Sentenza n.292 del 1984

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SENTENZA N. 292

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

          Prof. Giuseppe BORZELLINO,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 39, primo comma, della legge 2 luglio 1952, n. 703 (Disposizioni in materia di finanza locale) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 13 novembre 1979 dalla Corte d'appello di Milano nel procedimento civile vertente tra SIP e Comune di Cinisello Balsamo, iscritta al n. 96 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 105 dell'anno 1980;

2) quattro ordinanze emesse il 10 novembre 1982 e 8 febbraio 1984 dal Tribunale di Lucca nei procedimenti civili vertenti tra la SIP e il Comune di Forte dei Marmi, iscritte ai nn. 201, 202 e 203 del registro ordinanze 1983 e 562 del registro ordinanze 1984 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 225 del 1983 e n. 190 del 1984.

Visti gli atti di costituzione della SIP e del Comune di Cinisello Balsamo nonché gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 16 ottobre 1984 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;

uditi l'avv. Filippo Satta per la SIP e l'avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza in data 13 novembre 1979 la Corte d'appello di Milano, nel giudizio promosso dall'appellante SIP - Società italiana per l'esercizio telefonico s.p.a. - nei confronti del Comune di Cinisello Balsamo avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Monza in data 18 dicembre 1978, esponeva che la SIP si era doluta che il Comune di Cinisello Balsamo avesse applicato in misura quadrupla, per gli anni 1974, 1975 e 1976, la tassa per l'occupazione di aree e spazi pubblici benché non vi fosse stato alcun incremento nella estensione della rete dei cavi telefonici. Il Comune aveva dedotto che la misura originaria della tassa per l'occupazione del sottosuolo stradale di cui all'art. 198 del r.d. 14 settembre 1931, n. 1175 (Testo unico per la finanza locale) doveva ritenersi aumentata non già di quaranta volte - come assumeva la SIP - bensì di centosessanta volte, giacché l'art. 39 della legge 2 luglio 1952, n. 703, recante "disposizioni in materia di finanza locale", aveva disposto l'aumento di quaranta volte della tariffa prevista dall'art. 198, r.d. n. 1175 del 1931, "e successive modificazioni"; le quali erano state apportate con l'art. 32 del d. lgs. lgt. 8 marzo 1945, n. 62, che aveva appunto aumentato di quattro volte la misura originaria della tassa per l'occupazione del sottosuolo stradale.

La SIP aveva a sua volta eccepito l'incostituzionalità dell'art. 39 della l. 2 luglio 1952, n. 703, assumendo che la disposizione non era stata approvata nel medesimo testo dai due rami del Parlamento, secondo quanto disposto dagli artt. 70 e 72 Cost..

La Corte d'appello di Milano, accogliendo l'eccezione della SIP, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma in questione in riferimento ai citati parametri di raffronto.

Premesso che é assolutamente pacifico che la disposizione denunciata fu approvata dal Senato, in assemblea, senza l'inciso "e successive modificazioni"; che tale inciso fu invece introdotto dalla Commissione incaricata del coordinamento da quel ramo del Parlamento; che il testo così integrato fu poi approvato dalla Camera dei deputati, la quale però non lo rinviò al Senato per la definitiva approvazione, e che in tale formulazione la legge fu poi promulgata e pubblicata, il giudice a quo rileva che dalla diversa dizione dei due testi consegue una diversa statuizione normativa, posto che quello pubblicato fa espresso ed insuperabile riferimento alle modifiche successivamente apportate all'art. 198 del r.d. n. 1175 del 1931, e quindi alle nuove tariffe fissate dall'art. 32 del d. lgs. lgt. n. 62 del 1945, mentre il testo approvato dal Senato, prima della integrazione apportata dalla Commissione in sede di coordinamento, si limitava inequivocamente ad aumentare di quaranta volte la tariffa originaria di cui all'art. 198 del Testo unico per la finanza locale.

Né - si osserva ancora in ordinanza - l'analisi del complessivo sistema della legge nella quale é inserita la norma denunciata consente di pervenire alla conclusione che il legislatore intese comunque, a prescindere dall'inciso in questione, fare riferimento alle tariffe all'epoca vigenti, e quindi a quelle modificate dall'art. 32 del d. lgs. lgt. n. 62 del 1945, anziché a quelle originariamente previste dall'art. 198 del r.d. n. 1175 del 1931. Invero, gli altri importi tariffari modificati dalla stessa legge n. 703 del 1952 risultano, in larghissima prevalenza, superiori di quaranta (e non di centosessanta) volte rispetto ai corrispondenti importi del 1931; e, inoltre, dalla relazione della IV Commissione permanente della Camera dei deputati risulta che le maggiori entrate preventivate in base alle nuove tariffe delle tasse di occupazione del suolo e del sottosuolo ammontano a 1250 milioni, di contro ai circa 5000 milioni che avrebbero costituito il maggior gettito di tariffe aumentate di centosessanta, anziché di quaranta, volte rispetto a quelle del 1931.

L'aggiunta dell'inciso "e successive modificazioni" al testo approvato dal Senato da parte della Commissione di coordinamento non costituì, dunque, un semplice coordinamento formale degli articoli approvati, ma integrò una sostanziale modifica del testo, successivamente approvato dalla Camera in una versione dunque difforme, in violazione degli artt. 70 e 72 Costituzione.

2. - La stessa questione di legittimità costituzionale é stata altresì sollevata, nei medesimi termini, dal Tribunale di Lucca con quattro identiche ordinanze, tre delle quali emesse il 10 novembre 1982 e l'altra l'8 febbraio 1984, in altrettanti procedimenti civili promossi dalla SIP nei confronti del Comune di Forte dei Marmi.

