SENTENZA N. 161
ANNO 1981
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Avv. Leonetto AMADEI, Presidente
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti promossi con ricorsi del Comitato regionale di controllo del Veneto e della Regione Veneto, depositati in cancelleria l'11 ed il 28 giugno 1976; il 22 luglio ed il 17 dicembre 1976; il 25 gennaio ed il 15 novembre 1977, iscritti ai nn. 26, 28, 32, 33 e 38 del registro ricorsi 1976 ed ai nn. 3 e 21 del registro ricorsi 1977, per conflitti di attribuzione sorti a seguito dei provvedimenti della Commissione centrale per la finanza locale - Sezione organici - emessi rispettivamente il 3 e 5 maggio 1976; il 14 ottobre ed il 22 dicembre 1975; il 4 giugno ed il 15 luglio 1976 ed il 1 giugno 1977, in materia di competenza del controllo sugli atti degli enti locali.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 21 gennaio 1981 il Giudice relatore Antonio La Pergola;
uditi gli avvocati Aldo Sandulli e Leopoldo Mazzarolli per la Regione Veneto e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Il Comitato regionale di controllo del Veneto con ordinanza-ricorso del 3 maggio 1976, emessa in relazione alla deliberazione consiliare dell'Amministrazione provinciale di Verona del 12 aprile 1976, n. 3225/11/134 su: "Nuovo trattamento economico e giuridico del personale provinciale. Eseguibilità provvedimenti relativi", promuove conflitto di attribuzione con riguardo al provvedimento 14 ottobre 1975 della Commissione centrale per la finanza locale. Con questo ultimo provvedimento si negava l'approvazione delle delibere del Consiglio provinciale di Verona n. 25 del 26 marzo e n. 179 del 29 aprile 1975. Il Comitato rivendica nell'ordinanza-ricorso la propria competenza in merito al controllo delle suddette delibere, chiedendo in conseguenza l'annullamento del provvedimento della Commissione.
Il 22 aprile 1976 perveniva al Comitato la suddetta deliberazione del Consiglio provinciale di Verona 12 aprile 1976. Ivi si stabiliva di dare esecuzione alle deliberazioni del 26 marzo e del 29 aprile 1975, e ad altre della Giunta provinciale, approvate in data 25 giugno e 27 agosto 1975, l'applicazione al personale della Provincia, escluso il personale medico degli OO.NN.PP. e del SIM, dell'accordo nazionale 5 marzo 1974 e della relativa integrazione in sede regionale, avvenuta in data 15 ottobre 1974, nonché dell'accordo Governo sindacati del 12 marzo 1975. Con tali delibere si stabiliva, inoltre, il recupero degli acconti al personale, a partire dai 1 gennaio 1975.
La deliberazione pervenuta al Comitato faceva riferimento al provvedimento della Commissione, Sezione organici, in relazione al quale è sorto il conflitto, contestando la competenza di quest'ultimo organo.
Il Comitato, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità di tale deliberazione, ritiene di dover, in via preliminare, stabilire se il potere di controllo della Commissione, di cui all'art. 7 d.P.R. 19 agosto 1954, n. 968, persista tuttora, nonostante l'attuazione dell'ordinamento regionale ed il conseguente trasferimento agli organi della Regione del controllo sugli atti degli enti locali; ritiene inoltre che in via subordinata debba essere considerata la questione della costituzionalità del potere suddetto.
Rileva, altresì, il Comitato che la 1a Sezione del Consiglio di Stato, con parere espresso in data 26 ottobre 1973 (n. 1878) ha ritenuto che la Commissione mantiene il potere di controllo in questione, assimilandolo ai poteri previsti dagli artt. 332 e 333 del T.U. comunale e provinciale del 1934, in materia di bilanci e di mutui. L'esercizio di detti poteri, si afferma poi, costituisce attività "sui generis", differente da quelle previste dagli artt. 130 Cost., 59 e 60 della legge 10 febbraio 1953, n. 62. Altrettanto non potrebbe tuttavia dirsi del controllo concernente le deliberazioni sugli organici, spettando al ricorrente Comitato il controllo relativo alla copertura finanziaria, di cui all'art. 284 del T.U. n. 383 del 1934. Tale controllo sarebbe identico a quello in precedenza esercitato dalla GPA sugli organi degli enti locali ed ora trasferito ai Comitati regionali di controllo. Identico, dunque, dovrebbe essere anche l'organo preposto al controllo nell'uno e nell'altro caso.
