Sentenza n. 148 del 1982

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SENTENZA N. 148

 

ANNO 1982

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

 

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

 

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 10,comma primo, del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 (Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi) promossi con le conseguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa dal Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna il 29 aprile 1976 sul ricorso proposto da Muzzi Laura contro Regione Emilia Romagna ed altri, iscritta al n. 662 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 340 del 22 dicembre 1976;

 

2) due ordinanze emesse dal Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna, Sezione di Parma, il 9 dicembre 1977, sui ricorsi proposti dalla Cooperativa Muratori del Comune di Reggio Emilia e da Bardi Loris ed altri, contro Regione Emilia Romagna ed altro, rispettivamente iscritte ai nn. 407 e 408 del registro ordinanze 1979, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 196 del 18 luglio 1979;

 

3) ordinanza emessa dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia il 21 novembre 1979 sui ricorsi riuniti proposti dalla S.p.A. Funicolare Como - Brunate contro Comune di Brunate ed altro, iscritta al n. 440 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 290 del 21 ottobre 1981.

 

Visti l'atto di costituzione dell'Amministrazione comunale di Brunate e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 24 febbraio 1982 il Giudice relatore Antonino De Stefano;

 

udito l'avvocato dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

 

1. - Con ordinanza emessa il 29 aprile 1976, il Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna ha sottoposto al giudizio della Corte costituzionale il comma primo dell'art. 10 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 (Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi), nella parte in cui non prevede in materia di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, che la facoltà - attribuita ai controinteressati - di chiedere che il ricorso sia deciso in sede giurisdizionale, possa essere esercitata, quando si tratti di un ente pubblico diverso dallo Stato, anche dall'autorità amministrativa che ha emanato l'atto impugnato. La questione é stata sollevata, d'ufficio, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, in seguito a un ricorso straordinario presentato da Muzzi Laura contro atti del Comune di Anzola Emilia e della Regione Emilia Romagna, concernenti l'approvazione di un piano regolatore generale. Il Comune, ritenendo di potersi avvalere della suddetta facoltà, aveva chiesto la traslazione della vertenza in sede giurisdizionale; ed avendo, in seguito a ciò, la Muzzi investito della stessa il T.A.R., questo decideva di sollevare l'anzidetta questione di legittimità costituzionale.

 

Secondo l'ordinanza di rinvio, nessun dubbio può aversi sulla rilevanza della questione nel giudizio a quo. Dovendosi escludere, data la distinzione - ribadita dallo stesso art. 10 - fra controinteressati e organo che ha emanato l'atto impugnato, che la facoltà di scelta spettasse all'ente che di fatto l'aveva esercitata, nella specie il trasferimento del ricorso straordinario in sede giurisdizionale, non essendo avvenuto su istanza di soggetti a ciò legittimati, dovrebbe essere ritenuto senz'altro inammissibile, mentre diversa potrebbe essere la decisione se, per la mancata inclusione dell'autorità che ha emanato l'atto fra i soggetti abilitati a chiedere la trasposizione del ricorso, fosse dichiarata la illegittimità costituzionale della denunciata norma.

 

Quanto alla non manifesta infondatezza, il T.A.R. osserva che di fronte alla disposizione impugnata si deve distinguere l'ipotesi, in cui il provvedimento impugnato con ricorso straordinario provenga da un organo dello Stato, da quella in cui ad emanarlo sia stato un ente pubblico diverso dallo Stato. Nella prima ipotesi, infatti, poiché nel procedimento previsto per la decisione del ricorso straordinario é lo stesso Stato a decidere "in via amministrativa", l'autorità che ha emanato l'atto non é soltanto "parte", ma mantiene, di fronte ai ricorrenti e ai contro ricorrenti, una posizione di supremazia. E si giustifica così che ad essa sia negata tanto la potestà di impugnare successivamente il decreto di decisione del ricorso straordinario, quanto quella di chiederne, in via preventiva, il trasferimento in sede giurisdizionale.

 

Ben altra, invece, é la situazione, quando di fronte al ricorso straordinario vengano a trovarsi, quali autori dell'atto impugnato, enti pubblici diversi dallo Stato. Autonomi e nettamente distinti dallo Stato, pur essendo ricompresi nella pubblica amministrazione in senso generale, nel procedimento di decisione del ricorso straordinario essi sono, infatti, solo "parti", in senso sostanziale e formale, della controversia, senza alcun potere, al pari dei ricorrenti, né di deciderla, né di influire sulla sua decisione. Ad avviso del T.A.R., perciò, negare a tali enti la facoltà di chiedere il trasferimento del ricorso straordinario in sede giurisdizionale e costringerli così a subire una determinazione adottata in via amministrativa, senza possibilità di immediata tutela giurisdizionale, verrebbe a precludere l'esercizio di un diritto che per la Costituzione (artt. 24 e 113) appartiene a "tutti".

