SENTENZA N. 246
ANNO 1984
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv Albero MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Prof. Antonio LAPERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 14 giugno 1974, n. 270 (Norme in materia di enfiteusi) e dell'art. 18, comma secondo della legge 22 luglio 1966, n. 607 (Norme in materia di enfiteusi e prestazioni fondiarie perpetue) promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 7 febbraio 1977 dal Pretore di Bovino nel procedimento civile vertente tra Minervini Teresita ed altri e Angino Michele ed altra, iscritta al n. 152 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 134 dell'anno 1977;
2) ordinanza emessa il 13 gennaio 1978 dal Pretore di Castelvetrano nel procedimento civile vertente tra Sciacca Rosa ed altri e Calefati Guido, iscritta al n. 417 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 320 dell'anno 1978;
3) n. 3 ordinanze emesse il 18 maggio 1982 dal Pretore di Francavilla Fontana nei procedimenti civili vertenti tra Bruno Giuseppe e Nicola e Carissimo Luigi, Gatti Rosario e Carissimo Luigi, iscritte ai nn. 594, 595, 596 del registro ordinanze 1982 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 46, 53 dell'anno 1983;
4) n. 2 ordinanze emesse il 20 ottobre e 23 novembre 1982 dal Pretore di Francavilla Fontana nei procedimenti civili vertenti tra Calabretti Donato e Filomeno Margherita e Carissimo Maria Luisa, iscritte ai nn. 23 e 24 del registro ordinanze 1983 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 163 dell'anno 1983;
5) ordinanza emessa il 15 dicembre 1981 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto da Minervini Teresita ed altro c/Lenoci Agostino ed altro, iscritta al n. 300 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 283 dell'anno 1982.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 settembre 1984 il Giudice relatore Virgilio Andrioli.
Ritenuto in fatto
1.1. - Con ordinanza emessa il 7 febbraio 1977 (notificata il 18 e comunicata il 22 dello stesso mese; pubblicata nella G. U. n. 134 del 18 maggio 1977 e iscritta al n. 152 R.O. 1977) nel procedimento civile in cui Minervini Teresita e altri, concedenti nell'enfiteusi costituita con atto 27 maggio 1954 per not. Maulucci, avevano chiesto la condanna, al pagamento del canone risultante dall'atto costitutivo, degli utilisti Angino Michele e altra, i quali ebbero ad opporre che il canone convenzionale più non era applicabile a seguito della l. 18 dicembre 1970 n. 1138 (Nuove norme sull'enfiteusi) instando per la reiezione della domanda attrice, il Pretore di Bovino ha giudicato rilevante e, in riferimento all'art. 42 comma terzo Cost., non manifestamente infondata la questione d'illegittimità dell'art. 1 l. 14 giugno 1974 n. 270 (sopravvenuta nel corso del giudizio), il quale aggiunse all'art. 2 l. 1138/1970 ("Ai fini dell'applicazione del primo e dell'ultimo comma dell'art. 1 della legge 22 luglio 1966 n. 607, alle enfiteusi rustiche costituite successivamente al 28 ottobre 1941, si ha riguardo alla qualifica e alla classe catastale esistenti al momento della costituzione del rapporto. // Il concedente pertanto, ove ritenga che dette qualifica e classifica catastale non corrispondano alla reale situazione del fondo alla data della costituzione del rapporto, può chiedere all'intendente di finanza di accertare la qualifica del fondo a quella data, assumendo a proprio carico le relative spese") altro comma ("In ogni caso il canone dei rapporti di enfiteusi costituiti successivamente al 28 ottobre 1941 non può risultare inferiore alla quindicesima parte dell'indennità di espropriazione determinata ai sensi delle leggi di riforma agraria 12 maggio 1950 n. 230 e 21 ottobre 1950 n. 841 e successive modifiche e integrazioni") per la parte con cui, premessa la disapplicazione del principio del divieto della revisione dei canoni enfiteutici per le stipulazioni avvenute successivamente al 28 ottobre 1941, non era stata inserita la facoltà dell'esercizio del diritto di revisione del canone prevista dall'art. 962 c.c. sempreché ne sussistessero le condizioni previste