e la difesa del suolo di Firenze, il Consorzio canale Milano-Cremona-Po) fra quelli soggetti alle prescrizioni dell'art. 25 della legge n. 468 del 1978, come modificato dall'art. 12 del d.l. 11 maggio 1983, n. 176 (e poi dall'art. 12 del d.l. 11 luglio 1983, n. 317). Nella prospettiva delle ricorrenti, il citato art. 25 non dovrebbe e non potrebbe venire applicato - al di là dei suoi testuali disposti - né alle Regioni né agli enti che da queste dipendono: sia perché la potestà legislativa sarebbe in tal campo riservata alle leggi regionali di ordinamento e di contabilità, in virtù degli artt. 117 e 119 della Costituzione; sia perché la legge-quadro 19 maggio 1976, n. 335, avrebbe comunque confermato in modo espresso tale competenza, mediante le disposizioni dell'art. 11, che attribuiscono appunto allo Statuto ed alla conseguente legislazione locale (come quella stabilita dagli artt. 152 ss. della legge toscana n. 28 del 1977) la disciplina dei bilanci degli enti dipendenti, alla stregua del modello rappresentato dal bilancio regionale.
All'esame del merito dei due regolamenti di competenza l'Avvocatura dello Stato eccepisce, però, che entrambi i ricorsi sarebbero divenuti inammissibili, per un duplice ordine di considerazioni: in primo luogo, giacché i decreti- legge n. 176 e n. 317 del 1983 non sono stati tempestivamente convertiti (anche se l'Avvocatura riconosce che, successivamente, la legge 11 novembre 1983, n. 638, di conversione del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, ha disposto che "restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati" in applicazione dei decreti predetti); in secondo luogo, giacché il Presidente del Consiglio dei ministri, con decreto del 3 novembre 1983 (attuativo dell'art. 21 del citato decreto-legge n. 463), ha integralmente rideterminato l'elenco dei destinatari dell'art. 25 della legge n. 468, senza più ricomprendervi la generalità degli enti indicati dalle ricorrenti.
Nella sua sostanza, la seconda di tale eccezioni dev'essere accolta. In effetti la descritta successione di decreti-legge e di provvedimenti del Presidente del Consiglio dei ministri ha finito per determinare una situazione del tutto peculiare: già messa in analitica evidenza da questa Corte, con la ricordata decisione n. 299 del 1984. Mentre i decaduti decreti-legge n. 176 e n. 317 del 1983, innovando rispetto all'art. 25 della legge n. 468, prevedevano che fossero tenuti ad osservarne le disposizioni "gli organismi e gli enti anche di natura economica a carattere nazionale e regionale", il distinto accenno agli enti nazionali e regionali é stato invece espunto dal testo dell'ultimo decreto della serie, recante il n. 463 del 1983 e poi convertito nella legge n. 638 del medesimo anno. Corrispondentemente, dunque, al Presidente del Consiglio dei ministri non é più spettato includere nell'elenco enti od organismi come quelli dipendenti dalle Regioni; ed il Presidente stesso ne ha subito tenuto conto, depennando quasi tutte le istituzioni cui si riferiscono i conflitti in discussione.
Piuttosto che l'inammissibilità dei due ricorsi, va dunque dichiarata la cessazione della materia del contendere, dal momento che il sopravvenuto decreto presidenziale del 3 novembre 1983 comporta il riconoscimento delle attribuzioni già contestate. Né osta il fatto che il Consorzio canale Milano-Cremona-Po e l'Istituto sperimentale per lo studio e la difesa del suolo di Firenze continuano ad essere coinvolti da quest'ultimo provvedimento. Di tali enti, infatti, i ricorsi e le successive deduzioni non adducono altro che il nome, senza offrire alcuna dimostrazione della loro dipendenza dalle rispettive Regioni e senza nemmeno fare intendere in quali materie di competenza regionale propria essi sarebbero operanti, ai sensi dell'art. 117 Cost. e dell'art. 13 del d.P.R. n. 616 del 1977: il che non basta a concretare un regolamento di competenza, su cui la Corte sia tenuta a pronunciarsi.
