Sentenza n. 69 del 1982
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SENTENZA N. 69

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 99, ult. comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Legge fallimentare), promossi con ordinanze emesse dalla Corte d'appello di Milano il 25 giugno 1980, il 25 settembre 1980, il 19 novembre 1980 (n. 3 ordinanze) ed il 21 gennaio 1981 (n. 2 ordinanze), iscritte rispettivamente ai nn. 271, 272, 269, 270, 720, 655 e 660 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 214, 234, 255 e 338 dell'anno 1981.

Visti gli atti di costituzione di Luciano Claudio ed altri, dell'INPS, della Banca Privata Italiana e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 marzo 1982 il Giudice relatore Virgilio Andrioli,

uditi l'avv. Franco Agostini per Luciano Claudio ed altri, l'avv. Giovanni Romoli per l'INPS, l'avv. Michele Giorgianni per la Banca Privata Italiana e l'avvocato dello Stato Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1.1. - Depositato, sotto la data del 27 febbraio 1975 nella cancelleria del Tribunale di Milano, l'elenco dei crediti privilegiati della Banca Privata Italiana s.p.a., posta in liquidazione coatta amministrativa con d.m. 27 settembre 1974 (G.U. 28 settembre 1974), spiegarono opposizione, con tre distinti ricorsi depositati il 13 marzo 1975 e notificati il successivo 5 maggio, Ottorino Gentili, Alberto Giuliano, Vincenzo Dell'Acqua dipendenti della Banca che ne erano stati nell'elenco riconosciuti creditori per indennità di servizio e di quiescenza maturate fino al 30 settembre 1974 al lordo delle ritenute di legge, assumendo che i loro crediti per indennità di anzianità erano di ammontare superiore e rivendicando altri crediti per differenze di competenze maturate nel 1974 fino al 30 settembre 1974, di cui si fecero a chiedere il pagamento.

Nel corso del giudizio, il Gentili e il Dell'Acqua, che avevano continuato a prestare servizio, il primo fino al 31 luglio 1975 e il secondo fino al 30 giugno 1975, e il Giuliano, che era stato licenziato il 15 novembre 1974 con esonero dalla prestazione del servizio nel periodo del preavviso, assumendo che erano state loro liquidate le spettanze successivamente maturate in misura inferiore al dovuto chiesero di essere ammessi al passivo in via privilegiata per le differenze.

1.2. - Con ricorso notificato il 5 maggio 1975, Pontello Silvano, il quale aveva prestato servizio alle dipendenze della Banca fino al 31 agosto 1974, lamentò che la indennità di anzianità gli era stata liquidata senza computarla sulla base della ultima retribuzione percepita, e chiese di essere ammesso al passivo per la differenza in via privilegiata.

1.3. - Riunite le quattro cause, il Tribunale di Milano, con sentenza 11 gennaio-22 febbraio 1979, rigettò le domande condannando nelle spese i ricorrenti i quali, con atto notificato il 13 marzo 1979, interposero appello alla locale Corte, che, richiamato l'orientamento giurisprudenziale della Cassazione inteso ad interpretare l'art. 99 u.c. l. fall. nel senso dell'inappellabilità delle sentenze rese, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, per le controversie che rientrano nella competenza pretorile non solo per valore ma anche per materia (come le controversie individuali di lavoro) e precisato che tale orientamento si estenderebbe anche alle dichiarazioni tardive di credito (come quella formulata dal Pontello), nonché a crediti di massa (parte delle pretese dei tre altri dipendenti della Banca) non ha dichiarato inammissibili gli appelli, ma ha giudicato non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 comma 2 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 99 u.c. r.d. 16 marzo 1942 n. 267 in quanto non consente l'appello avverso la sentenza resa in controversie che, pur eccedendo dai limiti di valore, rientrano nella competenza per materia del pretore, con ordinanza emessa il 19 novembre 1980, notificata il 15 gennaio 1981 e comunicata il 19 dello stesso mese, pubblicata nella G.U. n. 234 del 26 agosto 1981 e iscritta al n. 269 R.O. 1981.