 

Né in contrario varrebbe sostenere che all'autorità che ha emanato l'atto (quando si tratti di un ente pubblico diverso dallo Stato) lo stesso art. 10 del decreto legislativo del 1971 (a differenza da quanto dispone per i "contro interessati") non vieta di impugnare, in caso di soccombenza, il decreto di decisione del ricorso straordinario; e che, quindi, non potrebbe dirsi che il ricorso straordinario, se proposto contro i loro provvedimenti, precluda ad essi definitivamente la via giurisdizionale. Ammesso, infatti, che le cose stiano così, la compatibilità della disposizione impugnata con gl'invocati principi costituzionali rimarrebbe sempre dubbia, dato che all'ente diverso dallo Stato (nella specie il Comune) si imporrebbe di attendere, prima di poter agire in giudizio, lo svolgimento preventivo di una procedura amministrativa che potrebbe durare anni; e dato, anche, che l'ente pubblico diverso dallo Stato sarebbe comunque costretto ad affrontare il giudizio, una volta che ci si arrivi, quasi in posizione di inferiorità rispetto alle altre parti, essendo stata nel frattempo emanata a suo riguardo una "decisione" sfavorevole, anche se amministrativa, alla quale é possibile (ed anzi probabile) che abbia concorso il parere espresso da una delle sezioni consultive del Consiglio di Stato: dello stesso organo, cioè, che può essere chiamato successivamente, nella sede e composizione giurisdizionale, a pronunciarsi in appello sulla medesima controversia.

 

Il dubbio di illegittimità costituzionale della norma impugnata, peraltro - osserva ancora il T.A.R. - non sussiste solo in riferimento agli artt. 24 e 113, ma anche in riferimento all'art. 3 della Costituzione, "che stabilisce la parità di tutti di fronte all'ordinamento". Non si comprenderebbe, infatti, secondo il giudice a quo, quale ragione giustificherebbe, traenti pubblici (escluso lo Stato) e controinteressati, il diverso trattamento processuale e giurisdizionale a fronte di una identica posizione sostanziale, in cui essi si trovano in ordine ad un medesimo atto amministrativo.

 

Con atto 14 dicembre 1976, é intervenuta innanzi alla Corte, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. Quanto alla dedotta violazione dell'art. 113 della Costituzione, l'Avvocatura osserva che tale articolo, in accoglimento di tradizionali principi del nostro ordinamento, garantisce in ogni caso la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi "contro" gli atti della pubblica amministrazione, e quindi esclusivamente e limitatamente in favore dei destinatari degli atti medesimi. Secondo l'Avvocatura é anche da escludere che la norma impugnata contrasti con l'art. 24 della Costituzione. Anche se all'ente pubblico resistente non é consentito richiedere che il ricorso straordinario sia deciso in sede giurisdizionale, non gli é per nulla impedito di impugnare poi, in via giurisdizionale, il decreto presidenziale con cui il ricorso sia stato eventualmente accolto. Ad avviso dell'Avvocatura, infine, é anche da escludere che la norma denunciata violi il principio di eguaglianza. La diversa disciplina del trasferimento del ricorso straordinario in sede giurisdizionale a seconda si tratti di "controinteressati" o di "autorità che ha emanato l'atto", trova infatti una sua razionale giustificazione nella loro evidente diversa posizione.

 

2. - Una questione del tutto analoga, nei confronti della suindicata norma dell'art. 10, primo comma, del d.P.R. n. 1199 del 1971, é stata sollevata, anche questa volta d'ufficio, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, dallo stesso T.A.R. per l'Emilia Romagna, Sezione di Parma, con altre due ordinanze di identica motivazione, entrambe emanate il 9 dicembre 1977 (ma pervenute alla Corte il 19 aprile 1979).

 

Nel motivare in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza della sollevata questione, il Tribunale amministrativo svolge in queste due ordinanze considerazioni del tutto simili a quelle più diffusamente esposte nella precedente.

 

Con atti (di identico contenuto) in data 12 giugno 1979, é intervenuta in entrambi i giudizi, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato, chiedendo, con argomenti corrispondenti a quelli addotti nella prima controversia proposta dallo stesso T.A.R., che la questione sia dichiarata priva di fondamento.

