SENTENZA N. 205
ANNO 1981
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Prof. Edoardo VOLTERRA
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma primo, e 5 del d.P.R. 22 novembre 1961, n. 1192 (Norme per la disciplina dell'impiego della mano d'opera negli appalti concessi dalle amministrazioni autonome delle ferrovie dello Stato, dei monopoli di Stato e delle poste e telecomunicazioni) in relazione all'art. 8 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369 (Divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell'impiego di mano d'opera negli appalti di opere e di servizi) promosso con ordinanza emessa il 24 giugno 1975 dal Pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Casciato Maria e Coppo Eraldo nonchè Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, iscritta al n. 423 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 306 del 19 novembre 1975.
Visti l'atto di costituzione del Ministro dei Trasporti e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica dell'11 novembre 1981 il Giudice relatore Virgilio Andrioli;
udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Ministro dei Trasporti e per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso depositato il 10 dicembre 1974 e notificato il 12 successivo, Casciato Maria, già dipendente di Coppo Eraldo, chiese che il Pretore di Torino, quale giudice del lavoro, ne accertasse il diritto all'inquadramento nel III anzichè nel IV livello riconosciutole dal Coppo, titolare dell'omonima Impresa esercente servizi di appalto per conto delle Ferrovie dello Stato, e ne pronunciasse condanna al pagamento, a titolo di differenza salario e mancata corresponsione dell'assegno mensile, di lire 763.700 con gli accessori di legge. Il Coppo, ritualmente costituitosi, chiese in linea preliminare che, trattandosi di causa comune e inscindibile, fosse disposto, a sensi dell'art. 107 c.p.c., l'intervento dell'Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato e nel merito chiese, previa assunzione di prova per testi, il rigetto delle domande attrici.
Con ordinanza 15 aprile 1975 l'adito Pretore, ai sensi degli artt. 106 e 420, comma secondo c.p.c., autorizzò il Coppo a chiamare in causa l'Azienda delle Ferrovie, che si costituì in persona di Cacciola Mario addetto ai contratti di appalto, e, tramite l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino, che depositò memoria datata 21 maggio 1975 per il Ministero dei Trasporti, Azienda autonoma FF.SS., dedusse disporsi che per la lite Coppo-FF.SS. fosse seguito il rito ordinario e nel merito concluse per la improponibilità o infondatezza della domanda dell'Impresa nei confronti dell'Azienda FF.SS.
Con sentenza 24 giugno 1975 il Pretore accolse la domanda della Casciato nei confronti del Coppo e, con ordinanza di pari data resa sull'altra controversia tra il Coppo e l'Azienda, giudicò non manifestamente infondata la eccezione di illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 2, comma primo e 3 d.P.R. 22 novembre 1961 n. 1192, in relazione all'art. 76 Cost. e 8 della legge 23 ottobre 1960 n. 1369, nonché in relazione agli artt. 3, 4 e 35, comma primo Cost.
2. - Nella ordinanza di rimessione (notificata il 2 luglio 1975 e comunicata l'8 agosto 1975, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 306 del 19 novembre 1975 e iscritta al n. 423 R.O. 1975), il Pretore, premesso che la materia degli appalti di mano d'opera conferiti dall'Azienda delle Ferrovie a ditte private è disciplinata dal d.P.R. 22 novembre 1961 n. 1192, e, per quel che concerne le retribuzioni del personale ferroviario da assumere a parametro di raffronto per le retribuzioni del personale dipendente da imprese appaltatrici, dagli artt. 3 l. 6 febbraio 1963 n. 45, 21 d.P.R. 21 aprile 1965 n. 373, e 32 d.P.R. 5 giugno 1965 n. 749, e che l'art. 6 l. 29 ottobre 1971 n. 880 disponeva per l'assunzione, in gestione diretta delle Ferrovie, di taluni servizi ivi compreso quello cui era addetta la Casciato (n. 19 allegato) e per la conseguente assunzione del personale già dipendente delle ditte appaltatrici (artt. 6 a 11), considero a) che in ogni caso il testo normativo fondamentale per la disciplina degli appalti in esame rimaneva il d.P.R. del 1961, b) che l'art. 8 l. 1369/1960 conferiva al Governo la delega ad emanare un decreto presidenziale contenente norme relative alla disciplina dell'impiego di mano d'opera negli appalti concessi fra l'altro dall'Amministrazione delle Ferrovie "in conformità con le disposizioni di cui ai precedenti articoli, tenendo conto delle esigenze tecniche delle amministrazioni stesse, e salvaguardando gli interessi del personale dipendente delle imprese fornitrici di mano d'opera" (direttiva applicabile anche al rapporto de quo), c) che il rispetto delle esigenze tecniche, di cui l'art. 8 faceva parola, operava per le sole modalità operative con cui la prestazione specificamente richiesta al dipendente dell'impresa appaltatrice doveva concretamente svolgersi, e non anche per esoneri da responsabilità delle amministrazioni appaltanti, d) che, invece, l'art. 2 d.P.R. 1192/1961 escludeva le amministrazioni autonome dello Stato dalla responsabilità solidale con gli imprenditori appaltatori di cui all'art. 3 comma primo l.1369/1960, prevedendo l'obbligo di inserzione nei contratti di appalto di "clausole che assicurino al personale delle imprese il trattamento normativo ed economico previsto dal contratto collettivo di lavoro vigente per la categoria durante l'esecuzione dell'appalto" correlativamente dichiarando all'art. 3 d.P.R. 1192/1961 l'inapplicabilità dell'art. 6 u.c. l. 1369/1960 alle amministrazioni medesime.
