Sentenza n. 73 del 1968
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SENTENZA N. 73

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 317, secondo comma, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F (legge sui lavori pubblici), degli artt. 51 e 64 del R.D. 31 ottobre 1873, n. 1687 ("regolamento circa la polizia, la sicurezza e la regolarità dell'esercizio delle strade ferrate") e dell'art. 9, secondo comma, del R.D. 15 marzo 1923, n. 692, convertito nella legge 17 aprile 1925, n. 473 ("limitazione dell'orario di lavoro per gli operai ed impiegati delle aziende industriali e commerciali"), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 7 giugno 1966 dal pretore di Priverno nel procedimento penale a carico di Tabegna Amedeo, iscritta al n. 154 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 226 del 10 settembre 1966;

2) ordinanza emessa il 5 ottobre 1966 dal pretore di Busto Arsizio nel procedimento penale a carico di Flenghi Vittorio, iscritta al n. 217 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 324 del 24 dicembre 1966;

3) ordinanza emessa il 13 gennaio 1967 dal pretore di Pavia nel procedimento penale a carico di Spada Ugo, iscritta al n. 54 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 89 dell'8 aprile 1967;

4) ordinanza emessa il 9 febbraio 1967 dal pretore di Borgo San Lorenzo nel procedimento penale a carico di Materassi Adriano, iscritta al n. 68 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 22 aprile 1967;

5) ordinanza emessa il 25 febbraio 1967 dal pretore di Caltanissetta nel procedimento penale a carico di Orlando Benito, iscritta al n. 90 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 157 del 24 giugno 1967;

6) ordinanza emessa il 10 novembre 1967 dal pretore di Cagli nel procedimento penale a carico di Paleani Francesco e Cristina, iscritta al n. 8 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 del 24 febbraio 1968.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione di Tabegna Amedeo; udita nell'udienza pubblica del 10 maggio 1968 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio; uditi l'avv. Vincenzo Mazzei, per il Tabegna, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Piero Peronaci, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento penale contro il sig. Adriano Materassi, imputato del reato previsto dagli artt. 51 e 64 del regolamento circa la polizia, la sicurezza e la regolarità dell'esercizio delle strade ferrate approvato con R.D. 31 ottobre 1873, n. 1687, il pretore di Borgo San Lorenzo sollevò (ordinanza 23 giugno 1965) una questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 317 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F, ritenendo non manifestamente infondato il dubbio che la facoltà ivi conferita al Governo di "comminare pene di polizia e multe" attraverso un regolamento contrasti con l'art. 25 della Costituzione, in forza del quale solo la legge può prevedere un fatto come reato e stabilire le relative sanzioni penali.

Analoga questione di legittimità costituzionale venne sollevata dal pretore di Caltanissetta (ordinanza emessa il 6 dicembre 1965 nel procedimento penale a carico di Benito Orlando), in riferimento non solo all'art. 25, secondo comma, ma anche agli artt. 1, secondo comma, 70, 76 e 77 della Costituzione.

Con ordinanza n. 126 del 1966 questa Corte, pronunciandosi sui due giudizi, dopo aver osservato che ai fini di una completa valutazione della rilevanza della questione erano da prendere in considerazione alcune disposizioni successive a quella impugnata - e, cioé, l'art. 26 della legge 30 giugno 1906, n. 272, riprodotto nell'art. 216 del T.U. approvato con R.D. 9 maggio 1912, n. 1447, e l'art. 1 del R.D.L. 18 gennaio 1832, n. 43, convertito in legge 24 marzo 1932, n. 300 - dispose la restituzione degli atti ai due giudici.

2. - Con ordinanze rispettivamente emesse il 9 e il 25 febbraio 1967 sia il pretore di Borgo San Lorenzo che il pretore di Caltanissetta - dopo aver escluso che le disposizioni successive alla legge n. 2248, allegato F, del 1865 ed al regolamento contenuto nel R.D. n. 1687 del 1873 abbiano spiegato effetti su quest'ultimo - hanno riconfermato la rilevanza della questione di legittimità costituzionale, sollevandola negli stessi termini proposti nelle precedenti ordinanze.

