Sentenza n.1 del 1984

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SENTENZA N. 1

 

ANNO 1984

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

 

Prof. Antonino DE STEFANO

 

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

 

Avv. Oronzo REALE

 

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

 

Avv. Alberto MALAGUGINI

 

Prof. Livio PALADIN

 

Dott. Arnaldo MACCARONE

 

Prof. Virgilio ANDRIOLI

 

Prof. Giuseppe FERRARI

 

Dott. Francesco SAJA

 

Prof. Giovanni CONSO

 

Prof. Ettore GALLO

 

Dott. Aldo CORASANITI, Giudici,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 11, sesto comma, allegato T all'art. 39 della legge 8 agosto 1895, n. 486 (Legge sui provvedimenti di finanza e di tesoro), promossi con ordinanze emesse il 15 aprile 1982 dalla Corte di cassazione, sui ricorsi proposti da Pristerà Franco c/Banco di Napoli, Porreca Armando c/Banco di Napoli ed altri, Banco di Napoli c/Guidotti Salvatore ed altri, Banco di Napoli c/Poto Domenico e Poto Domenico c/Banco di Napoli, iscritte ai nn. 823, 824, 825 e 826 del registro ordinanze 1982 e pubblicate rispettivamente nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 108, 94 e 121 dell'anno 1983.

 

Visti l'atto di costituzione del Banco di Napoli, di Porreca Armando, dell'Unione Pensionati del Banco di Napoli, di Guidotti Salvatore ed altri;

 

udito nell'udienza pubblica del 15 novembre 1983 il Giudice relatore Livio Paladin;

 

uditi gli avvocati Gaetano Rizzo e Renato Scognamiglio per il Banco di Napoli, Filippo Satta per Porreca Armando, Riccardo Capobianco per Guidotti Salvatore ed altri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza emessa il 15 aprile 1982 (reg. ord. n. 823/1982), la Corte di cassazione a sezioni unite ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 all. T all'art. 39 della legge 8 agosto 1895, n. 486, là dove si stabilisce - come precisa il dispositivo - che "le controversie in materia di pensioni degli impiegati del Banco di Napoli, nonché di quelli del Banco di Sicilia, sono escluse dalla giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria ed attribuite alla giurisdizione della Corte dei conti"; e ciò, per dedotta violazione del principio costituzionale di eguaglianza.

 

La Corte regolatrice motiva sulla rilevanza della questione medesima, osservando che - nella specie - era stato proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione. chiedendosi che fosse "affermato il difetto di giurisdizione della Corte dei conti sulla lite attinente al trattamento pensionistico "di un ex dipendente del Banco di Napoli.

 

Circa la non manifesta infondatezza, il giudice a quo premette che da oltre cinquant'anni sarebbe venuto meno il "presupposto" della norma impugnata, "cioè la funzione di Istituto di Emissione esercitata sia dal Banco di Napoli che da quello di Sicilia". Attualmente, per contro, i predetti istituti avrebbero natura di "enti pubblici economici", donde "la ormai completa privatizzazione" del rapporto di lavoro dei loro dipendenti, "con la conseguente devoluzione alla giurisdizione del giudice ordinario delle relative controversie". Né "la persistente vigenza della norma attributiva delle controversie in materia di pensioni di tali dipendenti alla giurisdizione della Corte dei conti", diversamente da ciò che si verifica per i dipendenti degli altri istituti bancari (compresi quelli di diritto pubblico), troverebbe sufficiente giustificazione nella norma - assai raramente applicabile - per cui i servizi statali sono tuttora ricongiungibili, ai fini del trattamento di quiescenza, con il servizio reso in qualità di impiegato del Banco di Napoli o del Banco di Sicilia.