Nella duplice esclusione il Pretore ravvisò eccesso dalla delega per ciò che il decreto presidenziale da un lato non rispettava principi e i criteri direttivi della delega e dall'altro lato provocava discriminazione di trattamento in ragione di un fatto occasionale (qualità dell'appaltante) ed estraneo al rapporto di lavoro considerato indebolendo e ingiustamente differenziando la pari tutela del lavoratore che non cessava di essere dipendente subordinato. Di qui, sempre a giudizio del Pretore, la rilevanza, ai fini della risoluzione della controversia tra il Coppo e l'Azienda delle Ferrovie e della individuazione del rito - se speciale del lavoro o ordinario - da osservarsi, della questione di costituzionalità come sopra prospettata.
3. - Avanti la Corte, non si è costituito il Coppo; hanno invece spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro per i trasporti con unico atto depositato il 5 dicembre 1975, nel quale l'Avvocatura generale dello Stato ha concluso per la infondatezza della questione sul riflesso che I) nell'art. 8 l. 1369/1960 è da ravvisare la volontà del legislatore di consentire l'adattamento del tutto razionale della legge delegante alle esigenze di ordine strutturale in senso tecnico proprie delle Amministrazioni autonome delle Ferrovie dello Stato, dei Monopoli di Stato ecc., senza ledere gli interessi dei dipendenti delle imprese appaltanti, II) più incisivamente, la mancata ipotizzazione della responsabilità solidale delle Amministrazioni con gli appaltatori non esonda dai limiti di delega perchè prevista per un limitatissimo numero di appalti di opere e di servizi, III) l'art. 2 comma primo d.P.R. 1192/1961, ad ulteriore salvaguardia degli interessi dei lavoratori, ha introdotto all'ultimo comma l'obbligo per le Amministrazioni autonome di dare comunicazione dei contratti di appalto ai competenti ispettorati del lavoro per la vigilanza sugli adempimenti delle imprese appaltatrici nei confronti dei loro dipendenti. Infine l'Avvocatura ha escluso il contrasto tra le norme impugnate e gli artt. 3 per la diversità di situazioni contemplate, 4 e 35 della Costituzione perchè non viene inferta al diritto al lavoro offesa.
4. - La discussione fissata per l'udienza del 20 maggio 1981 è stata rinviata alla udienza dell'11 novembre 1981, nel corso della quale il giudice Andrioli ha svolto la relazione e l'avvocato dello Stato Azzariti ha insistito nelle già prese conclusioni.
Considerato in diritto
5. - Sebbene il giudice a quo e l'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta per il Presidente del Consiglio dei ministri e costituitasi per il Ministro per i trasporti, non siansi fatti carico del problema, non può la Corte esimersi dal verificare se le Camere abbiano conferito con l'art. 8 l. 1369/1960 al Governo delega ad emanare decreto avente valore di legge ordinaria, perchè, sol se il dubbio sia affermativamente sciolto, la questione prospettata dal Pretore è ammissibile in questa sede (in tali sensi sent. 47/1963, 72, 73, 91 e 118/1968).