Ad avviso della Corte di Milano il diverso trattamento fatto in punto ad appellabilità di sentenze alle controversie individuali di lavoro a seconda che il datore di lavoro sia in bonis ovvero formi il credito del lavoratore oggetto di opposizione allo stato passivo del datore fallito o in l.c.a. o di dichiarazione tardiva non si giustifichi per esigenze di celerità di giudizio, che - se così fosse - dovrebbe essere estesa (e non lo é) a controversie di natura diversa, né da ciò che competente a conoscere in primo grado delle opposizioni a stato passivo o a elenco di crediti e delle dichiarazioni tardive é quel tribunale che esercita nelle controversie di lavoro trattate fuori da procedure concorsuali funzioni di giudice di appello perché tale identità non spiega la soppressione della garanzia del doppio grado di giurisdizione.

1.4. - Avanti questa Corte nessuna delle parti si é costituita; ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri con atto depositato il 15 settembre 1981, nel quale l'Avvocatura generale dello Stato, pur ammettendo che la disposizione impugnata potrebbe essere interpretata in guisa tale da sottrarla a sospetti d'incostituzionalità, ha concluso per la infondatezza della proposta questione per ciò

a) che le esigenze della procedura fallimentare, connesse alla finalità di definire con il metodo concorsuale, il complesso dei rapporti dell'impresa dissestata, comportano e giustificano peculiari adattamenti del rito, rispetto ai quali la stessa Corte costituzionale, con le sentt. 151 e 152/1980, ha affermato la necessità di verificare, caso per caso, se la norma di diritto fallimentare abbia o meno ragionevolmente derogato ai principi generali del processo per garantire efficacia e speditezza alle procedure concorsuali,

b) che il principio del doppio grado di giurisdizione non forma oggetto di garanzia costituzionale,

c) che, sostituendosi la competenza del tribunale a quella del pretore, la collegialità dell'ufficio e, quindi, del giudizio somministrerebbe maggiori garanzie alle parti.

2.1. - Provvedendo sull'appello avverso la sentenza 7 dicembre 1978-12 febbraio 1979, con cui il Tribunale di Milano aveva parzialmente accolto la dichiarazione tardiva di credito dell'INPS disponendone l'ammissione al passivo del Banco di Milano posto in liquidazione coatta amministrativa in parte in via chirografaria e in parte in via privilegiata, la locale Corte ha giudicato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 comma 1 Cost., dell'art. 99 u.c. r.d. 16 marzo 1942 n. 267 in quanto non consente l'appello avverso le sentenze attribuite alla competenza per materia del pretore, con ordinanza emessa il 19 novembre 1980, notificata il 15 gennaio 1981 e comunicata il 19 dello stesso mese, pubblicata nella G.U. n. 214 del 5 agosto 1981 e iscritta al n. 270 R.O. 1981, la cui motivazione non diverge dall'altra svolta nella ordinanza emessa sotto la stessa data, iscritta al n. 269 R.O. 1981.

2.2. - Avanti la Corte si é costituito l'INPS con atto depositato il 25 ottobre 1981, nel quale ha in via preliminare eccepito l'irrilevanza della proposta questione in giudizio di dichiarazione tardiva di credito, cui non sarebbe applicabile l'art. 99 u.c., e nel merito ha argomentato per la fondatezza da ciò che, se la inappellabilità sancita dall'art. 99 u.c. era concepibile nel 1942 in cui la difesa del cittadino era assai più labile e non garantita costituzionalmente e la competenza del pretore era contenuta sia per valore sia per materia, più non lo é nei tempi attuali in cui ambo le condizioni (tutela del diritto di difesa del cittadino e competenza pretorile) sono radicalmente mutate; ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri con atto depositato il 25 agosto 1981, in cui l'Avvocatura generale dello Stato, riecheggiato il contenuto del precedente atto d'intervento, ha posto in rilievo che il credito tardivamente dichiarato dall'INPS non eccederebbe il limite della competenza pretorile per valore.