 

La denunciata disparità di trattamento sarebbe invece illegittima, anzitutto perché i dipendenti in esame "sono costretti a rivolgersi a due giudici distinti, rispettivamente, per quel che concerne la tutela delle posizioni che attengono al rapporto di impiego in generale, ivi comprese quelle che derivino dalla cessazione del rapporto, e per quel che concerne la tutela dei diritto alla pensione, laddove gli altri dipendenti della medesima categoria trovano dinanzi all'unico giudice ordinario, quale giudice del lavoro, la tutela di tutte le posizioni giuridiche attinenti alla situazione di quiescenza". Al che si aggiungerebbe, pur senza implicare un'immediata lesione del diritto di difesa, la circostanza che, rispetto al giudizio ordinario, "il giudizio dinanzi alla Corte dei conti si svolge in unico grado" e dà luogo a pronunce che sono assoggettate al sindacato della Cassazione per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.

 

2. - Identica questione é stata riproposta dalle sezioni unite della Cassazione, con altre tre ordinanze contemporanee alla prima (reg. ord. nn. 824 - 826/1982), emesse nel corso di giudizi concernenti l'adeguamento delle pensioni ai miglioramenti retributivi nel frattempo conseguiti dai dipendenti in servizio (sulla base dell'art. 108 del regolamento per il personale del Banco di Napoli). In punto di rilevanza, le ordinanze osservano che tali controversie, al pari di quelle aventi ad oggetto la liquidazione delle pensioni, rientrerebbero nella giurisdizione della Corte dei conti, specificamente prevista dalla norma impugnata.

 

3. - In tutti i giudizi si é costituito il Banco di Napoli, concludendo nel senso dell'infondatezza e poi motivando questo assunto mediante una memoria depositata in vista della pubblica udienza.

 

La difesa dell'istituto esclude, anzitutto, che la giurisdizione spettante in materia alla Corte dei conti fosse fondata sulla "facoltà di emettere biglietti", già propria dei Banchi di Napoli e di Sicilia: sia perché tale facoltà risaliva al 1874, ben prima dell'entrata in vigore della norma impugnata, sia perché i dipendenti in questione "usufruivano già da tempo di un trattamento di pensione, con caratteristiche derivate da quello dei dipendenti dello Stato". La "ragione immediata" della norma in esame consisterebbe, perciò, nella disposizione - contenuta nella stessa legge n. 486 del 1895 - per cui le pensioni di tali dipendenti sono regolate dalla disciplina vigente per gli impiegati statali. E ne darebbe conferma la possibilità di ricongiungere i rispettivi servizi, in ordine alla quale il Banco assume - contraddicendo la tesi della Cassazione - che essa sarebbe "tuttora di non infrequente esercizio".

 

La ricordata memoria fa inoltre richiamo al secondo comma dell'art. 103 ed alla VI disp. trans. Cost., per dedurne che "la vigente costituzione ha riconosciuto le competenze tradizionali della Corte dei conti, confermandone l'integrale presenza nel nuovo ordinamento" secondo l'"interpretazione c. d. conservativa", che anche questa Corte avrebbe accolto, con la sentenza n. 135 del 1975.

 

Infine, "la mera circostanza che i dipendenti di due Istituti bancari di diritto pubblico siano costretti a rivolgersi per la tutela di posizioni giuridiche diverse a Giudici distinti" non implicherebbe "una menomazione del principio di parità di trattamento".

 

Occorrerebbe, infatti, tenere presente la "necessaria distinzione tra il rapporto di lavoro ed il rapporto previdenziale - pensionistico". E, su quest'ultimo piano, sarebbe determinante il fatto che i dipendenti stessi "fruiscano di un sistema di erogazione delle pensioni direttamente da parte degli Istituti datori di lavoro", in linea con le disposizioni relative ai dipendenti dello Stato; sicché il criterio della "professionalità specifica del Giudice" opererebbe in tal caso a sostegno della giurisdizione della Corte dei conti, anziché di quella del giudice ordinario.

