Sentenza n. 78 del 1966
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SENTENZA N. 78

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO,  

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34, secondo e terzo comma, del T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, promosso con ordinanza emessa il 29 ottobre 1964 dalla Corte suprema di cassazione - Sezioni unite civili - nel procedimento civile vertente tra Spaziani Nelda e l'Amministrazione finanziaria dello Stato, iscritta al n. 15 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 27 marzo 1965.

Visti gli atti di costituzione di Spaziani Nelda e dell'Amministrazione finanziaria dello Stato;

udita nell'udienza pubblica del 20 aprile 1966 la relazione del Giudice Michele Fragali;

uditi l'avv. Fabio Antolini, per la Spaziani, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Elio Vitucci, per l'Amministrazione finanziaria.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - La Corte di cassazione, in una sua ordinanza 29 ottobre 1964, ha prospettato l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, secondo e terzo comma, del T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, in quanto pone in alternativa il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e il ricorso giurisdizionale al Consiglio di Stato.

La questione é stata proposta in relazione al rilievo che al predetto principio di alternatività sembra contrapporsi la regola dell'art. 113 della Costituzione, la quale garantisce sempre la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi contro gli atti della pubblica Amministrazione ed assicura quindi una protezione che non dovrebbe incontrare ostacoli a causa della scelta di un rimedio la cui natura resta amministrativa. Non é decisivo opporre, secondo la Cassazione, che un conflitto fra la decisione del Capo dello Stato e quella dell'autorità giurisdizionale deve essere evitato per far salvo il prestigio del Capo dello Stato, perché questo prestigio non viene in causa quando sull'atto amministrativo di lui si fa prevalere la pronunzia di un organo di giurisdizione; non é nemmeno rilevante obiettare, sempre secondo la Cassazione, che, essendo la decisione del ricorso straordinario emanata su parere dell'Adunanza generale del Consiglio di Stato, di cui fanno parte anche i componenti delle Sezioni giurisdizionali, costoro, ove dovessero esser chiamati a decidere anche sul ricorso giurisdizionale, verrebbero investiti per ben due volte della pronuncia sulla medesima questione, perché diversa é la funzione svolta dal Consiglio di Stato nelle due sedi, e soprattutto perché soltanto nella sede giurisdizionale assume particolare rilevanza la pienezza del contraddittorio e della difesa.

L'ordinanza della Corte di cassazione é stata notificata il 18 febbraio 1965 al procuratore della parte, all'Avvocatura dello Stato, al Pubblico ministero e al Presidente del Consiglio dei Ministri; é stata comunicata il 24 febbraio successivo ai Presidenti delle due Camere e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 27 marzo 1965, n. 78.

Si sono costituite le parti del procedimento svoltosi innanzi la Cassazione; e cioè la signora Nelda Spaziani e il Ministro delle finanze.

Non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.

2. - La parte privata richiama anzitutto la precedente sentenza di questa Corte 1 febbraio 1964, n. 1, con la quale é stata dichiarata l'illegittimità costituzionale delle norme oggi denunciate in quanto il procedimento per la proposizione e la risoluzione del ricorso straordinario non assicura ai controinteressati la possibilità della tutela giurisdizionale; ed osserva che diversi sono i motivi ora prospettati dalla Corte di cassazione, i quali tendono ad una più estesa dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme già esaminate.

Fu sottoposta alla Corte di cassazione l'illegittimità costituzionale dell'intero art. 34 del T.U. sopra ricordato; e, pur essendo vero che, ai fini della decisione del giudice a quo, non é rilevante la soluzione della questione in così ampia portata, é altrettanto vero, a parere della parte privata, che, in definitiva, il fulcro della controversia sta nell'estensione della questione al primo comma dell'articolo suddetto, perché essa potrebbe ancora essere prospettata al Consiglio di Stato nella ulteriore fase che il procedimento potrebbe subire, nel caso di una dichiarazione di illegittimità costituzionale del solo principio di alternatività fra i due rimedi. Questa Corte, con sentenza del 5 giugno 1962, n. 53, ai fini dell'economia dei giudizi, ammise la proposizione di una questione di legittimità costituzionale subordinatamente alla pronunzia di non fondatezza di altra questione proposta in via preliminare; e pertanto può essere disposta la restituzione degli atti alla Corte di cassazione, affinché riesamini i termini della questione così come le vennero prospettati.