 

3. - Alla norma dell'art. 10, comma primo, del d.P.R. n. 1199 del 1971, ha mosso ancora censura, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, con una ordinanza in data 21 novembre 1979 (pervenuta, peraltro, alla Corte il 29 maggio 1981), anche il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia.

 

Anche in questa occasione la questione é stata sollevata in seguito a un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, proposto dalla Società p.a. Funicolare Como - Brunate per l'annullamento di due deliberazioni della Giunta e del Consiglio del Comune di Brunate, concernenti il negato riscatto del servizio di raccolta e distribuzione di acqua, di cui la ricorrente era da molti anni concessionaria. Avendo l'amministrazione resistente chiesto con formale atto di opposizione - nella convinzione di poter esercitare la facoltà prevista dal citato art. 10 - la trasposizione della vertenza in sede giurisdizionale, la ricorrente, costituendosi in giudizio, con atto 14 ottobre 1977, l'aveva sottoposta al T.A.R. Il giudice a quo, ribadite le argomentazioni svolte nelle precedenti ordinanze del Tribunale amministrativo per l'Emilia Romagna, circa la distinzione che, riguardo al fondamento della norma impugnata, va fatta fra organi dell'amministrazione statale ed enti pubblici diversi dallo Stato, conclude affermando non potersi dire manifestamente infondato il prospettato dubbio di incostituzionalità.

 

Con atto di deduzioni in data 5 marzo 1981, si é costituito innanzi alla Corte il Comune di Brunate, chiedendo che sia dichiarata la illegittimità costituzionale della norma impugnata. Riguardo alle censure formulate con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la difesa del Comune sostiene non potersi dubitare che la norma stessa violi entrambi i precetti costituzionali. Ma oltre che con gli artt. 3 e 24, secondo la difesa del Comune, la norma in questione contrasta anche con i principi sanciti dall'art. 113 della Costituzione. Giacché, se é vero che in tale articolo la garanzia della tutela giurisdizionale si prospetta come mezzo di difesa del cittadino contro l'attività della pubblica amministrazione, non potrebbe non configurarsi, d'altro canto, nell'ambito di esso, la posizione inversa, e cioè il diritto della pubblica amministrazione a difendere a sua volta in sede giurisdizionale la legittimità degli atti che il cittadino pretende illegittimi.

 

Nell'atto di intervento per il Presidente del Consiglio dei ministri, depositato il 10 novembre 1981, l'Avvocatura dello Stato ripropone, per motivi e con deduzioni del tutto analoghi, le conclusioni già espresse nei sopra menzionati giudizi promossi dal Tribunale amministrativo per l'Emilia Romagna.

 

In una memoria presentata il 1 febbraio 1982 la difesa del Comune di Brunate dà ulteriore svolgimento alle deduzioni già esposte a sostegno della fondatezza della questione.

 

4. - Alla pubblica udienza del 24 febbraio 1982, dopo che il giudice Antonino De Stefano ha svolto la relazione, l'avvocato dello Stato Renato Carafa ha insistito per la dichiarazione di non fondatezza.

 

 

 

Considerato in diritto

 

 

 

1. - Il primo comma dell'art. 10 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 (emanato in attuazione di delega conferita con l'art. 4 della legge 18 marzo 1968, n. 249, nel testo sostituito con l'art. 6 della legge 28 ottobre 1970, n. 775), avente ad oggetto la "semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi", stabilisce, a proposito del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, che i controinteressati, entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione del ricorso (eseguita nei loro confronti in applicazione del precedente art. 9), possono richiedere, con atto notificato al ricorrente e all'organo che ha emanato l'atto impugnato, che il ricorso sia deciso in sede giurisdizionale. In tal caso il ricorrente, qualora intenda insistere nel ricorso, deve depositare nella segreteria del giudice amministrativo competente, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento dell'atto di opposizione, l'atto di costituzione in giudizio, dandone avviso mediante notificazione all'organo che ha emanato l'atto impugnato ed ai controinteressati; e il giudizio segue in sede giurisdizionale.

 

Le ordinanze dei Tribunali amministrativi regionali per l'Emilia Romagna e per la Lombardia sollevano, come esposto in narrativa, questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, della menzionata norma, nella parte in cui non prevede che la facoltà, attribuita ai controinteressati, di chiedere che il ricorso sia deciso in sede giurisdizionale, possa venire esercitata anche dall'autorità amministrativa che ha emanato l'atto impugnato, quando si tratti di ente pubblico diverso dallo Stato.

 

2. - Le ordinanze di rimessione sottopongono a questa Corte la stessa questione di legittimità costituzionale; pertanto i relativi giudizi vengono riuniti per essere decisi con unica sentenza.