 

4. - Nel secondo dei quattro giudizi (reg. ord. n. 824/1982) si é costituito altresi il ricorrente Porreca, che invece condivide le tesi del giudice a quo. In particolare, la difesa del ricorrente richiama la giurisprudenza "ormai consolidata" della stessa Corte dei conti, nel senso che il regime pensionistico in vigore nel Banco di Napoli risulterebbe "da tempo sganciato da quello statale e disciplinato esclusivamente dalla normativa regolamentare interna", recettiva a sua volta degli accordi sindacali: con la conseguenza che al Banco spetterebbe "regolamentare il trattamento di quiescenza dei propri dipendenti senza effettuare commistione con la normativa riguardante gli statali".

 

Nel medesimo giudizio ha poi ritenuto di essere ammessa a costituirsi, deducendo il suo "specifico interesse al procedimento costituzionale promosso dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione", l'Unione nazionale fra i pensionati del Banco di Napoli.

 

5. - Relativamente al terzo giudizio (reg. ord. n. 825/1982), si sono costituite le parti resistenti al ricorso del Banco di Napoli, le quali sostengono - in via principale - che la norma impugnata (al pari dell'intera legge n. 486 del 1895) sarebbe stata abrogata, sia per l'espresso disposto dell'art. 101 della legge bancaria del 1936 sia perché, in quella sede, l'intera materia degli istituti di credito di diritto pubblico sarebbe stata disciplinata ex novo, in termini incompatibili con la disciplina preesistente. D'altra parte, non sarebbe comunque fondato l'assunto della Cassazione, per cui l'adeguamento delle pensioni alla dinamica salariale - oggetto della controversia in corso nel giudizio a quo - determinerebbe una riliquidazione delle pensioni medesime, ricadendo perciò nella giurisdizione a suo tempo attribuita alla Corte dei conti.

 

In via subordinata, però, la norma in esame dovrebbe in ogni caso venir dichiarata illegittima, non solo perché contrastante con il principio generale d'eguaglianza, ma perché nella specie mancherebbe il necessario presupposto "del controllo della finanza pubblica", su cui l'art. 103 Cost. baserebbe l'intera giurisdizione della Corte dei conti. E risulterebbero inoltre violati gli artt. 24 e 25 della Costituzione, relativamente al diritto di difesa ed al principio del giudice naturale.

 

Sostanzialmente conformi alle deduzioni delle parti resistenti sono infine le "note difensive" che l'Unione nazionale fra i pensionati del Banco di Napoli ha depositato anche in vista di questo giudizio.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le quattro ordinanze in esame propongono alla Corte, con motivazioni identiche od analoghe, una sola e comune impugnativa. Nei dispositivi di tutte le ordinanze si legge, cioé, che la Corte di cassazione, a sezioni unite civili "ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 11 all. T all'art. 39 della legge 8 agosto 1895, n. 486, in relazione all'art. 3 della Costituzione della Repubblica, secondo cui le controversie in materia di pensioni degli impiegati del Banco di Napoli, nonché di quelli del Banco di Sicilia, sono escluse dalla giurisdizione dell'autorità ordinaria ed attribuite alla giurisdizione della Corte dei conti": con implicito ma univoco riguardo al sesto comma dell'art. 11 dell'allegato T.

 

Va però immediatamente precisato che, in realtà della norma impugnata non rileva nei giudizi a quibus altro che la parte concernente "le controversie in materia di pensioni degli impiegati del Banco di Napoli" (mentre nessuno dei giudizi stessi coinvolge le corrispondenti controversie relative al Banco di Sicilia); ed é unicamente per il Banco di Napoli che gli atti di causa forniscono, d'altronde, tutti gli elementi di giudizio, utili alla presente decisione della Corte, ivi compresi i regolamenti che negli ultimi decenni hanno riguardato o riguardano il Banco medesimo. Tali sono, pertanto, i limiti della questione sulla quale la Corte é ora chiamata a pronunciarsi; ed in questi termini i quattro giudizi vanno riuniti e congiuntamente decisi.

