Sentenza n. 212 del 1984

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SENTENZA N. 212

 

ANNO 1984

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, comma primo, lett. c e d, 5 e 11, comma secondo, del d.P.R. 29 aprile 1982, n. 240 (Istituzione di una Sezione giurisdizionale e delle Sezioni riunite della Corte dei Conti in Sardegna) promosso con ordinanza emessa il 3 novembre 1982 dalla Corte dei Conti sul ricorso di Meloni Ave, iscritta al n. 566 del reg. ord. 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 288 dell'anno 1983.

 

Visto l'atto di costituzione di Meloni Ave nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

Udito nell'udienza pubblica del 6 dicembre 1983 il Giudice relatore Ettore Gallo;

 

Uditi l'avv. Eros Cogliani per Meloni e l'Avvocato dello Stato Pietro de Francisci per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Tale Meloni Ave, vedova del maresciallo della Guardia forestale Giuseppe Zonno, dipendente dalla Regione Sardegna e deceduto in servizio il 24 ottobre 1976 per infarto del miocardio, aveva proposto ricorso alla Corte dei Conti - Sez. III giurisdizionale - sedente in Roma, per ottenere il riconoscimento del diritto a pensione privilegiata ordinaria indiretta anziché a quella soltanto ordinaria che le era stata conferita: e ciò in quanto sosteneva la ricorrente che il marito era morto per causa dipendente dal servizio.

 

Ma la Corte dei Conti, prima di entrare nel merito della vertenza, sollevava questione di legittimità costituzionale.

 

Osservava, infatti, quel Collegio che, essendo la Meloni residente in Sardegna già all'epoca della proposizione del ricorso, il giudizio - ai sensi dell'art. 11 del d.P.R. 29 aprile 1982, n. 240 - dovrebbe essere devoluto, nello stato in cui si trova, alla Sezione della Corte dei Conti, con sede in Cagliari, istituita col d.P.R. citato, competente a giudicare, in materia di trattamento di quiescenza, sui ricorsi proposti dai residenti nella Regione.

 

Senonché rileva la Corte dei Conti che il decreto presidenziale di cui s'é detto é stato emanato con riferimento all'art. 56 della legge 26 febbraio 1948, n. 3 (legge costituzionale) che ha approvato lo Statuto speciale della Regione autonoma: e ciò in quanto la detta disposizione prevede che, mediante decreto legislativo, vengano date le norme di attuazione e quelle relative al passaggio di uffici e personale dallo Stato alla Regione. Poiché - soggiunge l'ordinanza della Corte - si tratta manifestamente di una deroga all'art. 76 Cost., essa é però operativa soltanto limitatamente alle due materie espressamente menzionate.

 

Ma la creazione di una Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti nel territorio della Sardegna non sembra poter rientrare - ad avviso dei rimettenti - né fra le norme di attuazione dello Statuto né fra quelle che disciplinano il passaggio di uffici e personale da Stato a Regione: e ciò perché trattasi di funzione giurisdizionale che la Costituzione riserva allo Stato senza che sul punto lo Statuto della Regione contenga alcuna deroga.

 

D'altra parte, non si sarebbe nemmeno trattato di semplice passaggio di personale né di creazione di un nuovo ufficio regionale, ma della istituzione di una Sezione decentrata della Corte dei Conti. Sicché il d.P.R. impugnato viene per tal modo a collidere sia coll'art. 56 della legge cost. n. 3/1948, sia conseguentemente coll'art. 76 Cost.. A proposito, poi, delle norme d'attuazione degli Statuti regionali, contesta l'ordinanza che esse, per quanto non abbiano contenuto di mera esecuzione regolamentare, possano tuttavia ampliare o restringere lo Statuto; esse debbono mirare, invece, "secundum statutum" (e, perciò, né contra né praeter) a rendere compiutamente operative le norme statutarie. L'ordinanza cita, anzi, a sostegno del suo assunto, la sent. n. 20/1956 di questa Corte, di cui riporta ampi brani, nonché la sent. n. 30/1968, dalle quali emergerebbero la natura e i limiti di queste norme che, se non hanno carattere di mera esecuzione, non possono tuttavia oltrepassare i confini della "attuazione". Secondo la Corte dei Conti, peraltro, i decreti legislativi in parola riguardano soltanto la prima attuazione dello Statuto, per cui dovrebbero avere mero valore transitorio e straordinario.

