SENTENZA N. 53
ANNO 1974
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 della legge 18 dicembre 1970, n. 1138 (Nuove norme in materia di enfiteusi), nonché degli artt. 2, 3, 4 e 5 della legge 22 luglio 1966, n. 607 (Norme in materia di enfiteusi e prestazioni fondiarie perpetue), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 3 dicembre 1971 dalla Corte di appello di Palermo nel procedimento civile vertente tra Fontana Ignazio e Salvatore e Grimaldi Maria Virginia ed altri, iscritta al n. 313 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 279 del 25 ottobre 1972;
2) ordinanza emessa l'11 gennaio 1972 dal pretore di Melito Porto Salvo nel procedimento civile vertente tra Pansera Giovanni e Sergi Maria ed altri, iscritta al n. 127 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 122 del 10 maggio 1972;
3) ordinanza emessa il 18 gennaio 1973 dal pretore di S. Teresa di Riva nel procedimento civile vertente tra Di Natale Giuseppe e Trovato Carmelo ed altri, iscritta al n. 67 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 112 del 2 maggio 1973;
4) ordinanza emessa il 29 gennaio 1973 dal pretore di S. Teresa di Riva nel procedimento civile vertente tra Puglisi Teresa ed altri e Fleres Pietro ed altri, iscritta al n. 135 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 151 del 13 giugno 1973;
5) ordinanza emessa il 14 dicembre 1971 dal pretore di Palermo nel procedimento civile vertente tra Caruso Umberto ed altri e Carcione Giuseppina ed altri, iscritta al n. 78 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 104 del 19 aprile 1972;
6) ordinanza emessa il 6 luglio 1972 dal pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra il Monastero delle Oblate Agostiniane di S. Maria dei Sette Dolori e Casali Alessandro ed altri, iscritta al n. 138 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 163 del 27 giugno 1973.
Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione di Sergi Maria ed altri, Fleres Marco Luigi e Casali Alessandro;
udito nell'udienza pubblica del 5 dicembre 1973 il Giudice relatore Guido Astuti;
uditi gli avvocati Salvatore Orlando Cascio, Carlo Selvaggi, Giovanni Malgeri e Antonino Campolo, per Sergi Maria ed altri, Fleres Marco Luigi e Casali Alessandro, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Le sei ordinanze indicate in epigrafe, provenienti dai pretori di Palermo, di Melito Porto Salvo, di S. Teresa di Riva e di Roma e dalla Corte di appello di Palermo, hanno sollevato due ordini di questioni di legittimità costituzionale, relative alla legge 18 dicembre 1970, n. 1138, recante nuove norme in materia di enfiteusi.
Quattro ordinanze concernono la disposizione dell'art. 3 della legge. Questa violerebbe il principio di eguaglianza per la ingiustificata assimilazione alle enfiteusi di fondi rustici, ai fini dell'affrancazione, di situazioni sostanzialmente diverse quali i contratti, a struttura associativa, di colonia parziaria con clausola migliorativa, ed i contratti di affitto con clausola ad meliorandum.
Lo stesso art. 3, ancora, richiamando la procedura di affrancazione prevista nella legge 22 luglio 1966, n. 607 (articoli 2, 3, 4 e 5), violerebbe il diritto di difesa del concedente, privo della reale possibilità di contrastare efficacemente nella fase pretorile del procedimento la pretesa del richiedente, cui sarebbe concessa la facoltà di provare il proprio diritto all'affranco con un atto notorio.
Il citato art. 3, inoltre, violerebbe anche gli artt. 41 e 42 della Costituzione, rispettivamente per la sottoposizione dei rapporti ivi considerati ad una disciplina giuridica del tutto diversa da quella voluta dalle parti e per la ingiustificata compressione del diritto di proprietà sui terreni condotti in colonia ed in affitto.
Le altre due ordinanze concernono la disciplina delle enfiteusi urbane. Esse ritengono non manifestamente infondato il dubbio circa la legittimità costituzionale degli artt. 5, 6, 9 e 10 della legge. Si osserva in proposito che tali norme, prevedendo per l'affrancazione degli immobili urbani gravati da canone enfiteutico una somma esigua non corrispondente alla consistenza del diritto soppresso, contrasterebbero con gli articoli 3 e 42 della Costituzione, essendo ravvisabile nella disciplina impugnata una ipotesi di espropriazione con tenue indennizzo per utilità privata e non per fini sociali o a beneficio della generalità dei cittadini.
Gli artt. da 5 a 10 sarebbero in contrasto con il principio di eguaglianza anche per un diverso profilo: sotto un profilo soggettivo per la disparità di trattamento in danno dei cittadini direttari ed a favore dei cittadini enfiteuti, e sotto un profilo oggettivo per la ingiustificata equiparazione operata tra le enfiteusi di immobili urbani e quelle di immobili rustici.
Infine, la intera legge sarebbe viziata da eccesso di potere legislativo, essendo da escludere una sua rispondenza a fini di interesse generale.