nell'ultima parte (art. 962 abrogato in virtù dell'art. 18 l. 22 luglio 1966 n. 607), motivando che I) a seguito della C. cost. 145/1973 la misura del canone poteva essere determinata sulla base non più degli estremi catastali, ma della quindicesima parte del prezzo di affranco, II) dopoché a seguito della C. cost. 37/1969 era d'uopo distinguere tra enfiteusi costituite prima e enfiteusi costituite dopo l'entrata in vigore del terzo libro del codice civile (28 ottobre 1941) al fine di applicare a quelle l'immutabilità del canone e non a queste, tra cui era compresa l'enfiteusi dedotta in giudizio, la Corte costituzionale, investita della questione d'illegittimità dell'art. 2 l. 1138/1970, ne aveva dichiarato l'illegittimità enunciando il principio che il canone, anche per le enfiteusi stipulate successivamente alla entrata in vigore del codice civile, doveva commisurarsi alla quindicesima parte del capitale di affranco, e "suggerendo" - tale l'espressione adottata dal giudice a quo - l'utilizzazione dei valori stabiliti dall'art. 18 l. 21 ottobre 1950 n. 841 (Norme per la espropriazione, bonifica, trasformazione e assegnazione dei terreni ai contadini), III) poiché nel comma aggiunto, in virtù dell'art. 1 l. 270/1974, all'art. 2 l. 1138/1970, non si avvertiva alcun riferimento all'art. 962 c.c. - sempre ad avviso del Pretore - rimasto in vigore per effetto della disapplicazione, alle enfiteusi costituite dopo il 28 ottobre 1941, dell'art. 18 l. 607/1966, si sarebbe verificata la conseguenza, reputata contraria alla Costituzione della C. cost. 53/1974, che, cioé, si potessero in concreto effettuare espropriazioni senza equo indennizzo.
1.2. - Avanti la Corte nessuna delle parti si é costituita; ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri con atto depositato il 2 giugno 1977, nel quale l'Avvocatura generale dello Stato, a giustificazione della conclusione di infondatezza della questione, ha in linea preliminare evidenziato la successione delle discipline normative e delle sentenze rese dalla Corte costituzionale: I) la l. 22 luglio 1966 n. 607, con la quale fu statuito che tutti i canoni enfiteutici non potessero superare l'ammontare del reddito dominicale e che l'affrancazione si dovesse effettuare con il pagamento di quindici annualità del canone così determinato, II) la sent. 37/1969, con la quale la Corte costituzionale, premesso che la l. 607/1966 riguardava esclusivamente l'enfiteusi dei fondi rustici, escluse che fossero ragione d'incostituzionalità la imposizione di un canone unico diverso da quello pattuito e il riferimento del suo ammontare al reddito catastale, ma - sul riflesso che i nuovi criteri per la determinazione del canone, validi per le enfiteusi costituite prima del 28 ottobre 1941, non lo erano per le enfiteusi successive a tale data - dichiarò illegittimo, limitatamente alle enfiteusi successive al 28 ottobre 1941, l'art. 1 l. 607/1966 nella parte in cui fissava al 30 giugno 1939 la data di riferimento della qualifica catastale, ma rigettò l'eccezione d'illegittimità dell'art. 18 l. 607/1966, che aveva abrogato l'art. 962 c.c., III) l'art. 2 l. 1138/1970, il quale, per le enfiteusi successive all'entrata in vigore del terzo libro del codice civile, aveva riguardo alla qualifica e alla classe catastale esistenti al momento della costituzione del rapporto con facoltà, per il concedente, di chiedere l'accertamento della qualifica del fondo, IV) la sent. 145/1973 con la quale la Corte dichiarò l'incostituzionalità dell'art. 2 l. 1138/1970 in quanto non rimuoveva l'ostacolo di agganciare l'entità del canone ai valori del 1939 consentendo la revisione della qualifica del fondo e non anche della tariffa, e precisò che il capitale di affranco non poteva essere inferiore ai valori attribuiti ai terreni nel caso di espropriazione attuata in applicazione delle ll. 230 e 841/1950 di riforma agraria, V) la l. 270/1974, la quale, intendendo dare attuazione ai principi enunciati nella sent. 145/1973, dispose che in ogni caso il canone non poteva essere inferiore alla quindicesima parte della indennità di espropriazione determinata ai sensi