 

Ma il decreto impugnato violerebbe sotto duplice profilo anche l'art. 3 Cost.: sia perché istituirebbe solo in Sardegna una Sezione Regionale della Corte dei Conti, senza che lo Statuto contenga norme analoghe a quelle degli Statuti delle Regioni Sicilia e Trentino-Alto Adige, sia perché nell'art. 5 si stabilisce che la Sezione abbia a giudicare con un numero di tre votanti in contrasto coll'art. 5 della legge 21 marzo 1953, n. 161 che prevede invece il numero invariabile di cinque votanti per le Sezioni della Corte dei Conti. Nessun elemento ragionevole giustificherebbe, secondo l'ordinanza, siffatta disparità.

 

Con atto 6 novembre 1983 spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato.

 

Contestava innanzitutto l'Avvocatura la natura che l'ordinanza attribuisce ai decreti legislativi concernenti le norme di attuazione degli Statuti regionali. Facendo leva sulla sent. 4 luglio 1956, n. 14 di questa Corte, relativa proprio allo Statuto della Regione Sardegna, l'Avvocatura metteva in luce come dette norme di attuazione ben possono invece porre veri e propri precetti nuovi, non contenuti nella normativa costituzionale; ovviamente, però, nel rispetto dei principi sia della Costituzione che degli Statuti e, perciò, non certo contra, ma sicuramente anche praeter legem.

 

Se di ciò si tien conto, la normativa impugnata appare giustificata dalle finalità proprie delle norme di attuazione regionali.

 

Infatti, l'istituzione della sezione in parola si configura in tutta armonia con i principi programmatici del decentramento amministrativo (art. 5) e di quello giurisdizionale (art. 125) contemplati dalla Costituzione.

 

Né - secondo l'Avvocatura - può tenersi in pregio l'obbiezione, fondata sugli artt. 108 e 70 Cost., secondo cui la detta normativa violerebbe la riserva di legge, in quanto su materia (Ordinamento giudiziario) riservata al Parlamento. Da una parte, infatti, non sembrerebbe in alcun modo modificata, dall'istituzione di una Sezione regionale, la competenza della Corte dei Conti che resta quella prevista dalle leggi vigenti; né, d'altra parte, viene ad esserne modificato l'ordinamento, giacché l'istituita Sezione null'altro rappresenta se non un organo della Corte, colle stesse caratteristiche proprie dell'Organismo centrale da cui promana.

 

Ma quand'anche così non fosse - soggiunge l'Avvocatura -, va considerato che la riserva di legge non va desunta dagli aspetti formali della norma, bensì dalla posizione che essa viene ad assumere nella gradualità delle fonti, e perciò dalle garanzie che da tale collocazione derivano: prima fra tutte quella concernente il sindacato di legittimità costituzionale. Ebbene, i decreti legislativi di attuazione degli Statuti speciali regionali, assoggettati al controllo di legittimità da parte della Corte Costituzionale, si collocano appunto tra le fonti primarie al pari della legge ordinaria, sicché non può, rispetto ad essi, farsi questione di violazione della riserva di legge.

 

E ciò anche in assenza di un'espressa previsione statutaria, giacché lo Statuto della Regione Sardegna recepisce nel suo spirito generale il principio costituzionale di decentramento, in guisa che il decentramento della giurisdizione della Corte dei Conti, disposto dalla normativa in parola, viene a risultare aderente alle finalità dell'ordinamento regionale sardo, del quale anzi colma una lacuna.

