Sentenza n. 302 del 1983

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SENTENZA N. 302

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Antonino DE STEFANO, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

          Avv. Alberto MALAGUGINI

          Prof. Livio PALADIN      

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

          Prof. Virgilio ANDRIOLI  

          Prof. Giuseppe FERRARI

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma primo, della legge 5 dicembre 1959, n. 1077 (Miglioramento del trattamento di quiescenza ed adeguamento delle pensioni a carico della Cassa per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali facenti parte degli Istituti di previdenza presso il Ministero del Tesoro) promosso con ordinanza emessa il 29 aprile 1977 dalla Corte dei conti - Sez. III giurisdizionale sul ricorso proposto da Costa Domenico, iscritta al n. 84 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 105 del 1978.

Visti l'atto di costituzione di Costa Domenico e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella pubblica udienza del 24 maggio 1983 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;

uditi l'avv. Mario Nigro, per Costa Domenico, e l'avvocato dello Stato Pietro De Francisci, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - L'avv. Domenico Costa, capo dell'ufficio legale presso il Comune di Roma, percepiva, all'atto del collocamento a riposo per raggiunti limiti d'età (1 maggio 1972) la retribuzione complessiva annua di L. 7.277.712, di cui 1.440.000 venivano corrisposte a titolo di "indennità di toga". E poiché tale retribuzione risultava superiore a quella del segretario generale dello stesso Comune - ammontante, infatti, a L. 6.524.500 - , il consiglio d'amministrazione della Cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali (CPDEL) riteneva di doverla valutare, ai fini del trattamento di quiescenza, sino alla cifra corrispondente a quella del segretario generale, per cui, con decreto (26 gennaio 1974) del Direttore generale degli istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro, veniva liquidata la pensione di L. 5.444.500. Alla suddetta valutazione ed alla conseguente liquidazione del trattamento di quiescenza nella misura testé indicata la Cassa era pervenuta in applicazione dell'art. 18, primo comma, della legge 5 dicembre 1959, n. 1077, il quale dispone che "per ciascun dipendente, la retribuzione contributiva riferita al servizio reso a Comune o Provincia in nessun caso può superare quella del rispettivo segretario", precisando che "a tal fine, si considera un'anzianità di qualifica del segretario pari a quella del dipendente nella qualifica o grado rivestito". In concreto, aveva calcolato l'indennità di toga, non già nella sua interezza, bensì in un quarto, cioé, non nella somma di L. 1.440.000, ma in quella di L. 360.000, abbassando così la retribuzione pensionabile da L. 7.277.712 aL. 6.197.712 e, quindi, la pensione da L. 6.524.500 aL. 5.444.500.

Avverso tale provvedimento l'interessato proponeva ricorso alla Corte dei conti, denunciando in quella sede l'illegittimità costituzionale del menzionato art. 18 legge 1077/ 1959. In particolare deduceva che la pensione liquidatagli risultava così - in violazione dell'art. 36, primo comma, Cost. - non proporzionale alla quantità e qualità del sevizio prestato, nonché - in violazione dell'art. 3 Cost. - eguale a quella degli altri appartenenti allo stesso ufficio legale con anzianità, funzioni e retribuzioni inferiori, ed addirittura inferiore a quella di un pari grado, che sia collocato a riposo dopo che il segretario generale abbia ottenuto un aumento di retribuzione. E poiché la disparità di trattamento si verifica anche fra titolari di assegni computabili, quali quelli per speciali mansioni, e titolari di assegni non computabili, quale fu ritenuta l'indennità di toga, chiedeva che questa venisse considerata assegno per speciale mansione.

2. - La Corte dei conti, mentre rigettava quest'ultima domanda e l'eccezione formulata in riferimento all'art. 3 Cost., riteneva, viceversa, non manifestamente infondata, oltre che rilevante , la questione sollevata in riferimento all'art. 36 Cost.

L'indennità di toga - osserva il giudice a quo - ha "tutti i caratteri prescritti dalla legge perché sia pensionabile", e pertanto non può non "riflettersi nella posizione di quiescenza del dipendente", non rilevando in contrario l'esigenza di rispettare il "criterio di proporzione tra il trattamento economico del segretario generale e quello degli altri dipendenti dell'ente locale", che non può certo "risolversi in una lesione di un diritto" tutelato dalla Costituzione. É vero - si legge ancora nell'ordinanza - che "secondo l'insegnamento della Corte costituzionale, la determinazione del quantum del trattamento di quiescenza é problema di politica legislativa", censurabile solo se "inficiata da un manifesto difetto di criteri di ragionevolezza, ma nella specie" sembra appunto che il legislatore abbia "superato il limite invalicabile della razionalità". Per quanto attiene all'emolumento, infatti, risulta una differenza tra il rapporto di attività e quello di riposo, e "di tale differenziazione non é dato scorgere un criterio razionale che ne costituisca l'adeguato fondamento".

3. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte, ha spiegato intervento, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato, la quale chiede declaratoria di infondatezza della questione.

Secondo l'Avvocatura, l'art. 36, primo comma, Cost. "non intende impedire che nell'ambito del pubblico impiego, dominato da principi ed esigenze peculiari, la retribuzione si modelli non come semplice prezzo dell'opera prestata, sibbene in funzione anche, e soprattutto, della qualifica e della posizione del pubblico dipendente nell'organizzazione amministrativa", ove appunto assume "importanza preminente lo stato giuridico attribuito al dipendente". Questi criteri si trovano tradotti nell'art. 228, secondo comma, del testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con r.d. 3 marzo 1934, n. 383, il quale dispone che "gli stipendi ed i salari degli impiegati e salariati comunali devono essere fissati in equa proporzione con quello del segretario comunale". E l'impugnato art. 18 della legge 1077/1959, statuendo a sua volta che la retribuzione annua contributiva dei dipendenti di Comune o Provincia "in nessun caso può superare quella del rispettivo segretario", "é in armonia con tali esigenze" e contribuisce, anzi, a creare "un armonico complesso di disposizioni intese ad assicurare il buon ordinamento della pubblica amministrazione". Né può dirsi - conclude l'Avvocatura - che la corresponsione dell'indennità di toga in costanza di servizio abbia alterato "l'equa proporzione del trattamento economico fra il ricorrente ed il segretario comunale", giacché l'art. 228 del menzionato testo unico ha per oggetto gli emolumenti fondamentali, mentre per ogni altro emolumento "il rispetto dell'equa proporzione... non può restare affidato che ai competenti organi dell'ente, cui incombe di provvedere", attraverso la globale valutazione degli assegni e di ogni altro emolumento... ad assicurare l'equa proporzione con il trattamento economico, nel suo insieme, in godimento del segretario comunale".

4. - In replica all'Avvocatura dello Stato, la difesa del ricorrente obietta in primo luogo che, poiché l'indennità di toga é retribuzione fondamentale e la pensione é retribuzione differita, non può non farsi applicazione al trattamento di quiescenza dell'art. 36, primo comma, Cost. Diversamente opinando, mediante richiamo all'art. 228 del ricordato testo unico, si sopprimerebbe - ed in difformità alla giurisprudenza di questa Corte (sentenze nn. 124/1968 e 176/1975) - un diritto costituzionalmente protetto. Nella memoria depositata in vista dell'udienza, poi, l'avv. Mario Nigro, subentrato all'avv. Gino Lanzara, aggiunge la considerazione che l'assegno de quo era attribuito stabilmente per il fatto che il legale dell'ente esercita "la professione esclusivamente nell'interesse dell'amministrazione da cui dipende e non fruisce del trattamento previdenziale previsto per gli avvocati liberi professionisti". E conclude, affermando che, anche secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, la pensione é il prolungamento della retribuzione e che pertanto, anch'essa va liquidata in proporzione, sia alla quantità, sia alla qualità del lavoro prestato. Conseguentemente, tale principio non risulta rispettato, quando l'indennità di toga, che attiene appunto alla qualità del lavoro svolto, venga ai fini pensionistici calcolata nella misura di un quarto.

Considerato in diritto

1. - La questione é fondata.

Va preliminarmente rilevato, così individuandosene gli esatti termini, che oggetto di questa, a ben vedere, non sono i criteri, il meccanismo e, quindi, la misura del trattamento di quiescenza. Appare pertanto superfluo richiamarsi alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui rientra nella discrezionalità del legislatore ordinario - anche se pur sempre nel rispetto della ragionevolezza - disporre in merito ai modi ed al quantum del trattamento di cui sopra. Le censure sono più propriamente rivolte alla determinazione della base pensionabile. Ne consegue che, pur se la questione riguardi i dipendenti degli enti locali - precisamente il "miglioramento del trattamento di quiescenza ed adeguamento delle pensioni a carico della CPDEL", come recita l'epigrafe della legge 1077/1959 - é comunque fuori discussione l'art. 228 della legge comunale e provinciale del 1934, nonostante che l'Avvocatura lo ponga a fondamento del proprio iter argomentativo: quest'articolo, infatti, concerne "gli stipendi e salari" e, per di più, stabilisce che essi vanno fissati "in equa proporzione" con quello del segretario generale, non già che non possono superarlo.

