SENTENZA N. 30
ANNO 1966
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 7 e 8 della legge 25 febbraio 1963, n. 327, contenente "Norme sui contratti a miglioria in uso nelle province del Lazio", promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 28 marzo 1964 dal Pretore di Alatri nei procedimenti civili vertenti tra Calabrese Giovanni ed altri e di Di Fabio Bianca ed altri, iscritta al n. 70 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 126 del 23 maggio 1964;
2) ordinanza emessa il 15 maggio 1964 dal Pretore di Veroli nel procedimento civile vertente tra Marcoccia Raffaele ed altri e Santoro Anita, iscritta al n. 107 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 169 dell'11 luglio 1964;
3) ordinanza emessa il 13 maggio 1964 dal Tribunale di Frosinone nel procedimento civile vertente tra Paolucci Ida ed altri e Ferrazzoli Luigi, iscritta al n. 108 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 169 dell'11 luglio 1964;
4) ordinanza emessa l'8 giugno 1964 dal Tribunale di Frosinone nel procedimento civile vertente tra Fiorini Severino e Ceci Giovanni, iscritta al n. 129 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 212 del 29 agosto 1964;
5) ordinanza emessa il 23 luglio 1964 dal Pretore di Sora nel procedimento civile vertente tra la Rocca Giovanni e la Prebenda parrocchiale di S. Restituta in Sora, iscritta al n. 147 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 238 del 26 settembre 1964.
Visti l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e gli atti di costituzione di Di Fabio Bianca, Floridi Iole, Prebenda parrocchiale di S. Maria del Colle di Fiuggi, Di Fabio Adelaide, Santoro Anita e Ferrazzoli Luigi (proprietari concedenti), e di Calabrese Giovanni, Bauco Maurizio, Sarandrea Tommaso, Fiori Biagio, Marcoccia Rosa, Raffaele, Italo, Umberto e Giovanni, Paolucci Ida, Ottaviani Amedeo, Poli Maria e Fiorini Severino (coltivatori miglioratari);
udita nell'udienza pubblica del 2 febbraio 1966 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;
uditi gli avvocati Giuseppe Abbamonte, Giuseppe Todini e Gaetano Ceccacci, per i proprietari concedenti, gli avvocati Antonio Putzolu e Mario Diana, per i coltivatori miglioratari, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiaretti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
- - Nel corso di vari procedimenti civili davanti al Pretore di Alatri furono sollevate questioni di legittimità costituzionale degli articoli da 1 a 7 e dell'intera legge 25 febbraio 1963, n. 327, intitolata "Norme sui contratti a miglioria in uso nelle Province del Lazio", in riferimento agli articoli 3, 41, 42, 97, 101, 104 e 108 della Costituzione. Il Pretore, riuniti i procedimenti, ritenne manifestamente infondata la questione di legittimità dell'art. 6, rilevanti, invece, e non manifestamente infondate le altre. In conseguenza, con ordinanza emessa il 28 marzo 1964 sospese i procedimenti e rinviò gli atti a questa Corte. L'ordinanza, ritualmente notificata alle parti e al Presidente del Consiglio, nonché comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 126 del 23 maggio 1964.
- - L'art. 1 della legge impugnata dispone nel primo comma che "i rapporti a miglioria in uso nelle Province del Lazio, comunque denominati e comunque costituiti, nei quali il coltivatore abbia il possesso del fondo da oltre trent'anni e abbia apportato al fondo migliorie in conformità dell'uso locale o della convenzione, sono dichiarati perpetui e sono applicabili ad essi, oltre le norme della presente legge, quelle contenute nel titolo IV del libro III del Codice civile (Enfiteusi) e nella legge 11 giugno 1925, n. 998 e successive modificazioni e integrazioni". L'ordinanza ritiene che questa norma obliteri indebitamente le differenze esistenti tra i vari tipi di rapporti a miglioria in uso nel Lazio, notevoli tanto al momento della formazione quanto e ancora più nello svolgimento del rapporto, e che essa sia in contrasto, perciò, con l'art. 3 della Costituzione: col quale non sarebbero compatibili, inoltre, né la parificazione dei miglioratari agli enfiteuti disposta dal medesimo art. 1, né le disposizioni degli artt. 3 e 4 le quali, in deroga alle norme del Codice civile sull'enfiteusi, stabiliscono l'immediata affrancabilità del canone e impongono la determinazione del canone di affranco non sulla base della capitalizzazione del canone effettivamente corrisposto, ma su quello determinato discrezionalmente dalle Commissioni tecniche provinciali di cui all'art. 2 della legge 12 giugno 1962, n. 567, inducendo così una differenza di trattamento tra enfiteuti e enfiteuti miglioratari.
L'art. 1 della legge sarebbe in contrasto anche con l'art. 4l, in primo luogo perché, trasformando in enfiteutici anche i rapporti di miglioria a natura associativa, toglie al concedente la direzione della propria impresa, e in secondo luogo perché snatura e trasforma sostanzialmente tutto il rapporto, non soltanto qualche clausola di esso, sovrapponendo la volontà del legislatore a quella delle parti nell'esercizio di un potere di autonomia privata e ad esclusivo vantaggio di una delle parti, violandosi così il principio di eguaglianza giuridica dei contraenti.
L'art. 1 sarebbe anche in contrasto con l'art. 42 della Costituzione perché, dati i criteri di determinazione del capitale di affranco, non garantirebbe il pagamento di un indennizzo comunque proporzionato al diritto del quale il concedente viene privato.
- - L'illegittimità costituzionale dell'art. 2, il quale stabilisce che, ai fini dell'applicazione della legge, la durata del rapporto dell'attuale miglioratario si cumula con quella dei rapporti dei miglioratari precedenti, quando ricorrano certe condizioni, deriverebbe dall'inscindibile sua connessione con l'art. 1 ora esaminato.
- - L'art. 3, che dispone l'immediata affrancabilità del fondo in deroga all'art. 971 del Codice civile, contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione per l'ingiustificato trattamento preferenziale riservato ai miglioratari nei confronti degli enfiteuti.
- - L'art. 4 stabilisce che le ricordate Commissioni tecniche provinciali determinano "nella misura minima e massima le quote di ripartizione dei prodotti o i canoni da considerarsi equi tenendo conto oltre che dei criteri fissati dall'art. 3 della legge 12 giugno 1962, n. 567, del trasferimento degli oneri fondiari a carico del miglioratario, nonché della parte di reddito relativa alla quota dei miglioramenti già spettanti al miglioratario per convenzione o per uso locale". "La quota dei prodotti attribuita al concedente o il canone a lui spettante - dispone il secondo comma di quest'articolo - saranno presi a base della determinazione del capitale di affrancazione ai sensi dell'art. 971 del Codice civile".
Rispetto a quest'articolo il Pretore ritiene giustificato il rilievo dei concedenti che hanno addotto esempi di fondi suscettibili di utilizzazione edilizia, affrancati dai miglioratari a fine speculativo.
Ne conseguirebbe la violazione dell'art. 3 per l'ingiustificato arricchimento del miglioratario che ne discende, e dell'art. 42 per il trasferimento senza serio indennizzo del suolo edificatorio al miglioratario. Gli stessi articoli verrebbero violati per il fatto che si fa riferimento agli organi e ai criteri posti nella citata legge n. 567 del 1962 per la determinazione dell'equo canone per i contratti di affitto, data la commistione che cosi si opererebbe di due differenti categorie di rapporti tra proprietario e coltivatore, al fine di regolare il passaggio della proprietà dal primo al secondo. Sempre gli artt. 3 e 42 della Costituzione sarebbero violati poi dalla circostanza che la legge impugnata istituisca Commissioni provinciali e non già una Commissione regionale per tutto il Lazio, come avrebbe dovuto, al fine di assicurare "trattamenti coerenti alla varietà e alle somiglianze dei rapporti a miglioria esistenti nella Regione". Segnatamente l'art. 42, viceversa, sarebbe violato dall'attribuzione di poteri discrezionali, in un campo di riserva assoluta di legge, alle Commissioni per la determinazione dei capitali di affranco, poteri discrezionali che avrebbero portato, nel fatto, all'attribuzione di capitali di affranco del tutto irrisori.