3. - Tutte le ordinanze sono state ritualmente notificate e pubblicate.

Nel giudizio promosso dalla Corte d'appello di Milano si é costituita sia la SIPche il Comune di Cinisello Balsamo.

La SIP, premesso che l'art. 39 in parola riproduce, senza alcuna modificazione in parte de qua, parte del testo dell'originario art. 6 del disegno di legge presentato al Senato il 15 novembre 1949 dal Ministro delle finanze pro tempore, Vanoni, e che esso fu concordemente approvato da maggioranza e minoranza all'atto dell'esame da parte della Commissione finanze e tesoro in sede referente, rileva che, dopo la conforme approvazione da parte dell'Assemblea del Senato nella seduta del 22 novembre 1951, il Presidente del Senato, su richiesta del relatore, dichiarò testualmente: "Se non vi sono osservazioni resta inteso che la Commissione procederà a termini del regolamento al coordinamento del disegno di legge". In questa sede la disposizione impugnata fu modificata con l'aggiunta dell'inciso "e successive modificazioni" che ha dato luogo al giudizio di costituzionalità. Ma perché esso sia stato introdotto - continua la SIP in atto di costituzione - non é dato con sicurezza sapere, non essendo stato possibile rinvenire traccia dei lavori della Commissione di coordinamento. Non più illuminanti sono poi gli ulteriori lavori preparatori, avendo la Camera dei deputati discusso e approvato il disegno di legge prima in Commissione e poi in Assemblea senza che l'art. 39 fosse oggetto di emendamenti o discussioni specifiche.

In tale contesto non pare alla SIP che l'aggiunta dell'inciso "e successive modificazioni" in sede di coordinamento abbia comportato una modificazione sostanziale del testo, come invece ritenuto dal giudice a quo. Con essa, insomma, né la commissione di coordinamento - che plus dixit quam voluit - né la Camera intesero mutare la portata della disposizione approvata in Assemblea dal Senato.

Anzitutto, invero, il coordinamento "a termini di regolamento" disposto dal Presidente dell'Assemblea non può che riferirsi a correzioni di forma e non anche di sostanza, essendo per queste ultime richiesta la deliberazione dell'Assemblea ex art. 74 del regolamento del Senato all'epoca vigente. E non é fondatamente ipotizzabile che la Commissione di coordinamento abbia inteso modificare la concorde volontà del Governo e dell'Assemblea del Senato - che era quella di aumentare di quaranta volte le tariffe previste dal Testo unico del 1931 - senza avvertire il dovere di sottoporre nuovamente il testo modificato del disegno di legge all'approvazione dell'Assemblea. Se ciò non é avvenuto é segno che la Commissione non ritenne di aver apportato col suo operato alcun mutamento sostanziale all'articolo approvato dall'assemblea. E dello stesso parere fu, evidentemente, il Presidente del Senato, che senz'altro trasmise l'approvato disegno di legge al Presidente della Camera dei deputati secondo il testo coordinato dalla Commissione.

Inoltre, l'assoluta assenza di interventi sul punto alla Camera dei deputati e l'elaborata relazione della Commissione testimonierebbero l'assenza di qualsiasi dubbio, anche in quella sede, sul riferimento dell'aumento alle tariffe fissate dal Testo unico del 1931.

Ancora, il riferimento specifico delle nuove tariffe a quelle originarie implica, in via generale, l'abrogazione tacita delle disposizioni introdotte successivamente.

Infine, abbondano nella legge n. 703 del 1952 (agli artt. 13, 14, 16, 17, 18, 19, 20, 22, 23, 28, 29, 33, 34, 36, 37, 41, 48, 49, 51, 52, 53 e 55) i riferimenti ad articoli del T. U. fi,. loc. del 1931 e alle loro "successive modificazioni" anche allorché nessuna modificazione sia stata, mai, in precedenza apportata. Il che dimostrerebbe non solo l'imperfezione tecnica della legge, ma anche che l'inciso in questione non avrebbe di per sé, isolatamente considerato, al di fuori del contesto generale della legge e degli indubbi criteri informatori del legislatore in fatto di adeguamento tariffario, alcuna rilevanza sostanziale. Il richiamo alle "successive modificazioni" può quindi intendersi solo come clausola di stile, comunque riferita al testo unico nel suo insieme e non già ai suoi singoli articoli, spesso non modificati.

Sulla scorta di tali considerazioni - conclude la SIP" é da ritenere che la questione di costituzionalità sollevata dalla Corte d'appello di Milano é infondata perché la semplice interpretazione dell'art. 39 rivela come esso o dica più di quanto si sia voluto, o viceversa come, esasperando il valore del generico riferimento alle "successive modificazioni", gli si faccia dire più di quanto effettivamente dice".

4. - Di segno opposto sono le argomentazioni svolte dal Comune di Cinisello Balsamo che, nel proprio atto di costituzione, sostiene invece che, essendo stato l'art. 198 del T. U. del 1931 parzialmente abrogato dall'art. 32 del d. lgs. lgt. n. 62 del 1945 (che aveva modificato, aumentandole di quattro volte, le tariffe fissate dall'art. 198 cit.), la norma denunciata, con o senza l'inciso "e successive modificazioni", avrebbe comunque comportato l'aumento di centosessanta volte delle tariffe originarie, non essendo concepibile che il legislatore abbia inteso riferirsi alle misure tariffarie fissate da una norma in parte de qua abrogata, facendola in tal modo rivivere, ma dovendo invece ritenersi che il riferimento all'art. 198 sia stato operato in relazione alla sua vigente portata normativa. La Commissione di coordinamento del Senato, pertanto, non avrebbe apportato alcuna "modifica" al testo approvato in Assemblea, ma ne avrebbe solo chiarito il significato, come era sicuramente autorizzata a fare.