La scelta del ricorso straordinario o di quello giurisdizionale, osserva, nel merito, la parte privata, é sempre influenzata dalle condizioni economiche dell'interessato, dato il maggior costo del secondo procedimento, e dato che é aleatorio l'esito di una istanza di gratuito patrocinio per adire ad esso, potendo la commissione competente ad accordarlo essere composta da funzionari appartenenti o già appartenenti all'Amministrazione che ha emesso l'atto impugnato. La scelta della via del ricorso straordinario non può peraltro implicare rinuncia, perché non sussiste una specifica norma che concretamente la prevede, come é nell'art. 33 dello stesso T.U. e comunque perché quella scelta non può sempre implicare quella rinuncia. Non vale nemmeno osservare che, di solito, il ricorso straordinario viene avanzato dopo la scadenza del termine utile per la proposizione del ricorso giurisdizionale, perché i due termini coincidono, ed il termine é addirittura minore per il ricorso straordinario, nell'ipotesi di cui al terzo ultimo comma dell'art. 36 del T.U.; del resto, la regola dell'alternatività difficilmente si giustifica quando entrambi i ricorsi preveduti dalla legge sono proposti nello stesso giorno.

Subordinatamente la parte privata chiede che la decisione sulla questione sia procrastinata fino a che non sarà decisa quella relativa agli effetti della sentenza che dichiari l'illegittimità costituzionale di una norma ordinaria, proposta dal Tribunale di Ferrara con ordinanza pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 31 dicembre 1965, n. 326.

3. - Il Ministro delle finanze osserva che i rilievi di cui all'ordinanza della Corte di cassazione coincidono con quelli che egli ha proposto nel procedimento svoltosi innanzi alla stessa Corte, con gli altri prospettati a proposito della controversia decisa da questa Corte con la sua sentenza 1 febbraio 1964, n. 1, e con la posizione dottrinale assunta da chiari autori, alcuni dei quali appartenenti all'Avvocatura dello Stato.

Non é vero che il ricorso straordinario é un rimedio poco costoso, perché, potendo essere proposto soltanto per motivi di legittimità, la parte é costretta sempre a ricorrere ad un professionista specializzato: se, del resto, il rimedio fosse economicamente meno oneroso, non vi sarebbe valido motivo per conservarlo, non potendosi ammettere che sia consentito dall'articolo 24 della Costituzione un tipo di giustizia per i non abbienti diverso da quello riservato agli abbienti.

La decisione sul ricorso straordinario é un atto amministrativo, e la Corte costituzionale ha già ripudiato, con la sentenza 1 febbraio 1964, n. 1, la tesi della sua natura semigiurisdizionale o quasi giurisdizionale; la legge fa derivare la inammissibilità del ricorso giurisdizionale dal solo fatto che é stato proposto un ricorso straordinario, non già da una dichiarazione tacita di volontà. E, d'altro canto, la tesi della rinunzia alla via giurisdizionale é smentita, anzitutto dalla sussistenza di un diritto ad adire a tale via per gli errores in procedendo inficianti la decisione del Capo dello Stato e, di poi, dalla considerazione che una rinunzia al diritto di impugnare in via giurisdizionale la decisione predetta riguarderebbe diritti non ancora nati, attualmente previsti e non prevedibili; vale a dire un oggetto che la giurisprudenza ordinaria ha escluso dal potere di rinunzia, il quale può riguardare unicamente un'entità attuale. La esigenza che l'Amministrazione operi legittimamente, osserva ancora il Ministro delle finanze, viene realizzata anche attraverso l'esercizio di un potere privato, che é esperibile, non a vantaggio esclusivo dei singoli, ma anche a beneficio dell'azione amministrativa, e che non é preventivamente rinunciabile, anche sulla base dell'art. 113 della Costituzione.

É incongruo sostenere che, proposto il ricorso straordinario, l'interesse legittimo si converte in un interesse semplice, perché tale degradazione avverrebbe a seguito dell'esclusione di ogni tutela giurisdizionale, e perché sarebbe strano attribuire, all'interesse semplice, garanzie di procedimento tanto particolari come quelle che concernono il ricorso straordinario (decreto del Presidente della Repubblica, parere del Consiglio di Stato, deliberazione eventuale del Consiglio dei Ministri).

La preoccupazione di ledere il prestigio del Capo dello Stato é, secondo il Ministro, del tutto anacronistica in un ordinamento che sottopone al controllo di legittimità tutti gli atti amministrativi lesivi dei diritti o degli interessi legittimi, che permette al giudice degli interventi legittimi di annullare atti amministrativi, e che esige per l'atto del Capo dello Stato l'ulteriore controllo della Corte dei conti in sede di registrazione.