 

2. - Secondo la costante giurisprudenza della Corte (nell'ambito della quale la sentenza n. 20 del 1982 funge da eccezione che conferma la regola), non possono costituirsi nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale soggetti che non avessero la qualità di parte nel giudizio a quo. Pertanto, va dichiarata inammissibile la costituzione dell'Unione nazionale fra i pensionati del Banco di Napoli, relativamente al giudizio instaurato dall'ordinanza n. 824 del 1982.

 

3. - Sempre in via preliminare, devono poi prendersi in esame le eccezioni d'inammissibilità, prospettate nell'atto di costituzione dei controricorrenti, relativamente al terzo dei giudizi pendenti dinanzi alla Corte di cassazione (reg. ord. n. 825/1982). La difesa di quelle parti sostiene infatti, in primo luogo, che la norma impugnata sarebbe già stata abrogata dall'art. 101 (rectius: art. 100) della legge bancaria del 1936 e risulterebbe comunque incompatibile "con le leggi successive che hanno specificamente regolato la intera materia"; sicché la norma stessa non potrebbe ricevere alcuna applicazione da parte del giudice a quo, indipendentemente dall'esito del giudizio di questa Corte. In via subordinata, per altro, si eccepisce che comunque non sussisterebbe la giurisdizione della Corte dei conti "nel caso di adeguamento di pensioni con aggancio automatico alle variazioni delle retribuzioni", che appunto in quella specie (come pure nei giudizi di cui alle ordinanze n. 824 e n. 826 del 1982) formava e forma l'oggetto della controversia.

 

Né il primo né il secondo assunto vanno però condivisi. Da un lato, ad esimere la Corte da ogni altro sindacato circa l'attuale vigenza della norma impugnata, vale il rilievo che nel diritto vivente si considera pacifica la vigenza stessa. Sia la Corte dei conti sia la Corte di cassazione procedono tuttora in maniera costante (come dimostrano le stesse ordinanze in esame) dalla premessa che l'art. 11 dell'allegato T dell'art. 39 della legge n. 486 del 1895 continui ad essere operante, tanto nella parte che assoggetta le pensioni del personale in questione alle "disposizioni vigenti per gli impiegati dello Stato", quanto nella parte che attribuisce alla Corte dei conti la giurisdizione sulle "controversie tra gli impiegati dei due Banchi e le rispettive amministrazioni in ordine alla liquidazione delle pensioni": norma, quest'ultima, che la Cassazione non ritiene abrogata neanche per effetto dell'attuale art. 409 n. 4 cod. proc. civ., sull'applicazione della disciplina per le controversie di lavoro ai "rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica". Ed anche l'art. 102 del regolamento per il personale del Banco di Napoli, approvato con delibera del 28 aprile 1975, richiama coerentemente l'art. 11 primo e sesto comma, dell'allegato T per quanto riguarda il "regime normativo del trattamento di pensione".

 

D'altro lato, la seconda eccezione (che comunque non coinvolge il giudizio instaurato mediante l'ordinanza n. 823 del 1982, dal momento che la Cassazione é chiamata in quel caso a pronunciarsi in tema di riconoscimento delle pensioni privilegiate) dev'essere egualmente respinta. Se infatti questa Corte esercitasse così a fondo il proprio sindacato sull'ammissibilità della proposta impugnativa, essa finirebbe per sovrapporre le proprie valutazioni a quelle riservate al giudice a quo, cioè risponderebbe - sia pure su altro piano e ad altro effetto - allo stesso quesito che forma l'oggetto del regolamento di giurisdizione per il quale é stata adita la Corte suprema.

 

4. - Nel merito, va escluso anzitutto che la presente questione, sollevata in riferimento al principio generale d'eguaglianza, possa considerarsi già risolta dall'art. 103, secondo comma, della Costituzione: come invece vorrebbero - ma con prospettive opposte - sia la difesa del Banco di Napoli sia quella dei controricorrenti nel giudizio instaurato dall'ordinanza n. 825 del 1982.