Le due ordinanze sono state notificate e comunicate a norma di legge e sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale: l'ordinanza 9 febbraio 1967 del pretore di Borgo San Lorenzo nel n. 102 del 22 aprile 1967 e l'ordinanza 25 febbraio 1967 del pretore di Caltanissetta nel n. 157 del 24 giugno 1967.

L'Avvocatura dello Stato, intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri nel procedimento promosso dal pretore di Borgo San Lorenzo (atto di deduzioni depositato il 9 maggio 1967), dopo aver rilevato, in ciò concordando col giudice a quo, che il R.D. 31 ottobre 1873, n. 1687, deve essere considerato tuttora in vigore e che tuttora esso trova fondamento nella legge impugnata, osserva che si può fondatamente dubitare che la fattispecie contravvenzionale oggetto del giudizio di merito sia prevista in una norma regolamentare e non a gerarchia legislativa: in favore di quest'ultima ipotesi, a suo avviso, sta la considerazione che una attenta lettura dell'art. 317 impugnato induce a ritenere che il precetto penale e la conseguente sanzione si ritrovino in questa norma legislativa, mentre solo per l'indicazione di certi elementi della fattispecie si fa riferimento ad altri atti normativi, considerati dal legislatore quali presupposti per l'applicazione della norma penale. A tal proposito l'Avvocatura osserva che i principi affermati nella giurisprudenza della Corte inducono a ritenere che nel caso in esame la riserva di legge sia stata rispettata; subordinatamente, richiamandosi alle deduzioni a suo tempo depositate nel giudizio promosso dalla prima ordinanza del pretore di Borgo San Lorenzo, l'Avvocatura sostiene che la previsione di fattispecie criminose in norme non a gerarchia legislativa va valutata non in funzione dell'attuale ordinamento, ma di quello in vigore all'epoca in cui la delega venne conferita.

La difesa del Presidente del Consiglio conclude chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.

3. - Analoga questione di legittimità costituzionale é stata sollevata dal pretore di Priverno. Con l'ordinanza emessa il 7 giugno 1966 nei procedimenti penali riuniti a carico del signor Amedeo Tabegna - imputato del reato di cui agli artt. 51 e 64 del R.D. 31 ottobre 1873, n. 1687, per aver viaggiato sfornito di biglietto ferroviario - il pretore osserva che l'art. 317 della legge n. 2248 allegato F del 1865 contiene una delega generica al Governo, investito del potere discrezionale di emanare norme regolamentari di carattere penale: nel che, a suo parere, si dovrebbe ravvisare non solo la violazione dell'art. 25 della Costituzione, che esige che le norme penali siano stabilite con legge o con atto avente forza di legge, ma anche degli artt. 76 e 77 della Costituzione, sia perché manca la prefissione di principi direttivi e di un termine sia perché il regolamento ferroviario venne emanato con atto avente forza di legge. L'ordinanza aggiunge che l'obbligo di esibizione del biglietto ferroviario - ai sensi dell'art. 51, comma quinto, del regolamento compreso nel dovere, penalmente sanzionato, di uniformarsi agli inviti rivolti dal personale ferroviario - contrasta con varie disposizioni costituzionali, ed in particolare con l'art. 2, che tra i diritti inviolabili dell'uomo comprende quello concernente l'autonomia negoziale, con l'art. 13, che esclude che la libertà personale possa essere coartata al di fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge, e con gli artt. 16 e 41, i quali rispettivamente garantiscono la libertà di circolazione e la libertà negoziale intesa come libertà economica del singolo. Dopo aver escluso che l'obbligo in questione possa trovare nell'art. 23 della Costituzione un fondamento di legittimità, il pretore rimette alla Corte la decisione della questione di legittimità costituzionale sia dell'art. 317, comma secondo, della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato F, sia degli artt. 51 e 64 del regolamento di polizia ferroviaria.

L'ordinanza, notificata e comunicata a norma di legge, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 226 del 10 settembre 1966.

Nel presente giudizio si é costituito il signor Amedeo Tabegna (atto depositato il 5 ottobre 1966) ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri (atto depositato il 30 settembre 1966).