La composizione, poi, di queste Commissioni profilerebbe un contrasto degli artt. 4 e 5 della legge impugnata con gli artt. 101 e 104 della Costituzione, per il trasferimento che essi operano del potere decisorio dai giudici alle Commissioni tecniche provinciali e, in ogni caso, con l'art. 108 della Costituzione per la mancata previsione di qualsiasi garanzia di indipendenza per i componenti delle Commissioni medesime.
- - L'art. 5 della legge, prevedendo l'integrazione delle Commissioni con due rappresentanti dei concedenti a miglioria e con due rappresentanti dei miglioratari e non anche la sostituzione dei componenti tecnici delle medesime Commissioni designati dalle associazioni dei proprietari di fondi concessi in affitto e dei fittuari, con tecnici designati dalle associazioni dei concedenti a miglioria e dei miglioratari, non sarebbe conforme al precetto dell'art. 97 della Costituzione, per il quale i pubblici uffici sono organizzati mediante disposizioni di legge in modo che sia assicurato il buon andamento dell'Amministrazione; e nemmeno ai principi di democraticità e di rappresentanza delle categorie negli organi deliberanti: "principi coessenziali al vigente ordinamento costituzionale".
- - Per i motivi già esposti in relazione agli artt. 4 e 5 sarebbe da considerare incostituzionale il rinvio alla legge 12 giugno 1962, n. 567, disposto dall'art. 7 della legge impugnata.
- - Infine tutta la legge sarebbe viziata da una deviazione di fondo che integrerebbe un vizio di eccesso di potere legislativo. Infatti la finalità della legge di trasferire la proprietà de fondi dai concedenti ai miglioratari si é perseguita mediante la dichiarazione di perpetuità "per tutti indistintamente i contratti a miglioria con annessa affrancabilità immediata sulla base di canoni e quote discrezionalmente determinati dalle Commissioni provinciali", laddove la realtà dei rapporti porterebbe a ritenere che ricorrano nella fattispecie gli estremi per l'applicazione dell'istituto della espropriazione con le garanzie costituzionali e giudiziarie che vi sono connesse.
- - Nel presente giudizio si sono costituiti le signore Bianca Di Fabio e Iole Floridi e don Carlo Speranza, parroco di S. Maria del Colle in Fiuggi, rappresentati e difesi dall'avv. Giuseppe Abbamonte. Le deduzioni sono state depositate il 10 giugno 1964. In esse la difesa riprende e svolge gli argomenti che nell'ordinanza sono stati posti a fondamento delle sollevate questioni di legittimità costituzionale. L'art. 1 violerebbe il principio di eguaglianza perché dispone un'identica disciplina per situazioni che la stessa legge, parlando di rapporti comunque denominati e comunque costituiti e, dunque, comunque regolati, considera diverse. A sostegno di questa molteplicità e diversità sostanziali di rapporti che vanno sotto il nomen iuris di colonia migliorataria, la difesa riporta testualmente uno studio comparso nel 1956 che dà conto della diffusione di questi contratti nella Provincia di Frosinone e della diversità del loro regolamento nelle varie zone di questa Provincia. Da questa diversa natura di contratti unificati nel regolamento legislativo, discende anche la violazione dell'art. 42 della Costituzione, dato che la legge ha disposto il diritto di affranco anche per le colonie precarie, per le quali codesto diritto non era punto previsto, e ha così disposta una espropriazione parziale e senza indennizzo, a favore del colono, che ha acquistato a titolo costitutivo un nuovo diritto, a carico del diritto di proprietà che ne risulta in proporzione corrispondente diminuito senza indennizzo. La violazione dell'art. 3 si verificherebbe, poi, anche sotto un altro profilo, avendo l'art. 1 parificato i rapporti miglioratari all'enfiteusi, ma avendo poi gli articoli successivi, con incoerenza logica e sistematica, che sarebbe significativo sintomo di eccesso di potere legislativo, stabilito una disciplina diversa da quella propria dell'enfiteusi e più favorevole ai miglioratari. Il legislatore cioè parifica due situazioni e nel contempo le regola e tratta diversamente, senza alcuna razionale giustificazione.
L'art. 1 violerebbe inoltre anche l'art. 41, perché trasforma in enfiteutici quei rapporti di colonia migliorataria pacificamente considerati rapporti associativi, nei quali é riservata al concedente la direzione dell'impresa.
Per l'art. 2, la illegittimità discenderebbe dalla inscindibile sua connessione con l'art. 1, e per l'art. 3 dal fatto che stabilirebbe una disparità di trattamento per situazioni (colonia migliorataria, enfiteusi) che la stessa legge unifica.
All'art. 4 la difesa delle parti addebita le medesime censure dell'ordinanza, partendo anch'essa dalla considerazione che la legge ha avuto riguardo esclusivamente alla destinazione agricola dei fondi, molti dei quali viceversa sono attualmente suoli edificatori. La legge avrebbe ignorato i fatti sopravvenuti, fatti che sarebbero rilevanti alla stregua di norme costituzionali, dato che, con violazione dell'art. 3, secondo comma, non ha tenuto conto della diversità di situazione dei fondi, producendo, inoltre, con violazione dell'art. 42, una spoliazione del proprietario senza indennizzo e senza che sia soddisfatta alcuna esigenza sociale. La difesa lamenta anche, sempre in relazione all'art. 4, la violazione degli artt. 3 e 42 perché la determinazione dell'equo canone come base dell'affranco é fatta seguendo i criteri fissati dalla legge 12 giugno 1962, n. 567, art. 3, per determinare l'equo canone per un rapporto del tutto diverso da quello delle colonie miglioratarie, il contratto d'affitto: si sarebbero anche sotto questo profilo parificate situazioni diverse, e si sarebbe anche qui determinato in maniera non conforme alla Costituzione l'indennizzo al proprietario. E sempre l'art. 4 avrebbe un'altra volta violato il principio di eguaglianza usando un eguale trattamento, ai fini della determinazione del capitale di affranco, per i rapporti in cui la miglioria é opera del colono e per gli altri nei quali il concedente ha contribuito all'opera di miglioramento. E ancora quel principio sarebbe violato, sempre dall'art. 4, per il fatto che sono state istituite Commissioni provinciali e con ciò creata la possibilità di trattamento diverso nelle cinque Province del Lazio nelle quali l'art. 1 della stessa legge ha affermato l'esistenza di eguali situazioni, dichiarando la perpetuità di tutti i rapporti a miglioria comunque denominati e costituiti. Senza dire che anche sotto questo profilo si verificherebbe una violazione dell'art. 42 per la ingiustificata differenza tra gli indennizzi rispettivamente corrisposti nelle varie Province.