 

Per un primo verso, non é sostenibile che l'art. 103, secondo comma, abbia inteso conservare incondizionatamente alla Corte dei conti l'intera giurisdizione che le spettava nel momento dell'entrata in vigore della Carta costituzionale: al contrario, é significativo che quella disposizione faccia puntuale riferimento alle sole "materie di contabilità pubblica", limitandosi a menzionare genericamente le altre materie "specificate dalla legge". Né giova appellarsi alla sentenza n. 135 del 1975, con cui questa Corte ha bensì dichiarato non fondata un'impugnativa concernente la cosiddetta giurisdizione domestica della Corte dei conti, ma ha in pari tempo avvertito come la giurisdizione stessa non "sia - di per sé - in contrasto con la Costituzione", pur non potendo ritenersi "costituzionalizzata".

 

Per il secondo verso, le considerazioni già svolte tolgono fondamento alla tesi che la norma istitutiva della giurisdizione in esame risulti illegittima, solo perché estranea al "controllo della finanza pubblica ", cui la Costituzione avrebbe collegato tutte le funzioni giurisdizionali suscettibili di essere assegnate alla Corte dei conti. Il problema va invece posto su tutt'altro piano, cioè domandandosi se la giurisdizione attinente al regime pensionistico dei dipendenti del Banco di Napoli faccia parte integrante di una più ampia "materia", ovvero si risolva in una attribuzione isolata e per se stante, avulsa dagli altri compiti della Corte stessa. Ma é chiaro che, sotto quest'ultimo aspetto, il quesito finisce per confondersi con quello prospettato dalla Corte di cassazione: ossia comporta appunto che si verifichi se la norma impugnata sia tuttora sorretta da un'adeguata ragione giustificativa, tale da renderla conforme al principio generale d'eguaglianza, riferito al riparto fra le varie giurisdizioni.

 

5. - Essenzialmente, che l'originario fondamento della norma in questione sia venuto meno da gran tempo, é stato affermato dalla Cassazione mediante due distinti ordini di argomentazioni. Anzitutto, la norma stessa avrebbe perduto la propria giustificazione, riducendosi ad un "dogma tralaticio", sin dal momento nel quale al Banco di Napoli é stata sottratta la potestà di emettere i "biglietti a vista e al portatore", di cui all'art. 3 n. 1 dell'allegato T: vale a dire, già per effetto dell'art. 1 del R.D.L. 6 maggio 1926, n. 812, sull'"unificazione del servizio dell'emissione dei biglietti di banca".

 

Secondariamente, nel medesimo senso varrebbe la circostanza che il Banco di Napoli deve comunque venire inquadrato - al pari delle altre aziende di credito - fra gli enti pubblici economici considerati dall'art. 2093 cod. civ.; per cui sarebbe incongrua la persistenza d'una giurisdizione pensionistica come quella propria della Corte dei conti, là dove il rapporto di lavoro dei dipendenti del Banco s'é ormai privatizzato del tutto.

 

Ma la Corte é dell'avviso che la proposta questione debba essere affrontata assumendo la seconda anziché la prima delle due prospettive indicate. Fra la potestà di emettere biglietti di banca e la giurisdizione in esame non può infatti stabilirsi quel rapporto causale che le ordinanze di rimessione ipotizzano: sia perché l'emissione di "biglietti di Banco, od altri titoli equivalenti, pagabili al portatore ed a vista", veniva già regolata - in particolar modo - dall'art. 1 della legge 30 aprile 1874, n. 1920, ben prima che fosse attribuita alla Corte dei conti la funzione di cui si discute; sia perché la funzione medesima non é stata mai estesa alle corrispondenti controversie fra gli impiegati e l'amministrazione della Banca d'Italia (già istituita dalla legge 10 agosto 1893, n. 449, cui fa espresso richiamo l'art. 39 della legge n. 486 del 1895); sia, soprattutto, perché le speciali attribuzioni allora spettanti al Banco di Napoli avrebbero se mai dovuto incidere sul rapporto di lavoro piuttosto che sul solo regime pensionistico, mentre invece nel primo di tali settori la giurisdizione ordinaria non ha subito limitazioni di sorta.