La difesa del Tabegna sostiene, anzitutto, la tesi che gli artt. 51 e 64 del regolamento ferroviario non concernono la disciplina contrattuale del trasporto ferroviario ed osserva che la diversa interpretazione data a quelle norme dalla Cassazione porta alla conseguenza che risultano violati gli artt. 76 e 77 della Costituzione, e ciò perché le norme delegate non trovano fondamento valido nell'art. 317 della legge del 1865; aggiunge che, comunque, quest'ultimo contrasta con l'art. 25 della Costituzione, perché demanda alla potestà regolamentare la comminazione di sanzioni penali e rileva, infine, che l'obbligo di esibizione del biglietto, discendendo da un contratto di trasporto, non può essere sanzionato penalmente senza che siano violate l'autonomia negoziale privata, la libertà personale e la libertà di circolazione. La difesa conclude chiedendo che siano dichiarati illegittimi sia l'art. 317 della legge sia gli artt. 51, quinto comma, e 64, primo comma, del regolamento del 1873.

Secondo l'Avvocatura dello Stato, invece, il sindacato di legittimità sulla produzione delle norme va condotto con riferimento all'ordinamento costituzionale vigente nell'epoca, e perciò essenziale per una legittima delegazione concessa prima della Costituzione, é l'esistenza di una legge delegante avente ad oggetto una materia ben definita: ed é certo che, nel caso in esame, l'art. 317 indica i limiti del potere concesso al Governo.

L'Avvocatura prosegue osservando che dalla conseguente natura del regolamento ferroviario del 1873 discende che é stata rispettata la riserva di legge sancita dall'art. 25 della Costituzione, dovendosi nel concetto di legge comprendere anche il decreto legislativo ed il decreto legge; conclude mettendo in rilievo che la comminatoria di una sanzione penale per l'inosservanza dell'obbligo di esibizione del biglietto ferroviario non contrasta con i principi costituzionali e chiede che la questione venga dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

In una memoria del 17 gennaio 1968 la difesa del Tabegna osserva che il punto di maggior rilievo nella presente controversia é quello relativo alla illegittimità costituzionale di una sanzione penale irrogata da una fonte diversa dalla legge formale. Dopo aver richiamato i principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 26 del 1966, la difesa mette in evidenza che nella legge impugnata c'é assoluta indeterminatezza del criteri relativi alla precisazione del diversi elementi delle varie fattispecie criminose ipotizzabili, essendo del tutto generica la formula "polizia, sicurezza e regolarità dell'esercizio delle ferrovie" e che, comunque, indeterminata é la misura delle sanzioni penali, non essendo sufficiente l'indicazione del solo limite massimo dell'ammenda.

Sul secondo profilo della questione la difesa osserva che se, come afferma la Cassazione, nel disposto dell'art. 51, comma quinto, del regolamento del 1873 rientra anche l'obbligo di esibire il biglietto ferroviario, il contenuto della norma si risolve nel sanzionare penalmente un rapporto civilistico quale é quello che si instaura fra l'utente e le FF.SS. Richiamando le vicende del caso che diede luogo al procedimento precedente innanzi al pretore di Priverno (a proposito del quale lo stesso Tabegna ha depositato il 4 settembre 1967 un ampio esposto corredato da documentazione) la difesa sostiene che il rifiuto di esibizione del biglietto non fu altro che mezzo di resistenza ad un atto illegittimo della pubblica amministrazione: sicché la sanzione penale che dovrebbe colpire quel rifiuto si risolverebbe nel pregiudizio di uno del fondamentali presidi della libertà del cittadino.

Anche l'Avvocatura dello Stato ha presentato una memoria (depositata il 16 gennaio 1968) nella quale si ribadisce che l'art. 317 della legge del 1865 presenta in termini determinati il precetto penale e la conseguente sanzione e si osserva che la questione relativa alla costituzionalità delle disposizioni contenute nel regolamento del 1873 é improponibile perché, anche se tale regolamento andasse inquadrato fra quelli c.d. delegati, si tratterrebbe sempre di un atto privo di forza di legge e come tale sottratto al sindacato di questa Corte. Nel merito, comunque, l'Avvocatura esclude che il contenuto delle norme impugnate violi gli artt. 2, 13, 16 e 41 della Costituzione, giacché riesce addirittura inspiegabile in qual modo l'obbligo penalmente sanzionato di esibizione del biglietto ferroviario, preordinato alla regolarità del servizio, possa contrastare con la Costituzione.

4. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 317 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F, é stata anche sollevata dal pretore di Pavia (ordinanza 13 gennaio 1967, emessa nel procedimento penale a carico di Ugo Spada) in riferimento agli artt. 13, secondo comma, e 25, secondo comma, della Costituzione, violati perché la legge impugnata, secondo l'avviso del giudice a quo, avrebbe conferito al Governo la facoltà di comminare pene di polizia e multe fino a lire mille senza l'indicazione di alcun criterio direttivo né in ordine alla formulazione del singoli precetti penali né relativamente alla statuizione delle sanzioni.

Il pretore di Pavia ha ritenuto invece manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 317 e del R.D. 31 ottobre 1873, n. 1687, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, osservando in proposito che queste disposizioni costituzionali non riguardano la potestà regolamentare.

L'ordinanza, notificata e comunicata a norma di legge, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 89 dell'8 aprile 1967.

Nel presente giudizio nessuna parte si é costituita.

5. - La stessa questione di legittimità costituzionale dell'art. 317 della legge del 1865 é stata infine sollevata dal pretore di Cagli in riferimento agli artt. 25 e 76 della Costituzione per inosservanza della riserva di legge in materia penale.

L'ordinanza di rimessione - emessa il 10 novembre 1967 nel procedimento penale a carico di Cristina e Francesco Paleani - é stata notificata e comunicata a norma di legge ed é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 50 del 24 febbraio 1968.

Nel presente giudizio nessuna parte si é costituita.

6. - Nel corso di un procedimento penale a carico del signor Vittorio Flenghi il pretore di Busto Arsizio ha sollevato una questione di legittimità costituzionale concernente il secondo comma dell'art. 9 del R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, relativo alla limitazione dell'orario di lavoro per gli operai ed impiegati delle aziende industriali e commerciali.

Nell'ordinanza, emessa il 5 ottobre 1966, si osserva che l'impugnata disposizione, in quanto conferisce al Governo la facoltà di stabilire nei regolamenti ammende, fino al limite di mille lire, per le contravvenzioni ai regolamenti stessi, sembra contrastare con l'art. 25, comma secondo, della Costituzione, perché attribuisce all'esecutivo il potere di creare nuove figure di reato oltre quelle già prevedute nel testo legislativo e, nell'ambito di ciascuna previsione criminosa, il potere di stabilire discrezionalmente, salvo l'osservanza del limite fissato dalla legge, l'ammontare minimo e massimo della pena.

L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 234 del 24 dicembre 1966.

L'Avvocatura dello Stato, costituitasi in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri con atto di deduzioni depositato il 13 gennaio 1967, osserva che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, la valutazione della legittimità costituzionale delle delegazioni legislative esclusivamente all'accertamento del se la delega riguardi materia ben definita e se il legislatore delegato si sia mantenuto entro i limiti di questa: nel caso di specie, a suo avviso, entrambi i quesiti meritano risposta positiva, perché da un canto la disposizione impugnata ha definito in modo preciso la delegazione conferita al Governo, dall'altro é da escludere che quest'ultimo - come si evince dall'art. 12 del regolamento - abbia istituito una tutela penale al di là di quanto previsto dal provvedimento legislativo.

Ciò posto, l'Avvocatura sostiene che non v'é violazione del principio secondo il quale nessuno può essere punito se non in forma di legge: l'art. 9 del R.D.L. n. 692 del 1923, infatti, in quanto stabilisce che le infrazioni alle disposizioni regolamentari hanno natura contravvenzionale, costituisce esso stesso il precetto normativo penale, e non é cosa illegittima, secondo quanto risulta dalla giurisprudenza di questa Corte, che per la specificazione del singoli elementi della fattispecie si faccia riferimento ad atti non dotati di forza di legge; d'altra parte é inesatto che la norma impugnata abbia demandato al Governo di fissare discrezionalmente quali violazioni debbano essere presidiate da sanzione penale.

Dopo aver osservato che la legge determinò non solo la materia, ma anche la specie della pena ed il limite massimo e - come risulta dall'art. 10 - anche i criteri - guida per la graduazione della gravità delle infrazioni, l'Avvocatura conclude chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.