4. - Diversamente dai detti decreti presidenziali del 5 marzo 1979, del 2 luglio e del 3 novembre 1983, che si limitano a considerare gli enti e gli organismi da sottoporre alle disposizioni dell'art. 25 della legge n. 468, il decreto emesso l'8 agosto 1984 dal Presidente del Consiglio dei ministri contiene una congiunta rideterminazione degli organismi ed enti tenuti ad osservare tanto il citato art. 25, quanto l'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119, e successive modificazioni ed integrazioni. Sotto entrambi i profili, tale provvedimento é peraltro impugnato dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, nella parte in cui esso concerne una serie di enti che si assumono dipendere dall'Amministrazione ricorrente: quali le Camere di commercio, gli Istituti autonomi case popolari, le Aziende autonome di cura, soggiorno e turismo, l'Ente zona industriale di Trieste. Nei medesimi termini la Regione impugna inoltre i conseguenti decreti del Ministro del tesoro e del Ministro dei lavori pubblici, entrambi datati 10 agosto 1984; ma la legittimità degli atti in questione viene altresì contestata, poiché essi non escludono il Friuli-Venezia Giulia dal novero degli enti ai quali si applica l'art. 40 della legge n. 119.
Circa il decreto presidenziale dell'8 agosto, l'impugnativa dev'essere, però, distintamente valutata dalla Corte, secondo che essa riguardi l'applicazione dell'art. 25 della legge n. 468 o dell'art. 40 della legge n. 119. Nel primo senso, s'impongono le stesse conclusioni già raggiunte per il decreto del 5 marzo 1979, nella parte relativa all'Ente acquedotti siciliani. Siano o meno "dipendenti" dalla Regione, anche le Camere di commercio rientrano infatti nella competenza ordinamentale del Friuli-Venezia Giulia (si veda in proposito la sent. n. 65 del 1982); e non diverso si rivela il caso degli Istituti autonomi case popolari (dati l'art. 5 n. 18 dello Statuto speciale e gli artt. 22 ss. del d.P.R. 26 agosto 1965, n. 1116, e successive modificazioni), delle Aziende autonome di cura, soggiorno e turismo (in base all'art. 4 n. 10 dello Statuto ed agli artt. 15 e ss. del d.P.R. n. 1116 cit. e successive modificazioni), nonché dell'Ente zona industriale di Trieste (di cui all'art. 20, secondo comma, del d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902).
Nel secondo senso, viceversa, va ricordato che anche le Regioni a statuto speciale sono tenute ad osservare l'art. 40 della legge n. 119 del 1981 e successive modificazioni ed integrazioni, con particolare riguardo al primo comma dell'articolo stesso (come questa Corte ha già messo in luce, nella sentenza n. 162 del 1982 e poi nelle sentenze nn. 242- 243 del presente anno). Cade con ciò la premessa del ricorso regionale in esame; e diviene senz'altro insostenibile che gli enti dipendenti dal Friuli-Venezia Giulia (o sottoposti alla potestà legislativa regionale, per ciò che attiene al loro ordinamento) debbano disporre di un trattamento diverso e privilegiato rispetto a quello spettante alla Regione medesima. Dal che discende l'infondatezza del ricorso, sia per quanto concerne questa parte del decreto presidenziale 8 agosto 1984, sia relativamente agli impugnati decreti ministeriali, che la stessa ricorrente considera meramente "conseguenziali".
5. - Da ultimo, va ancora esaminato il ricorso con cui la Regione siciliana ha impugnato il predetto decreto 10 agosto 1984 del Ministro del tesoro (contenente "Modificazioni ed integrazioni alla normativa stabilita con i decreti ministeriali 11 aprile 1981 e 30 luglio 1981, ai sensi dell'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119"). Più precisamente, vanno valutati i due ordini di motivi in base ai quali la Sicilia richiede il parziale annullamento di tale atto: primo, che non spetterebbe allo Stato ricomprendere, nell'elenco degli organismi e degli enti tenuti ad osservare il citato art. 40, anche l'Ente acquedotti siciliani, gli Istituti autonomi case popolari, l'Ente regionale di sviluppo agricolo, le Aziende autonome di cura, soggiorno e turismo, gli Enti provinciali per il turismo della Regione; secondo, che sarebbe comunque lesivo della riserva di legge, costituzionalmente imposta in materia, il "metodo di determinazione delle entrate finali", risultante dai commi secondo, terzo e quarto dell'art. 1 del provvedimento in questione.