5. - Analoga la conclusione cui perviene l'Avvocatura dello Stato, intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri in tutti i giudizi, escluso solo quello promosso dal Tribunale di Lucca con ordinanza in data 8 febbraio 1984. In atto d'intervento si sostiene in particolare che "la norma in genere concretizza il diritto positivo vigente in un determinato momento storico, sia che essa conservi il testo originario, sia che abbia subito medio tempore immutazioni o modifiche". Ne consegue che "eventuali ulteriori novelle operano sul tessuto preesistente nei termini in cui si é concretamente consolidato", talché la circostanza che "il legislatore richiami una specifica disposizione tout court, o la medesima disposizione con le modifiche frattanto intervenute, non vale ad identificare realtà normative difformi o dissimili, ma sottende come termine di riferimento lo stesso ed unico dato, indipendentemente dalle modalità della sua formazione, che può essersi venuta a costituire unitariamente o per apporti successivi".

6. - Alla pubblica udienza del 16 ottobre 1984, assente il difensore del Comune di Cinisello Balsamo, il difensore della SIP ed il rappresentante dell'Avvocatura dello Stato hanno entrambi insistito per la declaratoria di infondatezza della questione, pur se in base alle diverse argomentazioni più sopra riportate.

Considerato in diritto

1. - Il testo unico per la finanza locale (t.u.f.l.), approvato con il r.d. 14 settembre 1931, n. 1175 conosce, fra le altre entrate dei Comuni, la "tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche", disciplinata negli artt. 192-200. Per quanto riguarda più propriamente l'occupazione del sottosuolo mediante "condutture, cavi ed impianti in genere", tale tassa così ai sensi del dato testuale dell'art. 198, primo comma, lettera a) - "é applicata... a metro lineare", "in base alla... tariffa massima " di lire 0,50 ovvero di lire 1, secondo che le suindicate apparecchiatura abbiano un diametro inferiore o superiore a centimetri 20. La tariffa massima come sopra stabilita venne poi quadruplicata con l'art. 32, lettera a), del decreto legislativo luogotenenziale 8 marzo 1945, n. 62, che, infatti, la elevò, rispettivamente, a lire 2 e lire 4, e nuovamente "aumentata di quaranta volte", a decorrere dal 1 gennaio 1952, con gli artt. 39, primo comma, e 44 della legge 2 luglio 1952, n. 703 ("disposizioni in materia di finanza locale"). Per l'esattezza, mentre il Senato approvava la disposizione nel seguente testo: "la tariffa massima di cui all'art. 198 del testo unico 14 settembre 1931, n. 1175, e al decreto ministeriale 26 febbraio 1933, concernente le norme provvisorie aggiunte di applicazione dello stesso testo unico in materia di tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche é aumentata di 40 volte", il menzionato art. 39, primo comma, così recita, viceversa, nel testo approvato dalla Camera, promulgato dal Presidente della Repubblica, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ed inserito nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica: "La tariffa massima di cui all'art. 198 del testo unico per la finanza locale 14 settembre 1931, n. 1175, e successive modificazioni, e al decreto ministeriale 26 febbraio 1933, concernente le norme provvisorie aggiunte di applicazione dello stesso testo unico in materia di tassa per la occupazione di spazi ed aree pubbliche, é aumentata di quaranta volte".

2. - Nel corso di cinque giudizi promossi dalla SIP (Società italiana per l'esercizio telefonico) contro i Comune di Cinisello Balsamo e di Forte dei Marmi, i quali avevano applicato (l'uno per gli anni 1974, 1975 e 1976, l'altro per gli anni 1980, 1981 e 1982) entrambi gli aumenti di cui sopra alla tassa per l'occupazione, nel territorio dei rispettivi Comuni, di sottosuolo con condutture, la predetta società denunciò che, poiché l'estensione della rete dei cavi era rimasta invariata, l'aumento della tassa era illegittimo. In particolare, eccepì che il cumulo delle due maggiorazioni era stato disposto in base alla norma di cui al trascritto art. 39 e che "la detta norma non era stata approvata nella stessa versione dai due rami del Parlamento", nel senso che il richiamo alle "successive modificazioni" venne aggiunto, al Senato, in sede di coordinamento, dopo la votazione finale, sicché risulta approvato dalla sola Camera.

La Corte d'appello di Milano, con ordinanza (r.o. 96/1980) emessa il 13 novembre 1979, ed il Tribunale di Lucca, con ordinanze (r.o. 201, 202, 203/1983 e 562/1984) emesse il 10 novembre 1982 e l'8 febbraio 1984, dato preliminarmente atto che non era contestato dalle parti che l'art. 39 fu approvato dal Senato senza l'inciso ("e successive modificazioni") e che tale inciso venne introdotto, dopo la votazione finale, "dalla commissione di coordinamento del Senato", la quale poi non rimise più il testo coordinato al plenum, osservano concordemente che: "i due testi approvati dal Senato e dalla Camera sono tra loro totalmente difformi"; l'inciso "non costituisce un semplice coordinamento.., ma una effettiva modifica legislativa"; "la rilevata difformità comporta una diversa statuizione normativa". Osservato altresì (anche se dal solo Tribunale di Lucca) che così "non risulta rispettata la regola fondamentale del bicameralismo", i due giudici a quibus hanno sollevato, in riferimento agli artt. 70 e 72 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'intero art. 39 della legge n. 703 del 1952. Ed in quanto alla rilevanza, afferma il Tribunale di Lucca che essa "appare evidente prima facie". L'affermazione é esatta, giacché dalla soluzione della quaestio legitimitatis dipende se la tassa in parola dev'essere pagata dai concessionari ai Comuni nelle misure massime a metro lineare, di lire 20 ovvero di lire 80, e di lire 40 ovvero di lire 160, secondo che condutture, cavi ed impianti abbiano un diametro, rispettivamente, inferiore o superiore a centimetri 20.