3.1. - Provvedendo sull'appello avverso la sentenza 19 ottobre-18 dicembre 1978, con cui il Tribunale di Milano aveva accolto la dichiarazione tardiva di credito dell'INPS disponendone l'ammissione al passivo del fallimento della s.p.a. CREAS in prededuzione per contributi maturati nel periodo in cui la CREAS era sottoposta a procedura di concordato preventivo, la Corte ha giudicato non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 comma 1 Cost., dell'art. 99 u.c. r.d. 16 marzo 1942 n. 267, con ordinanza emessa il 25 giugno 1980, notificata il 5 e comunicata il 12 del successivo mese di novembre, pubblicata nella G.U. n. 234 del 26 agosto 1981 e iscritta al n. 271 R.O. 1981, in cui in aggiunta alla motivazione svolta in altre ordinanze, ha ribadito che la collocazione per prededuzione non divergerebbe, sul piano normativo e applicativo, dalla collocazione in via privilegiata per essere anche i crediti collocati con prededuzione soggetti alle stesse tecniche di accertamento dei crediti privilegiati nelle procedure concorsuali.

3.2. - Avanti la Corte nessuna delle parti si é costituita; l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri riproduce argomentazioni svolte nei precedenti atti.

4. - Provvedendo sull'appello avverso la sentenza 12 aprile-28 giugno 1979, con cui il Tribunale di Milano aveva respinto la domanda, proposta dall'INPS, di ammissione al passivo del fallimento della s.p.a. S.G.M., la locale Corte, riproducendo la motivazione di precedenti ordinanze, ha giudicato non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 comma 1 Cost., dell'art. 99 u.c. r.d. 16 marzo 1942 n. 267, con ordinanza emessa il 24 settembre 1980, comunicata il 12 novembre e notificata il 1 dicembre dello stesso anno, pubblicata nella G.U. n. 255 del 16 settembre 1981 e iscritta al n. 272 R.O. 1981.

Avanti la Corte si é costituito l'INPS con atto depositato il 3 ottobre 1981, in cui sono riprodotte argomentazioni svolte nell'incidente iscritto al n. 270 R.O. 1981; é intervenuto, con atto depositato il 6 ottobre 1981, il cui contenuto riproduce la sostanza di precedenti interventi, il Presidente del Consiglio dei ministri.

5.1. - Pronunciando sull'appello avverso la sentenza 25 ottobre-18 novembre 1979, con cui il Tribunale di Milano aveva respinto la dichiarazione tardiva di credito, proposta dall'INPS per conseguire l'ammissione in prededuzione al passivo del fallimento della s.p.a. OMSA, la locale Corte ha giudicato non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 comma 1 Cost., dell'art. 99 u.c. r.d. 16 marzo 1942 n. 267, in quanto non consente l'appello avverso sentenze emesse nelle controversie che rientrano nella competenza per materia del pretore, con ordinanza emessa il 21 gennaio 1981, notificata e comunicata il 23 luglio dello stesso anno, pubblicata nella G.U. n. 338 del 9 dicembre 1981 e iscritta al n. 655 R.O. 1981, che riproduce la motivazione di precedenti ordinanze.

5.2. - Avanti la Corte si é costituito l'INPS con atto depositato il 23 dicembre 1981 in cui ha riprodotto difese già esposte in precedenti atti; é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri con atto depositato il 22 dicembre 1981, in cui l'Avvocatura generale dello Stato, sulla base di già svolte argomentazioni, ha concluso per la irrilevanza e, in ipotesi, per l'infondatezza della proposta questione.

6.1. - Provvedendo sull'appello avverso la sentenza 14 giugno-10 settembre 1979, con cui il Tribunale di Milano aveva respinto la dichiarazione tardiva di credito, proposta dall'INPS per conseguire l'ammissione con prededuzione al passivo del fallimento della s.p.a. OMSA, la locale Corte ha giudicato non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 comma 1 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 99 u.c. r.d. 16 marzo 1942 n. 267, con ordinanza emessa il 21 gennaio 1981 (notificata il 23 luglio e comunicata il 29 settembre dello stesso anno, pubblicata nella G.U. n. 338 del 9 dicembre 1981 e iscritta al n. 660 R.O. 1981), la cui motivazione non diverge da quella dell'ordinanza resa in pari data tra le stesse parti.

6.2. - Avanti la Corte si é costituito l'INPS con atto comune al precedente iscritto al n. 655/1981, così come riproduce l'atto d'intervento in quell'incidente l'atto depositato il 22 dicembre 1981, con cui l'Avvocatura generale dello Stato ha spiegato intervento per il Presidente del Consiglio dei ministri.