A giudizio del ricorrente, non varrebbe peraltro argomentare, in base alla lettera degli artt. 59 e 60 della legge n. 62 del 1953, che i controlli espletati dagli organi centrali restano affidati allo Stato in quanto non figurano fra quelli trasferiti alla Regione, ossia fra i controlli ordinari prima affidati alla GPA o al Prefetto. Simile argomento sarebbe contrario allo spirito della Costituzione e specificatamente dell'art. 130. Il riferimento esclusivo al Prefetto ed alla GPA si assume infatti collegato con il precedente sistema di controllo, che si imperniava sulle due categorie della vigilanza e della tutela e quindi sull'esame di legittimità e di merito. Il che, si dice, risulta confermato dall'art. 72 della legge n. 62 del 1953: detta norma contemplerebbe, infatti, indistintamente tutti gli organi, inclusa la Commissione, la Sezione organici, che attuavano i controlli prima dell'entrata in funzione dell'ordinamento regionale, stabilendo un termine perentorio al mantenimento delle loro attribuzioni.
Prima dell'entrata in funzione delle Regioni - si deduce ancora - l'organo statale preposto al controllo si sostituiva all'ente controllato nel valutare l'interesse e l'opportunità dell'atto dell'ente. La Commissione controllava piante e regolamenti organici, ma modo e natura di questo controllo non sarebbero aderenti al dettato dell'art. 130 Cost., secondo il quale la legge ordinaria deve porre limiti alle ipotesi del controllo di merito, e fissarne la forma.
Inoltre, continua il ricorrente, con la legge n. 952 del 12 novembre 1971, e successive proroghe, il legislatore ha privato la Commissione del potere di "approvare" i bilanci deficitari; appare dunque incongruo che quest'ultima conservi il potere solo con riferimento agli organici; d'altra parte, non può configurarsi una competenza concorrente della Commissione con gli organi di controllo regionali, dal momento che l'art. 63 della legge n. 62 del 1953 non consente di qualificare parere o avviso la pronunzia degli organi di controllo.
La situazione della finanza locale richiede il rigido controllo della spesa da parte dello Stato, ma non per questo, rileva il Comitato, può prescindersi dall'ordinamento e dalla normativa vigenti.
Per le suddette considerazioni, il Comitato assume di essere l'unico organo competente a controllare le deliberazioni con cui la Provincia di Verona ha modificato gli organici ed il relativo Regolamento; si prospetta quindi il conflitto di attribuzione tra il Comitato stesso, in quanto autonomo rispetto agli organi regionali, e la Commissione centrale, in quanto organo dello Stato. Sotto altro profilo, tuttavia, la natura regionale del Comitato potrebbe invece implicare che il conflitto si configuri come intercorrente fra Regione e Stato. Nella prima ipotesi, si avrebbe un conflitto interorganico, e la legittimazione dell'organo ricorrente come parte attiva del conflitto non potrebbe revocarsi in dubbio. La prospettazione della seconda ipotesi, imporrebbe d'altra parte alla Regione Veneto di promuovere essa medesima il conflitto, in relazione ai motivi dedotti con l'ordinanza-ricorso.
Il Presidente del Consiglio, per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, eccepisce innanzitutto l'inammissibilità del ricorso, deducendo che, ai sensi dell'art. 39 della legge n. 87 del 1953, il solo organo della Regione legittimato a sollevare i conflitti nei confronti dello Stato è il Presidente della Giunta regionale.
A voler, per altro verso, ammettere l'asserita autonomia del Comitato nei confronti della Regione, non potrebbe poi in nessun caso ritenersi che detto organo costituisca un potere dello Stato, abilitato, in quanto tale, a promuovere conflitti con altri poteri.