3. - Trattandosi di questioni identiche, i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

Con la sentenza n. 9 del 1959, questa Corte ha affrontato per la prima volta, in tema di procedimento legislativo, la problematica cui dà vita la constatazione della difformità fra il testo approvato da una Camera e quello approvato dall'altra Camera. Con tale pronuncia, dopo avere riconosciuto la propria competenza in via generale "a controllare la legittimità costituzionale di una legge per quanto concerne il procedimento della sua formazione "e, quindi, che l'attestazione contenuta nel messaggio che accompagna la trasmissione di un testo di legge da un ramo all'altro del Parlamento non preclude il sindacato del giudice delle leggi sugli atti anteriori, essa statuì in particolare che: a) la prassi del coordinamento, autorizzato dalla Camera (o da una commissione in sede legislativa) ed operato dalla Presidenza, "in quanto risponde ad esigenze del funzionamento di organi collegiali, non può ritenersi senz'altro contraria alla Costituzione", se poi il testo del disegno di legge, una volta coordinato, "non é ripresentato alla Camera (o alla commissione competente) per una nuova votazione finale"; b) tuttavia, "il testo coordinato, in tanto può non essere sottoposto ad una nuova votazione finale, in quanto abbia una formulazione che non alteri la sostanza del testo che aveva formato oggetto della votazione finale"; c) l'accertamento se la formulazione del testo coordinato "si é mantenuta (nei limiti nei quali il coordinamento é stato autorizzato), in modo che esso esprima l'effettiva volontà della Camera e sia idoneo a concorrere con una identica volontà dell'altra Camera a produrre la legge" va compiuto dalla Corte "caso per caso", ed all'uopo "é rilevante il raffronto fra il testo votato... con riserva del coordinamento ed il testo coordinato e poi promulgato"; d) "in conclusione", se non risultano "modificazioni di sostanza", "l'eccezione di legittimità costituzionale... per assunta difformità dei testi votati...", può dichiararsi non fondata.

Successivamente alla ricordata pronuncia, la competenza di questa Corte a sindacare il processo formativo delle leggi non é stata più giudizialmente posta in discussione, sicché può dirsi costituire ormai uno dei principi del nostro ordinamento costituzionale, e le statuizioni di cui sopra sono state poi ribadite ed applicate in altre due sentenze - pronunciate peraltro, la prima delle due su difformità tra testo approvato e testo promulgato, ed entrambe su difformità conseguente ad errore materiale verificatosi nella trascrizione -, sicché possono dirsi costituire ormai giurisprudenza costante di questa Corte. Tali due sentenze, infatti, hanno precisato, l'una a riguardo della facoltà di coordinamento (sentenza n. 134 del 1969), che "nella nozione più restrittiva che si voglia darne" non rientra soltanto "la correzione di errori materiali", ma "anche la eventuale correzione lessicale dei testi per conformarne la dizione alla sostanza", e l'altra a riguardo dell'accertamento "caso per caso" (sentenza n. 152 del 1982), che "non si può ragionare astrattamente e meccanicamente dei vizi formali di legittimità costituzionale delle leggi", dovendosi, invece, non solo "tener conto della effettiva volontà delle Camere", ma anche "valutare il rilievo che l'errore potrebbe assumere nelle sedi interpretativa ed applicativa" della disposizione impugnata. Ma particolare risalto merita quest'ultima sentenza (n. 152 del 1982), per la statuizione del tutto nuova, che essa enuncia e che si aggiunge a quelle più sopra riportate, integrando la visione di questa Corte in tema di coordinamento delle leggi. In ordine al dilemma, infatti, se il vizio dell'iter procedimentale produca effetti limitati alla sola disposizione - o parte - viziata ovvero travolga l'intero atto, essa ha statuito che: e) "deve farsi... applicazione del principio generale di conservazione degli atti" e che perciò il "vizio formale... non comporta - per sé considerato - l'annullamento integrale della legge.., ma può solo incidere, in ipotesi, sulla parte specificamente viziata".

4. - Ritiene questa Corte che non vi sono motivi, i quali sospingano a variare il rievocato indirizzo giurisprudenziale o anche solo a discostarsene. É pertanto sulla base del principio generale della sindacabilità, in questa sede, delle leggi anche per vizi dei loro procedimenti di formazione, ed é alla luce delle statuizioni di cui sopra, che va esaminata e risolta la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di appello di Milano e dal Tribunale di Lucca.

In vista, allora, dell'applicazione alla fattispecie in oggetto delle surriportate statuizioni, giova precisare che la difformità, verificatasi alla Camera, fra il testo approvato da questa ed il testo approvato dal Senato, é la conseguenza della difformità, verificatasi anteriormente al Senato, fra il testo approvato da questo ed il testo coordinato. Si pone, quindi, un triplice interrogativo: se, avendo il testo coordinato ottenuto la approvazione della sola Camera, possa dirsi che vi é stato l'incontro delle volontà di entrambi i rami del Parlamento; se il coordinamento ha comportato, o meno, una modifica sostanziale della legge; nell'ipotesi affermativa, se esso ha viziato l'intero atto ovvero soltanto l'intera proposizione normativa ovvero ancora la sola parte coordinata. Il primo interrogativo chiama in causa l'art. 70 Cost., il quale dichiara che la funzione legislativa é esercitata "collettivamente dalle due Camere"; gli altri due chiamano in causa l'art. 72 Cost., il quale detta, sì, la disciplina del procedimento legislativo, ma ne demanda l'integrazione all'autonomia normativa di ciascuna Camera.