Sostanzialmente conformi a quelli dell'ordinanza sono pure i motivi che comporterebbero l'illegittimità di questo art. 4 per la violazione della riserva di legge degli articoli 41 e 42 della Costituzione operata per il fatto che la determinazione del canone, base del prezzo di affranco, é fatta dalle Commissioni provinciali con lati poteri discrezionali. La difesa sottolinea che la critica non riguarda tanto la riduzione dell'indennizzo quanto il metodo seguito per conseguire tale riduzione; diverso da quello che, a suo avviso, sarebbe stato conforme alla Costituzione, vale a dire la determinazione per legge dei criteri per corrispondere un serio indennizzo, sia pure al disotto del valore venale. Affidando viceversa la determinazione di tali criteri alle Commissioni, si é giunti ad attribuire al proprietario un indennizzo irrisorio in taluni casi calcolato su una percentuale pari ad 1/120 del prodotto. Da ciò la difesa deduce anche, negli stessi termini dell'ordinanza, la esistenza di un vizio di eccesso di potere che colpirebbe l'intera legge. Ancora e sempre rispetto all'art. 4, la difesa lamenta il fatto che il potere dei giudici sia stato vincolato, in caso di controversie relative alla determinazione dei capitali di affranco, alle decisioni delle Commissioni provinciali con violazione degli artt. 101 e 104 della Costituzione e dell'art. 108: quest'ultimo nell'ipotesi che si volesse considerare legittimo il trasferimento del potere decisorio dai giudici alle Commissioni, stante che la legge non prevede alcuna garanzia per l'indipendenza dei membri di queste, che partecipano da estranei all'amministrazione della giustizia.
L'art. 5 violerebbe l'art. 97 della Costituzione per il fatto, già messo in rilievo dall'ordinanza, che i tecnici designati dai proprietari di fondi locali e dagli affittuari, che fanno parte delle ricordate Commissioni provinciali, non sarebbero stati sostituiti da tecnici designati dalle associazioni dei concedenti e dei miglioratari. E, infine, anche per l'art. 7 della legge il motivo di incostituzionalità che si ravvisa nel richiamo che quell'articolo fa della legge 567 del 1962, é quello stesso espresso nell'ordinanza, della Commissione che quel richiamo opera delle norme relative all'equo canone per gli affitti con le norme relative all'affrancabilità delle colonie ad meliorandum.
- - Si é pure costituita la signora Adelaide Di Fabio in Ceccacci, rappresentata e difesa dall'avvocato Gaetano Ceccacci. Nelle deduzioni depositate il 10 giugno 1964, la difesa della parte, premesso un elenco dei vari tipi di colonia migliorataria in uso nelle Province del Lazio e affermato che tutti codesti contratti sarebbero stati sempre riconosciuti "di natura associativa e di carattere personale e di credito", che pertanto il diritto del colono dovrebbe essere assistito da una presunzione iuris tantum, tale cioè da consentire al concedente la prova contraria - consuetudine o titolo scritto - che non si tratti di colonia migliorataria, specificamente si lamentano le violazioni degli artt. 3, 41, 42, 76, 101, 104 e 108 della Costituzione nei termini e per i motivi esposti nell'ordinanza e sopra riferiti. La difesa della signora Di Fabio solleva anche la questione di legittimità dell'art. 6 della legge che, come s'é detto, il Pretore di Alatri ha ritenuto manifestamente infondata; considera le competenze attribuite alle Commissioni provinciali una delegazione legislativa illegittima; sostiene che la legge agisce retroattivamente e ritiene che non si debba escludere anche al di fuori della sfera penale, l'illegittimità di leggi retroattive, specie quando esse incidano grandemente nella sfera degli interessi privati, sacrificandoli, e nella sfera dell'autonomia privata, comprimendola.
- - Si sono pure costituiti i signori Giovanni Calabrese, Maurizio Bauco, Tommaso Sarandrea, Biagio Fiori e Rosa Marcoccia, rappresentati e difesi dagli avvocati Mario Diana ed Antonio Putzolu.
Nelle deduzioni depositate il 12 giugno 1964 la difesa sostiene che la legge non avrebbe regolato tutti indistintamente i rapporti di miglioria, ma soltanto quelli "in uso nelle Province del Lazio, nei quali il coltivatore abbia il possesso del fondo da oltre trenta anni ed abbia apportato al fondo migliorie in conformità dell'uso locale e della convenzione... mediante impianto di culture arboree ed arbustive... ne abbia pagato il valore all'atto dell'ingresso nel fondo". Sicché la dichiarazione di perpetuità dell'art. 1 riferita a un tipo di rapporto, storicamente e giuridicamente ben delineato, sarebbe legittima e troverebbe precedenti nella presunzione di perpetuità della prestazione stabilita in relazione a determinati presupposti dall'art. 2 della legge 11 giugno 1925, n. 998 e dalle leggi precedenti che regolavano la materia delle affrancazioni. Ne conseguirebbe l'infondatezza dell'assunta violazione dell'art. 41, stante che nella colonia migliorataria alla quale fa riferimento la legge, titolare dell'impresa agraria é il colono. Né sussisterebbe la violazione dell'art. 42 della Costituzione, dato che la determinazione del capitale di affranco sarebbe fatta "con riferimento alla capitalizzazione del canone di cui il concedente gode all'atto della richiesta di affrancazione". La legittimità dell'art. 2, il quale consente, in presenza di certi presupposti, la cumulabilità della durata del rapporto dell'attuale miglioratario con quella dei miglioratari precedenti, deriverebbe "dal carattere reale che viene impresso al diritto relativo alle migliorie medesime". Infondate, poi, le censure all'art. 3: la parità di trattamento tra enfiteuta e miglioratario sarebbe assicurata "dalla base comune rappresentata dalla entità del canone rispettivamente dovuto in base ai due rapporti" e dal requisito del possesso ultratrentennale prescritto dall'art. 1 insieme con l'adempimento delle migliorie. L'art. 4 sarebbe legittimo in rapporto all'art. 3 della Costituzione perché la determinazione del capitale di affrancazione non potrebbe essere fatta se non sulla base della situazione giuridica in atto, non con riferimento ad eventi futuri ed eventuali. Né potrebbe sostenersene l'illegittimità nei confronti dello stesso art. 3 e dell'art. 42 della Costituzione, perché il compito sostanziale delle Commissioni tecniche provinciali non muta se il canone equo da esse stabilito debba servire non già per l'affitto, ma di base alla determinazione del capitale di affranco: tanto più, poi, che in questo caso le Commissioni sono tenute a seguire particolari criteri definiti dal medesimo art. 4. Né ha rilievo il fatto che la legge abbia previsto Commissioni provinciali e non una Commissione regionale, essendo identica la funzione, i compiti e i criteri che le Commissioni devono osservare. Sulla piena legittimità dei poteri attribuiti alle Commissioni in riferimento agli artt. 101, 104 e 108 della Costituzione la difesa richiama una sentenza di questa Corte (n. 40 del 13 maggio 1964). Irrilevante, poi, sia giuridicamente, sia di fatto, la circostanza che della Commissione non facciano parte tecnici designati dalle associazioni dei concedenti a miglioria e dei miglioratari al posto di quelli delle associazioni dei concedenti in affitto e degli affittuari. L'art. 7, stabilendo che le norme della legge 12 giugno 1962, n. 567, si estendano ai rapporti considerati solo "in quanto applicabili", esclude il pericolo di commistione di rapporti diversi temuto dall'ordinanza di rimessione.
E quanto, infine, alla "divisione di fondo" che la stessa ordinanza imputa al legislatore, la difesa delle parti sostiene che questa censura prescinde dall'art. 42, secondo comma, della Costituzione, che consente di porre limiti alla proprietà al fine di assicurarne la funzione sociale e di renderla possibile a tutti ed é basata sull'erronea premessa che la legge si applichi a tutti i rapporti di miglioria, laddove essa vuol regolare soltanto quelli nei quali le posizioni originarie delle parti si siano sostanzialmente trasformate, imprimendo al diritto del colono alle migliorazioni una consistenza ben diversa da quella originaria.