Il ricorso sarebbe altresì tardivamente proposto. Si osserva che, il potere contestato è stato infatti esercitato il 14 ottobre 1975, con il rifiuto, da parte della Commissione, di approvare le delibere del Consiglio provinciale di Verona n. 25 del 26 marzo 1975 e n. 179 del 29 aprile dello stesso anno. Il Comitato sarebbe venuto a conoscenza della pretesa violazione della propria competenza il 5 aprile 1976, all'atto di annullare la deliberazione dell'11 marzo 1976, n. 74. Il ricorso sarebbe stato notificato il 22 maggio 1976, fuori termine. Esso è comunque infondato, si soggiunge, anche in considerazione del parere espresso in data 26 ottobre 1973 dalla I Sezione del Consiglio di Stato: i poteri di cui si controverte sono di natura particolare, si asserisce, non rientrano nelle tipiche funzioni di controllo e comunque non sono stati trasferiti agli organi regionali dagli artt. 59 e 60 della legge n. 62 del 1953: ciò in considerazione della perdurante grave crisi della finanza locale, che aveva determinato l'emanazione del d.lg.lgt. 18 gennaio 1945, n. 48, e il d.P.R. 19 agosto 1954, n. 968.
2. - In relazione alla medesima deliberazione della Commissione del 14 ottobre 1975, la Regione Veneto, in persona del suo Presidente, ha promosso conflitto di attribuzione contro il Presidente del Consiglio dei ministri.
Nel relativo ricorso si precisa, anzitutto, che la Giunta regionale è venuta a conoscenza della deliberazione oggetto del conflitto il 20 maggio 1976 attraverso la comunicazione, da parte del Comitato, dell'ordinanza emessa in data 3 maggio, in sede di controllo della deliberazione del 12 aprile 1976 del Consiglio provinciale di Verona: volta, quest'ultima, a dare esecuzione alle proprie deliberazioni del 26 marzo e 29 aprile 1975, censurate dalla Commissione.
Ad avviso della Regione è venuto meno ogni controllo (in senso proprio) dello Stato sugli atti degli enti locali, con l'instaurazione dell'ordinamento regionale e in forza del dettato dell'art. 130 Cost. Proprio perchè sono cadute le competenze della Commissione, si provvederebbe alle esigenze degli enti deficitari, in base alla legge n. 952 del 1971 e alle successive proroghe, prescindendo dall'intervento di detto organo; avverte inoltre la ricorrente che la contestata attribuzione dell'organo statale non ha ragione di sopravvivere, anche sotto il riflesso che essa era strettamente connessa con il parere delle GPA, anch'esse venute a cadere: le quali ultime andavano sentite prima che la Commissione deliberasse.
Qualora poi si volesse ritenere che le deliberazioni in questione siano tuttora soggette al controllo della Commissione, ex artt. 59 e 60 della legge n. 62 del 1953, sorgerebbe la questione di costituzionalità dell'art. 7 del d.lg. n. 968 del 1954 e degli stessi artt. 59 e 60, per contrasto con l'art. 130 Cost.
Si chiede pertanto alla Corte che venga affermata la competenza del Comitato ad esercitare il controllo di merito nei confronti dei sopraindicati deliberati del Consiglio provinciale di Verona; che venga in conseguenza annullata l'impugnata decisione della Commissione, previa, se necessario, proposizione della suddetta questione di costituzionalità.
L'Avvocatura fa in questa sede riferimento al provvedimento della Commissione, che concerne le delibere del Consiglio provinciale di Rovigo, oggetto del secondo gruppo di conflitti.
3. - La Regione ripropone conflitto contro il Presidente del Consiglio, in relazione alla medesima deliberazione del 14 ottobre 1975 della Commissione. Il nuovo ricorso è prodotto per avere la Commissione approvato il provvedimento del 10 giugno 1977, trasmesso al Comitato regionale con lettera del 5 agosto 1977 (notificata al Presidente della Regione a cura della Provincia di Verona, il 10 settembre 1977), ed assunto dalla ricorrente come atto conclusivo, rispetto alla decisione del 14 ottobre 1975, che costituirebbe l'atto intermedio.
Con il primo provvedimento del 14 ottobre 1975 la Commissione aveva, ricorda la Regione, rinviato le deliberazioni del Consiglio provinciale di Verona del 26 marzo e del 29 aprile 1975, limitatamente alle parti in cui disponevano variazioni della pianta organica e recepivano la normativa dell'accordo nazionale.