Ora, l'istituto del coordinamento é ignoto alla Costituzione, ma non anche ai regolamenti parlamentari. Il regolamento del Senato che era in vigore nel 1952, cioé al momento dell'approvazione della legge de qua, prevedeva all'art. 74, benché non nominatim, il coordinamento, stabilendo, sotto il profilo contenutistico, che esso doveva intendersi consistere, non solo "nelle correzioni di forma che siano opportune", ma anche nelle "necessarie modificazioni" "di quegli emendamenti già approvati che sembrino inconciliabili con lo scopo della legge o con alcune delle sue disposizioni" e, sotto il profilo procedurale, che doveva essere deliberato dal Senato "prima della votazione finale". L'istituto é rimasto sostanzialmente immutato nel regolamento approvato il 17 febbraio 1971, ed oggi in vigore, il quale, al contrario di quello anteriore, parla espressamente di "coordinamento", là dove facoltizza le "modificazioni di coordinamento che appaiono opportune "(art. 103.1), prevedendo altresì il conferimento dell'incarico alla "commissione di presentare le opportune proposte" (art. 103.2), "eventualmente accompagnate da una relazione" (art. 103.3), sulle quali "può intervenire non più di un oratore per ciascun gruppo parlamentare e la votazione ha luogo per alzata di mano" (art. 103.4). Insomma, é di tutta evidenza che in ogni caso - si abbia riguardo alla nuova o alla cessata disciplina regolamentare - il coordinamento é in linea di principio legittimo, se avviene "prima della votazione finale".

5. - Il coordinamento in esame é stato, viceversa, operato dopo la votazione finale, e perciò stride con la fattispecie astratta disegnata dall'art. 74 del cessato regolamento del Senato. In coerenza, tuttavia, con il costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, non può dirsi che la modifica apportata in sede di coordinamento all'art. 39, primo comma, della legge n. 703 del 1952 mediante il denunciato inserto sia di per sé costituzionalmente viziata e viziante. Ed invero, l'introduzione nell'impugnato articolo dell'inciso, su cui il Senato non fu poi chiamato a pronunciarsi, se per un verso é innegabilmente avvenuta in difformità della norma regolamentare, per altro verso risulta operata in conformità di una prassi tutt'altro che recente, la quale trova osservanza anche nell'altro ramo del Parlamento. In ordine a tale prassi, questa Corte, come si é già ricordato, ha statuito (sentenza n. 9 del 1959) - ed in considerazione, non già della sua annosità, ma della necessità, in taluni casi e circostanze, del ricorso ad essa al fine di assicurare la funzionalità di organi collegiali particolarmente numerosi - non potersi ritenere "senz'altro contraria alla Costituzione".

Non può non dirsi lo stesso per quanto concerne la modifica subita, ad opera dell'inciso in argomento, dalla disposizione sospettata di illegittimità costituzionale: la ricordata statuizione, infatti, vale a maggior ragione nel caso di specie, in cui il coordinamento risulta operato, non già dalla Presidenza, come nelle fattispecie di cui alle pronunce n. 9 del 1959 e n. 134 del 1969, bensì dalla commissione competente.

6. - Si deve ora sottolineare che questa Corte non ha inteso, con le sentenze più volte richiamate, riconoscere in linea di principio, e perciò in ogni caso, la legittimità della suddetta prassi del coordinamento, bensì ha inteso escluderne la illegittimità in quei soli casi, in cui la formulazione modificata "non alteri la sostanza del testo che aveva formato oggetto della votazione finale" (sentenza n. 9 del 1959). Con questa ultima precisazione, il problema diviene palesemente ermeneutico: in tanto sarà possibile, infatti, valutare se la modifica costituita dall'inserto abbia alterato la sostanza del testo, quale risulta approvato nella votazione finale dal plenum del Senato, in quanto si conosca previamente l'effettiva volontà espressa da questo, sia col voto sull'articolo, sia poi con la votazione finale. Ed a tale scopo, si richiede appunto un'indagine volta a cogliere l'esatta interpretazione dell'impugnato art. 39 nella versione approvata dal Senato (cioé, senza l'inciso) e, più precisamente, a stabilire se il Senato, disponendo l'aumento di 40 volte, volle riferirsi alle tariffe originarie del 1931 ovvero a quelle quadruplicate del 1945.

É questo il nodo che va preliminarmente sciolto; il nodo, cioé, formatosi nell'ambito del Senato, come del resto si é già precisato più sopra, allorché si é posto in rilievo che la difformità fra i testi approvati dalle due Camere é la conseguenza della difformità, verificatasi in Senato, fra il testo anteriormente approvato e quello successivamente coordinato.

7. - Non mancano elementi, i quali lascerebbero pensare che intenzione del Senato, pur in mancanza dell'inciso poi introdotto in sede di coordinamento era quella di aggiungere un ulteriore aumento alla quadruplicazione disposta nel 1945.

Quando, infatti, la legge de qua veniva approvata, dopo una laboriosa gestazione triennale, era in vigore la tariffa del 1945, non più quella del 1931; e ciò, proprio per effetto del menzionato decreto legislativo luogotenenziale n. 62 del 1945, il cui art. 32 dispone testualmente che la misura della tassa in parola, quale stabilita nel 1931 dall'art. 198 t.u.f.l, é "modificata", e precisamente quadruplicata. Poiché questa era la situazione normativa del momento, non sembra che l'opinione secondo cui il Senato avrebbe avuto in mente, non già la tariffa in vigore, ma la tariffa abrogata, meriti maggior credito di quella inversa. Oltre tutto, se con l'ipotizzata opinione i giudici a quibus intendessero sostenere che il denunciato art. 39 della legge n. 703 del 1952 avrebbe implicitamente abrogato l'art. 32 del d.l.l. n. 62 del 1945 ed implicitamente ridato vigore all'art. 198 t.u.f.l, si porrebbe il problema, di non agevole soluzione, se possa ritenersi che l'abrogazione tacita di una norma successiva abbia di per sé, indipendentemente da un'apposita legge ripristinatoria, la virtù di far rivivere la norma anteriore espressamente abrogata - o "modificata" -, quale é appunto, nella specie, quella che nel 1931 stabiliva la tariffa della tassa in contestazione.