- - É intervenuto il Presidente del Consiglio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. Nell'atto di intervento depositato il 12 giugno 1964, l'Avvocatura, dopo aver esposto l'iter legislativo che ha portato alla legge impugnata, respinge la tesi adombrata dal Pretore di un eccesso di potere legislativo che vizierebbe l'intera legge, non raffigurandosi a suo avviso, nel caso in esame, nessuno di quegli elementi che la dottrina la quale ritiene possibile un sindacato siffatto da parte della Corte, considera necessari. Del resto il Pretore non avrebbe preso in considerazione alcuno di questi elementi, ma avrebbe posto soltanto il problema se sia corretto, volendosi far luogo a espropriazione, seguire una via diversa da quella tradizionale dell'istituto. Per l'Avvocatura all'espropriazione si potrebbe pervenire attraverso vie diverse e non coincidenti, sempre che i principi costituzionali che regolano l'espropriazione e tutelano i diritti della proprietà privata siano osservati.
Quanto alle singole questioni di costituzionalità l'Avvocatura osserva:
Art. 1. Non sussiste il contrasto con l'art. 3 della Costituzione perché, come risulta dal secondo comma di questo articolo, il legislatore ha identificato i rapporti di miglioria, che intendeva regolare, sulla base di un denominatore comune, non sottoponendo perciò a una stessa disciplina situazioni sostanzialmente diverse. Tale contrasto non sussiste nemmeno sotto il profilo di una diversità di trattamento tra soggetti di un comune rapporto enfiteutico e soggetti di rapporti miglioratizi; 1) perché se l'enfiteuta può affrancare il fondo dopo venti anni, nei casi disciplinati dalla legge impugnata il miglioratario deve avere il possesso del fondo da oltre trent'anni; 2) perché non si vedrebbe contrasto alcuno con la Costituzione nella norma la quale sottrae alla volontà dei privati, per affidarla a organi amministrativi tecnici, la determinazione del canone base della misura del capitale di affranco. Né sussisterebbe il contrasto con l'art. 41 della Costituzione: la compressione dell'iniziativa economica privata si verifica in ogni caso di espropriazione e la questione si ridurrebbe ad accertare se sussistano o meno motivi di interesse generale, la presenza dei quali non sarebbe dubbia nel caso in esame. A giustificazione della dichiarata perpetuità dei rapporti risolvibili ad nutum o previo preavviso, l'Avvocatura sostiene che il legislatore avrebbe qui considerato non già l'eventualità della cessazione più o meno prossima del rapporto, quanto il tempo in cui é sorto il rapporto medesimo, probabilmente perché all'origine di questi rapporti di miglioria sarebbero state diffusissime le caratteristiche proprie dei rapporti enfiteutici modificate poi a proprio favore dai concedenti. Nemmeno può lamentarsi la violazione dell'art. 42 perché non può ricavarsi l'inesistenza di un serio indennizzo dal fatto che il canone equo, base del capitale di affranco, sia fissato secondo i criteri determinati dalla legge.
Art. 4. Dei due aspetti che la preferenza riservata al miglioratario di fondi suscettibili di utilizzazione edilizia presenta uno nei confronti di miglioratari di fondi non divenuti edificatori, l'altro nei confronti del concedente, meriterebbe considerazione soltanto quest'ultimo. Ma tuttavia sarebbe superabile, o interpretando la legge nel senso che essa escluda dalla sua applicazione i rapporti miglioratizi aventi ad oggetto terreni edificatori o sostenendo che il plusvalore così determinato non costituirebbe un'accessione del diritto di proprietà. L'ulteriore censura mossa a questo articolo in riferimento al fatto che i criteri per la determinazione del canone sarebbero quelli stabiliti dalla legge 12 giugno 1962, n. 567, per la determinazione dei canoni di affitto, é superata quando si consideri e che questa legge é estesa ai casi in esame in quanto applicabile e che la legge impugnata pone altri criteri che le Commissioni devono tener presenti. Nemmeno fondata la censura che la legge abbia previsto Commissioni provinciali e non una sola Commissione competente per tutta la Regione laziale; quel che il Pretore afferma circa la diversità dei rapporti anche in relazione alle diverse zone del Lazio giustificherebbe anzi la previsione legislativa di Commissioni provinciali. L'Avvocatura ritiene infondati i vizi, sempre dell'art. 4, in relazione agli artt. 101, 104 e 108 della Costituzione. É infondato il presupposto dal quale il Pretore muove: e cioè che il potere decisorio sia stato trasferito alle Commissioni: il giudice eserciterebbe sempre il controllo sulla legittimità delle determinazioni delle Commissioni, disapplicandole se le ritiene illegittime, e sarebbe libero, sia pure entro il limite stabilito dalle Commissioni, di ricavare da qualsiasi altra fonte il suo convincimento circa l'equità del canone di affranco. Inoltre non si determinerebbe nel caso un conflitto tra un atto amministrativo e un atto del giudice, perché é il legislatore a fissare la misura di equità del canone, dettando una disciplina di carattere generale atta a garantire che il canone si formi entro giusti limiti e affidandone ad organi tecnici l'identificazione nel rispetto di criteri orientativi ben determinati.
Art. 5. Non può ritenersi violato l'art. 97 della Costituzione perché i due esperti in materia agraria siano designati dalle organizzazioni dei proprietari di fondi locati e dalle organizzazioni di affittuari: il carattere di esperti non si acquista ne si perde in funzione delle fonti della loro designazione; e inoltre la formula é tale da assicurare che essi siano esperti non soltanto di una parte della materia agraria. I principi di democraticità e di rappresentanza sarebbero soddisfatti dalla circostanza che la legge prevede che le Commissioni siano integrate da due rappresentanti di ciascuna delle due categorie interessate.
Quanto all'infondatezza della incostituzionalità del rinvio alla legge 567 del 1962, fatto nell'art. 7, l'Avvocatura si richiama alle considerazioni esposte in riguardo agli artt. 4 e 5 della legge impugnata.
- - Nel corso di un procedimento civile davanti al Pretore di Sora vertente tra Giovanni La Rocca e il Beneficio Parrocchiale di S. Restituta, il convenuto eccepì l'illegittimità costituzionale della legge 25 febbraio 1963, n. 327, e in particolare degli artt. 4, 5 e 7, nonché della legge 12 giugno 1962, n. 567, e particolarmente degli artt. 2 e 5. Il Pretore ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della legge 12 giugno 1962, n. 567, non quella della legge n. 327 del 1963 e in conseguenza ha sospeso il giudizio e trasmesso gli atti alla Corte. Dopo le rituali notificazioni e comunicazioni, l'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 238 del 26 settembre 1964. Nell'ordinanza si sostiene che la legge intendendo "convertire un semplice diritto di obbligazione, quale é il pagamento delle migliorie in titolo di acquisto della proprietà terriera attraverso la fictio iuris di un'improvvisata e abnorme enfiteusi", sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. In particolare tale contrasto si profilerebbe per l'art. 1 della legge, il quale impone una identica disciplina per situazioni diverse, senza tener conto né della sostanziale diversità esistente tra le varie forme dei rapporti di miglioria, né del loro momento genetico.
L'art. 4 sarebbe in contrasto con gli artt. 42, secondo comma, della Costituzione e 834 del Codice civile perché sancirebbe una vera e propria espropriazione del fondo senza il concorso di questi tre elementi essenziali: a) il pubblico interesse: l'espropriazione avverrebbe a esclusivo vantaggio del miglioratario e senza conseguire i fini di generale interesse che sono il presupposto della espropriazione, non essendo prevista alcuna sanzione per chi, divenuto enfiteuta ope legis, si disfaccia del fondo, lo adibisca a un uso diverso dalla coltura, lo ceda come area edificatoria; b) la legale dichiarazione di pubblica utilità e la possibilità dell'espropriato di ricorrere ai normali mezzi di tutela apprestati dall'ordinamento, con violazione anche dell'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione; c) il pagamento di una giusta indennità: l'espropriato non può adire l'autorità giudiziaria ordinaria ai sensi degli artt. 33 e 34 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, né impugnare le determinazioni delle Commissioni tecniche provinciali in contrasto con l'art. 113 della Costituzione. Inoltre non sono stabiliti criteri - come ad esempio l'ubicazione e la natura a volte di suolo edificatorio del suolo affrancando -, che consentano la determinazione di un equo indennizzo.