Con deliberazione dell'11 giugno 1976, il Consiglio provinciale ha solo in parte accolto i rilievi della Commissione. Tale delibera è stata successivamente sottoposta al controllo del Comitato, che non ha formulato rilievi. La Commissione ha, con il secondo provvedimento del 10 giugno 1976, approvato per parte sua le suddette delibere provinciali del marzo ed aprile 1975, subordinatamente tuttavia a notevoli limitazioni.
La difesa della Regione deduce. oltre ai motivi sopra riferiti, che lo Stato dispone di altri mezzi, qual è il fondo speciale per il risanamento dei bilanci deficitari (d.P.R. n. 651 del 1972), per fronteggiare, nel rispetto della Costituzione, le difficoltà della finanza locale. Non può essere d'altra parte trascurato, si soggiunge, che per i Comuni con popolazione inferiore a 20.000 abitanti il controllo veniva esercitato dalle GPA, alle quali è indubbiamente subentrato il Comitato: non si giustificherebbe, allora, che il controllo in questione resti attribuito all'organo statale Solo per una parte degli enti locali.
La Regione rileva ancora che non può invocarsi a sostegno della competenza dell'organo statale il dettato degli artt. 5 e 117 Cost.
Inoltre, l'art. 119 Cost. non legittimerebbe la permanenza di altri controlli statali, fuori che quelli previsti dall'art. 125 Cost., né, a maggior ragione, potrebbe offrir fondamento ai controlli che l'art. 130 Cost. tassativamente esclude.
D'altro lato non mancherebbero gli strumenti amministrativi e penali per far valere la responsabilità degli enti locali e dei relativi organi di controllo.
La difesa dello Stato ribadisce, con riguardo al ricorso in esame, le argomentazioni sopra riferite, e inoltre asserisce che nella specie non si tratta di controllo in senso proprio. Tale infatti sarebbe, secondo la giurisprudenza della Corte, il controllo che si esercita a tutela degli enti controllati: in questo caso, si osserva, oggetto di controllo è l'atto divergente dall'interesse che l'organo deliberante è tenuto a perseguire. Diversamente, l'organo statale inciderebbe sull'atto dell'ente locale, non in sede di controllo, ma per esplicare attività amministrativa a tutela dell'interesse leso.
Quanto alla sentenza n. 21 del 1966 e al parere reso dalla I Sezione del Consiglio di Stato, essi non costituirebbero alcun valido sostegno alla tesi avversaria: la decisione perchè, resa prima della completa attuazione dell'ordinamento regionale, e dell'emanazione della legge n. 952 del 1971, successivamente prorogata, rifletterebbe il diverso atteggiamento della Corte di quell'epoca, nei confronti delle poche Regioni allora esistenti; il parere, per le ragioni spiegate nei commenti critici della dottrina.
I motivi del nuovo ricorso sono quelli sopra esposti. Si aggiunge la richiesta di annullare l'atto successivo e conclusivo della Commissione.
Il Presidente del Consiglio deduce, per il tramite dell'Avvocatura, l'infondatezza del ricorso.
L'art. 130 Cost. concernerebbe esclusivamente i controlli (ordinari) di merito, che presuppongono che l'ente locale sia l'esclusivo portatore degli interessi, coinvolti dall'atto controllato. In conformità di tale disposto, l'art. 60 della legge n. 62 del 1953 andrebbe riferito ai soli controlli di merito, affidati in passato alle GPA.
4. - Con ordinanza-ricorso il Comitato, in relazione alla delibera dell'Amministrazione provinciale di Rovigo del 12 aprile 1976, n. 1115/51/19 avente per oggetto: "Decisione Commissione centrale per la finanza locale - Sezione organici - sulle deliberazioni consiliari n. 45 del 27 marzo 1975 e n. 89 del 28 aprile 1975. Considerazioni", solleva conflitto di attribuzione riguardante il provvedimento della Commissione del 22 dicembre 1975, n. 16171/3/3195. L'organo ricorrente rivendica la propria competenza in merito al controllo delle delibere dell'Amministrazione provinciale di Rovigo e chiede l'annullamento del provvedimento della Commissione con il quale le delibere erano state sottoposte a controllo.