 

Giustamente, al contrario, la difesa del Banco di Napoli osserva che, in origine, la vera giustificazione della norma in esame andava ricercata all'interno dell'art. 11 dell'allegato T: cioè ricollegando al sesto comma, concernente la particolare giurisdizione attribuita alla Corte dei conti, il primo comma dello stesso articolo, per cui "a cominciare dal 1 gennaio 1896 le pensioni, gli assegni di disponibilità e di aspettativa e le indennità di missione e di trasferta degli impiegati dei due Banchi di Napoli e di Sicilia saranno regolati dalle disposizioni vigenti per gli impiegati dello Stato". Entrambe le previsioni, in combinato disposto, formavano e formano - come verrà subito chiarito - un vero e proprio diritto singolare dei pensionati del Banco di Napoli, al confronto con la disciplina degli analoghi rapporti pertinenti agli altri istituti di credito, non soltanto privati ma anche pubblici; sicché risulta palese che fu appunto l'aggancio fra il regime pensionistico presso il Banco di Napoli ed il trattamento di quiescenza dei dipendenti statali a far considerare la Corte dei conti come il giudice più idoneo ad affrontare controversie che si presentavano omogenee rispetto a quelle ricadenti nella fondamentale giurisdizione già esercitata dalla Corte stessa in tema di pensioni.

 

Ma tali precisazioni consentono solo d'impostare in maniera corretta e non di risolvere il presente problema. Resta infatti da chiarire se quell'iniziale fondamento continui a sussistere, malgrado le profonde innovazioni riscontrabili nel trattamento del personale del Banco in senso divergente dalle disposizioni del 1895. E la Corte ritiene che al quesito occorra dare una risposta negativa.

 

6. - Circa la natura giuridica del Banco di Napoli la Cassazione si é ripetutamente pronunciata negli ultimi decenni, affermando che tale istituto assume appunto la veste di ente pubblico economico, sicché i suoi rapporti con i rispettivi dipendenti in servizio esorbitano dall'area del pubblico impiego e sfuggono alla cognizione dei TAR e del Consiglio di Stato: donde la singolarità della giurisdizione esercitata dalla Corte dei conti quanto ai pensionati del Banco medesimo, cui non fa riscontro - come avviene di regola - la giurisdizione amministrativa bensì quella ordinaria. Ne segue, d'altronde, che il trattamento economico dei dipendenti del Banco viene integralmente definito dai regolamenti aziendali per il personale, che in larga misura recepiscono gli accordi sindacali relativi agli istituti di credito: il che determina una serie di ripercussioni inevitabili sullo stesso regime pensionistico, malgrado il richiamo delle "norme generali che disciplinano la materia per il personale civile dello Stato", tuttora contenuto nell'art. 102 del citato regolamento del 1975.

 

In effetti, il punto di riferimento già fissato dall'art. 11, primo comma, dell'allegato T é stato ridimensionato in un modo radicale. Presentemente, quel disposto continua a trovare applicazione, sia nel senso di precludere il cumulo dei benefici previsti per i dipendenti dello Stato con certi benefici equipollenti, propri dei dipendenti dalla generalità degli istituti di credito, sia nel senso di dare sostegno a determinate pretese dei dipendenti del Banco che non potrebbero venire soddisfatte in base al diritto comune (come nel caso delle rendite pensionistiche privilegiate, in questione nel primo dei giudizi a quibus), sia ancora nel senso di offrire lo spunto per l'approvazione di ulteriori previsioni legislative, a favore dei dipendenti medesimi (si pensi all'art. 116, primo comma, del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, per cui "i servizi statali" sono ricongiungibili, ai fini del trattamento di quiescenza, con il servizio reso in qualità di impiegato del Banco di Napoli o del Banco di Sicilia"). Ma la Corte dei conti ha avvertito che le norme sul trattamento di quiescenza degli statali non si estendono al personale del Banco di Napoli, altro che per integrare l'apposita disciplina regolamentare interna: sicché, non soltanto l'entità delle pensioni può ben risultare più elevata di quella spettante ai dipendenti dello Stato, ma la stessa base pensionabile ne viene modificata, comprendendo voci che non trovano corrispondenti nelle disposizioni cui rimanda l'art. 11 primo comma, dell'allegato T.