É intervenuto in giudizio, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, deducendo l'infondatezza di tutte le questioni di legittimità costituzionale proposte.
Si sono altresì costituiti in giudizio Casali Alessandro, parte nel giudizio innanzi al pretore di Roma, Maria, Faustina e Simone Sergi e Angelina De Lieto, parti nel giudizio innanzi al pretore di Melito Porto Salvo, e Fleres Marco, parte nel giudizio innanzi al pretore di S. Teresa di Riva, tutti chiedendo l'accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate nel corso dei rispettivi giudizi.
Considerato in diritto
1. - Con le prime quattro ordinanze, emesse nel corso di procedimenti civili di affrancazione di fondi rustici concessi con contratti di colonia o di affitto con clausola migliorataria, é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 18 dicembre 1970, n. 1138, anche in relazione agli artt. 2, 3, 4, 5 della legge 22 luglio 1966, n. 607, e dell'art. 9 della stessa legge n. 1138 del 1970, in riferimento agli artt. 3, 24, 41 e 42 della Costituzione, sotto i seguenti profili:
a) se l'art. 3 della legge citata, equiparando contratti, anche di natura associativa, quali le colonie parziarie con clausola migliorataria, ed i contratti di affitto ad meliorandum, alle enfiteusi ed agli altri rapporti elencati nell'art. 13 della legge 22 luglio 1966, n. 607, violi il principio di eguaglianza, per la ingiustificata assimilazione nella disciplina giuridica di situazioni sostanzialmente diverse;
b) se lo stesso art. 3, nel disporre la trasformazione dei rapporti obbligatori ivi indicati con l'applicazione di un regime normativo del tutto diverso da quello contrattualmente stabilito dalle parti, leda il principio di libertà dell'iniziativa economica privata, sancito dall'art. 41 della Costituzione;
c) se lo stesso art. 3, determinando una ingiustificata compressione del diritto di proprietà dei terreni concessi in colonia ed affitto con clausola migliorataria, e consentendo l'affrancazione alle stesse condizioni previste per i fondi enfiteutici, violi l'art. 42 della Costituzione;
d) se lo stesso art. 3, richiamando l'art. 13 della legge n. 607 del 1966, e in conseguenza la procedura contemplata negli artt. 2, 3, 4 e 5 della medesima legge, violi il diritto di difesa, in quanto la facoltà accordata al richiedente di provare il proprio diritto all'affranco con la semplice produzione di un atto notorio, porrebbe il concedente in condizione di inferiorità nella difesa del suo diritto, senza concreta possibilità di farlo valere nel giudizio successivo alla disposta affrancazione.
Con le ultime due ordinanze, emesse nel corso di procedimenti civili di affrancazione aventi ad oggetto immobili concessi in enfiteusi urbane o edificatorie, é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 della legge 18 dicembre 1970, n. 1138, in riferimento agli artt. 3 e 42
della Costituzione, sotto i seguenti profili:
a) se gli artt. 5, 6, 9 e 10 siano in contrasto con gli artt. 3 e 42 della Costituzione, comportando praticamente una espropriazione con tenue indennizzo, per utilità privata, e non per fini sociali o per beneficio della generalità dei cittadini;
b) se gli artt. 3 - 12 della stessa legge violino il principio di eguaglianza, sia per ingiustificata disparità di trattamento tra direttari ed enfiteuti, sia per la irrazionale assimilazione delle enfiteusi urbane o ad aedificandum alle enfiteusi rustiche;
c) se l'intera legge sia viziata per eccesso di potere legislativo, in quanto priva di rispondenza a fini di interesse generale.