7.1. - Provvedendo sull'appello avverso la sentenza 19 gennaio-26 febbraio 1979, con cui il Tribunale di Milano aveva respinto i ricorsi, separati e poi riuniti, di dichiarazioni tardive di credito, proposti da Cortini Angelo, Gelardi Alfonso, Luciano Claudio, Ferri Corrado, Cambise Sergio e Falciani Cesare per conseguire l'ammissione in via privilegiata al passivo della s.p.a. Banca Privata Italiana, posta in liquidazione coatta amministrativa, la locale Corte, con ordinanza emessa il 19 novembre 1980 (notificata il 16 e comunicata il 21 del mese di settembre del 1981, pubblicata nella G.U. n. 338 del 9 dicembre 1981 e iscritta al n. 720 R.O. 1981), ha giudicato non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 comma 1 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 99 u.c. r.d. 16 marzo 1942 n. 267, precisando, in aggiunta agli argomenti esposti in precedenti ordinanze, che il sospetto d'illegittimità si appunta non già sull'esclusione del doppio grado di giurisdizione, sibbene sulla constatazione della irrazionalità del criterio che ha guidato nel determinare l'inappellabilità: o - ha sottolineato la Corte - l'esclusione del secondo grado deriva da esigenze intrinseche alla procedura fallimentare e allora la inappellabilità dovrebbe colpire tutte le sentenze emesse nei giudizi di opposizione allo stato passivo senza discriminare a stregua del loro valore, ovvero quelle relative a controversie al di sotto di un certo valore, senza discriminare a seconda della loro natura; o l'esclusione del secondo grado dipende dalla materia, ed allora dovrebbe essere estesa al di fuori dell'ambito concorsuale.

7.2. - Avanti la Corte si sono costituiti il commissario liquidatore della Banca con atto depositato il 28 dicembre 1981, nel quale ha argomentato l'infondatezza della questione da ciò che per un verso il doppio grado di giurisdizione non costituisce oggetto di garanzia costituzionale e per altro verso non sussiste identità di situazioni tra accertamento del passivo concorsuale e processo di cognizione ordinaria, e Luciano Claudio, Cambise Sergio e Falciani Cesare con atto depositato il 21 ottobre 1981, in cui hanno eccepito l'irrilevanza della questione per non essere l'art. 99 u.c. l. fall. applicabile alle dichiarazioni tardive di crediti e hanno fatto propria, nel merito, la motivazione della ordinanza di remissione.

Argomentazioni svolte e conclusioni formulate in precedenti interventi sono riprodotte nell'atto, depositato il 22 dicembre 1981, di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

8. - Alla pubblica udienza del 24 marzo 1982, nella quale il giudice Andrioli ha svolto la relazione, gli avv.ti Agostini, Romoli e Giorgianni hanno ampiamente illustrato argomentazioni svolte e conclusioni formulate negli scritti; l'avv. dello Stato Ferri per l'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri ha in particolar guisa insistito sulla esigenza di speditezza delle procedure concorsuali quale ragione giustificatrice della inappellabilità senza limite di valore delle sentenze di ammissione al passivo concorsuale di crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie.

 

Considerato in diritto

 

9.1. - Le sette ordinanze della Corte di Milano, sebbene rese su appelli in controversie in cui sono parti portatori di crediti di lavoro o di previdenza e assistenza obbligatorie da un lato e imprese fallite o in liquidazione coatta amministrativa dall'altro lato e quantunque dei crediti alcuni siano concorrenti e altri suscettibili di prededuzione e tra i creditori concorrenti alcuni abbiano spiegato opposizione tempestiva e altri formulato dichiarazioni tardive, hanno per oggetto la stessa questione di legittimità vuoi per quel che concerne la norma impugnata vuoi per quel che riflette la disposizione della Costituzione assunta a parametro.