Ed il dubbio sull'opinabilità di tale tesi apparirebbe trovare riscontro nel diritto positivo a chi osservasse che proprio la legge in parola ubi voluit dixit: l'art. 31, primo comma, infatti, dopo avere espressamente disposto che "a decorrere dal 1 gennaio 1952, l'art. 29 del d.l.l. 8 marzo 1945, n. 62 é abrogato", soggiunge altrettanto espressamente, offrendo così un chiaro esempio di legge ripristinatoria, che "i Comuni, pertanto, debbono applicare l'imposta di patente secondo le norme dell'art. 166 t.u.f.l., e la misura ivi prevista può essere aumentata fino a quaranta volte".

Né può dirsi che sia priva di alcun rilievo la constatazione che é dato fare nella relazione di maggioranza e, prima ancora, in quella governativa accompagnante il disegno di legge, ove risulta scritto che, stante il "disavanzo talvolta pauroso" dei bilanci comunali ed in vista del loro risanamento, quegli "adeguamenti fiscali" venivano disposti "allo scopo di avvicinare i singoli tributi ad un livello non dissimile da quello prebellico". Questa risultando la ratio legis, non sarebbe corretto prescindere da essa, allorché si tratti di valutare se intenzione del legislatore sia stata quella di assumere come base la tariffa minima, stabilita oltre vent'anni prima, in tempo di pace e di stabilità economica, anziché quella aumentata da poco più di cinque anni, pressoché al termine della guerra (marzo 1945), e perciò in tempo di lievitazione delle spese.

Inoltre: il Senato approvò all'unanimità, nella votazione finale, il testo della legge de qua, ed il coordinamento venne operato, come già si é posto in rilievo, non dalla Presidenza, bensì dalla stessa commissione (Finanze e Tesoro), la quale, stante la sua competenza in materia, aveva esaminato e dibattuto in sede referente il disegno di legge. Ed allora, benché non esistano verbali dei lavori della commissione in sede di coordinamento, appare tutt'altro che inattendibile la congettura che l'inciso di che trattasi sia stato inserito nel corpo dell'impugnato art. 39 nel convincimento che esso - cioé l'esplicito richiamo alle "successive modificazioni" - rendesse pienamente chiara la volontà che il Senato aveva inteso effettivamente esprimere. Tanto più che la commissione procedette al coordinamento subito dopo la votazione finale, esaurendolo entro una diecina di giorni - dal 23 novembre 1952, data della suddetta votazione finale, al 5 dicembre successivo, data del messaggio di trasmissione all'altra Camera -, quando era più sicura e viva la memoria del dibattito e del vero orientamento dell'assemblea.

8. - Le considerazioni testé esposte sembrano avvalorare l'interpretazione secondo cui il Senato, pur approvando l'impugnato art. 39 senza l'inciso, avrebbe inteso riferirsi alla tariffa come modificata dall'art. 32 del d.l.l. n. 62 del 1945 - a quella quadruplicata, insomma, ed allora in vigore -, non già a quella del 1931, che da ben sette anni era stata esplicitamente "modificata", cioé abrogata, dallo stesso art. 32 del menzionato provvedimento legislativo.

Se si accogliesse questa ricostruzione del pensiero del Senato, allora l'aggiunta dell'inciso ("e successive modificazioni") potrebbe ritenersi, come afferma l'Avvocatura dello Stato, "meramente esplicativa del significato che scaturiva dal testo iniziale". Conseguentemente, svanirebbe ogni dubbio sulla legittimità costituzionale del denunciato art. 39: il coordinamento operato secondo prassi non sarebbe censurabile, e le due Camere avrebbero espresso la medesima volontà sul punto controverso.

9. - La disposizione in esame consente tuttavia di pervenire a conclusioni del tutto opposte.

La difesa della SIP sostiene nella sua elaborata memoria: che dalla relazione della commissione della Camera "risulta... senz'altro pacifico e acquisito che l'aumento si riferisce esclusivamente alle tariffe fissate dal t.u. del 1931", cioé "proprio alle misure originarie"; che il "riferimento fisso e non mobile" alle tariffe originarie "implica in via generale... l'abrogazione tacita delle disposizioni in materia introdotte successivamente", sicché "l'abrogazione espressa é stata superflua"; che "la semplice interpretazione dell'art. 39 rivela come esso o dica più di quanto si sia voluto, o viceversa... gli si faccia dire più di quanto effettivamente dice". E nella discussione orale la stessa difesa della SIP ha dedotto che, poiché il decreto ministeriale 26 febbraio 1933, richiamato nell'art. 39 in discorso, si riferisce esclusivamente al soprassuolo, ne deriverebbe la conseguenza - inaccettabile, e perciò stesso confermativa della giustezza della sua interpretazione - che l'aumento di 40 volte si applicherebbe esclusivamente all'occupazione del sottosuolo, mentre rimarrebbe invariata la tariffa per l'occupazione del soprassuolo.