Poiché trattasi di questioni concernenti la medesima legge, e aventi tutte ad oggetto, in particolare, la nuova disciplina dell'affrancazione, i giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Occorre considerare partitamente le questioni, cominciando da quelle proposte con le prime quattro ordinanze. Ad illustrarne i precisi termini, giova il richiamo della giurisprudenza di questa Corte sulla legislazione dell'ultimo decennio in materia di enfiteusi rustiche e di rapporti alle medesime assimilati, giurisprudenza nella quale si possono rinvenire criteri determinanti ai fini della decisione. Con legge 25 febbraio 1963, n. 327, i rapporti a miglioria in uso nelle province del Lazio, comunque denominati e costituiti, nei quali il coltivatore avesse il possesso del fondo da oltre trenta anni e vi avesse apportato migliorie in conformità dell'uso locale o della convenzione, furono dichiarati perpetui, e ad essi venne estesa l'applicabilità delle disposizioni del titolo "dell'enfiteusi" del codice civile, e successive modificazioni e integrazioni, ammettendo la immediata affrancazione in deroga all'art. 971 del codice civile, e dettando altresì speciali norme quanto alla determinazione dei canoni e dei capitali di affranco. Questa Corte, con sentenza n. 30 del 1966, riconobbe la legittimità dell'assimilazione al regime proprio delle enfiteusi, in considerazione della particolare natura e funzione consuetudinaria propria di quei rapporti di colonia migliorataria, tipici delle province laziali, caratterizzati dall'impianto di colture arboree ed arbustive (uliveti e vigneti) sopra terreni incolti e nudi, ad esclusiva opera e spesa del miglioratario (o del precedente possessore, al quale l'attuale miglioratario avesse pagato il valore delle migliorie all'atto dell'ingresso nel fondo); ma ebbe cura di escludere l'applicabilità della legge alle colonie parziarie con clausola migliorataria (art. 2164 del codice civile), precisando che i rapporti in questione si distinguevano da esse per la mancanza di carattere associativo e di funzione direttiva del concedente. La stessa sentenza dichiarò la incostituzionalità degli artt. 4 e 5 della legge, nei quali erano stabiliti i criteri e la procedura per la determinazione della quota di prodotto del concedente o del canone a lui spettante, e quindi del capitale di affrancazione, osservando che tale disciplina, esemplata su quella dettata a tutt'altro fine dalla legge 12 giugno 1962, n. 567, per la determinazione dell'equo canone per l'affitto di fondi rustici, introduceva una ingiustificata disparità di trattamento tra i proprietari di fondi concessi in enfiteusi e a miglioria, e poteva portare, in casi non marginali né eccezionali, "a una sostanziale espropriazione senza un adeguato e razionale indennizzo". Per gli stessi motivi, la Corte dichiarò anche la illegittimità costituzionale dell'art. 7 della legge, che richiamava le norme della citata legge 12 giugno 1962, n. 567, e dell'art. 8, che genericamente estendeva la nuova normativa "ai contratti aventi ad oggetto rapporti di miglioria di contenuto e caratteristiche identici a quelli di cui all'art. 1, relativi a fondi rustici situati in altre parti del territorio nazionale"; e infine, a norma dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiarò la incostituzionalità del quinto comma dell'art. 13 della legge 15 settembre 1964, n. 756, recante norme sui contratti agrari, il quale disponeva che "se nel contratto prevalgono o sono più analoghi gli elementi della enfiteusi da valutarsi secondo i criteri e nei limiti fissati dalla legge 25 febbraio 1963, n. 327, si applicano esclusivamente le norme regolatrici del rapporto enfiteutico, il tutto in conformità e secondo le disposizioni previste dalla legge anzidetta".
3. - Con legge 22 luglio 1966, n. 607, fu riformata la disciplina delle enfiteusi e prestazioni fondiarie perpetue, abrogando l'art. 962 del codice civile e gli artt. 142 e seguenti delle disposizioni transitorie relative alle enfiteusi costituite sotto le leggi anteriori: canoni e prestazioni vennero commisurati al reddito dominicale dei fondi, disponendo la loro eventuale riduzione e il computo dell'equivalente in denaro pei canoni in natura, ed ammettendo quindi in ogni caso l'affrancazione mediante il pagamento di una somma corrispondente a quindici volte il valore dei canoni così determinati, salve le condizioni di maggior favore per l'enfiteuta; fu altresì introdotto un più spedito e semplice procedimento di affrancazione, affidato alla competenza del pretore, qualunque fosse il valore della domanda giudiziale di affranco. L'art. 13 di detta legge stabilì inoltre che le sue disposizioni dovessero applicarsi anche: a) ai rapporti a miglioria in uso nelle province del Lazio, di cui alla legge 25 febbraio 1963, n. 327; b) ai rapporti a miglioria "analoghi, per contenuto e caratteristiche, a quelli di cui alla lettera a) e relativi a fondi rustici situati in altre parti del territorio nazionale", ai quali venivano altresì estese le disposizioni degli artt. 1, 2, 3, 6 e 9 della legge n. 327 del 1963; c) ai rapporti "costituiti in base a contratti agrari atipici ed in cui siano prevalenti gli elementi del rapporto enfiteutico". Le stesse disposizioni, ad eccezione di quelle contenute nell'art. 1, venivano estese anche ai canoni livellari veneti, regolati dalla legge 25 febbraio 1958, n. 74.