 

Per le stesse ragioni, non vi é illegittimità costituzionale nell'art. 5 del decreto che prevede in tre il numero dei votanti della Sezione, sia perché il decreto legislativo in esame, al pari di ogni altra norma primaria, possiede piena idoneità a introdurre modifiche alla preesistente normativa, sia perché il vigente sistema é tendenzialmente volto a restringere la composizione numerica dei Collegi, in vista di una maggiore speditezza: del resto, una rigorosa identità strutturale fra organi giurisdizionali non é un'esigenza imperativa.

 

Con atto 8 novembre 1983 si costituiva anche la parte privata Ave Meloni ved. Zonno, rappresentata e difesa dall'avv. Darwin Albanese di Roma. La Meloni eccepiva le stesse cause d'illegittimità sollevate dall'ordinanza della Corte dei Conti riservandosi le deduzioni.

 

In effetti, con memoria senza data, depositata il 23 novembre 1983 nella cancelleria di questa Corte, ribadendo le ragioni espresse dall'ordinanza di rimessione, la difesa ha insistito particolarmente sul fatto che la istituzione in Cagliari di una Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti non é prevista, né dallo Statuto né da altra legge dello Stato, fra le materie nelle quali la Regione Sarda esercita le sue funzioni o comunque può legiferare. In ogni caso - ad avviso della difesa - non può rientrare fra le norme di attuazione dello Statuto regionale l'istituzione di un Organo giurisdizionale che concerne materie gravanti sul bilancio dello Stato o di altri enti pubblici ben diversi dalla Regione. Inoltre, l'art. 125 Cost. prevede semmai l'istituzione di organi di Giustizia di primo grado, mentre l'istituita Sezione della Corte dei Conti giudica in unico grado. Non é poi paragonabile - secondo la difesa - la situazione giuridica così creata in Sardegna con quella a suo tempo instaurata in Sicilia, perché in quest'ultima Regione l'istituzione di Sezioni giurisdizionali degli Organi centrali é avvenuta per mezzo di legge dello Stato e con competenza limitata agli affari concernenti la Regione e non i cittadini ivi residenti.

 

Considerato in diritto

 

1. - La rilevanza del sollevato incidente appare pacifica per quanto attiene alla denunzia degli artt. 11, comma secondo e 2, comma primo, lett. c del d.P.R. 29 aprile 1982, n. 240. Il giudizio di legittimità sui detti articoli é, infatti, sicuramente pregiudiziale a quello in corso davanti alla III Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti, giacché da esso dipende l'eventuale prosecuzione di questo innanzi al giudice remittente, oppure la sua devoluzione alla Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, istituita in Cagliari.

 

Non altrettanto, invece, dovrebbe dirsi quanto alla rilevanza delle analoghe questioni incidentali sollevate in ordine all'art. 2 lett. d e all'art. 5, primo comma, stesso Decreto.

 

Ma poiché il giudice a quo ha contestualmente impugnato anche l'art. 1 del d.P.R., facendo così dipendere la legittimità della specifica competenza inerente alla causa in corso da quella della stessa istituzione della Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti della Sardegna, é evidente che questa Corte deve innanzitutto risolvere il problema di fondo così sollevato.

 

Qualora, infatti, il giudizio sulla legittimità dell'art. 1 risultasse negativo, tutta la disciplina - non soltanto gli articoli tutti impugnati - resterebbe coinvolta nella stessa sorte, e si dovrebbe allora dare applicazione all'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

 

2. - Va preliminarmente rilevato che la nozione data dalla Corte dei Conti, nell'ordinanza di rimessione, delle norme di attuazione degli Statuti regionali é troppo angusta, e perciò non completamente aderente a quella risultante dalle sentenze nn. 20/1956 e 30/1968 di questa Corte, che pure vengono ampiamente citate dall'ordinanza di rimessione.

