SENTENZA N. 194
ANNO 1981
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Prof. Edoardo VOLTERRA
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 3 febbraio 1964, n. 3 (Norme per la elezione e la convocazione del primo consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia e disciplina delle cause di ineleggibilità ed incompatibilità e del contenzioso elettorale) e dell'art. 5 della legge 12 dicembre 1966, n. 1078 (Posizione e trattamento dei dipendenti dello Stato e degli Enti pubblici, eletti a cariche presso Enti autonomi territoriali) promosso con ordinanza emessa il 3 dicembre 1976 dal Pretore di Udine, nel procedimento civile vertente tra Berzanti Alfredo e l'istituto di Mediocredito, iscritta al n. 280 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 198 del 1977.
Visti gli atti di costituzione di Berzanti Alfredo e dell'Istituto di Mediocredito, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 21 ottobre 1981 il Giudice relatore Edoardo Volterra;
uditi l'avv. Gaspare Pacia per Berzanti Alfredo, l'avv. Cesare Meineri per l'Istituto di Mediocredito e l'avvocato dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso del procedimento del lavoro, promosso dal signor Alfredo Berzanti nei confronti dell'Istituto di Mediocredito, il pretore di Udine, con ordinanza emessa il 3 dicembre 1976, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge che il giudice a quo erroneamente ritiene della regione Friuli-Venezia Giulia 3 febbraio 1964, n. 3, e dell'art. 5 della legge 12 dicembre 1966, n. 1078, in riferimento, rispettivamente agli artt. 5, comma primo, n. 1, dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, 3, 42 e 51 della Costituzione.
Il pretore premetteva che il ricorrente, già consigliere regionale e Presidente della Giunta Friuli-Venezia Giulia, era stato per un lungo periodo in posizione di aspettativa nell'Istituto di mediocredito a causa della carica assunta e che lo stesso lamentava che tale periodo non gli era stato riconosciuto né in ordine all'attribuzione della pensione aziendale integrativa né in ordine alla liquidazione dell'indennità di anzianità. Osservava quindi che nella specie trovava applicazione la legge 3 febbraio 1964, n. 3, che regola la posizione degli eletti al consiglio regionale nei confronti del rapporto di pubblico impiego di cui fossero parti e la legge 12 dicembre 1966, n. 1078, che stabilisce, all'art. 5 che i periodi di aspettativa per elezione alla carica di consigliere regionale sono da considerarsi come periodi di servizio effettivamente prestato presso l'amministrazione di provenienza, a tutti i fini, anche economici.
Nell'erroneo presupposto che la legge n. 3 del 1964 fosse regionale, il giudice a quo dubitava della sua legittimità costituzionale, ipotizzando un contrasto con l'art. 5, comma primo, n. 1, dello Statuto speciale regione Friuli-Venezia Giulia, il quale, conferendo competenza legislativa esclusiva alla Regione ad emanare norme in materia di elezione al Consiglio regionale, sembra tuttavia riservare al legislatore nazionale la materia del rapporto di lavoro degli eletti al consiglio.
Quanto all'art. 5 della legge 12 dicembre 1966, n. 1078, il pretore deduceva il contrasto con l'art. 51 della Costituzione, in quanto la disposizione denunziata, prevedendo la conservazione del trattamento economico e di carriera, va ben oltre la misura della "conservazione del posto di lavoro" garantita dal principio costituzionale.
Il contrasto con il principio di eguaglianza, visto in relazione ai soggetti beneficiari, riguarderebbe la disparità di trattamento tra pubblici dipendenti e dipendenti privati per i quali ultimi l'art. 31 della legge 20 maggio 1970, n. 300, assicura soltanto la computabilità del periodo di aspettativa ai soli fini del riconoscimento e della misura della pensione obbligatoria e del diritto all'assistenza di malattia. A base di tale differenza non vi sarebbero ragioni oggettive, ma solo la circostanza che al legislatore sarebbe stato politicamente più facile addossare ad enti pubblici il relativo onere finanziario.
Visto in relazione ai soggetti cui impone aggravio, il giudice a quo ritiene che il costo della remunerazione degli amministratori pubblici dovrebbe, in un ordinamento ideale, gravare sull'ente amministrato e quello delle prestazioni previdenziali sugli enti di previdenza. Deroghe esistenti nell'ordinamento (artt. 2110 e 2111, secondo comma, cod. civ., 52, secondo comma, Cost. ecc.) rispetterebbero tuttavia in senso lato il principio della corrispettività, in quanto costituirebbero pur sempre un costo sostenuto dal datore di lavoro per assicurarsi l'apporto lavorativo del dipendente. Nella specie però la sproporzione tra costo ed attività lavorativa sarebbe tale da potersi parlare di imposizione patrimoniale non giustificata, con violazione del principio di eguaglianza e del diritto alla libertà patrimoniale dei soggetti diversi dallo Stato, che il giudice a quo ricava, nei suoi aspetti sostanziali, dall'art. 42 della Costituzione.
2. - L'ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Dinanzi alla Corte si sono costituiti il signor Alfredo Berzanti rappresentato e difeso dall'avv. Gaspare Pacia e l'Istituto di mediocredito per le piccole e medie imprese del Friuli-Venezia Giulia, rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Tonazzi. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'avvocato generale dello Stato.
3. - Tutte le parti chiedono che la Corte dichiari manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 3 febbraio 1964, n. 3.
Quanto all'art. 5 della legge 12 dicembre 1966, n. 1078, la difesa dell'Istituto di mediocredito, dopo aver accennato ad una sua possibile implicita abrogazione da parte dell'art. 40, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, con conseguente irrilevanza della questione, sostiene in merito l'illegittimità costituzionale della norma denunziata riportandosi alle argomentazioni del giudice a quo.