Dello stesso avviso sono, soprattutto, i giudici che hanno sollevato la questione in oggetto. Secondo la Corte d'appello di Milano - ma eguale ragionamento, e pressoché con le medesime parole, si rinviene nelle ordinanze del Tribunale di Lucca - si evincerebbe dal "complessivo sistema" cosa "il legislatore intese". Infatti, prosegue la suddetta Corte e riecheggia il suddetto Tribunale, "la dizione approvata dal Senato con esclusivo riferimento alle tariffe originarie non lascia dubbi sulla intenzione del legislatore e di voler cioé fare riferimento proprio a quelle tariffe", aggiungendo che "in tal senso é poi ancora la relazione della IV commissione permanente della Camera dei Deputati che prevedeva un preventivo di maggiori entrate... per 1.250 milioni", anziché per "5.000 milioni preventivabili in base alle tariffe come applicate dal convenuto".

10. - Le argomentazioni che precedono indurrebbero a concludere nel senso che il Senato, approvando l'impugnato art. 39 senza l'inciso, avrebbe inteso riferirsi alla tariffa quale stabilita originariamente dall'art. 198 del t.u.f.l. del 1931. E se questa diversa ricostruzione del pensiero del Senato fosse esatta, dovrebbe allora ritenersi che l'aggiunta, operata dalla commissione in sede di coordinamento, dell'inciso ("e successive modificazioni") abbia alterato la sostanza della disposizione, quale era stata approvata dall'assemblea. Conseguentemente acquisterebbe consistenza il dubbio sulla legittimità costituzionale del denunciato art. 39: il coordinamento avvenuto secondo prassi sarebbe illegittimo e dovrebbe registrarsi la mancanza della comune volontà legislativa sul punto controverso.

11. - La disposizione in esame si presta, dunque, ad interpretazioni diverse e contrastanti. La difesa del Comune di Cinisello Balsamo e, come già ricordato, l'Avvocatura dello Stato sostengono che il riferimento sia stato fatto alle tariffe quadruplicate del 1945; per l'una, questo é il solo significato dell'art. 39, "con o senza l'inciso", per l'altra, l'aggiunta dell'inciso é "meramente esplicativa". Al contrario, la difesa della SIP ed i giudici a quibus ritengono che il riferimento sia stato fatto alle tariffe originarie del 1931. Tuttavia, mentre per l'una l'aggiunta dell'inciso "può intendersi soltanto come clausola di stile", in quanto con essa "la commissione di coordinamento prima e la Camera poi plus dixit quam voluit", sicché l'art. 39 "non ha subito alcuna modificazione sostanziale", pertanto "é da ritenere che la questione di costituzionalità... é infondata", per i giudici a quibus, viceversa, il contestato inciso "non costituisce un semplice coordinamento degli articoli approvati.., ma integra una effettiva modifica legislativa", cioé "comporta una diversa statuizione normativa", sicché "l'eccezione di incostituzionalità dell'art. 39... non é manifestamente infondata".

Il dissidio fra le due letture dell'art. 39 é evidente e stridente, ma spetta ai giudici delle liti di comporlo. Compito di questa Corte, che non dispone di elementi tali, da indurla a disattendere la prospettazione offerta dalle ordinanze in esame, é quello di stabilire se il coordinamento de quo sia, o meno, costituzionalmente legittimo. E poiché, la legittimità costituzionale di un testo legislativo coordinato, non già secondo il regolamento, bensì secondo la prassi parlamentare, é condizionato alla portata del coordinamento non può non riconoscersi che un siffatto coordinamento viola la Costituzione, e precisamente negli artt. 70 e 72, tutte le volte che provochi, nelle sedi interpretative ed applicative, grave incertezza sul significato del testo coordinato. Con riguardo al caso di specie, deve pertanto dirsi che il contestato inciso é costituzionalmente illegittimo per un duplice e concorrente motivo: non solo e non tanto, infatti, perché é stato inserito nell'art. 39 della legge n. 703 del 1952 mediante il coordinamento instauratosi per prassi che potrebbe così configurarsi addirittura come un emendamento aggiuntivo surrettizio, ma anche e soprattutto perché ha generato l'incertezza di cui si é detto sull'intenzione del legislatore.

12. - Dalla conclusione testé enunciata non deriva, tuttavia, doversi disconoscere che si sia verificata convergenza delle volontà dei due rami del Parlamento.

Intanto, già l'antico principio, secondo cui utile per inutile non vitiatur, impone di considerare che il vizio si annida in uno solo dei 60 articoli di cui si compone la legge de qua - anzi, soltanto nel primo dei due commi, di cui si compone il denunciato art. 39 - e che la specificità dell'oggetto disciplinato in tale comma conferisce alla relativa disposizione piena autonomia rispetto all'intero testo, che, infatti, neppure le ordinanze in esame coinvolgono nella denuncia di illegittimità costituzionale. E va rilevato altresì che la censura, benché nei dispositivi delle ordinanze appaia impugnato tutto l'art. 39, investe esclusivamente il primo comma, nel quale appunto risulta illegittimamente inserito il contestato inciso. Ne consegue che, non riverberandosi il vizio sull'intera legge, e neppure sull'intero art. 39, il cui secondo ed ultimo comma non concerne più la misura della tassa, ma le convenzioni stipulate dai Comuni per il pagamento di essa, questa Corte deve pronunciarsi sulla sola disposizione di cui al primo comma dell'art. 39, la sola passibile di una sentenza caducatoria.