Il principio dell'alternatività é certo assolutamente necessario alla sopravvivenza del ricorso straordinario; ma l'argomento potrebbe condurre a trascinare nell'illegittimità l'istituto dello speciale rimedio, non a legittimare una normativa in tanto contrasto con l'art. 113 della Costituzione. L'armonia logica del sistema, fondato sulla formazione dell'atto definitivo attraverso una serie di ricorsi amministrativi allo stesso organo o a quello superiore o sull'impugnabilità di tali atti in sede giurisdizionale entro un breve termine, sarebbe spezzata se, contro l'atto definitivo, potesse ancora esservi un ricorso amministrativo entro un termine di decadenza più ampio, e se poi, contro la decisione di questo, potesse ancora adirsi la via giurisdizionale: si toglierebbe significato alla fissazione di un termine breve per il ricorso giurisdizionale avverso l'atto definitivo, si frustrerebbero le fondamentali esigenze di dare certezza ai rapporti e regolare svolgimento all'azione cui quel termine provvede, e la definitività del provvedimento amministrativo dipenderebbe dalla scelta che spetta all'interessato, il quale potrebbe impugnarla subito in sede giurisdizionale o riservarsi di farlo all'esito di un ricorso straordinario.

L'art. 23, quarto comma, dello Statuto della Regione siciliana non dà argomenti che contrastano con quelli su esposti. Se il ricorso al Presidente della Regione é il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, la norma deve ritenersi caducata, perché la costituzionalizzazione dello Statuto siciliano operata con la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, secondo la sentenza di questa Corte 27 febbraio 1957, n. 38, riguarda lo Statuto quale era al tempo della promulgazione della legge, vale a dire modificato in quelle parti nelle quali esso contrastava con la sopravvenuta Costituzione; se invece, come sembra più esatto, il ricorso al Presidente della Regione sia un istituto del tutto diverso da quello straordinario al Capo dello Stato, non può trarsene alcun argomento a favore della sopravvivenza del secondo; comunque la natura della norma così richiamata impone la necessità di verificarne la legittimità costituzionale, prima che dalla sua esistenza abbia a trarsene argomento a favore della legittimità costituzionale del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.

Infine non si può prescindere dal considerare che la pronunzia su tale ricorso, quando verte su diritti soggettivi, non preclude il controllo giurisdizionale; e non si spiega allora il perché l'art. 113 non debba essere osservato anche quando siano in giuoco interessi legittimi.

4. - Nella discussione orale svoltasi all'udienza del 20 aprile 1966 i difensori delle parti hanno illustrato e ribadito le proprie tesi.

 

Considerato in diritto

 

1. - La sentenza di questa Corte 1 febbraio 1964, n. 1, non ha precluso la proposizione della questione di legittimità costituzionale del principio di alternatività tra ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e ricorso giurisdizionale al Consiglio di Stato.

La sentenza suddetta si occupò infatti delle norme oggi denunciate unicamente sotto il profilo che esse non assicuravano ai controinteressati la possibilità della tutela giurisdizionale, e solamente entro questi limiti ne dichiarò la illegittimità costituzionale; per di più essa fece espressamente salvo l'esame della questione che é oggetto dell'attuale causa, allora trattata dalle parti, ma non prospettata nella ordinanza di rimessione.

Pertanto questa Corte può prendere in esame la questione proposta da quella di cassazione con l'ordinanza 29 ottobre 1964.

2. - Deve essere disattesa l'istanza della parte privata di rinviare gli atti al giudice a quo perché esamini la rilevanza, nella controversia che egli dovrà decidere, della più ampia questione concernente la legittimità costituzionale dell'intero art. 34.

A parte che tale questione impegna pure il primo comma dell'articolo, il quale concerne esclusivamente il ricorso giurisdizionale al Consiglio di Stato, e, quindi, non é implicato in sé e per sé nell'odierna controversia, l'istanza é contraddetta dal fatto che la parte ne riconosce l'irrilevanza immediata; e tale riconoscimento coincide con il pensiero della Corte di cassazione, la quale ritenne di concentrare i suoi dubbi sul predetto principio di alternatività, nonostante le più estese domande ad essa avanzate.