delle leggi di riforma agraria. Sulla base di tale consecuzione l'Avvocatura erariale ha contestato la premessa dell'ordinanza di rimessione - essere cioé l'art. 962 c.c. ritornato in vigore per effetto della "disapplicazione" dell'art. 18 l. 607/1966 che lo aveva abrogato - perché con la sent. 37/1969 si sarebbe bensì rilevato, al fine di evidenziare la distinzione fra enfiteusi costituite prima e enfiteusi costituite dopo il 28 ottobre 1941, che quest'ultime avevano risentito della ristrutturazione della nuova legislazione che assicurava la revisione del canone per modo che non poteva per esse valere un canone unico e invariato, ancorato al 1939, ma fu esplicitamente dichiarata infondata la questione di illegittimità dell'art. 18 a motivo dell'insindacabilità dell'intento del legislatore di tornare alla tradizione dell'immutabilità del canone. La successiva sent. 145/1973 aveva sì confermato che l'art. 962 c.c. rilevasse solo per la considerazione che i rapporti enfiteutici, sorti sotto quella norma, meritavano un trattamento differenziato rispetto a quelli sorti prima del 28 ottobre 1941, ma aveva poi affermato che la revisione del canone era assorbita nel meccanismo di determinazione dell'indennità di espropriazione secondo le leggi di riforma agraria in relazione ai valori stabiliti per l'applicazione dell'imposta straordinaria progressiva sul patrimonio con sufficiente garanzia di adeguatezza dei valori. Sempre ad avviso dell'Avvocatura erariale la proposizione, enunciata dal giudice a quo, che la norma impugnata comporterebbe un'espropriazione senza indennizzo, sarebbe gratuita perché il richiamo dei criteri previsti per l'espropriazione della piena proprietà per l'attuazione della riforma agraria esibirebbe un più rassicurante grado di legittimità ove riferito al solo dominio diretto, mentre la pretesa di revisionare il canone sulla base del mutato valore della moneta e dei prezzi di mercato dei terreni condurrebbe a contestare l'intera normativa disciplinatrice dell'enfiteusi, non già l'art. 1 l. 270/1974.
2.1. - Con ordinanza emessa il 13 gennaio 1978 (comunicata il 28 e notificata il 31 dello stesso mese, pubblicata nella G. U. n. 320 del 15 novembre 1978 e iscritta al n. 417 R. O. 1978) nel giudizio di affrancazione del fondo enfiteutico, sito in contrada Torretta di Castelvetrano promosso dai germani Sciacca, che avevano acquistato il dominio utile per successione a causa di morte del padre Alberto, nei confronti del domino diretto Guido Calefati di Canalotti, il Pretore di Castelvetrano ha, in accoglimento dell'eccezione sollevata da quest'ultimo, giudicato non manifestamente infondata in riferimento all'art. 42 comma terzo Cost. la questione di illegittimità dell'art. 1 l. 14 giugno 1974 n. 270; poi ha d'ufficio, in riferimento agli artt. 3 e 42 comma terzo Cost., sollevato giudicandola non manifestamente infondata la questione d'illegittimità dell'art. 18 comma secondo l. 22 luglio 1966 n. 607 (Norme in materia di enfiteusi e prestazioni fondiarie perpetue), per il quale "sono abrogati l'art. 962 del codice civile e gli artt. 142, 143, 144, 145, 146, 147, 148 e 149 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, approvate con regio decreto 30 marzo 1942 n. 316". La non manifesta infondatezza della questione d'illegittimità dell'art. 1 l. 270/1974 é stata motivata su ciò che la pratica applicazione del criterio di commisurazione del canone enfiteutico (e, quindi, del capitale di affranco), recepito dal legislatore con l'art. 1 l. 270/1974, comporterebbe violazione del principio di eguaglianza enunciato con le C. cost. 37/1969 e 145/1973 e deteminerebbe contrasto con l'art. 42 comma terzo Cost.. Per giustificare la questione d'illegittimità dell'art. 18 l. 607/1966 nella parte in cui, abrogando l'art. 962 c.c., non consentiva la periodica revisione del canone enfiteutico sulla base di eventuali mutamenti di valore del fondo é stata richiamata la sent. 53/1974 della Corte, la cui motivazione sarebbe idonea a fondare conclusioni diverse da quelle fermate dalla stessa Corte con la sent. 37/1969 dichiarativa d'infondatezza della questione.