 

Questa, infatti, pur riconoscendo che tali norme non hanno contenuto di mere disposizioni di natura esecutiva regolamentare, ne restringe, tuttavia, la portata ad una funzione operativa "secundum legem". In realtà, invece, la giurisprudenza di questa Corte non ha escluso che le norme di attuazione possano avere contenuto "praeter legem" nel senso di integrare le norme statutarie, anche "aggiungendo ad esse qualche cosa che le medesime non contenevano", coll'unico limite della corrispondenza alle norme e alle finalità di attuazione dello Statuto, nel contesto del principio di autonomia regionale (sent. 29 giugno 1956, n. 20). Più incisivamente la Corte, sintetizzando il suo stesso pensiero, ritenne che "l'esigenza delle norme di attuazione si manifesta nel bisogno di dar vita, nell'ambito delle ben definite autonomie regionali, ad una organizzazione dei pubblici uffici e delle pubbliche funzioni che si armonizzi con l'organizzazione dello Stato nell'unità dell'ordinamento giuridico (sent. 1 luglio 1969, n. 136).

 

La Corte dei Conti ritiene poi che l'art. 56 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Approvazione dello Statuto speciale Regione Sardegna), con riferimento al quale é stato emanato il d.P.R. in parola, rappresenta una deroga all'art. 76 Cost., che regola la delega della funzione legislativa al governo. In realtà - come pure é stato già precisato dalla giurisprudenza di questa Corte - la competenza conferita ai decreti legislativi di attuazione statutaria (preceduti dalle proposte o dai pareri di una commissione paritetica, composta da rappresentanti dello Stato e della Regione interessata) ha carattere "riservato e separato" rispetto a quella esercitabile dalle ordinarie leggi della Repubblica (cfr. sentenze 22 dicembre 1980, n. 180, 25 luglio 1983, n. 237). Ne deriva che le norme così prodotte si pongono con rango sicuramente non sottordinato a quello delle norme ordinarie, e con possibilità quindi di derogarvi nell'ambito della loro specifica competenza.

 

Né, dall'affermazione della sent. n. 20/1956 - riportata dall'ordinanza - secondo cui i decreti legislativi in parola "servono a porre in essere le norme di attuazione che dovevano accompagnare la nascita della regione e renderne particolarmente e giuridicamente possibile l'attività", é lecito arguire, come mostra di volere intendere la Corte dei Conti, che perciò il loro valore sarebbe meramente transitorio. Al contrario gli Statuti regionali differenziati consentono in via permanente al Governo di dettare norme di attuazione, ogni qualvolta sia necessario.

 

3. - Non é, quindi, in relazione alla natura delle norme di attuazione degli Statuti speciali che il sollevato problema di fondo potrebbe incontrare la soluzione auspicata dal Giudice remittente. Semmai, questa potrebbe conseguire al negativo accertamento di una qualche correlazione fra le norme attuative e quelle dello Statuto della regione Sardegna o le finalità della sua attuazione, nel contesto dell'autonomia regionale e nel rispetto dei principi costituzionali.

 

Sotto questo riguardo, non può bastare, però, ai fini dell'odierno giudizio di compatibilità costituzionale, che - come osserva l'Avvocatura - la Costituzione abbia assunto come principio programmatico, oltre al decentramento amministrativo (art. 5), anche quella della giurisdizione amministrativa (art. 125). Quest'ultima disposizione, infatti, non concerne sicuramente la Corte dei Conti.

 

In mancanza, dunque, di un principio generale della Costituzione, esplicitamente o implicitamente recepito dallo Statuto, é a quest'ultimo soltanto che deve aversi riguardo per decidere della legittimità della contestata istituzione della sezione sarda della Corte dei Conti.

 

In effetti, il d.P.R. che si va esaminando, oltre all'ovvio richiamo nel preambolo dell'intera legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 che ha approvato lo Statuto speciale della regione autonoma della Sardegna, fa specifico riferimento all'art. 56 della legge stessa. Da questo, pertanto, traggono fondamento le disposizioni del Decreto, in quanto in esso é previsto che la Commissione paritetica sottoponga al parere del Consiglio Regionale, sia le norme relative al passaggio degli uffici e del personale dello Stato alla Regione, sia le norme attuative dello Statuto stesso; norme tutte che verranno poi emanate con il decreto legislativo previsto dal quinto comma dell'art. 87 Cost., qual è appunto il Decreto in parola.