Si é tuttavia osservato che é necessario procedere a nuova delimitazione dei termini della questione, ad evitare che essa risorga, nel prosieguo della controversia, in limiti più vasti qualora venisse dichiarato illegittimo il principio di alternatività: tale necessità risulta implicitamente esclusa dalla Corte di cassazione, che non ha promosso la questione nemmeno in via subordinata, com'é accaduto nel caso deciso da questa Corte con la sentenza del 5 giugno 1962, n. 53, alla quale la parte si richiama. Nell'occasione predetta si affermò che é possibile la proposizione di questioni di legittimità costituzionale in ordine di logica gradualità, ma non che la Corte costituzionale non possa decidere su una questione di legittimità ove non sia stata contemporaneamente dedotta anche l'altra che, in ipotesi, potesse sorgere in conseguenza della dichiarazione di infondatezza della prima.

Il Ministro delle finanze, per suo conto, ritiene che il principio dell'alternatività sottoposto al controllo di questa Corte sia coessenziale all'istituto del ricorso straordinario, cosicché ne contesta la legittimità costituzionale; ma, in tal modo, esso assume che una sentenza di accertamento dell'asserito contrasto fra quella regola e l'art. 113 della Costituzione debba travolgere l'istituto, e richieda quindi una pronunzia di più ampia illegittimità costituzionale ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Sotto questo riflesso il rilievo si dimostra privo di carattere pregiudiziale, e riconferma l'inutilità del rinvio degli atti alla Corte di cassazione.

3. - É pure priva di fondamento la domanda di soprassedere ad ogni pronuncia fino a quando non sarà decisa la questione, proposta dal Tribunale di Ferrara con ordinanza già pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, circa gli effetti della sentenza che dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma ordinaria.

Non convince infatti l'assunto che un giudice competente a decidere su una questione non possa pronunziarsi fino a quando non si conosca quale sia l'effetto della sua sentenza.

4. - Nel merito, questa Corte ritiene che le norme denunciate non escludono né attenuano la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi lesi da un atto amministrativo.

Esse regolano il concorso di due rimedi giuridici avverso un medesimo atto; e lo regolano permettendo all'interessato una scelta fra i medesimi, sulla base di una valutazione di convenienza. Quando l'interessato preferisce proporre ricorso straordinario, é egli stesso che ritiene di poter prescindere dalla tutela giurisdizionale, così come ritiene di farne a meno quando lascia decorrere il termine stabilito per invocarla. Le norme denunciate cioè offrono una alternativa che sollecita l'autonomia soggettiva, e, così essendo, non intaccano il precetto costituzionale che garantisce quella tutela, perché esso non obbliga l'interessato a rivolgere la sua autonomia unicamente nel senso dell'esperimento della protezione assicurata: concetti simili ha espresso la Corte nella sua sentenza 5 febbraio 1963, n. 2, e in quella successiva del 4 giugno 1964, n. 47, si é pure rilevato che l'art. 113 non impedisce alla legge ordinaria di regolare l'esercizio della tutela giurisdizionale nei modi e con la efficacia che più aderisca alle singole situazioni, purché quell'esercizio non sia reso estremamente difficile o puramente apparente (v. anche sentenze 16 dicembre 1964, n. 118, e 3 luglio 1962, n. 87). Ai fini della questione, non importa conoscere per qual motivo l'ordinamento non ammette il ricorso giurisdizionale al Consiglio di Stato quando sia stato proposto quello straordinario: il sistema peraltro appare in logica coerenza con il fatto che il ricorso straordinario é ammissibile anche quando non lo sia più il ricorso giurisdizionale per il decorso del termine assegnato per il suo esperimento. Importa soltanto rilevare che il principio contestato, dando alla parte piena libertà di adire alla tutela giurisdizionale, e facendo dipendere dalla libera determinazione di lei la decadenza da quella tutela, non la rende né impossibile, né difficile, né fittizia: la legge anzi offre, in seno allo stesso ordinamento amministrativo, una protezione ai diritti soggettivi o agli interessi legittimi, che si aggiunge a quella giurisdizionale quando la parte ritiene di poterne fare a meno o da essa é decaduta. E in questo senso essa aumenta la possibilità di reazioni contro l'atto amministrativo illegittimo.