Le parti non si sono costituite e il Presidente del Consiglio non é intervenuto.
- - Le stesse questioni di legittimità costituzionale sono state sollevate davanti al Tribunale di Frosinone in un giudizio vertente tra la sig.na Ida Paolucci e altri e il signor Ferrazzoli. Il Tribunale, che le ha ritenute rilevanti e non manifestamente infondate, con ordinanza 13 maggio 1964 ha sospeso il giudizio e ha trasmesso gli atti a questa Corte. Dopo le rituali notificazioni e comunicazioni l'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 169 dell'11 luglio 1964.
I motivi che il Tribunale adduce a sostegno dell'impugnata costituzionalità degli artt. 1, 5 e 7 della legge sono nella sostanza quelli medesimi addotti dal Pretore di Alatri ai quali é sufficiente perciò fare riferimento.
Nel giudizio si é costituito il signor Luigi Ferrazzoli rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Abbamonte, il quale, a sostegno della fondatezza delle questioni sollevate, ha richiamato le argomentazioni svolte nel giudizio di legittimità costituzionale promosso con l'ordinanza del Pretore di Alatri. Si sono pure costituiti i signori Ida Paolucci, Amedeo Ottaviani, Maria Poli, rappresentati e difesi dagli avvocati Mario Diana e Antonio Putzolu, i quali nelle deduzioni depositate il 10 giugno 1964 hanno riproposte le medesime argomentazioni svolte nelle deduzioni depositate nel giudizio promosso dal Pretore di Alatri.
- - Il Tribunale di Frosinone nel giudizio vertente fra il sig. Severino Fiorini e il signor Giovanni Ceci ha emesso in data 8 giugno 1964 una identica ordinanza, che, notificata e comunicata alle parti, é stata pubblicata nel n. 212 del 29 agosto della Gazzetta Ufficiale.
Davanti alla Corte si é costituito il sig. Severino Fiorini, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Diana. Nelle deduzioni depositate il 29 giugno 1964 la difesa sostiene in favore della non fondatezza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale, le stesse tesi, in sostanza, che sono state avanzate negli altri giudizi davanti a questa Corte. In particolare essa respinge la tesi della violazione degli artt. 3 e 42 della Costituzione da parte dell'art. 1 della legge rispettivamente perché le situazioni che il legislatore ha tenuto presente sono identiche e perché l'art. 42 garantisce l'indennizzo per il caso di espropriazione della proprietà privata, non già per gli altri di limitazione o modificazione del suo godimento. Non avrebbero fondamento nemmeno le censure mosse alla legge per il regolamento dato alla determinazione del canone e quindi del capitale di affrancazione: questa determinazione atterrebbe alla esecuzione della legge non già al suo principio informatore e non avrebbe perciò rilievo costituzionale. Inoltre una volta sottoposti i contratti a miglioria alle norme che regolano l'enfiteusi si sarebbe dovuto, ad avviso della difesa, disporre anche la modificazione del canone da corrispondere al concedente ripristinando l'obbligatoria commutazione in canone fisso della corresponsione di quote del prodotto già imposto dalla legge 14 luglio 1887, n. 4727, modificata soltanto dalla legge citata n. 998 del 1925. E sempre sul fondamento di questa legge si dovrebbe considerare che il prezzo di affrancazione non può essere calcolato sulla base delle prestazioni corrisposte prima che si determinasse il canone enfiteutico, in forza di un rapporto precario che non può confondersi con quello perpetuo.
- - Anche in un procedimento davanti al Pretore di Veroli sono state sollevate numerose questioni di legittimità costituzionale della legge de qua, per altro, non in tutto identiche alle altre fin qui riferite. Il Pretore ne ha respinto alcune ritenendole manifestamente infondate, ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate le altre e ha sospeso in conseguenza il giudizio, trasmettendo gli atti a questa Corte. L'ordinanza emessa il 15 maggio 1964 é stata notificata alle parti e al Presidente del Consiglio, comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 169 dell'11 luglio 1964.
Il Pretore ritiene che il legislatore si sia in primo luogo proposto il fine di introdurre anche nel contratto a miglioria l'istituto dell'equo canone "giustamente preoccupato di perequare i rapporti ad meliorandum in un sistema di coordinamento dell'iniziativa privata secondo principi di libertà e di socialità" ma che in aggiunta a questo abbia sancito la trasferibilità della terra al coltivatore non già mediante gli strumenti previsti per il latifondo e la proprietà assenteista, ma mediante un sistema non preveduto dalla Costituzione, vale a dire quello di imporre d'imperio la conversione del contratto di miglioria precaria in quello di miglioria perpetua sottoponendo poi questa alla disciplina dell'enfiteusi, raggiungendo così con una sorta di ficta lex il fine di privare il concedente della proprietà del fondo a favore del coltivatore, al di fuori dell'istituto dell'espropriazione.
Viceversa il fine avrebbe dovuto essere raggiunto con più appropriate disposizioni legislative che avessero tenuto conto di quanto dispone l'art. 44 della Costituzione, il quale vuole che i limiti alla proprietà terriera privata si commisurino alla estensione di essa, laddove le indiscriminate e incontrollate affrancazioni disposte dalla legge avranno per effetto di privare del tutto il concedente della sua proprietà senza riguardo alcuno alla maggiore o minore estensione di questa. Inoltre il fondo viene trasferito al coltivatore senza i limiti e i controlli necessari - per il principio di socialità - ad assicurare che il fondo stesso sia migliorato e coltivato dalla famiglia colonica e non fatto oggetto di speculazione. Infine, la legge avrebbe frustrato il principio del libero ricorso alla tutela giurisdizionale da parte del concedente, disponendo che le decisioni della Commissione tecnica provinciale siano da considerare vincolative per l'autorità giudiziaria.
Di qui la violazione da parte degli artt. 1, 2, 3 e 8 della legge 25 febbraio 1963, n. 327, dei principi di socialità e di garanzia della proprietà (artt. 41, 42 e 44 della Costituzione) e dell'istituto dell'espropriazione (artt. 42 e 43 della Costituzione), la violazione da parte degli artt. 1, 2 e 3 del principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione), la violazione da parte dell'art. 4, secondo comma, degli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione; la violazione da parte degli artt. 4 e 7 degli artt. 24, 97, 101 e 113 della Costituzione.