 

Ebbene, deve senz'altro escludersi che la disciplina dettata dal Decreto possa rientrare fra le norme che regolano il passaggio degli uffici e del personale dallo Stato alla Regione. E evidente, infatti, che queste si collegano a quanto previsto nel terzo comma dell'VIII Disposizione transitoria del la Costituzione, in relazione a quel passaggio delle funzioni statali attribuite alle regioni, di cui é menzione nel secondo comma della stessa Disposizione. Ma quali siano tali funzioni é detto negli artt. da 117 a 120 Cost., che non menzionano certo quelle giurisdizionali; né esiste altra legge dello Stato che, sulla base dell'art. 108, primo comma Cost., abbia comunque previsto il passaggio di queste ultime alla Regione sarda, sia pure nei limiti della sua competenza territoriale.

 

Non resta allora che esaminare l'alternativa concernente le norme attuative dello Statuto, delle quali pure é detto - come si é rilevato - nel citato art. 56 della legge.

 

Senonché, pur richiamandone la particolare natura più sopra riaffermata, e quindi anche la particolare competenza separata e riservata rispetto a quella esercitabile con leggi statali ordinarie di cui all'VIII Disp. trans. Cost., é comunque evidente che la loro capacità additiva si esprime pur sempre nell'ambito dello spirito dello Statuto e delle sue finalità, e - come s'é pure rilevato - nel rispetto dei principi costituzionali.

 

Orbene, a differenza di quanto concerne il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della regione, non é in alcun modo desumibile dallo Statuto della Regione Sardegna, né dal suo spirito, né dalle sue finalità, che si sia inteso prevedere nemmeno per implicito Sezioni di organi giurisdizionali centrali, neanche nei limiti degli affari concernenti la regione: e ciò a differenza di quanto - ad esempio - é invece espressamente stabilito per altre Regioni (art. 23 Statuto speciale regione Sicilia; art. 90 Statuto speciale TAA).

 

Non può, quindi, ritenersi costituzionalmente legittimo l'art. 1 del d.P.R. 29 aprile 1982, n. 240 che istituisce per la Regione Sardegna una Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti, con sede in Cagliari: e ciò in relazione all'art. 56 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3.

 

Conseguentemente va dichiarata altresì l'illegittimità degli artt. 2, comma primo lett. c e d e 11 del Decreto, così come richiesto dall'ordinanza di rimessione in quanto, venendo meno l'istituita Sezione, viene ovviamente a cessare la sua competenza sui ricorsi e sulle istanze in materia di pensioni, e logicamente l'obbligo di devoluzione a quella Sezione delle cause in corso presso la Corte dei Conti centrale, se di competenza della Sezione sarda secondo il disposto della lett. c dell'art. 2, comma primo, del Decreto.

 

Senonché, la riconosciuta illegittimità dell'art. 1 del Decreto trascina necessariamente nella stessa sorte l'intera disciplina dettata dal decreto per la competenza ed il funzionamento della Sezione. Deve, perciò, darsi applicazione all'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e dichiarare l'illegittimità costituzionale di tutta la residua normativa: in particolare anche di quell'art. 5 del Decreto stesso, pure impugnato dall'ordinanza di rimessione, sebbene in relazione ad altro parametro, per avere illegittimamente ridotto a tre il numero dei votanti, mentre l'art. 2, legge 21 marzo 1953, n. 161 impone, per ciascuna delle Sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti, il numero invariabile di cinque votanti.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. l, 2, primo comma, lett. c e d, e 11 del d.P.R. 29 aprile 1982, n. 240

 

Visto ed applicato l'art. 27, legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara l'illegittimità costituzionale di ogni altra disposizione del citato decreto.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1984.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LAPERGOLA  - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 18 luglio 1984.