La legge fu sottoposta all'esame di questa Corte, che con sentenza n. 37 del 1969 dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, limitatamente alla parte in cui comprendeva nella nuova normativa anche i rapporti enfiteutici e equiparati, conclusi successivamente al 28 ottobre 1941, data di entrata in vigore del libro terzo del codice civile. La stessa sentenza, nel dichiarare non fondata la questione di costituzionalità che era stata sollevata, per l'art. 13, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, svolse tuttavia puntuali considerazioni dirette a circoscrivere l'ambito d'applicazione delle disposizioni ivi contenute, precisando, tra l'altro, che per i rapporti a miglioria in uso nel Lazio, purché aventi i dati caratteristici precisati nell'art. 1 della legge n. 327 del 1963, l'applicabilità delle norme generali sull'enfiteusi e di quelle speciali e successive sull'affrancazione era sottoposta al verificarsi delle condizioni stabilite dalla legge medesima, "da accertarsi in fatto dal giudice ordinario competente"; che l'assimilazione, negli effetti, all'enfiteusi doveva invece essere esclusa per i rapporti di colonia parziaria con clausola migliorataria, in cui é prevalente il carattere associativo; che la estensione della ricordata normativa ai rapporti a miglioria relativi a fondi rustici siti in altre parti del territorio nazionale, analoghi per contenuto e caratteristiche a quelli delle province del Lazio, poteva coerentemente essere ammessa, "salvo al giudice di merito verificare, caso per caso, la sussistenza di tutte le condizioni di analogia"; che la stessa equiparazione di trattamento anche per i rapporti costituiti in base a contratti agrari atipici poteva ritenersi giustificata in quanto espressamente condizionata all'accertamento che in essi fossero prevalenti gli elementi caratteristici del rapporto enfiteutico.
4. - Disattendendo i principi enunciati nelle decisioni dianzi ricordate, la legge 18 dicembre 1970, n. 1138 (Nuove norme in materia di enfiteusi), ha stabilito, secondo il testuale dettato dell'art. 3, che "le disposizioni di cui all'art. 13 della legge 22 luglio 1966, n. 607, si applicano anche ai contratti ed ai rapporti, anche di natura associativa, di colonia e di affitto con clausola migliorataria, nei quali il colono, l'affittuario, il concessionario o un loro dante causa abbiano eseguito opere di trasformazione fondiaria e agraria di carattere sostanziale e permanente di qualunque tipo. Il concedente all'atto dell'affrancazione ha diritto al rimborso integrale delle spese anticipate".
La questione di costituzionalità di questa disposizione, prospettata dalle ordinanze di rimessione sotto diversi profili, appare fondata per i seguenti motivi.
Appare anzitutto manifesta la violazione del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, che si é concretata nell'estensione della nuova disciplina normativa dettata per i rapporti enfiteutici dalle leggi 22 luglio 1966, n. 607, e 18 dicembre 1970, n. 1138, al regolamento di rapporti giuridici essenzialmente diversi. La nuova normativa, diretta a favorire gli enfiteuti di fondi rustici per motivi di ordine economico - sociale, agevolando l'affrancazione con più convenienti criteri di determinazione dei canoni e dei capitali d'affranco, e con più rapide e sommarie forme di procedimento, era già stata oggetto, mediante il disposto dell'art. 13 della legge n. 607 del 1966, di estensione ad ampie categorie di rapporti di concessione fondiaria, aventi tutte contenuto e caratteri analoghi o affini a quelli tipici del rapporto enfiteutico; e la legittimità costituzionale di dette disposizioni era stata riconosciuta da questa Corte con rigoroso riferimento alla stretta interpretazione dei requisiti che, per ciascuna categoria di rapporti, potevano giustificare la equiparazione al regime proprio dell'enfiteusi, sulla base degli accertamenti deferiti alla competenza dei giudici di merito sulle singole concrete situazioni di fatto e di diritto.
Con la norma dell'art. 3, mediante sommario rinvio alle disposizioni dell'art. 13 della precedente legge, che conteneva a sua volta un semplice rinvio, il nuovo regime introdotto per l'enfiteusi é stato ulteriormente esteso, disponendone l'indiscriminata applicabilità a tutti i contratti e rapporti, anche di natura associativa, di colonia e di affitto con clausola migliorataria, con l'unica condizione che siano state eseguite sul fondo, dal colono, affittuario o concessionario, o da un loro dante causa, opere di trasformazione fondiaria e agraria di carattere sostanziale e permanente di qualunque tipo.
Non occorre sottolineare l'ampiezza di questa estensione, che comprende ogni forma di colonia parziaria e di affitto rustico, senza considerare la misura della partecipazione del concedente all'impresa agraria, senza nemmeno richiedere che il concessionario debba essere coltivatore diretto, e senza tener conto della durata del rapporto, né della condizione oggettiva del fondo, quanto ad estensione, importanza degli investimenti effettuati dal proprietario, natura delle colture; che determina in modo generico il requisito dei miglioramenti, accomunando opere di trasformazione fondiaria ed agraria "di qualunque tipo", indipendentemente da qualsiasi controllo circa la loro sicura utilità per il fondo e per la produzione (cfr. art. 1632 codice civile), o circa la rispondenza all'interesse generale della produzione agraria (cfr. articolo unico legge 13 giugno 1961, n. 527); che, infine, riconoscendo al concedente, all'atto della affrancazione, il diritto al rimborso integrale delle spese anticipate, non soltanto esclude ogni sua partecipazione all'incremento di valore conseguito dal fondo per effetto degli eseguiti miglioramenti, tanto nei rapporti di tipo associativo quanto in quelli di tipo commutativo, ma attribuisce ad esclusivo vantaggio del concessionario anche i miglioramenti effettuati in base ad anticipazione delle spese ad opera del concedente.