Tutte codeste violazioni sono ampiamente ragionate dal Pretore. Ai fini della discussione tuttavia é sufficiente richiamare quanto segue. Non sono diverse da quelle, già ricordate, delle altre ordinanze, le argomentazioni del Pretore di Veroli circa la compressione o addirittura la eliminazione della iniziativa economica privata, segnatamente mediante l'immediata affrancabilità del fondo, o circa la contraddittorietà nella quale la legge s'involge, equiparando i rapporti a miglioria a quelli di enfiteusi, ma modificando in melius la disciplina di questa nei confronti di quelli; o le altre relative alla violazione del principio di eguaglianza che la stessa disciplina di rapporti tanto diversi comporterebbe. In particolare su questo punto il Pretore sottolinea che nel territorio di Veroli, il concedente, per contratto o per consuetudine, partecipa in misura eguale o nella misura di un terzo all'impianto, sicché non sarebbe conforme al principio di eguaglianza, regolare sullo stesso metro l'ipotesi nella quale concedente e utilista stanno di norma sullo stesso piano per quanto riguarda i miglioramenti con impianto di culture arboree, e gli altri nei quali il concedente ha dato un terreno incolto o già in parte migliorato e così via. La quale disparità di trattamento si verificherebbe anche in riguardo all'art. 2 che consente a certe condizioni di cumulare ai fini del possesso ultratrentennale i rapporti dei miglioratari precedenti con quello dell'attuale miglioratario, perché anche questa norma non terrebbe conto che le migliorie possono essere state eseguite in partecipazione tra colono e concedente: sicché se il presupposto della legge é che la terra debba acquisirsi a chi l'ha migliorata, il proprietario risulterebbe spogliato del "concorrente pari diritto per l'apporto di sostanziali e permanenti migliorie al fondo prima o durante il possesso attuale del colono o in concorso col medesimo". Risulterebbe cioè, prosegue il Pretore, usurpato a totale beneficio del colono l'effetto caratterizzante la causa del contratto a miglioria, cioè l'acquisizione in piena proprietà al coltivatore del fondo migliorato anche da altri, - e per giunta, senza corrispettivo. Quanto alla determinazione dell'equo canone, mentre il Pretore ritiene infondate le censure mosse all'art. 4, primo comma, della legge, che a suo avviso mira a ridurre a equità il rapporto di miglioria, ritiene, viceversa, contrario agli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione questo modo di determinazione del canone per l'ulteriore determinazione del capitale di affranco, sia perché anche qui la disciplina della legge si applica a rapporti i più vari, sia perché, assumendo in sostanza il capitale di affrancazione la figura dell'indennizzo, la norma non rispetterebbe i principi che in materia di espropriazione sono dettati dall'art. 42 della Costituzione.
Non ritiene fondate il Pretore le censure mosse agli artt. 4 e 5 della legge in relazione agli artt. 101, 104 e 108 della Costituzione, e nemmeno quella mossa all'art. 5 per il fatto che quest'articolo non ammetterebbe alcun rimedio contro le decisioni della Commissione tecnica provinciale, dovendosi ritenere ammessa anche in questi casi l'impugnativa davanti alla Commissione centrale presso il Ministero dell'agricoltura prevista dall'art. 5 della legge n. 567 del 1962, richiamata del resto in quanto applicabile, dall'art. 7 della legge impugnata. Tuttavia, ad avviso del Pretore, la legge avrebbe mancato di integrare con i rappresentanti delle categorie interessate la detta Commissione centrale, da che deriverebbe viziato l'art. 7, nel richiamo che fa alla legge n. 567 del 1962 senza disporre detta integrazione, in relazione all'art. 97 della Costituzione e in relazione ai principi di democraticità e rappresentanza delle categorie interessate e del giusto procedimento amministrativo. Inoltre la legge non avrebbe disposto un idoneo rimedio giurisdizionale contro gli atti amministrativi della Commissione violando gli artt. 113, primo e terzo comma, e 24 della Costituzione. Vi sarebbe, infatti, ad avviso del Pretore, una categoria di diritti e di interessi, quelli attinenti al giusto indennizzo o capitale di affrancazione in relazione all'esatto adempimento dei criteri di liquidazione -, che resterebbe priva di ogni tutela giurisdizionale. Non sarebbe infatti sufficiente e idonea tutela quella che l'art. 15 della legge n. 567 del 1962 assicura davanti alle Sezioni specializzate, perché limitata nell'ambito del giudizio tecnico delle Commissioni, entro i limiti minimi e massimi da esse stabiliti, senza alcuna possibilità per l'organo giurisdizionale di sindacare l'operato delle Commissioni in ordine all'applicazione dei criteri di liquidazione con violazione dell'art. 101, che vuole i giudici soggetti alla legge, fa loro obbligo cioè di ricercare solo nella legge le norme concrete da applicare. Ricorrerebbe inoltre la violazione dell'art. 113, secondo comma, della Costituzione, - la tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata per determinate categorie di atti -, perché al giudice sarebbe interdetto - dipendendo la decisione della causa dalla valutazione dell'organo amministrativo -, di ricavare il suo convincimento sull'equità del canone da altre parti che non sia l'atto amministrativo.
- - Si é costituita la signora Anita Santoro vedova Arci rappresentata e difesa dall'avv. Abbamonte che nelle deduzioni depositate il 25 luglio 1964 fa riferimento alla difesa svolta nel giudizio promosso con l'ordinanza del Pretore di Alatri 28 marzo 1964.
Si sono anche costituiti i signori Raffaele, Italo, Umberto e Giovanni Marcoccia, coloni miglioratari rappresentati e difesi dagli avvocati Mario Diana e Antonio Putzolu.
Nelle deduzioni depositate il 10 giugno 1964 i difensori sostengono in primo luogo che il rapporto regolato dalla legge é un rapporto storicamente e giuridicamente ben determinato e inconfondibile, - pure se nato in termini diversi - essendo identica a tutti i casi l'esigenza sociale che la legge ha voluto soddisfare che é quella cioè di adeguare la definizione giuridica dei rapporti di miglioria in uso nel Lazio alla loro effettiva consistenza economico-sociale, quale si é venuta formando nel tempo per effetto dell'apporto, a volte esclusivo, sempre di gran lunga prevalente, del miglioratario. Non si potrebbe sostenere perciò che la dichiarazione di perpetuità, che verrebbe a riconoscimento di una esigenza di giustizia, eluda le norme costituzionali; l'art. 42 della Costituzione, del resto, attribuisce al legislatore il potere di determinare "i modi di acquisto e i limiti della proprietà privata" limiti che si riferiscono alla proprietà nella sua consistenza, non soltanto all'uso o al godimento. Né sussisterebbe la disparità di trattamento tra enfiteuti e miglioratari: l'eguaglianza tra gli uni e gli altri, rispetto alla determinazione del capitale di affranco é assicurata dalla base comune rappresentata dall'entità del canone dovuto rispettivamente nei due rapporti; la fissazione di una durata minima ventennale e la sanzione per il caso di mancato adempimento dei miglioramenti, che sono previsti per il rapporto di enfiteusi, sono qui superflui perché la dichiarazione di perpetuità é subordinata all'avvenuta esecuzione delle migliorazioni previste dall'uso locale e all'ultratrentennale possesso del fondo.
Altre argomentazioni svolte dalla difesa non sono sostanzialmente diverse da quelle già esposte in altri giudizi e già riferite.
- - Memorie sono state depositate dall'Avvocatura generale dello Stato e dalle difese della signora Adelaide Di Fabio in Ceccacci, dei signori Giovanni Calabrese e altri, Ida Paolucci e altri, Raffaele, Italo, Umberto e Giovanni Marcoccia e della signora Bianca Di Fabio e altri, rispettivamente il 10 maggio e il 13 maggio scorsi.
- - All'udienza del 26 maggio 1965 i giudizi promossi con le varie ordinanze indicate in epigrafe sono stati congiuntamente discussi e le difese delle parti costituite hanno svolto e illustrato le tesi prospettate nei rispettivi scritti defensionali.
- - Il 26 maggio 1965 la Corte ha emesso un'ordinanza con la quale, riuniti i giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 7 e 8 della legge 25 febbraio 1963, n. 327, ha richiesto al Ministero dell'agricoltura e foreste di fornire "dati ed elementi sulla situazione dei rapporti di colonia migliorataria, comunque denominati e comunque costituiti, nelle Province del Lazio". Il Ministero ha risposto alla richiesta della Corte inviando una relazione, datata 9 ottobre 1965 e depositata l'11 dello stesso mese nella cancelleria.