2. - Il procedimento di liquidazione del trattamento di quiescenza si bipartisce in due fasi, l'una immediatamente consecutiva all'altra, ma tra loro inconfondibili: la prima consiste nella definizione dell'ammontare della retribuzione pensionabile, l'altra nella computazione, su quella cifra, della percentuale che il legislatore ha discrezionalmente determinato ai fini della liquidazione della pensione. Ora, la questione su cui la Corte é sollecitata a pronunciarsi é stata sollevata appunto in ordine alla prima fase: più esattamente, in ordine alla decurtazione dell'indennità di toga, nella misura del settantacinque per cento, che nel corso della suddetta fase é stata operata, determinandosi così una retribuzione pensionabile inferiore a quella corrisposta in costanza del rapporto d'impiego e, quindi, una pensione rapportata, non già alla retribuzione effettivamente percepita, ma a quella minore, ottenuta mediante la suddescritta decurtazione dell'indennità di toga.

A nulla gioverebbe rievocare l'origine e le vicende di questa indennità. Ai fini della decisione, appare utile, invece, prendere atto, per un verso, che il giudice a quo, il quale si richiama alla propria giurisprudenza in termini, riconosce che "l'indennità di toga corrisposta agli avvocati del Comune... costituisce... parte fondamentale della retribuzione" e, per altro verso, che essa risulta soggetta interamente a contributo. Se, dunque, l'indennità in parola ha natura di retribuzione contributiva, non può non ritenersi collidere con il principio di cui all'art. 36, primo comma, Cost. la norma di cui all'impugnato art. 18 legge 1077/1959, intesa come disposizione facoltizzante la CPDEL a valutare solo in parte, anziché nella sua interezza, la suddetta indennità all'atto della determinazione della base pensionabile. Il principio costituzionale, infatti, della "retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del... lavoro" prestato si estende innegabilmente, nella sua ampia portata, agli emolumenti che costituiscono parte fondamentale della retribuzione - e tale, come si é visto, il giudice di merito dichiara l'indennità in discorso - , e non si ravvisa alcun motivo, sia nell'art. 18, sia nella legge che lo contiene, il quale induca a considerare la decurtazione della retribuzione contributiva compatibile con esso principio costituzionale.

Né varrebbe invocare il principio, anch'esso costituzionale, del buon andamento dell'amministrazione, cui sembra accennare l'Avvocatura dello Stato, non tenendo peraltro conto delle illogicità e contraddittorietà della disciplina in materia e, quindi, delle applicazioni che ne vengono fatte. Per quanto riguarda la disciplina, basterà rilevare che l'art. 16 - il quale, per espresso disposto dell'art. 18, cpv. ha "valore di interpretazione autentica" unitamente agli artt. 15 e 17 - elenca minuziosamente i compensi, gli assegni, le indennità, che "in nessun caso sono da comprendersi nella retribuzione annua contributiva", e che a nessuno degli elementi ivi indicati é riconducibile secondo il giudice a quo, l'indennità di toga. Per quanto riguarda l'applicazione della disciplina, constatando che in concreto, nonostante l'impugnato art. 18 della legge 1077/1959 - e nonostante altresì l'art. 228 del più volte menzionato testo unico - , la retribuzione del dipendente comunale può superare, come nel caso di specie, quella del rispettivo segretario, l'Avvocatura dello Stato afferma che l'attribuzione dell'indennità di toga, nel corso dell'attività di servizio, non avrebbe alterato "l'equa proporzione del trattamento economico tra il ricorrente ed il segretario comunale". Si direbbe allora che una retribuzione superiore a quella del segretario non turba il buon andamento dell'amministrazione, se corrisposta in costanza del rapporto d'impiego, ma lo turba, viceversa, a partire dalla cessazione di tale rapporto. Una simile conclusione, che tuttavia si ricava dagli argomenti dedotti dall'Avvocatura, costituisce conferma dell'illegittimità costituzionale della norma impugnata; tanto più perché contrasta con la concezione, ormai pacifica e fatta propria anche da questa Corte, secondo cui il trattamento di quiescenza é proiezione di quello di attività, e pertanto é anch'esso tutelato dall'art. 36, primo comma, Cost.

Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, primo comma, della legge n. 1077 del 1959, con conseguente impossibilità di dare applicazione al secondo comma, nella parte in cui fa riferimento a quello precedente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, primo comma, della legge 5 dicembre 1959, n. 1077.

Cosi deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 settembre 1983.

Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 29 settembre 1983.