Il 6 aprile 1976 perveniva al Comitato una deliberazione del Consiglio provinciale di Rovigo, mediante la quale esso decideva di controdedurre al suddetto provvedimento della Commissione, confermando i provvedimenti emessi il 27 marzo e il 28 aprile 1975 (recepimento dell'accordo nazionale UPI-ANCI-ANEA e relativo integrativo regionale per il Veneto) e stabiliva di dare ad essi completa attuazione, precisando peraltro che la conferma dei provvedimenti riguardava anche il personale non medico del manicomio provinciale, sebbene il Comitato si fosse su quest'ultimo punto espresso in senso negativo, con atto del 21 maggio 1975, che il Consiglio provinciale ha ritenuto però avere natura di semplice parere. Il quale ultimo organo si richiama, poi, al provvedimento della Commissione, contestando la competenza del ricorrente Comitato ad emettere provvedimenti definitivi, in sede di controllo di provvedimenti che riguardino gli atti delle Province con bilancio deficitario.
Posto ciò, il Comitato esamina la questione della legittimità di tale deliberazione, le deduzioni svolte al riguardo nell'ordinanza-ricorso sono poi del tutto identiche alle altre esposte sopra, al n. 1.
In conclusione, il Comitato annulla la deliberazione del Consiglio provinciale di Rovigo, nella parte in cui conferma l'efficacia dei suoi precedenti provvedimenti, anche per il personale non medico del manicomio. Motivi e richieste del ricorso sono quelli già esposti a proposito dei provvedimenti del Consiglio provinciale di Verona.
Il Presidente del Consiglio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura, sostiene l'inammissibilità e l'infondatezza di questo ricorso, per le medesime ragioni esposte con riferimento al ricorso precedente.
5. - La Regione Veneto, in persona del suo Presidente, ricorre contro il Presidente del Consiglio, impugnando la medesima deliberazione della Commissione, con cui questa aveva esercitato il controllo sui provvedimenti del Consiglio provinciale del 27 marzo e 28 aprile 1975.
Il contenuto del ricorso e le relative richieste sono identici a quelli prospettati nel ricorso avverso l'atto, che la Commissione ha adottato in ordine alle delibere del Consiglio provinciale di Verona (v. n. 2).
Il Presidente del Consiglio, costituitosi per il tramite dell'Avvocatura, invoca, a sostegno delle sue tesi difensive, anche qui il parere espresso dalla I Sezione del Consiglio di Stato, e rileva poi che la Commissione ha, ai sensi dell'art. 328 del T.U. c.p. n. 383 del 1934, un doppio ordine di competenze: una consultiva (del Ministero per l'interno) riguardo alle questioni attinenti la finanza locale, l'altra attribuitale da specifiche disposizioni legislative, che copre appunto le ipotesi previste dall'art. 7 del d.lg. n. 968 del 1954.
Nessuna di tali ultime competenze rientrerebbe però tra le attività di controllo elencate dagli artt. 59 e 60 della legge n. 62 del 1953 e trasferite dagli organi periferici dello Stato ai Comitati. La competenza della Commissione, in materia di organici, non sarebbe, d'altronde, assimilabile alle funzioni di controllo già esercitate dai Prefetti e dalle GPA. L'avere attribuito alla Commissione il controllo sui bilanci e sulle deliberazioni relative agli organici dei soli enti locali deficitari, costituisce - si assume altresì - un ulteriore argomento in favore della permanenza, nella specie, della competenza statale; ciò anche in considerazione del terzo comma dell'art. 41 Cos., che recepirebbe, ai fini ivi sanciti, l'esigenza di affidare agli organi centrali la coerente e opportuna programmazione dell'attività economica.
Non può condividersi d'altro lato - continua l'Avvocatura - l'assunto delle ricorrenti, secondo cui la competenza della Commissione sarebbe venuta meno con la legge n. 952 del 1971, che non intacca la precedente attribuzione assegnata alla Commissione.