6. - Per l'art. 8 l. 23 ottobre 1960 n. 1369 "con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta congiunta dei Ministri per le finanze, per i trasporti, per le poste e le telecomunicazioni e per il lavoro e la previdenza sociale, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, saranno emanate le norme per la disciplina dell'impiego di manodopera negli appalti concessi dalle Amministrazioni autonome delle Ferrovie dello Stato, dei Monopoli di Stato e delle poste e telecomunicazioni, in conformità con le disposizioni di cui ai precedenti articoli, tenendo conto delle esigenze tecniche delle Amministrazioni stesse e salvaguardando gli interessi del personale dipendente delle imprese fornitrici di manodopera" (comma primo) e "qualora non vengano emanate le norme di cui al precedente comma nel termine ivi previsto, la presente legge troverà applicazione anche nei confronti delle predette Amministrazioni autonome dello Stato" (comma secondo).
L'art. 8 in una con non poche modifiche fu inserito, nella proposta di legge approvata dalla Camera dei Deputati nella seduta del 15 ottobre 1959, dal Senato della Repubblica nella seduta del 14 luglio 1960 e le Commissioni permanenti IV e XIII della Camera così giustificarono l'inserzione nella Relazione presentata alla Presidenza il 6 ottobre 1960 (Atti parlamentari - Camera dei Deputati, n. 130-134-C): "Riteniamo che la delega data al Governo con l'art. 8 costituisca un notevole perfezionamento della legge e auspichiamo che, nei termini previsti dalla delega stessa, avvenga la sistemazione delle numerosissime situazioni difformi dal dettato della presente legge".
Nondimeno i due commi dell'art. 8 convincono che la norma non conferì al Governo delega ad emanare decreto avente valore di legge ordinaria: da un lato, nel tessuto verbale della disposizione non si avvertono verba che esprimano siffatta volontà perchè le Camere si sono limitate a conferire il potere di emanare norme senza far parola della forza di legge che avrebbe dovuto in ipotesi rivestirle, e, per altro verso, non hanno additato al Governo principi ma gli hanno fatto obbligo di emanare norme conformi alle precedenti disposizioni - nessuna esclusa - della legge tenendo conto delle esigenze tecniche delle Amministrazioni e salvaguardando gli interessi del personale dipendente dalle imprese fornitrici della manodopera. Né la intitolazione della legge (divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell'impiego di mano d'opera negli appalti di opere e di servizi) fa verbo della delega di cui all'art. 8.
In perfetta armonia con i dati ricavati del primo comma sta il secondo comma dell'art. 8, il quale condiziona l'applicazione di tutta la legge alle Amministrazioni autonome alla emanazione, da parte del Governo, delle norme di cui al primo comma nel termine di sei mesi dalla entrata in vigore della legge.
In disparte il mancato richiamo degli artt. 76 e 77 Cost. nel preambolo del d.P.R., la fissazione di termini per la prolazione di questo e la carenza del parere del Consiglio di Stato per la equivocità degli indizi a favore della natura di decreto legislativo delegato del d.P.R. medesimo potrebbero gettar luce sulla frase della Relazione delle Commissioni referenti della Camera, che si è riportata, e, soprattutto, la procedura di approvazione diretta adottata nel caso dalla Camera, che è richiesta dall'art. 72 ultimo comma Cost. Peraltro è lecito replicare che tale procedura ben può essere seguita anche per disegni di legge attributiva di potestà regolamentare e che la frase della relazione per investire l'intera materia della proposta ha carattere polisenso.
In tale guisa giudicando, la Corte rimane fedele all'orientamento interpretativo manifestato con la sentenza 13 marzo 1974 n. 63 con cui la dichiarazione di parziale illegittimità, per contrasto con l'art. 3 Cost., dell'art. 21 d.P.R. 21 aprile 1975 n. 373 sul conglobamento dell'assegno temporaneo nello stipendio del personale statale fu tra l'altro motivata con l'affermata natura regolamentare delle norme contenute nell'art. 2 d.P.R. 1192/1961.
Risultato esegetico che non vincola ovviamente i giudici competenti che saranno chiamati a scrutinare se i materiali normativi che si sono passati in rassegna valgano a costruire un valido regolamento pur privo di forza di legge.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità del combinato disposto degli artt. 2 comma primo e 3 d.P.R. 22 novembre 1961 n. 1192 sollevata, in relazione all'art. 76 Cost. e 8 legge 23 ottobre 1960 n. 1369, nonché in relazione agli artt. 3, 4, 35 comma primo Cost., con ordinanza 24 giugno 1975 del Pretore di Torino.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1981.
Leopoldo ELIA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI – Francesco SAJA
Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1981.