2.2. - Avanti la Corte nessuna delle parti si é costituita; ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri con atto depositato il 5 dicembre 1978, nel quale l'Avvocatura generale dello Stato ha motivato la conclusione d'infondatezza delle due questioni osservando che a) il comma aggiunto in virtù dell'art. 1 l. 270/1974 all'art. 2 l. 1138/1970 si era uniformato a rilievi e suggerimenti contenuti nella C. cost. 145/1973, b) l'art. 18 l. 607/1966 non si era allontanato dalla sent. 37/1969, con la quale la Corte aveva escluso che fossero ragioni d'illegittimità l'imposizione di un canone unico diverso da quello autonomamente pattuito e il riferimento dell'ammontare del canone al reddito catastale, c) nessuna analogia poteva istituirsi tra enfiteusi rustiche e enfiteusi urbane a motivo delle diverse finalità economiche e sociali.
3.1. - Con ordinanza, emessa il 18 maggio 1982 (comunicata il 2 giugno e notificata il 2 luglio dello stesso anno; pubblicata nella G. U. n. 53 del 23 febbraio 1983 e iscritta al n. 594 R.O. 1982) nel giudizio di affrancazione di un fondo rustico sito in contrada Palmarino, promosso da Bruno Giuseppe che offrì il canone calcolato ai sensi dell'art. 1 l. 270/1974, al titolare del dominio diretto Carissimo Luigi il quale eccepì l'illegittimità dell'or menzionato art. 1 per contrasto con l'art. 42 comma terzo Cost., il Pretore di Francavilla Fontana ha giudicato non manifestamente infondata la questione osservando che la disposizione impugnata, pur recependo il suggerimento contenuto nella sent. 145/1973 della Corte, avrebbe, con il richiamo delle leggi 230 e 841/1950 di riforma agraria, fatto riferimento a valori del 1946-1947, così ancorando il canone enfiteutico a valori monetari non più rispondenti alla realtà.
3.2. - Avanti la Corte nessuna delle parti si é costituita; ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri con atto depositato il 15 marzo 1983, nel quale l'Avvocatura generale dello Stato, in aggiunta ad argomentazioni svolte in precedenti atti di intervento, ha rilevato che l'art. 43 comma terzo Cost., a stregua della giurisprudenza costituzionale, sarebbe da intendere nel senso che l'indennità non debba avere carattere meramente simbolico e che, comunque, non si verserebbe in materia di espropriazione.
3.3. - Su eccezione di parte, la questione é stata sollevata, sulla base di identica motivazione, dal Pretore di Francavilla Fontana con altre quattro ordinanze: I) emessa sotto la stessa data del 18 maggio 1982 (comunicata il 2 giugno e notificata il 12 luglio dello stesso anno; pubblicata nella G. U. n. 46 del 16 febbraio 1983 e iscritta al n. 595 R.O. 1982) nel giudizio tra Arpino Domenica e altro e Carissimo Luigi, II) emessa sotto la stessa data del 18 maggio 1982 (comunicata il 2 giugno e notificata il 12 luglio dello stesso anno; pubblicata nella G. U. n. 46 del 16 febbraio 1983 e iscritta al n. 596 R.O. 1982) nel giudizio tra Gatti Rosario e Carissimo Luigi, III) emessa sotto la data del 20 ottobre 1982 (comunicata l'8 novembre e notificata il 3 dicembre successivi; pubblicata nella G. U. n. 163 del 15 giugno 1983 e iscritta al n. 23 R.O. 1983) nel giudizio tra Calabretti Donato e altra e Carissimo Maria Luisa, IV) emessa sotto la data del 23 novembre 1982 (comunicata l'8 novembre e notificata il 3 dicembre 1982; pubblicata nella G. U. n. 163 del 15 giugno 1983 e iscritta al n. 24 R.O. 1983) nel giudizio tra Filomeno Margherita e Carissimo Maria Luisa.
3.4. - Avanti la Corte nessuna delle parti si é costituita; ha invece spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri con atti (rispettivamente depositati il 1 marzo 1983 nei due incidenti iscritti ai nn. 595 e 596 R.O. 1982, il 5 luglio 1983 nell'incidente iscritto al n. 23 R.O. 1983, e il 1 maggio 1983 nell'incidente iscritto al n. 24 R.O. 1983) nei quali l'Avvocatura generale dello Stato ha riprodotto a sostegno della conclusione d'infondatezza argomentazioni già svolte nei precedenti interventi.