Ma, pur circoscritta la questione nei suddetti termini, si impone ugualmente di valutare, in relazione al principio della salvezza dei valori giuridici, se la pronuncia caducatoria debba travolgere l'intera disposizione ovvero possa limitarsi a colpire soltanto la parte viziata. Risulterebbe noncurante del suddetto principio e non argomentata la scelta che venisse fatta tra le due alternative in base alla semplicistica constatazione della non piena coincidenza tra le due formulazioni - senza l'inciso e con l'inciso - approvate dalle due Camere, deducendone che, quindi, sarebbe mancata la comune volontà legislativa sulla disposizione impugnata. Al contrario, come a riguardo di qualsiasi atto, si deve tentare in caso di dubbio di interpretarlo nel senso che produca qualche effetto, anziché nel senso che non ne produca alcuno, così a riguardo della disposizione de qua, una volta epurata dell'inciso, si tratta di vedere se in essa non sia individuabile un punto di convergenza tra la volontà della Camera e la volontà del Senato. E piena convergenza si verificò innegabilmente sullo scopo, che era quello di maggiorare la tassa di occupazione del sottosuolo. Supposto pure, poi, che il Senato, approvando la disposizione senza l'inciso, intendesse riferirsi alla tariffa originaria stabilita nel 1931, e che la Camera, invece, approvando la disposizione con l'inciso, intendesse riferirsi alla tariffa modificata nel 1945, può bene affermarsi che tra le due Camere e le due volontà si verificò convergenza sino all'aumento minore, sicché l'area della divergenza si riduce all'aumento maggiore.

In applicazione, pertanto, del ricordato principio della conservazione dei valori giuridici, la dichiarazione di illegittimità costituzionale può essere limitata al solo inserto ("e successive modificazioni"), facendo così salva, dopo l'eliminazione della parte viziata, la disposizione di cui all'art. 39, primo comma, legge n. 703 del 1952, la cui operatività compete ai giudici del merito di stabilire.

13. - Questa Corte, nel momento in cui, nell'esercizio del suo ruolo di garante della Costituzione, dichiara l'illegittimità costituzionale di una disposizione di legge per vizio procedurale, non può non segnalare l'indifferibilità di un intervento del legislatore nella materia della finanza locale. Questa é ancor oggi governata da una normazione che si caratterizza, oltre che per la vetustà della disciplina di fondo - il t.u.f.l. ha ormai superato il mezzo secolo di vita -, anche per la incessante successione di provvedimenti legislativi, peraltro occasionali e volti per lo più a disporre maggiorazioni dei tributi. Non era ancora cessata la guerra, allorché venne emanato il d.l.l. n. 62 del 1945 cui fecero seguito due provvedimenti nel 1946 (18 febbraio, n. 100 e 27 maggio n. 517), uno nel 1947 (29 marzo, n. 177), uno nel 1948 (26 marzo, n. 261), uno nel 1950 (30 luglio, n. 575), uno nel 1952 (la impugnata legge n. 703). Più di recente, poi, risultano adottati una serie di decreti legge, tra cui: uno nel 1980 (7 maggio, n. 153, convertito nella legge n. 299), due nel 1981 (28 febbraio, n. 38, convertito nella legge n. 153 e 22 dicembre, n. 786, convertito nella legge 26 febbraio 1982, n. 51), uno nel 1983 (28 febbraio, n. 55, convertito nella legge n. 131).

Già solo a riguardo degli aumenti man mano disposti possono nascere, come nel caso di specie, dubbi interpretativi, che nei rapporti tra fisco e contribuenti nuocciono alla loro certezza e speditezza, risolvendosi altresi in aggravio per la già gravosa attività dei giudici di qualsiasi livello. E ciò, in conseguenza anche solo del generico richiamo ad imprecisate "successive modificazioni".

Il ricorso a cosiffatto rinvio é senza dubbio tanto consolidato e frequente, da sembrare che costituisca ormai un metodo di legiferazione, ma non per questo é incensurabile, quando ne derivi ambiguità. In caso contrario, si legittimerebbe persino la degenerazione della genericità dell'abituale formula in evasività, come potrebbe dirsi accadere proprio nella legge n. 703 del 1952 (art. 7), ove il rinvio risulta fatto addirittura "ad analoghe eventuali successive modificazioni". E basterà aggiungere al riguardo che a problemi di compatibilità con la normazione anteriore potrebbero dar luogo anche i provvedimenti adottati dal 1980 al 1983, i quali - pur se nei rispettivi titoli parlino di "norme per l'attività finanziaria degli enti locali", di "provvedimenti finanziari per gli enti locali", di "disposizioni in materia di finanza locale", di "provvedimenti urgenti per le finanze locali" -, in realtà si limitano per lo più a prescrivere aumenti di tariffe, richiamando peraltro pur sempre indeterminate "successive modificazioni ed integrazioni". Ma vale rilevare altresì che in materia oggi coperta da riserva di legge é riscontrabile anche - così infatti testualmente nell'art. 39, primo comma, legge n. 703 del 1952 - il rinvio a "norme provvisorie aggiunte", che, benché disposte con decreto ministeriale, potrebbero, una volta fatte espressamente proprie da una legge, dar luogo a perplessità sulla loro collocazione nella scala dei valori normativi.

Non occorrono altri rilievi o altre esemplificazioni a sostegno dell'asserzione di indifferibilità di un intervento del legislatore nella materia della finanza locale, perché provveda ad una revisione globale e sistematica - la quale tenga conto della novità e complessità delle articolazioni territoriali nel novus ordo repubblicano e delle loro posizioni - o, quanto meno, perché dissolva mediante interpretazioni autentiche quei dubbi che nascono dai disorganici aggiustamenti apportati al testo unico del 1931 nel corso del successivo cinquantennio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 39, primo comma, della legge 2 luglio 1952, n. 703 ("disposizioni in materia di finanza locale"), limitatamente alle parole " e successive modificazioni".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1984.

 

Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA  - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO

 

Depositata in cancelleria il 19 dicembre 1984.