 

3. - La questione é fondata.

 

Giova ricordare che questa Corte, con sentenza n. 1 del 1964, ebbe a dichiarare la illegittimità costituzionale del secondo e del terzo comma dell'art. 34 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, "in quanto il procedimento per la proposizione e la risoluzione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica non assicura ai controinteressati la possibilità della tutela giurisdizionale".

 

A seguito di tale pronuncia la giurisprudenza del Consiglio di Stato accolse una diversa interpretazione delle cennate norme, riconoscendo anche ai controinteressati (e non soltanto, secondo la precedente interpretazione, ai cointeressati) la facoltà di richiedere la trattazione del ricorso in sede giurisdizionale. A siffatto principio si é appunto ispirata la disciplina della "opposizione dei controinteressati", che forma oggetto del menzionato art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971. Il quale viene ora denunciato per non aver collocato sullo stesso piano del controinteressato, ai fini della "scelta" fra le vie straordinaria o giurisdizionale, l'autorità amministrativa che ha emanato l'atto impugnato con il ricorso straordinario, allorché si tratti di un ente pubblico diverso dallo Stato.

 

L'assunto dei giudici a quibus va condiviso. Come questa Corte ha già affermato in altra sentenza (n. 31 del 1975), il ricorso in parola contro atti amministrativi definitivi costituisce "un rimedio singolare, anomalo, alternativo al ricorso giurisdizionale caratterizzato da uno speciale procedimento contenzioso sui generis, con limitato contraddittorio, che si svolge interamente a livello governativo, e si conclude con un decreto del Capo dello Stato - atto ministeriale, non di prerogativa - di cui il Ministro proponente, o il Presidente del Consiglio, assume con la controfirma la responsabilità politica e giuridica". Ed é alla competenza esclusiva dei Ministri e del Governo che resta, pertanto, affidato, dalla vigente come dalla preesistente disciplina, l'intero procedimento istruttorio e decisionale. Appunto sotto questo profilo, non si può non convenire sulla diversità della posizione dell'autorità resistente, a seconda che l'atto, contro il quale é rivolto il ricorso, provenga da un organo dello Stato o di altro ente pubblico. Nel primo caso, infatti, é pur sempre la stessa amministrazione, in un ambito organizzativo unitario, che decide sull'impugnativa avverso l'atto che da essa emana, collocandosi perciò nel procedimento, come rilevano le ordinanze di rimessione, su un piano di sostanziale preminenza di fronte al ricorrente ed ai controinteressati. Diversa nel procedimento in parola é la posizione dell'autorità non statale, la quale vi assume la veste di mera controparte rispetto al ricorrente, senza alcun potere di decidere, e neppure di influire, più di quanto non sia dato alle altre parti, sulla decisione. Ed infatti, giurisprudenza e dottrina riconoscono all'amministrazione non statale, appunto perché non emana da essa la decisione sul ricorso, quella facoltà d'impugnare in sede giurisdizionale la decisione medesima, che non é ovviamente accordata all'amministrazione dello Stato. Impugnativa, poi, che non soffre di quelle limitazioni ai soli "vizi di forma o di procedimento", che lo stesso art. 10, nel suo ultimo comma, pone ai controinteressati in ragione del mancato esercizio della facoltà di chiedere la trasposizione in sede giurisdizionale, prevista a loro favore dal primo comma.

 