 

Non a caso, l'art. 102 del regolamento del 1975 fa incondizionatamente salve "le disposizioni particolari dettate da successivi articoli di questo Capo o contenute in altri Capi del presente Regolamento" (il che spiega che nell'allegato F si faccia rientrare nella "base di liquidazione della pensione" il "premio di rendimento", accanto ad un vasto ed eterogeneo complesso di speciali indennità). Più specificamente l'ultimo comma dell'art. 104 dispone che "l'assegno annuo di pensione é corrisposto in quattordici rate mensili"; l'art. 105 prevede il contemporaneo riconoscimento dei servizi statali di cui al ricordato D.P.R. n. 1092 del 1973 e dell'"intero servizio presso la Banca d'Italia, gli Istituti di Credito di Diritto Pubblico e le altre Aziende di Credito"; l'art. 109, primo comma, stabilisce che ai dipendenti con almeno cinque anni di servizio, i quali cessino dal servizio stesso, sia liquidato, "in luogo della indennità per una volta tanto, un assegno speciale di pensione, al quale si applicano le disposizioni relative alle pensioni ordinarie anche per quanto riguarda l'istituto della riversibilità"; l'art. 110 configura a sua volta una " indennità aggiuntiva di cessazione", di cui nel quarto comma si consente la liquidazione "in misura più elevata di quella normale", allorché ricorrano "eccezionali benemerenze di servizio"; mentre l'art. 108, che stabiliva "il principio di rispondenza costante" fra gli assegni di pensione liquidati in ogni tempo, é stato bensì abrogato, ma per effetto di un'autonoma delibera del Consiglio di amministrazione del Banco. Ed é appunto al Consiglio di amministrazione che l'art. 111 affida, coerentemente, "le variazioni di struttura, di composizione o di entità del trattamento di quiescenza".

 

In breve, oltre a garantire che la disciplina pensionistica dei dipendenti del Banco non possa mai risultare peggiore di quella applicabile ai dipendenti dello Stato, il rinvio in questione sembra assolvere fondamentalmente - in concomitanza con i regolamenti aziendali - alla funzione di un moltiplicatore, sia rispetto al regime degli ex - dipendenti statali, sia nei riguardi degli stessi pensionati degli altri istituti di credito. Ed é significativo che, nel corso del procedimento di conversione del decreto - legge n. 162 del 1979, il Governo sia stato impegnato - con un ordine del giorno del Senato - ad eliminare "trattamenti anomali", ritenuti carenti di giustificazione, come quelli in atto per le pensioni dei dipendenti dei Banchi di Napoli e di Sicilia.

 

Ai particolari fini dell'attuale giudizio, ciò basta comunque a far concludere che nell'ordinamento vigente non é più ravvisabile quel grado di omogeneità fra le pensioni in esame e le pensioni statali, che rappresentava il presupposto della giurisdizione attribuita alla Corte dei conti dalla norma impugnata. Pertanto, l'aver derogato alla regola della giurisdizione ordinaria si rivela ormai privo di un'adeguata ragione giustificativa e risulta in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, sesto comma, dell'allegato T all'art. 39 della legge 8 agosto 1895, n. 486, nella parte concernente la giurisdizione della Corte dei conti in ordine alla liquidazione delle pensioni spettanti ai dipendenti del Banco di Napoli.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 gennaio 1984.

 

Leopoldo ELIA, Presidente - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1984.