5. - Il contrasto con il principio di eguaglianza si appalesa anche in riferimento alle disposizioni degli artt. 41, primo comma, e 42 della Costituzione, che riconoscono e garantiscono la libertà dell'iniziativa economica privata, e la proprietà fondiaria privata, nei limiti stabiliti dallo stesso art. 42 e dall'art. 44. L'iniziativa economica dei proprietari di terreni agricoli, che non possano o non intendano condurli in economia diretta, si concreta precisamente nell'esercizio dell'autonomia negoziale, ossia nella scelta delle forme di conduzione e gestione dei fondi, mediante la costituzione dei più diversi rapporti di concessione fondiaria o agraria. Sotto questo profilo, non occorre porre in rilievo la profonda, radicale differenza tra la scelta del proprietario che abbia ritenuto di concedere un fondo in enfiteusi, perpetua o a lungo termine, costituendo a favore del concessionario un diritto reale di pieno godimento, liberamente disponibile, e la scelta del proprietario che, nella impossibilità, anche temporanea, di condurre direttamente un fondo, abbia invece inteso attuare un rapporto puramente obbligatorio, sia di natura locatizia, mediante contratto di affitto ad un privato imprenditore o ad un coltivatore diretto, a termine o senza determinazione di tempo (cfr. artt. 1629 e 1630 codice civile), sia di natura associativa, mediante contratto di colonia parziaria, caratterizzato dall'obbligo del colono di prestare il proprio lavoro secondo le direttive del concedente (cfr. artt. 2164 e 2167 codice civile).
La natura giuridica propria di questi contratti agrari, come di altri contratti tipici o atipici in uso nelle diverse regioni italiane, non può ritenersi modificata sostanzialmente dalla presenza della clausola migliorataria, che costituisce una delle condizioni consuetudinarie o convenzionali del rapporto, ma non appare, di per sé, sufficiente a determinarne l'assimilazione o equiparazione all'enfiteusi, né a giustificarne la trasformazione da temporanei (anche se prorogati ex lege), a perpetui. Si deve ricordare, al riguardo, che l'obbligo. imposto al conduttore di attuare migliorie, mediante l'apporto di lavoro ed anche di capitale proprio, non modifica gli elementi essenziali tipici del rapporto che, come é stato riconosciuto dalla giurisprudenza, rimane sempre un affitto. Si é discusso in dottrina se la distinzione tra affitto semplice e ad meliorandum potesse ritenersi ancora giustificata dopo che il codice civile aveva riconosciuto all'affittuario il diritto ad indennizzo per le migliorie eseguite (cfr. art. 1633), potendo ormai sostenersi che ogni affitto rustico fosse per sua natura ad meliorandum, dato che ogni affittuario aveva, nei limiti e con le modalità prescritte, la facoltà di migliorare il fondo e pretendere di essere indennizzato. Effettivamente l'istanza del miglioramento é oggi intrinseca a tutte le forme di gestione dell'impresa agraria: e giustamente la nuova disciplina dell'affitto di fondi rustici introdotta con la legge 11 febbraio 1971, n. 11, in considerazione dell'interesse pubblico allo sviluppo quantitativo e qualitativo della produzione agraria, ha attribuito anche all'affittuario le più ampie iniziative di organizzazione e di gestione richieste dalla razionale coltivazione del fondo, dall'allevamento di animali, o dall'esercizio delle attività connesse, indipendentemente dall'esistenza di clausola migliorataria, anzi comminando la nullità di ogni clausola convenzionale limitatrice dei poteri riconosciuti all'affituario per l'esecuzione di miglioramenti (titolo II, art. 10 e seguenti). Analogo discorso si impone, con anche maggiore evidenza, per i rapporti di colonia parziaria ad meliorandum, data la struttura associativa del rapporto, per cui il concedente, con poteri di direzione, partecipa ai rischi ed utili dell'impresa, e concorre di regola con apporti in denaro e in natura all'esecuzione di opere di trasformazione e miglioramento (come risulta, ad esempio, dalle clausole del contratto collettivo che regola la colonia migliorataria siciliana).
La estensione a questi contratti agrari tipici del regime proprio dei rapporti di tipo enfiteutico, con la conseguente facoltà di affrancazione, non potrebbe nemmeno trovare giustificazione nel fatto della esecuzione di opere di miglioramento di carattere sostanziale e permanente, di qualunque tipo. Negli sviluppi anche recenti del nostro ordinamento positivo, l'iniziativa e l'esecuzione di tali opere, di trasformazione fondiaria come di miglioramento agrario, da parte dei concessionari di fondi rustici altrui in base a contratti di tipo associativo o cormmutativo, non hanno mai costituito titolo per l'acquisto della proprietà, ma unicamente per la riduzione dei canoni, per la proroga dei rapporti, per la corresponsione di una giusta indennità. Anche nell'enfiteusi, del resto, l'acquisto della proprietà si può conseguire solo mediante il pagamento del capitale d'affranco, e non già come effetto delle eseguite migliorie, per quanto importanti e pregevoli possano essere. Non vi é dunque motivo di ammettere che il legislatore possa mutare la natura e la causa del contratto, trasformando un rapporto obbligatorio tipico, previsto e disciplinato dalla legge come fonte di diritti di credito, di carattere temporaneo, anche se in regime di proroga legale, in un rapporto reale perpetuo, con facoltà di immediato affranco, prescindendo da qualsiasi requisito di durata, e in aperto contrasto con la libera volontà negoziale delle parti.