- - Con riferimento a questa relazione, la difesa della signora Bianca Di Fabio e altri proprietari concedenti ha depositato il 20 gennaio 1966 una "nota aggiunta", nella quale, corrette talune a suo avviso inesattezze dei dati forniti dal Ministero, sostiene la tesi che la relazione, distinguendo tra province di Roma e Viterbo da un lato, di Frosinone e Latina dall'altro, e distinguendo ancora nell'ambito di questi due raggruppamenti, vari tipi di contratto di miglioria, fornirebbe la riprova dell'assunto che la legge impugnata non ha rispettato il principio di eguaglianza consacrato nell'art. 3 della Costituzione.
- - Anche la difesa di un'altra proprietaria concedente la signora Adelaide Di Fabio in Ceccacci ha depositato il 20 gennaio 1966 una memoria aggiunta, nella quale ribadisce la tesi del carattere associativo e personale, nonché parziario-precario della colonia, e specialmente di quella parziaria precaria miglioratizia, che escluderebbe la possibilità di una qualsiasi dichiarazione di perpetuità e affrancabilità; contesta l'obbiettività e rileva lacune dei dati e degli elementi forniti dal Ministero dell'agricoltura e foreste, i quali, tuttavia, per altro verso, confermerebbero l'esattezza delle tesi sostenute dalla difesa della parte privata; allega copie fotostatiche di scritture stipulate negli anni 1812, 1845, 1869, 1884, 1922, 1930, 1932, 1936, che regolano concessioni di terreni con piantagioni arboree in atto, delle quali la metà o altra frazione del relativo valore risulta sempre di proprietà del concedente, e nelle quali é sempre affermato il diritto personale di credito del colono e la risolvibilità del rapporto, ad nutum o previa disdetta. Dei medesimi contratti ora ricordati la difesa ha depositato anche gli originali o copie autentiche.
- - La difesa dei coltivatori concessionari ha depositato una seconda memoria in data 19 gennaio 1966. In essa vengono ribadite le tesi già fatte valere nelle precedenti difese scritte e nella discussione del 26 maggio 1965, secondo le quali tra i vari tipi di colonia migliorataria sussisterebbe un denominatore comune, economico, sociale e storico, che il legislatore ha preso in considerazione per sottoporre a un identico trattamento giuridico tutti i rapporti considerati.
Con riferimento poi alla più volte ricordata relazione ministeriale, la difesa dei coloni contesta le illazioni giuridiche che la medesima relazione trae, segnatamente per la Provincia di Frosinone, dall'attuale regolamento delle colonie miglioratarie, perché occorrerebbe, a suo avviso, per mente alle origini storiche di queste, che dovettero essere identiche a quelle da cui hanno preso vita le colonie perpetue. Le distinzioni, perciò, che oggi si possono fare sotto l'aspetto strutturale, non sono convalidate dall'origine storica dell'istituto. L'esclusione, pertanto, dei rapporti formatisi recentemente dall'ambito di efficacia della legge impugnata sarebbe "soltanto un omaggio alle loro attuali apparenze formali" e un premio alle maliziose trasformazioni apportate dai concedenti. La costituzione, infatti, dei rapporti nelle forme attuali deve essere stata preceduta dalla costituzione di colonie miglioratarie, dirette alla trasformazione del suolo, "perpetue o ad longum tempus" sostituite, soltanto a trasformazione realizzata, dal nuovo tipo di contratto.
- - All'udienza del 2 febbraio 1966 le parti hanno brevemente illustrato le rispettive tesi defensionali.
Considerato in diritto
- - Poiché i giudizi, già riuniti con l'ordinanza della Corte n. 47 del 26 maggio 1965, riguardano le medesime questioni di legittimità costituzionale, la Corte li decide con unica sentenza.
- - La principale censura di incostituzionalità mossa alla legge 25 febbraio 1963, n. 327, dalle varie ordinanze di rimessione, profila un contrasto dei vari articoli di essa con l'art. 3 della Costituzione, cioè col principio della parità di trattamento o dell'eguaglianza di fronte alla legge consacrato in quell'articolo. I riferimenti ad altri precetti costituzionali hanno, nella motivazione della non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità sollevate, un rilievo assai minore o secondario e, comunque, si connettono sempre con quella principale censura, sulla quale, perciò, deve portarsi in primo luogo l'esame della Corte.
Ora, la Corte ritiene che l'asserito contrasto con l'art. 3 non sussista in relazione alle disposizioni degli artt. 1 e 2 della legge 25 febbraio 1963, n. 327.
Vero é che il principio di eguaglianza é stato costantemente interpretato dalla Corte, come sottolineano le difese dei proprietari concedenti, non soltanto nel senso che il legislatore ordinario non possa introdurre discriminazioni secondo il sesso, la razza, la lingua, la religione, le opinioni politiche e le condizioni personali o sociali dei cittadini, ma anche nell'altro che esso é tenuto altresì a non assoggettare a uno stesso trattamento situazioni obbiettivamente diverse; sennonché, la Corte ritiene che le norme impugnate non abbiano violato il principio di eguaglianza nemmeno sotto questo secondo profilo.
L'art. 1 parla sì di "rapporti a miglioria... comunque denominati o comunque costituiti", ma non si limita a questa generica individuazione dell'oggetto della normativa. La fattispecie legale é, infatti, assai più determinata e circostanziata, perché riguarda non già tutti i rapporti a miglioria, ma quelli tra essi "nei quali il coltivatore abbia il possesso del fondo da oltre trent'anni" e a questo fondo "abbia apportato migliorie in conformità dell'uso locale o della convenzione". Ne consegue che restano fuori della sfera di applicazione della legge, da un lato quei rapporti di miglioria perpetui, già esattamente individuati dalla giurisprudenza della Cassazione e dalla dottrina, assimilati di regola alla enfiteusi e assoggettati, per quanto attiene all'affrancazione del canone, alla disciplina dettata dalla legge 11 giugno 1925, n. 998, dall'altro le colonie parziarie con clausola migliorataria (art. 2164 del Codice civile), il carattere associativo delle quali non ricorre di regola nei rapporti oggetto della legge impugnata. Un'ulteriore determinazione é offerta poi dalla definizione del rapporto di miglioria contenuta nel secondo comma, dell'art. 1, giusta la quale i rapporti di miglioria, in conformità del resto agli antichi usi locali in osservanza nelle Province laziali, sono quelli nei quali la "miglioria" consiste nell'impianto di colture arboree e arbustive con o senza fabbricati rurali, o gli altri nei quali il coltivatore, al luogo di obbligarsi a introdurre nel fondo le "migliorie", abbia pagato il valore di quelle già esistenti al proprietario concedente o al miglioratario nel luogo del quale subentri. Né importa l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 la disposizione dell'art. 2, la quale stabilisce che la durata del rapporto del miglioratario del fondo si cumula, ai fini del periodo trentennale, necessario perché il rapporto sia considerato perpetuo, con quella dei rapporti dei miglioratari precedenti, tutte le volte che ci sia stata cessione del contratto a qualsiasi titolo o quando il miglioratario abbia pagato, all'atto dell'ingresso nel fondo, il valore delle migliorie.
Non si può certo negare che vi sia diversità tra la situazione di colui che abbia - egli e la sua famiglia - dissodato e migliorato un terreno nudo e colui che, invece, subentri nel rapporto di miglioria nei modi e alle condizioni ora indicate, ma non sembra alla Corte che il legislatore - configurando come presupposto dell'applicazione della legge la "situazione obbiettiva" del fondo durata trent'anni immutata, pur nel susseguirsi di coltivatori gli uni agli altri, pur cioé nel mutare della "situazione soggettiva" -, abbia oltrepassato i limiti di quella discrezionalità che gli spetta nell'individuazione di categorie e di situazioni o nella configurazione della fattispecie, discrezionalità che non può essere sottoposta all'esame di questa Corte senza trasformare il giudizio di legittimità costituzionale in giudizio di merito.