4.1. - Con citazione del 21 novembre 1973 Minervini Teresita, De Paulis Clelia, Carlo, Rocco e Agata Carolina, premesso che, con rogito 17 marzo 1954 per notar Maulucci di Accadia, il loro dante causa De Paulis Mattia aveva concesso in enfiteusi ai coniugi Ruscillo Amalia e Lenoci Michele un fondo rustico, sito in agro di Bovino, della estensione di ha. 20.52.33 per il canone annuo di q.li 49,70 di grano, q.li 2 di fave o granone, q.li 3 e Kg. 20 di olio, Kg. 15 di formaggio da corrispondersi entro il 1 settembre e il 15 gennaio di ogni anno, che, deceduto l'enfiteuta Michele Lenoci, il fondo era stato condotto dai figli Mario, Domenico e Agostino Lenoci, i quali non avevano adempiuto alla obbligazione principale del pagamento del canone alle scadenze, convennero gli enfiteuti avanti il Tribunale di Foggia chiedendone la condanna al rilascio del fondo, previa risoluzione del contratto di enflteusi, nonché al risarcimento dei danni. Costituitisi in giudizio, gli enfiteuti eccepirono che, calcolando il canone enfiteutico con riguardo alla qualifica e alla classe catastale esistenti al momento della costituzione del rapporto, così come statuito dall'art. 2 l. 1138/1970 intervenuta nel corso del contratto di enfiteusi, avevano versato ai concedenti la somma di lire 150.000, che copriva largamente il credito per i canoni scaduti nel 1971 e nel 1972 e a gennaio 1973 (somma che era stata incassata dai convenuti medesimi senza alcuna riserva), che, essendo stata dichiarata, con sent. 145/1973 della Corte costituzionale, la incostituzionalità dell'art. 2 l. 1138/1970 nella parte in cui non determinava il valore dei capitali di affranco secondo i criteri stabiliti dall'art. 7 l. 230/1950 e dall'art. 18 l. 841/1950, nonché il correlativo valore dei canoni enfiteutici nella quindicesima parte di quegli stessi capitali, essi avevano inviato per mezzo di vaglia postali la somma di lire 2 milioni, che, essendo però entrata in vigore nel corso del giudizio la l. 270/1974 che fissava nuovi criteri sulla base dei coefficienti stabiliti per la determinazione dell'imposta straordinaria sul patrimonio, validi per l'agro di Bovino, risultavano creditori di notevoli somme, di cui chiedevano la restituzione. Dal loro canto, gli attori eccepirono l'incostituzionalità della normativa, di cui alla l. 270/1974, e, nel domandare che di tale eccezione fosse investita la Corte costituzionale, chiesero altresì che fosse fissato in via provvisoria l'ammontare dei canoni scaduti con salvezza di conguaglio all'esito del giudizio. Con sent. 13 luglio 1978, confermata dalla Corte d'appello di Bari con sent. 21 agosto 1979, l'adito Tribunale di Foggia respinse la domanda attrice e accolse in parte la riconvenzionale, dichiarando la manifesta infondatezza della eccezione d'incostituzionalità, sulla quale la Corte di Bari ebbe ad osservare che la l. 270/1974 altro non aveva fatto che trascrivere all'art. 1 la massima della C. cost. 145/1973. Nei primi due motivi di ricorso i concedenti insistettero nella eccezione d'incostituzionalità denunciando la violazione dei principi di diritto dettati con le C. cost. 67/1959, 22/1965, 37/1969 e 145/1973.