6. - Si deve altresì riconoscere il contrasto con gli artt. 3 e 42 della Costituzione, risultante dall'estensione ai contratti di colonia e di affitto con clausola migliorataria delle disposizioni delle leggi n. 607 del 1966 e n. 1138 del 1970 relative all'affrancazione. Gli stessi criteri di determinazione dei canoni e dei capitali di affranco, stabiliti per l'affrancazione dei fondi enfiteutici, a titolo corrispettivo della estinzione del dominio diretto, ovvero dei canoni enfiteutici e prestazioni fondiarie assimilate, dovrebbero essere applicati per il trasferimento della proprietà a favore dei coloni o affittuari, titolari di rapporti obbligatori, prescindendo, inoltre, da qualsiasi valutazione delle eventuali pertinenze del fondo, attrezzature e scorte. L'irrazionalità dell'equiparazione all'enfiteusi appare evidente, considerando la profonda differenza tra la situazione giuridica del concedente in enfiteusi, cui appartiene solo la cosiddetta nuda proprietà, avendo egli a suo tempo ceduto all'enfiteuta ogni potere attuale di godimento e di disposizione, e quella del pieno proprietario, che tale rimane anche quando abbia concesso temporaneamente ad altri il suo fondo con contratti di colonia o di affitto, sia pur con clausola migliorataria. Nulla può giustificare la sperequazione che si verificherebbe calcolando il capitale d'affranco a norma dell'art. 9, a danno del proprietario (anche medio o piccolo, o coltivatore diretto), e a beneficio del concessionario (che può anche non essere coltivatore diretto, oppure essere privo di forze di lavoro e di capitali adeguati alla conduzione del fondo), senza che ricorra alcuno dei fini economici e sociali previsti dall'art. 44 della Costituzione, e senza quell'equo indennizzo che é richiesto nell'espropriazione per causa di pubblica utilità. Né certamente vale ad indennizzare il concedente la disposizione del secondo comma dell'art. 3, che gli accorda, all'atto dell'affrancazione, solo il diritto al rimborso delle spese anticipate, ossia, con ulteriore disparità di trattamento, non gli riconosce nemmeno quella indennità corrispondente all'aumento di valore conseguito dal fondo, che la legge comune attribuisce all'affittuario.
7. - Deve invece dichiararsi privo di fondatezza l'ultimo profilo della questione di costituzionalità, concernente la menomazione del diritto di difesa che conseguirebbe all'applicazione delle norme di procedura introdotte con gli artt. 2 e seguenti della legge n. 607 del 1966. La legittimità costituzionale del nuovo procedimento sommario di affrancazione é già stata riconosciuta da questa Corte con la ricordata sentenza n. 37 del 1969, precisando che anche nella prima fase davanti al pretore é riservata "cognizione ampia su tutti i presupposti della domanda", e che la consentita produzione di atti di notorietà "é soltanto un surrogato di atti la cui mancanza dovrà essere ovviamente giustificata". Del resto l'atto di notorietà é previsto dall'art. 2, secondo comma, solo "sulla esistenza della prestazione e sull'importo di essa", e ovviamente non potrebbe essere ritenuto sufficiente come mezzo di prova delle condizioni d'un contratto di colonia o di affitto, che si assumesse appartenente ad una delle categorie considerate dall'art. 13 della legge n. 607 del 1966, e tanto meno della natura ed entità degli eseguiti miglioramenti.