7. - Nell'udienza pubblica le parti costituite hanno ampiamente svolto le rispettive tesi ed hanno insistito nelle descritte conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le questioni sollevate dalle sei ordinanze indicate in epigrafe presentano identici profili di legittimità costituzionale, e pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - L'art. 317, secondo comma, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, stabilì che il regolamento di esecuzione - al quale il primo comma demandava la determinazione delle norme speciali da osservarsi "per tutto quanto concerne la polizia, la sicurezza e la regolarità dell'esercizio delle ferrovie pubbliche" - potesse prescrivere per i contravventori "pene di polizia e multe fino a lire mille". Nell'esercizio del potere così conferito il Governo emanò il R.D. 31 ottobre 1873, n. 1687.

Il secondo comma del citato art. 317 - a parte altri motivi di illegittimità costituzionale dedotti, come si vedrà, dal pretore di Priverno in aggiunta a quello prospettato anche dai pretori di Borgo San Lorenzo, di Caltanisetta, di Pavia ,e di Cagli, e del quale qui ci si occupa - viene impugnato dalle ordinanze di rimessione, attraverso l'indicazione di una pluralità di norme costituzionali di raffronto, per la violazione del principio secondo il quale solo la legge può validamente disporre in materia penale: l'illegittimità della norma denunziata, infatti, discenderebbe dall'aver essa attribuito all'esecutivo il potere di configurare reati e di stabilire sanzioni al di là del limiti imposti dalla riserva costituzionale di legge.

3. - Nel sollevare siffatta questione di legittimità costituzionale i giudici di merito muovono da un duplice presupposto: a) che nei giudizi innanzi ad essi pendenti debbano trovare applicazione alcune norme penali contenute nel citato regolamento del 1873; b) che queste ultime risulterebbero invalide, ed andrebbero quindi disapplicate, ove venisse dichiarata l'illegittimità costituzionale della disposizione legislativa nella quale esse trovarono fondamento.

Circa il primo punto si deve prendere atto che sia il pretore di Borgo San Lorenzo sia il pretore di Caltanissetta, ottemperando all'invito ad essi rivolto dall'ordinanza n. 126 del 1966 di questa Corte, hanno compiuto l'esame relativo all'incidenza che sul vigore del decreto n. 1687 del 1873 possano aver spiegato le successive norme contenute nell'art. 26 della legge 30 giugno 1906, n. 272 (riprodotto nell'art. 216 del R.D. 9 maggio 1912, n. 1447) e nell'art. 1 del R.D.L. 18 gennaio 1932, n. 43 (convertito in legge 24 marzo 1932, n. 300), e che entrambi sono pervenuti ad una motivata conclusione negativa. Va anche rilevato che l'emanazione della recente legge 20 marzo 1968, n. 304, che ha modificato solo le sanzioni stabilite negli artt. 64 e 65 del regolamento del 1873, non giustificava un provvedimento di restituzione degli atti per un riesame della rilevanza sotto il profilo del ius superveniens: le nuove disposizioni, infatti, non fanno venir meno la necessità di verificare se all'epoca in cui furono commessi i fatti addebitati agli imputati vigesse una valida norma incriminatrice, ed é evidente che a tale accertamento tendono i giudici di merito col proporre il presente giudizio di legittimità costituzionale.

4. - La Corte ritiene, tuttavia, che la questione di legittimità costituzionale dell'art. 317, secondo comma, della citata legge, valutata in riferimento allo scopo in vista del quale viene sollevata, appaia manifestamente irrilevante. Ed infatti si deve recisamente escludere che l'eventuale suo accoglimento possa avere effetti sulla validità delle norme penali contenute nel decreto del 1873.

Giova all'uopo tener presente che sia la legge impugnata sia il regolamento in forza di essa emanato sono anteriori alla Costituzione. Accertare se la prima, nel conferire al Governo un potere normativo in materia penale, abbia rispettato o abbia violato il sistema delle competenze previsto dall'ordinamento costituzionale del tempo, é problema che non forma oggetto del presente giudizio. Quel che le ordinanze chiedono é solo la verifica della conformità della legge del 1865 ai principi sanciti dalla vigente Carta costituzionale.