La sostanza del sistema desumibile dalle norme denunciate é che la proposizione del ricorso straordinario ha il medesimo effetto del decorso del termine prescritto per la presentazione del ricorso giurisdizionale: la perdita del diritto a questo rimedio si produce prima del tempo ordinario a seguito di un atto volontario al quale si addiviene nella consapevolezza del valore che vi ha dato la legge, perché questo valore non può non essere presente a colui che utilizza il dettato della norma dalla quale l'effetto deriva. Non conta il motivo per cui l'interessato addiviene alla scelta, così come non conta la causa dell'inutile decorso del termine fissato per l'esperimento della tutela giurisdizionale; non conta nemmeno qualificare la situazione giuridica che si determina mediante la proposizione del ricorso straordinario. Rileva invece l'osservare, e la Corte altra volta l'ha già fatto presente (sentenza 4 giugno 1964, n. 47), che la genericità del precetto contenuto nell'art. 113 della Costituzione non é tale da permettere di opinare che l'esperimento della tutela giurisdizionale non possa essere assoggettata a cause di decadenza, e da far ritenere che la protezione accordata sia invocabile in perpetuità.

5. - Si obietta che la preclusione alla impugnativa dell'atto lesivo mediante ricorso al Consiglio di Stato é stata intesa anche come preclusione dell'impugnativa giurisdizionale della decisione sul merito del ricorso straordinario, in modo che resta impedito ogni sindacato di legittimità sul merito della decisione. Anzitutto però la questione dell'estensione così data al principio di alternatività non viene in considerazione in un giudizio, come quello che ha determinato l'ordinanza della Corte di cassazione, in cui si discute soltanto dell'effetto che la presentazione del ricorso straordinario ha prodotto sul diritto a quello giurisdizionale innanzi al Consiglio di Stato. Comunque il rilievo non avverte che il controllo di legittimità della decisione sul merito del ricorso straordinario, se fosse ammissibile, tenderebbe a fare accertare dal Consiglio di Stato i vizi dell'atto lesivo, per la via mediata della denuncia degli errores in iudicando che inficiano quella decisione, dopo che l'interessato é decaduto dal diritto di far valere tali vizi mediante l'impugnativa giurisdizionale dell'atto; vale a dire tenderebbe ad elidere l'effetto che la proposizione del ricorso straordinario ha causato a seguito della scelta fatta dalla parte. Lo stesso principio di alternatività rimarrebbe inutilmente posto se la controversia, esclusa dalla competenza giurisdizionale del Consiglio di Stato, potesse ritornarvi sotto il profilo dell'errore di giudizio verificatosi nella sede straordinaria, perché, reagendovi in via giurisdizionale contro questo errore, si reagirebbe contro quello che vizia l'atto amministrativo, e, per di più, si conferirebbe efficacia ripristinatoria del diritto alla tutela giurisdizionale amministrativa anche al ricorso straordinario proposto dopo la scadenza del termine stabilito per chiedere quella tutela.

6. - Nessuno dei profili prospettati dà pertanto alla questione un contenuto di fondatezza.

Non ha fondatezza nemmeno l'osservazione dell'amministrazione finanziaria, per cui, se si muove dall'esatta premessa che il principio di alternatività non concerne il rapporto fra il ricorso straordinario e l'azione giudiziaria ordinaria, diviene inspiegabile la diversità di trattamento emergente dalle norme impugnate per quanto concerne la tutela degli interessi legittimi. L'osservazione fa eco a quella analoga della Corte di cassazione, la quale ha considerato che, dichiarandosi illegittimo il principio di preclusione del ricorso al Consiglio di Stato a causa dell'esperimento del ricorso straordinario, si verrebbe a configurare una situazione simile a quella che vige per le posizioni soggettive tutelabili dinanzi al giudice ordinario.

Vi é però da opporre che il ricorso straordinario mira all'annullamento dell'atto lesivo e si pone pertanto nell'ambito medesimo in cui può operare il ricorso al Consiglio di Stato, non in quello coperto dall'azione giudiziaria, che é delimitato dall'art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, sulla abolizione del contenzioso amministrativo; epperò ben si spiega che al ricorso straordinario si dia un valore preclusivo unicamente in confronto al ricorso al Consiglio di Stato, e non anche a quello giudiziario, che assolve a scopi non perseguibili mediante il ricorso straordinario.

Inoltre l'azione giudiziaria ordinaria ha in sé caratteristiche di durata non sempre coincidenti con quelle che delineano l'azione giurisdizionale amministrativa, in coerenza alle diversità sostanziali che tra esse intercorrono; e non appare perciò anomalo che il diritto al ricorso giudiziario non sia assoggettato alle stesse cause di decadenza previste per il ricorso al Consiglio di Stato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, secondo e terzo comma, del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, proposta dalla Corte di cassazione con ordinanza 29 ottobre 1964, in riferimento all'art. 113 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 1966.

 

Gaspare AMBROSINI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI

Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO

 

Depositata in cancelleria il 2 luglio 1966.