8. - La seconda questione di legittimità costituzionale, proposta dalle due ultime ordinanze, concerne la nuova disciplina introdotta con gli artt. 5 e seguenti della legge 18 dicembre 1970, n. 1138, per le enfiteusi urbane ed edificatorie. Questa Corte, nella sentenza n. 37 del 1969, aveva ritenuto che il sistema della legge 22 luglio 1966, n. 607, non comprendesse le enfiteusi urbane ed ad aedificandum nella previsione normativa, avente ad oggetto le sole enfiteusi di fondi rustici. Con le disposizioni della legge n. 1138 del 1970 il legislatore ha voluto regolare espressamente anche questa speciale categoria di rapporti enfiteutici, estendendo l'applicazione del disposto dell'art. 18, secondo comma, della legge del 1966 a tutti i canoni enfiteutici a qualsiasi fine costituiti (art. 4), dettando nuove norme circa la misura, la rivalutazione e il pagamento del canone annuo delle enfiteusi urbane ed edificatorie (artt. 5 e 8), disponendo che anche per queste enfiteusi l'affrancazione si opera mediante il pagamento di una somma pari a 15 volte l'ammontare del canone (art. 9), e si applicano le stesse norme sulla competenza e sulla procedura sancite dalla legge n. 607 del 1966, fatta eccezione per i giudizi previsti dall'art. 5, quinto comma, di detta legge, che seguiranno le norme ordinarie sulla competenza (art. 11)
Sotto il profilo della denunziata violazione del principio di eguaglianza, per ingiustificata disparità di trattamento tra direttari ed enfiteuti, e per irrazionale assimilazione delle enfiteusi urbane ed edificatorie alle enfiteusi rustiche, la questione non é fondata. Nel regime storico dell'istituto, a cominciare dalle riforme del Settecento, così come in quello stabilito dal vigente codice civile, la diversità tra la posizione giuridica del concedente e del concessionario può dirsi costante, proprio per quanto concerne la possibilità di acquisto della piena proprietà mediante il riscatto dell'altrui diritto, ossia mediante l'esercizio della facoltà di affrancazione, riconosciuta al solo enfiteuta da norma oggi inderogabile, e prevalente sulla domanda di devoluzione, mentre la facoltà di chiedere la devoluzione é stata sempre accordata al direttario soltanto nel caso di specifiche e gravi inadempienze dell'enfiteuta.
Nemmeno si può ravvivare nella legge una arbitraria equiparazione delle enfiteusi urbane alle rustiche, dal momento che il legislatore, proprio per considerazione delle speciali caratteristiche dei rapporti aventi ad oggetto immobili urbani o terreni a destinazione edificatoria, ha provveduto a dettare per essi una speciale disciplina, diversa da quella prevista per le enfiteusi rustiche e i rapporti alle medesime assimilati.
Egualmente priva di fondamento é la denunzia dell'intera legge per eccesso di potere legislativo, in quanto priva di rispondenza a fini di interesse generale. Non occorre ricordare che le scelte politiche operate dal legislatore sfuggono al controllo di questa Corte, rigorosamente circoscritto all'ipotesi di assoluta carenza di motivi logici e coerenti, o di palese contraddizione sui presupposti, tale da incidere negativamente nel campo di diritti costituzionalmente garantiti. Nella specie, é ovviamente insindacabile la decisione del legislatore di introdurre nuove norme regolatrici delle enfiteusi urbane ed edificatorie, nel palese intento di favorirne l'affrancazione.
9. - Rimane da esaminare la questione se le norme con le quali sono stati stabiliti per queste enfiteusi nuovi criteri di determinazione del canone, e quindi del capitale d'affranco, possano ritenersi in contrasto con gli artt. 3 e 42 della Costituzione, sia in quanto darebbero luogo ad una sorta di espropriazione per utilità privata, senza alcuna giustificazione di ordine economico o sociale, si a in quanto assegnerebbero al direttario un indennizzo insufficiente a compensare la perdita del suo diritto dominicale, e praticamente irrisorio.
Sotto il primo aspetto la questione non é fondata, perché appare arbitrario equiparare all'espropriazione l'esercizio della facoltà di riscatto della piena proprietà mediante l'affrancazione, e l'enfiteuta non può essere considerato come il beneficiario d'un ingiustificato trasferimento dell'altrui proprietà, fonte di indebito arricchimento d'un soggetto privato ai danni di un altro. Si può anche ammettere che i concessionari in enfiteusi di immobili urbani o di suoli edificatori non appartengano, di massima, a categorie sociali più deboli e meritevoli di protezione rispetto a quelle dei direttari concedenti: ma non si deve dimenticare che il diritto di affranco era già riconosciuto dal nostro ordinamento positivo agli enfiteuti di immobili urbani come a quelli di fondi rustici, senza alcuna speciale limitazione, e che le disposizioni di cui viene contestata la costituzionalità hanno introdotto soltanto alcune innovazioni tendenti ad agevolare l'esercizio di tale diritto, senza tuttavia modificare la struttura giuridica del rapporto, che é rimasta sostanzialmente immutata.
Si tratta dunque unicamente di accertare se i nuovi criteri di determinazione dei canoni, e conseguentemente dei capitali d'affranco, possano ritenersi congrui, e comunque applicabili senza grave ed ingiustificata lesione dei diritti dei concedenti. Al riguardo, non sembra ammissibile il dubbio sulla legittimità della norma dell'art. 9 della legge del 1970, con cui é stato introdotto anche per le enfiteusi urbane o edificatorie il criterio di calcolo del capitale in misura pari a quindici volte l'ammontare del canone, già stabilito per le enfiteusi rustiche con l'art. 1, quarto comma, della legge 22 luglio 1966, n. 607. La modificazione, in misura limitata, del tasso di capitalizzazione stabilito già dall'art. 971 del codice civile, rientra sicuramente nella discrezionalità del legislatore, non soggetta a sindacato in questa sede.