La inidoneità delle elencate caratteristiche (tardività della domanda; collocabilità con prededuzione) a suddividere in distinte seppur connesse questioni la unica questione é stata constatata nelle sette ordinanze (tardività nelle ordinanze iscritte ai nn. 269 a 272 e 655 R.O. 1981; collocabilità con prededuzione nelle ordinanze iscritte ai nn. 269, 271, 272 e 655 R.O. 1981) ed é comunque ritenuta nel diritto vivente; d'altro canto, la Corte di Milano, a questione di costituzionalità definita, ben potrà, nei giudizi in cui non é stata puntualmente effettuata detta constatazione, assoggettare, ai fini della cognizione del merito, a verifica i dubbi cui le ripetute caratteristiche offrono occasione. Né esime questa Corte dal giudicare della sostanza della proposta questione il rilievo affacciato nel procedimento iscritto al n. 270 R.O. 1981, che alcuno dei crediti non supererebbe il limite di competenza pretorile per valore, perché il valore della controversia si determina dalla domanda, che nel caso travalicava quel limite, e non dalla misura del parziale accoglimento della medesima, cui é addivenuto il commissario liquidatore del Banco di Milano nel provvedimento che ha poi formato oggetto di giudizio.

Né varrebbe obiettare che soltanto cinque dei sette incidenti sono sorti in procedure fallimentari perché l'art. 99 si annovera tra le norme attratte nel campo della l.c.a. dall'articolo 209 comma 3, che a sua volta figura nell'elenco delle norme della l. fall. idonee ad abrogare disposizioni incompatibili di anteriori leggi speciali disciplinatrici di procedure di l.c.a.

Pertanto, ben si giustifica la unitaria trattazione dei sette procedimenti.

9.2. - Prima di assoggettare il merito dell'unica questione ad esame mette conto di identificarne con precisione l'oggetto perché, se é vero che nelle sette ordinanze viene investito l'art. 99 u.c. l. fall. in quanto non consentirebbe l'appello avverso le sentenze in cause attribuite alla competenza per materia del pretore, non é meno vero che la lettura della motivazione delle ordinanze pone in chiara luce che non tutte le ipotesi di competenza per materia del pretore, adunate nell'art. 8 c.p.c. arricchito dalla successiva legislazione, sono assoggettate ad esame, ma soltanto le specie delle controversie individuali di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie: a parte che nei sette procedimenti non vengono in considerazione se non crediti previsti negli artt. 409 e 442 c.p.c., per i quali riceve applicazione, fuori delle procedure concorsuali, la l. 11 agosto 1973, n. 533, sta che nelle sette ordinanze sono richiamate disposizioni del codice di procedura civile su cui ha operato la forza novellatrice della or menzionata l. 533/1973: più precisamente formano oggetto di richiamo l'art. 440 nella ordinanza iscritta al n. 272 R.O. 1981, gli artt. 409 e 413 nella ordinanza iscritta al n. 720 R.O. 1981, gli artt. 442 e 444 nell'ordinanza iscritta al n. 655 R.O. 1981, gli artt. 409, 413 e 440 nella ordinanza iscritta al n. 269 R.O. 1981, gli artt. 409, 413 e 442 nelle ordinanze iscritte ai nn. 270 e 271 R.O. 1981, e infine gli artt. 409, 413, 442 e 444 nella ordinanza iscritta al n. 660 R.O. 1981. É dunque lecito concludere che alla Corte di Milano sono state direttamente o per richiamo presenti soltanto norme che disciplinano le due categorie di crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie, e che il giudizio di questa Corte non può spazzare su specie di competenza pretorile per materia diverse dalle due ripetute categorie.

10.1. - L'art. 99 u.c., interpretato nel senso fatto proprio dalla Cassazione, di dire inappellabili - quale che sia l'ammontare dei crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie verso impresa fallita o in l.c.a. - le sentenze rese dal competente tribunale non riesce indenne dalle censure di violazione dell'art. 3, che la Corte d'appello di Milano gli ha rivolto.

Invero, non può non apparire irrazionale che delle caratteristiche che fanno speciale il rito costruito con la l. 533/1973 sia inserita nell'art. 99 soltanto la sottrazione delle controversie, che ne formano oggetto, alla normale competenza del tribunale per valore (e la consecutiva competenza per materia del pretore) per inferirne l'inappellabilità di sentenze senza rispettare il limite di lire 750.000, e si continui - com'è pur diritto vivente - a dire disciplinato l'intero giudizio dalle norme del rito ordinario. La discrasia non potrebbe essere più tangibile.