4. - La posizione dell'autorità non statale che ha emanato l'atto impugnato, si affianca, perciò, nel procedimento che s'instaura con il ricorso straordinario, a quella del controinteressato. Ed invero, se resta pur sempre una innegabile differenza sul piano sostanziale, mirando l'una e l'altro alla conservazione dell'atto, ma con distinta ispirazione e per distinta finalità, sul piano processuale ad entrambi é comune l'interesse a resistere in giudizio. Sotto questo profilo, assume quindi decisivo rilievo quella opzione, tra il resistere nella sede straordinaria o in quella giurisdizionale, che la denunciata normativa accorda al controinteressato ma non all'amministrazione non statale. Va in proposito ricordato che il principio dell'alternatività in subiecta materia tra ricorso straordinario al Capo dello Stato e ricorso giurisdizionale, é stato da questa Corte riconosciuto non in contrasto con l'art. 113 della Costituzione (sentenza n. 78 del 1966), argomentando appunto dalla "piena libertà" per il ricorrente di adire la tutela giurisdizionale o rinunciare ad essa. E sempre in nome dello stesso precetto, questa Corte, con la menzionata sentenza n. 1 del 1964, aveva dichiarato la illegittimità costituzionale della normativa del testo unico n. 1054 del 1924, in quanto il procedimento instaurato con il ricorso straordinario non assicurava ai controinteressati la possibilità della tutela giurisdizionale. La diversa interpretazione dell'anzidetta normativa, accolta poi nell'art. 10 del successivo decreto n. 1199 del 1971, ha esteso anche ai controinteressati la libera scelta tra la sede straordinaria e la sede giurisdizionale: essi possono, infatti, optare immediatamente per la trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale, o restare, invece, nella sede straordinaria prescelta dal ricorrente, con ciò stesso rinunciando alla tutela giurisdizionale, in quanto la mancata opposizione preclude loro l'impugnativa della decisione per vizi che non siano di forma o del procedimento. Ma i parametri costituzionali invocati dai giudici a quibus resterebbero certamente vulnerati se eguale potestà non venisse attribuita all'amministrazione non statale che ha emanato l'atto impugnato, non essendovi ragionevoli e plausibili motivi a sostegno dell'attuale disparità di trattamento, che le vien riservata. Per eliminare tale disparità occorre, perciò, anticipare anche per l'amministrazione non statale il momento della scelta tra rinuncia o ricorso alla tutela giurisdizionale, dall'intervenuta decisione sul ricorso straordinario alla conoscenza dell'avvenuta proposizione del ricorso medesimo, acquisita con la sua notifica ad opera del ricorrente. Il quale, pur se, avvalendosi del disposto dell'art. 9 del decreto n. 1199 del 1971, notifichi il ricorso al "Ministero competente", deve ritenersi egualmente soggetto all'onere della notifica all'autorità emanante l'atto impugnato, allorché si tratti di ente pubblico diverso dallo Stato, portatore, quindi, di un proprio qualificato interesse a contraddire nei confronti di una domanda avente ad oggetto l'annullamento del proprio provvedimento. Ben vero che all'amministrazione non statale é stato riconosciuto, come innanzi ricordato, in conseguenza della negata facoltà di scelta in pendenza del procedimento, il diritto ad impugnare senza limitazioni la intervenuta decisione sul ricorso straordinario proposto contro l'atto da essa emanato; ma ciò non appresta adeguato riparo contro gli svantaggi che possono derivare tanto dal ritardo nell'adire la tutela giurisdizionale quanto dalla eventuale compromissione della tutela medesima per effetto del parere che sul ricorso straordinario é chiamato a rendere il Consiglio di Stato (artt. 11 - 13 del decreto n. 1199 del 1971). Svantaggi nei quali non incorrono, invece, i controinteressati, in virtù della tempestiva facoltà di scelta loro accordata.

 

Per le suesposte considerazioni deve, pertanto, dichiararsi la illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 10 del decreto n. 1199 del 1971, nella parte in cui, ai fini dell'esercizio della facoltà di scelta ivi prevista, non equipara ai controinteressati l'ente pubblico, diverso dallo Stato, che ha emanato l'atto impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.

 

5. - La Corte ritiene, infine, di dover fare applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, in ordine all'ultimo comma dello stesso art. 10. In conseguenza, infatti, della decisione che si adotta per il primo comma, va dichiarata la illegittimità costituzionale anche di tale norma, nella parte in cui, ai fini della preclusione dell'impugnazione contro la decisione di accoglimento del ricorso straordinario, per effetto del mancato esercizio della facoltà di scelta, prevista dal primo comma dello stesso articolo, non equipara ai controinteressati l'ente pubblico, diverso dallo Stato, che ha emanato l'atto impugnato, al quale sia stato notificato il ricorso medesimo.

 

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

riuniti i procedimenti iscritti ai nn. 662 R.O. 1976, 407 e 408 R.O. 1979, 440 R.O. 1981

 

1) dichiara la illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 10 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 (Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi), nella parte in cui, ai fini dell'esercizio della facoltà di scelta ivi prevista, non equipara ai controinteressati l'ente pubblico, diverso dallo Stato, che ha emanato l'atto impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica;

 

2) dichiara - in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - la illegittimità costituzionale dell'ultimo comma dell'art. 10 del d.P.R. 24 novembre 1971, n.1199 (Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi), nella parte in cui, ai fini della preclusione dell'impugnazione contro la decisione di accoglimento del ricorso straordinario, per effetto del mancato esercizio della facoltà di scelta, prevista dal primo comma dello stesso articolo non equipara ai controinteressati l'ente pubblico, diverso dallo stato, che ha emanato l'atto impugnato, al quale sia stato notificato il ricorso medesimo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 1982.

 

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 29 luglio 1982.