L'art. 5 stabilisce in linea generale che il canone annuo delle enfiteusi urbane ed edificatorie non può essere superiore a quello fissato all'inizio del rapporto enfiteutico, salva, per i rapporti costituiti anteriormente al 28 ottobre 1941, la rivalutazione di cui alla legge 1 luglio 1952, n. 701; e gli artt. 7 e 8 mantengono ferma la misura dei canoni imposta dall'art. 5, anche nei casi di intervenuta sentenza passata in giudicato o transazione per rivalutazione dei canoni stessi, eccettuati solo i pagamenti già eseguiti per i periodi anteriori all'entrata in vigore della legge. Peraltro, a norma dell'art. 6 é prevista in ogni caso la rivalutazione dei canoni a richiesta della parte interessata, in misura proporzionale al mutato potere di acquisto della lira, quale risulta dalle statistiche dell'Istituto centrale di statistica, dal 1 gennaio 1963 (o dalla data di costituzione del rapporto, se successiva) al 31 dicembre 1968. Queste disposizioni sulla misura dei canoni, frutto di valutazioni politico - legislative il cui contenuto non può essere qui posto in discussione, possono ritenersi ineccepibili sotto il profilo della legittimità costituzionale, se riferite alle enfiteusi costituite anteriormente all'entrata in vigore del libro "della proprietà" del codice civile; rispetto alle quali non sussiste difficoltà ad ammettere anche l'applicabilità del disposto dell'art. 4 della legge n. 1138 del 1970, con cui é stato fatto richiamo alla norma dell'art. 18, secondo comma, della legge n. 607 del 1966, che aveva abrogato, tra l'altro, l'art. 962 del codice civile. Trattasi infatti di disposizioni che accordano una rivalutazione, per quanto limitata, dei canoni originari, altrimenti non consentita, mentre la possibilità di revisione dei canoni stessi in relazione al valore attuale dei fondi, prevista dall'art. 962, costituisce una innovazione introdotta solo con il codice vigente, rispetto al principio dell'inalterabilità dei canoni, sancito dal codice civile del 1865, in conformità con le preesistenti norme consuetudinarie e legislative.
Ma l'abrogazione della norma attributiva del diritto alla rivedibilità del canone, di cui questa Corte ebbe occasione di riconoscere la legittimità costituzionale con la sentenza n. 37 del 1969, "in funzione della materia, propria ed esclusiva, dell'enfiteusi sui fondi rustici", può ritenersi egualmente ammissibile, per le enfiteusi urbane ed edificatorie, soltanto nei confronti dei vecchi rapporti enfiteutici, costituiti anteriormente all'entrata in vigore del libro "della proprietà" del codice civile. Come già fu notato nella richiamata sentenza, il diritto a chiedere la revisione periodica del canone, riconosciuto ad entrambe le parti dall'art. 962 del codice civile, ha conferito al contratto un nuovo elemento di rilievo, rispetto al tipo tradizionale, talché la data del 28 ottobre 1941 segna una importante demarcazione tra i rapporti di antica o meno recente costituzione, e quelli costituiti e svoltisi successivamente, sotto la garanzia della possibile operatività di quel diritto, e di un sistema normativo in cui la posizione giuridica del concedente era stata oggetto di più equilibrata considerazione, nel fine di promuovere la costituzione di nuovi rapporti.
Queste considerazioni, che già furono da questa Corte ritenute determinanti ai fini della declaratoria della incostituzionalità dell'art. 1 della legge 22 luglio 1966, n. 607, limitatamente alla parte in cui si riferiva ai rapporti costituiti successivamente alla data del 28 ottobre 1941, conducono ad analoga decisione per quanto concerne le nuove norme di determinazione del canone delle enfiteusi urbane ed edificatorie, di cui deve dichiararsi la parziale illegittimità costituzionale, rispetto ai rapporti costituiti dopo il 28 ottobre 1941, per i quali la possibilità di rivalutazione dei canoni prevista dall'art. 6 con esclusivo riferimento al periodo 1 gennaio 1963 - 31 dicembre 1968 risulta manifestamente inadeguata a sostituire il criterio di revisione stabilito dall'art. 962 del codice civile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 18 dicembre 1970, n. 1138 (Nuove norme in materia di enfiteusi);
dichiara la illegittimità costituzionale degli artt. 4, 5, 6, 7 e 8 della stessa legge, limitatamente alla parte in cui comprendono nella nuova normativa anche i rapporti di enfiteusi urbana ed edificatoria costituiti successivamente alla data del 28 ottobre 1941;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 9, 10, 11 e 12 della medesima legge, sollevata dalle ordinanze in epigrafe con riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, 3, 4 e 5 della legge 22 luglio 1966, n. 607 (Norme in materia di enfiteusi e prestazioni fondiarie perpetue), sollevata dalle ordinanze in epigrafe con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 1974.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 6 marzo 1974.