A tal proposito é da osservare che se una legge, emanata durante la vigenza del vecchio Statuto, avesse attribuito poteri che la successiva Costituzione della Repubblica non consentirebbe di conferire, ed avesse continuato ad operare dopo l'entrata in vigore di questa, essa dovrebbe per ciò essere dichiarata costituzionalmente illegittima. Tuttavia, trattandosi di illegittimità sopravvenuta, gli effetti di tale dichiarazione non potrebbero retroagire ad un momento anteriore a quello nel quale la legge é divenuta incompatibile con i nuovi precetti costituzionali, e, quindi, non sarebbero destinati ad incidere sulla validità degli atti che nell'esercizio della competenza attribuita da quella legge fossero stati posti in essere prima del 1 gennaio 1948.

Alla luce di tali principi appare superfluo accertare se a quella data la legge impugnata fosse ancora in vigore e se da essa derivasse una perdurante legittimazione del Governo ad emanare norme penali con una latitudine di poteri non compatibile con la riserva di legge stabilita dalla Costituzione. É certo, infatti, che se anche ad entrambi i quesiti si dovesse dare risposta affermativa, la dichiarazione di illegittimità costituzionale non travolgerebbe la legittimità del regolamento del 1873, che deve essere valutata, e non da questa Corte, con riferimento al sistema ed alle leggi vigenti al momento della sua emanazione.

Queste considerazioni giustificano la dichiarazione di inammissibilità, per assoluto difetto di rilevanza, della questione di legittimità costituzionale dell'art. 317, secondo comma, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, sollevata nei termini innanzi indicati.

5. - L'ordinanza del pretore di Priverno propone anche una questione di legittimità costituzionale concernente l'a obbligo penalmente imposto al cittadino di uniformarsi alle avvertenze ed agli inviti loro rivolti dal personale delle FF.SS. durante il viaggio sui convogli", a proposito del quale vengono denunciati sia l'art. 317, secondo comma, della legge del 1865 sia gli artt. 51 e 64 del regolamento del 1873.

La censura, in quanto diretta contro il predetto art. 317, é palesemente infondata, perché la norma impugnata, come lo stesso pretore rileva, é contenuta non in quella disposizione di legge, ma nell'art. 51 del regolamento; in quanto, invece, investe quest'ultimo, é inammissibile perché ha ad oggetto un atto non avente forza di legge: cosa pacifica anche per il giudice a quo, dal momento che nella prima parte dell'ordinanza, come si é visto, egli denuncia l'art. 317 della legge per aver conferito al Governo un potere regolamentare in una materia riservata alla legge.

6. - Il pretore di Busto Arsizio, dovendo conoscere di un reato previsto dagli artt. 12 e 17, lett. a, del regolamento approvato con R.D. 10 settembre 1923, n. 1955, ha impugnato per violazione del principio di riserva di legge in materia penale l'art. 9, comma secondo, del R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, in forza del quale quel regolamento venne emanato.

In base alle considerazioni svolte al precedente n. 3 anche questa questione va dichiarata inammissibile per difetto assoluto di rilevanza.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

a) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 317, secondo comma, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, contenente il "testo delle leggi sui lavori pubblici", sollevata dalle ordinanze del pretori di Borgo San Lorenzo, di Caltanissetta, di Priverno, di Pavia e di Cagli in riferimento agli artt. 1, secondo comma, 13, secondo comma, 25, secondo comma, 70, 76 e 77 della Costituzione;

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della stessa disposizione di legge, sollevata dal pretore di Priverno in riferimento agli artt. 2, 13, 16 e 41 della Costituzione;

c) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 51 e 64 del R.D. 31 ottobre 1873, n. 1687, contenente il "regolamento circa la polizia, la sicurezza e la regolarità dell'esercizio delle strade ferrate", sollevata dal pretore di Priverno in riferimento agli artt. 2, 13, 16 e 41 della Costituzione;

d) dichiara inammissibile la questione di legittimità dell'art. 9, comma secondo, del R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, convertito nella legge 17 aprile 1925, n. 473, relativo alla a limitazione dell'orario di lavoro per gli operai ed impiegati delle aziende industriali e commerciali", sollevata dal pretore di Busto Arsizio in riferimento all'art. 25, comma secondo, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 1968.

 

 

Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI

 

 

Depositata in cancelleria il 27 giugno 1968.