4.2. - Con ordinanza emessa il 15 dicembre 1981 (comunicata il 30 marzo e notificata il 6 aprile 1982; pubblicata nella G. U. n. 283 del 13 ottobre 1982 e iscritta al n. 300 R.O. 1982), la Corte di Cassazione, Sezione II civile, ha rimesso all'esame di questa Corte la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 1 l. 14 giugno 1974 n. 270, dopo averla ritenuta rilevante sul riflesso che oggetto della contestazione era la misura del canone enfiteutico determinato dalla l. 270/ 1974. Ha reputato la non manifesta infondatezza espressione equivalente alla ragionevolezza dei dubbi sollevati sulla aderenza della soluzione, adottata con la l. 270/1974, ai principi, che dai precetti della Costituzione la Corte costituzionale aveva enunciato, sull'istituto dell'enfiteusi e sul diritto di proprietà in generale. Assoggettando ad analisi la C. cost. 145/ 1973 ha osservato che, se in una parte della motivazione si era osservato che i capitali di affranco non possono essere inferiori ai valori che agli stessi terreni sarebbero stati attribuiti nel caso di espropriazione attuata in applicazione delle leggi di riforma fondiaria, si era in altra parte della motivazione (e segnatamente nei paragrafi 4 e 5) espresso il pensiero della legittimità del riferimento al reddito imponibile risultante dai dati catastali e si era affermata la esigenza di distinguere la funzione generica del ricorso ai dati catastali dalla operatività dei medesimi in concreto affinché ne fosse mantenuta adeguata nei limiti di una ragionevole approssimazione la corrispondenza con l'effettiva realtà economica a seconda delle modificazioni ricorrenti circa gli elementi di fatto ai quali fare riferimento, e si era disapprovato il criterio adottato dalla l. 18 dicembre 1970, n. 1138, per aver mantenuto il calcolo dei valori in termini di reddito imponibile dominicale secondo le tariffe di estimo stabilite a norma del r.d.l. 4 aprile 1939 n. 589, con la conseguenza che la regolamentazione dell'istituto continuava a rimanere carente di quegli elementi che, al fine di un'equa determinazione dei canoni e capitali di affranco, consentissero di soddisfare le esigenze espresse dall'art. 42 Cost.. Sulla base di tale analisi la Corte di Cassazione ha ritenuto che questa Corte avesse fatto riferimento non tanto alla misura fissa consistente nella indennità che sarebbe stata corrisposta qualora i terreni fossero stati espropriati in applicazione delle leggi di riforma agraria, quanto ai criteri stabiliti da quelle leggi, che peraltro dovevano essere applicati nella materia di canoni enfiteutici in modo tale da evitare le incongruenze rilevate rispetto alla legge 1138/1970 e da assicurare la corrispondenza con la effettiva realtà economica, e che, con il riferimento ai criteri stabiliti dall'art. 7 l. 230/1950, avesse inteso richiamarsi a tali criteri, consistenti nella applicazione di coefficienti-base di maggiorazione al reddito imponibile dominicale, che consentissero quell'adeguamento alla realtà economica nei limiti di una ragionevole approssimazione. Siffatto adeguamento - ha osservato la Corte di Cassazione - non consentirebbe l'applicazione d'una misura fissa rapportata ai valori attribuiti ai terreni per il periodo 1 luglio 1946-31 marzo 1947, ai quali si dovrebbe commisurare il capitale di affranco cioé sostanzialmente le indennità di espropriazione da corrispondere al concedente e, correlativamente, la misura del canone. Né - sempre a giudizio della Corte di Cassazione - sarebbe manifestamente infondata la osservazione che, mediante la imposizione di questa misura fissa, il legislatore del 1973 abbia ancorato il canone enfiteutico ad un valore espresso in termini monetari più non corrispondenti con i valori attuali, e nemmeno con quello dell'epoca di costituzione del rapporto. Né erano apparse al giudice a quo infondate le osservazioni richiamantisi al palese favore con il quale l'istituto dell'enfiteusi in tempi relativamente recenti era stato visto dal legislatore mediante la introduzione della revisione periodica della misura del canone, di fondamentale importanza in periodi come quello in atto di svalutazione monetaria e di alterazione dei rapporti dei valori dei beni (come sottolineato nel par. 10 della sentenza della Corte costituzionale 21 marzo 1969 n. 37), e mediante le agevolazioni fiscali ed esenzioni accordate con le leggi relative alla formazione della piccola proprietà contadina e alla riforma agraria degli anni '50 (come ricordato nella sentenza della Corte costituzionale 18 luglio 1973 n. 145), tenuto conto del fatto che la concessione in enfiteusi (che resta pur sempre una manifestazione di autonomia negoziale, il che si tende ad obliterare quando a proposito della misura del capitale di affrancazione e correlativamente al canone si afferma che in definitiva si tratta di trasferire un diritto ormai ridotto al solo dominio diretto e che il canone ha natura di prestazione meramente ricognitiva del diritto di proprietà) mette nelle mani dell'enfiteuta la facoltà di espropriare il fondo enfiteutico a proprio favore mediante la affrancazione e facilita l'accesso alla proprietà, che é una delle indicazioni espresse dalla Costituzione (art. 42). Successivamente - ha osservato la Corte di Cassazione - si é manifestata, con la l. 607/1966 e con le successive ll. 1138/1970 e 270/1974, la volontà del legislatore di abolire il vetusto istituto della enfiteusi, la quale però, anziché esprimersi in termini diretti, ha assunto la forma di una serie di restrizioni dei diritti del concedente, ridotti a misura tale da scoraggiare sicuramente ogni idea di concessione in enfiteusi, e introdotte autoritativamente pure nei rapporti già costituiti.