Quanto al primo motivo, tuttavia, esso si palesa inammissibile per le ragioni indicate dall'Avvocatura dello Stato. L'elenco degli organismi e degli enti cui si applicano le disposizioni dell'art. 40 della legge n. 119 non é determinato, infatti, dal decreto ministeriale impugnato, bensì dal decreto 8 agosto 1984 del Presidente del Consiglio dei ministri, avverso il quale la Sicilia non ha sollevato alcun conflitto di attribuzione; e il decreto ministeriale del 10 agosto - come si desume dalle sue premesse - é per questo verso fedelmente attuativo del previo decreto presidenziale.
A sua volta, il secondo complesso di motivi é in parte inammissibile, in parte infondato. L'art. 1, secondo comma, del decreto in discussione non fa che riprendere - alla lettera - l'art. 21, quarto comma, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638); sicché non ha senso censurarlo per violazione della riserva di legge di cui al primo comma dell'art. 119 Cost.. L'art. 1, quarto comma, dispone che "i titoli ed i depositi concernenti accantonamenti per fondi di previdenza a capitalizzazione per la quiescenza del personale dipendente dagli enti ed organismi pubblici, previsti e disciplinati da particolari disposizioni, non vanno considerati come disponibilità ai fini del calcolo del sei per cento"; sicché non si comprende in che consistano le doglianze della Regione, né il ricorso provvede in alcun modo a motivarle. L'art. 1, terzo comma, nella parte concernente i "titoli di Stato e non", é fedelmente ripetitivo dell'art. 2 del decreto 30 luglio 1981 dello stesso Ministro del tesoro: come questa Corte ha già messo in luce, nella sentenza n. 244 del presente anno.
Residua il terzo comma dell'art. 1, nella parte riguardante i "mandati in corso non ancora pagati". Ma valgono in tal senso le stesse conclusioni di infondatezza, già raggiunte in proposito - sia pure con riguardo ad altri decreti del Ministro del tesoro - dalla citata sentenza n. 244/1985.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara che non spetta allo Stato includere l'Ente acquedotti siciliani (E.A.S.) fra gli enti pubblici non economici ai quali si applicano le disposizioni riguardanti l'adeguamento del sistema della contabilità e dei relativi bilanci a quello annuale di competenza e di cassa dello Stato: e, di conseguenza, annulla in questa parte il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 marzo 1979 (n. 14 registro ricorsi 1979);
2) dichiara cessata la materia del contendere quanto ai ricorsi per conflitto di attribuzione proposti dalle Regioni Toscana e Lombardia in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 2 luglio 1983, nelle parti riguardanti gli enti dipendenti dalle Regioni medesime (nn. 24-25 registro ricorsi 1983);
3) dichiara che non spetta allo Stato includere l'Ente zona industriale di Trieste, le Camere di commercio, gli Istituti autonomi case popolari, le Aziende autonome di cura, soggiorno e turismo operanti nella Regione Friuli-Venezia Giulia fra gli organismi e gli enti ai quali si applicano le disposizioni dell'art. 25 della legge 5 agosto 1978, n. 468; e, di conseguenza, annulla in queste parti il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 agosto 1984 (n. 44 registro ricorsi 1984);
4) dichiara che spetta allo Stato includere l'Ente zona industriale di Trieste, le Camere di commercio, gli Istituti autonomi case popolari, le Aziende autonome di cura, soggiorno e turismo operanti nella Regione Friuli-Venezia Giulia fra gli organismi e gli enti ai quali si applicano le disposizioni dell'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119, e successive modificazioni ed integrazioni (n. 44 registro ricorsi 1984);
5) dichiara che spetta allo Stato computare i "mandati in corso non ancora pagati", ai fini del calcolo delle disponibilità depositabili dalla Regione siciliana presso le aziende di credito incaricate del servizio di tesoreria (n. 45 registro ricorsi 1984);
6) dichiara inammissibili gli altri motivi del ricorso per conflitto di attribuzione, proposto dalla Regione siciliana in relazione al decreto del tesoro 10 agosto 1984 (n. 45 registro ricorsi 1984).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 1985.
Guglielmo ROEHRSSEN - Livio PALADIN
Depositata in cancelleria il 29 ottobre 1985.