Non meno irrazionale é il trattamento riservato in punto ai mezzi d'impugnazione della sentenza di primo grado ai portatori di crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie a seconda che il datore sia in bonis ovvero fallito o in l.c.a., quando coincidono nel concreto le finalità pratiche degli uni e degli altri (si vuol dire la legittimazione a partecipare alla distribuzione, nel rispetto delle legittime cause di prelazione, del ricavo della liquidazione dei beni del debitore in bonis e no).

10.2. - Alla motivazione della Corte di Milano non ha validamente replicato il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale, in parte fiancheggiato dal commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, non ha mancato di prospettare, in via preliminare, ragioni, che peraltro si é visto inaccettabili, di irrilevanza della questione e proclamato che tra le due interpretazioni letterali dell'art. 99 u.c. sarebbe da privilegiare quella, disattesa dalla Cassazione, che non si espone a sospetti d'incostituzionalità.

Alla esigenza di celerità che varrebbe a contrassegnare le procedure concorsuali e a giustificare sul piano della razionalità l'art. 99 u.c., così come interpretato dalla Cassazione, é da obiettare che tali esigenze sono soddisfatte in pregiudizio non di tutti i creditori di imprese decotte (concorrenti e di massa), ma dei soli portatori di crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie.

Né maggior pregio assiste l'altra argomentazione di ordine, per così dire, interno dedotta da ciò che il tribunale, seppur nella veste di giudice di primo grado, non mancherebbe di esercitare le proprie funzioni anche nelle procedure concorsuali perché la irrazionalità é stata dalla Corte di Milano desunta non dalla struttura collegiale o monocratica del giudice di primo grado (non essenziale la monocrazia dell'ufficio giudiziario di primo grado al rito speciale della l. 533/1973 al punto che il legislatore, convertendo, nella l. 3 aprile 1979 n. 95 il d.l. 30 gennaio 1979 n. 26 che ha emanato provvedimenti urgenti per l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, ha esteso la l. 533/1973 a giudizi di primo grado di competenza del tribunale), sibbene dai due ordini di motivi che si sono riassunti.

Né questa Corte facendo propria la motivazione del giudice a quo erige a principio di vigore costituzionale la garanzia del doppio grado di giurisdizione fuori della area segnata dall'art. 125 comma 2 Cost. perché la dichiarazione d'incostituzionalità dell'art. 99 u.c., così come interpretato dalla Cassazione, basa non già sulla legittimità dei limiti cui l'art. 99 u.c., inteso alla stregua del diritto vivente, assoggetta l'appello avverso sentenze rese su crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie, sibbene sulla constatata irrazionalità dei criteri che hanno indotto alla ampliatio della inappellabilità: o l'esclusione del secondo grado é suggerita da esigenze intrinseche alle procedure concorsuali e allora l'inappellabilità, così come strutturata nella giurisprudenza della Cassazione, dovrebbe coinvolgere tutti i crediti quali che siano i rapporti da cui derivano; o la quasi totale esclusione del secondo grado nei termini segnati dalla Cassazione dipende dalla natura dei crediti di lavoro, e allora dovrebbero esserne travolti anche gli artt. 413 e 440 (in sé e richiamati dall'art. 442) e 444 c.p.c.

Insomma: diritto vivente non equivale sempre a diritto conforme alla Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 99 ultimo comma r.d. 16 marzo 1942 n. 267, nella parte in cui sancisce l'inappellabilità delle sentenze rese su crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie, contemplati negli artt. 409 e 442 c.p.c.; questione sollevata dalla Corte d'appello di Milano con le ordinanze rese il 25 giugno 1980 (n. 271 R.O. 1981), il 25 settembre 1980 (n. 272 R.O. 1981), in numero di tre il 19 novembre 1980 (nn. 269, 270 e 720 R.O. 1981) e in numero di due il 21 gennaio 1981 (nn. 655 e 660 R.O. 1981).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 aprile 1982.

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto  - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 3 aprile 1982.