Queste le finali considerazioni della Corte di Cassazione: "Da ciò, per un verso, il dubbio che il mezzo adoperato per ottenere il risultato della abolizione, che chiaramente traspare da tutte le nuove disposizioni, finisca per infrangere le prescrizioni dell'art. 42 della Costituzione, e dall'altro il dubbio che il legislatore, con un mutamento così radicale del suo atteggiamento nei riguardi di detto istituto e con la forma scelta per la attuazione del disegno abolitivo, finisca per non rispettare i connotati indispensabili del rapporto tra il potere e il cittadino, quale delineato dal complesso dei precetti della nostra Costituzione, con riguardo principalmente ai limiti relativi alla compressione della autonomia negoziale, limiti messi in particolare rilievo nella sentenza della Corte costituzionale 6 marzo 1974 n. 53, sulla disciplina della enfiteusi".
Sulla base della motivazione di cui si sono riassunti gli argomenti essenziali e riprodotta la parte finale la Corte di Cassazione ha disposto l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospeso il giudizio.
4.3. - Avanti la Corte nessuna delle parti si é costituita; ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri con atto depositato il 2 aprile 1982, con il quale l'Avvocatura generale dello Stato, a sostegno della conclusione di infondatezza della proposta questione, ha posto la contestazione della "lettura" della C. cost. 145/1973, effettuata dalla Corte di Cassazione (sent. 145/1973 la cui motivazione non potrebbe essere avulsa dal dispositivo); ha soggiunto che non avrebbe ingresso la pretesa, pur non esplicitamente enunciata nella ordinanza di rimessione, di un riesame da parte di questa Corte del proprio pronunciato.
5. - Alle sette ordinanze di men fresca iscrizione (1.- 3.) il cui esame era stato assegnato all'adunanza dell'11 aprile 1984 in camera di consiglio, si é aggiunta l'ordinanza iscritta al n. 300/1982 (4.), e l'esame di tutte é stato fissato, a motivo della mancata costituzione avanti la Corte delle parti dei giudizi a quibus, alla adunanza del 16 giugno 1984, infine rinviata alla adunanza del 25 settembre 1984 in camera di consiglio, nel corso della quale il giudice Andrioli ha svolto la relazione.
Considerato in diritto
6. - Sebbene la Corte di Cassazione non abbia nel dispositivo della propria ordinanza indicato né le disposizioni impugnate né i parametri di incostituzionalità (supra 4.2.), la diffusa motivazione prospetta questioni, di cui si avverte la connessione con gli incidenti cui han dato vita le altre ordinanze di rimessione, e pertanto se ne appalesa opportuna la riunione per dar luogo ad unica decisione.