Né può dirsi che le disposizioni esaminate, trasformando in perpetui rapporti che non sono perpetui, novando, cioè, la natura del diritto del miglioratario da personale in reale, abbiano violato l'art. 41 della Costituzione, che proclama la libertà dell'iniziativa economica privata. Le censure che le ordinanze muovono alla legge sotto questo profilo, si fondano erroneamente sul carattere associativo dei rapporti in questione e sulla funzione direttiva che in questa "associazione" spetterebbe al concedente. In realtà i rapporti di miglioria contemplati dalla legge non sono rapporti associativi come lo sono le colonie parziarie; in essi la gestione dell'azienda é del colono miglioratario; l'apporto del concedente raro e limitato alla fornitura di quanto o di parte di quanto é necessario al primo impianto di vigneti e di uliveti (il tipo di "migliorie" di gran lunga prevalente), o di concimi e di anticrittogamici; ne le norme di buona conduzione del fondo, ora genericamente ora specificamente indicate nella convenzione o stabilite dall'uso locale, possono essere interpretate come direttive che il concedente ha facoltà di impartire di volta in volta, ma sono clausole del contratto, che il miglioratario é tenuto ad osservare per il buon andamento delle coltivazioni arboree o arbustive, e l'inosservanza delle quali può condurre alla soluzione del rapporto.
- - Né é fondata la censura mossa all'art. 3, secondo il quale, in deroga all'art. 971 del Codice civile, l'affrancazione può esercitarsi subito dopo l'entrata in vigore della legge.
Anche, qui l'art. 3 della Costituzione non é richiamato esattamente. La ratio della norma dell'art. 971, primo comma, del Codice civile, si ritrova nella circostanza che l'enfiteuta deve avere messo a coltura il fondo prima di poterlo affrancare. Ora, nel caso dei rapporti di miglioria previsti dalla legge impugnata, la "miglioria" del fondo costituisce il presupposto sostanziale e temporale dell'affrancazione, la quale, in tanto può aver luogo immediatamente dopo l'entrata in vigore della legge, in quanto i fondi sono stati già "migliorati", sia il miglioramento opera del coltivatore che abbia detenuto il fondo per oltre trenta anni, sia, viceversa, opera dei coltivatori tutti che si sono succeduti nel fondo e che, ciascuna volta, hanno fatto proprio il "miglioramento".
- - Fondata, invece, é l'eccezione di incostituzionalità degli articoli 4 e 5 della legge, i quali stabiliscono i criteri e la procedura per la determinazione della quota di prodotto del concedente o del canone a lui spettante ai fini di stabilire l'ammontare del capitale di affrancazione. In effetti, le norme contenute in questi articoli, introducendo una particolare disciplina dei rapporti che la legge medesima assimila nell'art. 1 ai rapporti enfiteutici, esemplata su quella stabilita dalla legge 12 giugno 1902, n. 567, a tutt'altro fine, per la determinazione, cioè, dell'equo canone per l'affitto di fondi rustici, introduce una disparità di trattamento tra proprietari di fondi enfiteutici, proprietari di fondi concessi a miglioria perpetua, assimilata, come si é visto, all'enfiteusi, e proprietari rientranti nella particolare categoria configurata dalla legge, e a danno di questi ultimi. La latitudine dei criteri stabiliti dall'art. 3 della legge alla quale si rinvia, non é sufficiente per impedire che si verifichi questa diversità di trattamento, perché essi per la maggior parte non sono idonei e quindi non sono applicabili alla fattispecie legislativa oggetto dell'esame della Corte. Il legislatore non può, senza evidente arbitrio, e perciò, senza incorrere nella violazione del principio di eguaglianza, attribuire una qualificazione giuridica a un rapporto nel presupposto che esso corrisponda nella sua sostanza a quella e, nello stesso tempo, assoggettare il rapporto così qualificato a una disciplina affatto diversa.
D'altra parte, codesta diversificata disciplina introduce nell'ambito degli stessi rapporti che vuole regolare, una disparità nemmeno essa sanata dai criteri posti dall'art. 3 della legge 12 giugno 1962, n. 567, pur nella latitudine consentita dalla fissazione di limiti minimi e massimi, perché essa non tiene conto della particolare natura dei rapporti a miglioria e delle peculiarità e varietà loro. Ne questo vizio della legge é eliminato dall'obbligo fatto alle Commissioni di osservare gli ulteriori criteri introdotti dall'art. 4. Quest'articolo, infatti, stabilisce che le Commissioni devono tener conto del trasferimento degli oneri fondiari a carico del miglioratario, nonché delle parti di reddito relative alla quota dei miglioramenti spettante al miglioratario: due criteri che, lungi dal consentire l'adeguamento della disciplina dell'affrancazione alla realtà dei rapporti a miglioria, incidono gravemente sulla determinazione delle quote di prodotti o del canone dovuto al concedente, a danno di costui.
La difesa dei proprietari concedenti ha sostenuto che il sistema posto dalla legge si risolve in una violazione del terzo comma dell'art. 42 della Costituzione, vale a dire in una espropriazione senza indennizzo. L'Avvocatura non ha negato che, nel caso in esame, si possa essere di fronte a una espropriazione, ma ha anche affermato che non é escluso che l'espropriazione possa essere disposta in forme diverse da quelle ordinarie. Ma, a prescindere dalla fondatezza di questa impostazione, che non é necessario verificare in questa sede, sta di fatto che la disciplina dell'affrancazione delle migliorie fatta nei modi previsti dalla legge, può portare, e in casi non marginali, né eccezionali, a una sostanziale espropriazione senza un adeguato e razionale indennizzo.
- - Cadendo il sistema posto dagli artt. 4 e 5 della legge impugnata, restano assorbite le questioni di legittimità costituzionale prospettate con riguardo alla composizione e ai poteri delle Commissioni, questioni già, del resto, per la maggior parte esaminate da questa Corte e dichiarate non fondate (sentenza n. 40 del 13 maggio 1964). Viceversa deve dichiararsi per gli stessi motivi che valgono nei confronti degli artt. 4 e 5, la illegittimità costituzionale degli artt. 7 e 8, il primo dei quali richiama le norme contenute nella legge 12 giugno 1962, n. 567, il secondo estende il sistema della legge "a fondi rustici situati in altra parte del territorio nazionale". La Corte deve inoltre, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiarare l'illegittimità costituzionale del quinto comma dell'art. 13 della legge 15 settembre 1964, n. 756, recante "Norme in materia di contratti agrari", il quale dispone: "Se nel contratto prevalgono o sono più analoghi gli elementi della enfiteusi da valutarsi secondo i criteri e nei limiti fissati dalla legge 25 febbraio 1963, n. 327, si applicano esclusivamente le norme regolatrici del rapporto enfiteutico, il tutto in conformità e secondo le disposizioni previste dalla legge anzidetta".
- - É questione non di legittimità costituzionale, ma di applicazione della legge e perciò di competenza del giudice del merito stabilire se l'illegittimità del procedimento di affrancazione comporti l'applicazione, ai rapporti regolati dalla legge impugnata, della disciplina posta dal Codice civile per l'affrancazione dei canoni enfiteutici.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale delle norme contenute negli artt. 4, 5, 7 e 8 della legge 25 febbraio 1963, n. 327, recante "Norme sui contratti a miglioria in uso nelle Province del Lazio";
dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale delle norme contenute nel quinto comma dell'art. 13 della legge 15 settembre 1964, n. 756, recante "Norme in materia di contratti agrari";
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale delle norme contenute negli artt. 1, 2 e 3 della legge 25 febbraio 1963, n. 327, in riferimento agli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 1966.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO
Depositata in cancelleria il 28 aprile 1966.