4. - La difesa del signor Berzanti, richiamando le argomentazioni contenute nella sentenza n. 194/1976 di questa Corte esclude il contrasto tra l'art. 3 Cost. e l'art. 5 della legge n. 1078/1966, prospettato sotto il profilo della disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e privati.
Rispetto agli altri profili, osserva che chi opera come amministratore pubblico rende un servizio alla comunità come chi è pubblico dipendente presso una pubblica amministrazione, sarebbe pertanto indifferente addossare a questo o a quel soggetto pubblico il relativo onere finanziario. Simile problema comunque atterrebbe ai canali di erogazione della pubblica spesa cui sarebbero estranei i principi invocati dal giudice a quo.
Considerato in diritto
1. - Nell'errato presupposto che sia stata emanata e sia in vigore una legge della regione Friuli-Venezia Giulia, 3 febbraio 1964, n. 3, recante norme per l'elezione e la prima convocazione del consiglio regionale, il pretore di Udine denuncia il contrasto del relativo art. 3 con l'art. 5 n. 1 dello Statuto Friuli-Venezia Giulia, per aver regolato materia di competenza dello Stato. La questione va dichiarata manifestamente inammissibile per mancanza dell'oggetto, non risultando l'esistenza di una legge della regione Friuli-Venezia Giulia 3 febbraio 1964, n. 3, bensì di una legge dello Stato di pari data e numero, in materia d'elezione di convocazione del consiglio regionale, la quale, in quanto dello Stato, non potrebbe nemmeno in ipotesi essere inficiata dal vizio dedotto.
2. - Nella stessa ordinanza il pretore solleva anche questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 legge 12 dicembre 1966, n. 1078, il quale, nello stabilire che i periodi di aspettativa e di assenza autorizzati dei dipendenti dello Stato e degli Enti pubblici eletti alle cariche di consiglieri regionali sono considerati a tutti i fini come effettivamente prestati, contrasterebbe con gli artt. 3, 42 e 51 della Costituzione. La norma denunziata, infatti, andando ben oltre la garanzia della conservazione del posto di lavoro creerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e dipendenti privati nonché tra enti pubblici ed enti privati, violando altresì la "libertà patrimoniale" dei soggetti cui è imposto l'onere.
3. - Vanno respinte le eccezioni di inammissibilità per irrilevanza della questione proposta, sollevata rispettivamente nell'atto di costituzione e nella pubblica udienza, dalle difese delle parti private e fondate l'una sull'avvenuta abrogazione della norma impugnata da parte dell'art. 40 dello Statuto dei lavoratori, l'altra sulla ininfluenza che avrebbe nel giudizio a quo un'estensione dei benefici previsti dall'art. 5 ai dipendenti privati.
Quanto alla prima eccezione, l'art. 9, secondo comma, della legge 26 aprile 1974, n. 169, suppone la vigenza dell'art. 5 della legge n. 1078/1966, che pertanto non è stato implicitamente abrogato dallo Statuto dei lavoratori.
Quanto alla seconda eccezione, la difesa del Berzanti male interpreta l'ordinanza di rimessione perchè essa è volta non ad estendere i benefici dei pubblici impiegati al settore privato, bensì a far dichiarare illegittimi i benefici stessi.
4. - La questione peraltro non è fondata.
La formula usata nell'art. 51 Cost. "diritto di conservare il posto di lavoro" non intende certo diminuire le garanzie del dipendente, ma assicurare un trattamento minimo che il legislatore, nella sua discrezionalità e ove questa sia legittimamente esercitata, può migliorare con riguardo alle peculiarità del caso, allo scopo di rendere sempre più agevole la partecipazione dei lavoratori all'organizzazione politica del Paese (cfr. al riguardo le sentenze nn. 35, 40 e 92/1981).
E nella specie, trattandosi di dipendenti di enti pubblici chiamati a svolgere funzioni pubbliche di primario rilievo, appare razionale e di immediata evidenza il collegamento tra imposizione dell'onere all'ente pubblico e la finalità da conseguire, costituendone causa adeguata la comunanza di interessi pubblici tra gli enti di cui il lavoratore è rispettivamente dipendente e amministratore.
Analoga comunanza di interessi non può invece riscontrarsi nell'impiego privato, restando così fondata su un'obbiettiva e razionale valutazione della disparità di situazioni, la diversa disciplina prevista per questo settore dagli artt. 31 e 32 dello Statuto dei lavoratori (su cui vedi anche la sentenza n. 193/1981).
Non sussiste pertanto contrasto tra l'art. 5 della legge n. 1078/1966 ed il principio di eguaglianza nel duplice profilo prospettato dal giudice a quo di disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e privati e tra enti pubblici, mentre la Corte non ritiene pertinente alla specie il richiamo all'art. 42 della Costituzione, che, riguardando la proprietà pubblica e privata, non influisce in alcun modo su problemi, quali quelli in esame, relativi all'imposizione ed all'erogazione di una pubblica spesa.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara:
1) manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 3 febbraio 1964, n. 3, della Regione Friuli-Venezia Giulia;
2) non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 12 dicembre 1966, n. 1078, questioni promosse, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento, rispettivamente, all'art. 5 n. 1 dello Statuto per la Regione Friuli-Venezia Giulia ed agli artt. 3, 42 e 51 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 novembre 1981.
Leopoldo ELIA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.
Giovanni VITALE – Cancelliere
Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1981.