7.1. - La questione di incostituzionalità dell'art. 1 l. 14 gennaio 1974 n. 270, dai Pretori di Bovino, Castelvetrano e Francavilla Fontana motivata in ciò e per ciò che, riferendosi le disposizioni impugnate ai fini della determinazione del canone enfiteutico (e quindi del capitale di affranco) ai parametri stabiliti dalle leggi nn. 230 e 841/1950 di riforma agraria, implicherebbe illegittima dissociazione fra il momento di ablazione del diritto e l'altro preso in considerazione ai fini del calcolo del valore del fondo, é inammissibile perché non calza a rapporto che, come l'enfiteusi, rinviene fonte nel contratto e dà vita nel momento costitutivo a un diritto reale limitato di godimento e nel suo divenire a rapporti credito-debitori l'art. 42 comma terzo Cost., che ha di mira il conflitto tra la proprietà privata e il potere di imperio spettante allo Stato, alle Regioni e, talvolta, ai comuni ed eleva a regole di sua composizione la riserva di legge, la controprestazione dell'indennizzo e la sussistenza di motivi di pubblico interesse, i quali, ove il potere d'imperio venga esercitato, degradano il diritto reale di proprietà a interesse legittimo al corretto esercizio del potere medesimo. Tale essendo l'ambiente in cui opera l'art. 42 comma terzo, non giovano ad assicurarvi l'ingresso alla enfiteusi in genere e alla affrancazione del dominio utile in particolare a) né l'inquadramento di questa nella categoria dei diritti potestativi o, se vuolsi, dell'azione costitutiva perché quello non vale a porre il titolare sul piano del potere d'imperio e questa rende necessario il preliminare accesso alla giurisdizione (art. 2908 c.c.), b) né le frequenti manipolazioni normative della misura del canone enfiteutico e del capitale di affranco, le quali si inquadrano nella più vasta politica dei prezzi d'imperio che trova riscontro negli artt. 1322 e 1339 c.c., c) né, infine, nell'avere la C. cost. 37/1969 (n. 10) assunto a parametro di incostituzionalità dell'art. 1 l. 22 luglio 1966 n. 607 l'art. 42 comma terzo perché i limiti obiettivi del giudicato vietano di estenderne l'autorità vincolante ad incidente nel quale é diversa la disposizione impugnata, non senza soggiungere che la C. cost. 53/1974 (n. 9) ha negato la validità dell'esegesi che ponga l'affrancazione sullo stesso piano del potere di espropriazione per pubblico interesse.
7.2. - Del pari inammissibile é l'incidente sollevato dalla Corte di Cassazione (non tanto per la mancata indicazione, nel dispositivo dell'ordinanza di rimessione, delle disposizioni impugnate e dei parametri di incostituzionalità, quanto) perché per un verso si prospettano dubbi che, riferiti all'art. 42 comma terzo, han già ricevuto risposta e per altro verso si postula una sorta di intangibilità, da parte dei poteri costituiti, dei tessuti contrattuali senza però indicare altri parametri costituzionali che verrebbero violati.
8. - Infondata é la questione d'incostituzionalità dell'art. 18 comma secondo l. 22 luglio 1966 n. 607, sollevata d'ufficio dal Pretore di Castelvetrano, in riferimento agli artt. 3 e 42 comma terzo, in quanto, con l'abrogazione dell'art. 962 c.c., impedirebbe la periodica revisione del canone di enfiteusi rustiche in correlazione ai mutamenti di valore del fondo, perché non ha il giudice a quo addotto motivi idonei a indurre questa Corte a deflettere dall'avviso accolto nelle sentt. 37/1969 e 2/1976 contro le quali non si pone la sent. 53/74 per essere radicalmente diverse sul piano economico sociale le enfiteusi urbane dalle enfiteusi rustiche.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti gli incidenti iscritti ai nn. 152/1977, 417/1978, 300, 594 a 596/1982, 23 e 24/1983,
A) dichiara inammissibile la questione di incostituzionalità dell'art. 1 l. 14 giugno 1974 n. 270 (Norme in materia di enfiteusi) sollevata, in riferimento all'art. 42 comma terzo Cost., dai Pretori di Bovino, Castelvetrano e Francavilla Fontana con le ordinanze in epigrafe,
B) dichiara inammissibile la questione di incostituzionalità sollevata dalla Corte di Cassazione con la ordinanza 15 dicembre 1981 (n. 300 R.O. 1982),
C) dichiara non fondata la questione di incostituzionalità dell'art. 18 comma secondo l. 22 luglio 1966 n. 607 (Norme in materia di enfiteusi, e prestazioni fondiarie perpetue), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 42 comma terzo Cost., dal Pretore di Castelvetrano con ordinanza 13 gennaio 1978 (n. 417 R.O. 1978).
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 ottobre 1984.
Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Aldo CORASANITI
Depositata in cancelleria il 5 novembre 1984.