In ogni caso, sostiene l'Avvocatura, la legge n. 952 del 1971 può avere inciso esclusivamente (e del resto solo a titolo transitorio, eccezionale e di deroga) sulla competenza relativa all'approvazione dei bilanci deficitari degli enti locali, non su quella che concerne gli organici; resterebbe quindi fermo che, in mancanza di ulteriori proroghe di detta legge, la Commissione debba esercitare le funzioni ad essa già spettanti. Qui, si aggiunge, solo un organo centrale, qual è appunto la Commissione, può operare la sintesi dell'esigenze delle comunità locali. La lamentata violazione dell'art. 130 Cost., resterebbe quindi esclusa, per la diversità del controllo in questione, rispetto ai controlli operati da altri organi. Se si ritenesse trasferita la competenza al Comitato, ne risulterebbe infatti violato il sistema delle disposizioni costituzionali (artt. 5, 41, 117 e soprattutto 119) da cui discende che le autonomie locali vanno, anche sotto il profilo finanziario, opportunamente coordinate alle esigenze dell'intera nazione. D'altronde non può ritenersi violata l'autonomia garantita agli enti territoriali dove, come nella specie, l'organo di controllo formuli osservazioni circoscritte all'aspetto economico finanziario dei provvedimenti, senza ingerirsi altrimenti nell'esercizio dei poteri dell'ente deliberante.
6. - Come per il controllo esercitato dalla Commissione sui provvedimenti del Consiglio provinciale di Verona, così per il controllo della stessa Commissione sulle deliberazioni del Consiglio provinciale di Rovigo, approvate il 27 marzo e il 28 aprile 1975, la Regione propone un nuovo ricorso, impugnando l'atto che viene assunto come conclusivo del controllo. Tale atto, emesso il 15 luglio 1976, modifica nella specie il precedente provvedimento del Consiglio provinciale di Rovigo del 22 dicembre 1975 incorso, a giudizio del Comitato, nell'abuso di approvare la concessione di tre indennità non previste dalla legge.
Le argomentazioni contenute nel ricorso (ad eccezione del rilievo fatto in merito all'approvazione contra legem delle tre suddette indennità, che costituirebbe un ulteriore profilo di invasione della sfera di competenza regionale) come anche le richieste (a parte ovviamente gli atti specifici da annullare), sono identiche a quelle relative al secondo ricorso riguardante il controllo sugli atti del Consiglio provinciale di Verona.
L'Avvocatura rileva, per conto del Presidente del Consiglio, che pur precedendo la sentenza n. 21 del 1966 l'entrata in funzione delle Regioni ordinarie, altre e ancor meno recenti pronunzie (24/57 e 62/73) della Corte avevano chiarito che la legge n. 62 del 1953 pone i principi, ai quali, nel campo dei controlli sugli enti locali, andavano adeguati anche gli ordinamenti delle Regioni a statuto speciale. Nella successiva sentenza n. 21 del 1966 si afferma che né l'art. 130 Cost. né l'art. 59 della legge n. 62 del 1953 prevedono o altrimenti consentono il trasferimento al Comitato della competenza in questione. Dalla legge n. 952 del 1971 potrebbe poi dedursi solo l'attribuzione al Ministero dell'interno del potere di autorizzare i Comuni a contrarre mutui. Quanto al più volte citato potere del Consiglio di Stato, si osserva che esso è stato seguito da conforme giurisprudenza del TAR del Lazio (sentenza n. 641/76). La Corte avrebbe sotto altro riguardo, analogamente affermato la competenza statale in materia di controlli, anche dopo la sentenza n. 62/73, ed in epoca posteriore all'entrata in vigore dell'ordinamento regionale.
L'Avvocatura insiste infine sulle altre deduzioni sopra esposte.
7. - La Regione Veneto, ricorre contro il Presidente del Consiglio, sollevando conflitto di attribuzione in relazione alle delibere della Commissione, del 20 novembre 1975 e del 4 giugno 1976.
Con la prima si sottoponeva ad alcune condizioni l'approvazione di provvedimenti dell'Amministrazione provinciale di Treviso del 7 marzo 1975 (sull'applicazione al proprio personale dell'accordo NPI-ANCI-ANEA - del marzo 1974) già approvati con ordinanza del 9 giugno 1975 dal Comitato. Con la seconda, di fronte alle controdeduzioni dell'Amministrazione provinciale del medesimo capoluogo del 6 febbraio 1976, si decideva di approvare il provvedimento del 7 marzo 1975, accogliendo però solo in parte le controdeduzioni, e ribadendo su alcuni punti i rilievi già formulati.
Argomentazioni e richieste della difesa della Regione (a parte gli atti specifici da annullare) sono identiche a quelle contenute nei ricorsi in precedenza riassunti.
Il Presidente del Consiglio costituitosi anche in questo conflitto, deduce, a sostegno della legittimità della competenza della Commissione, soprattutto la particolarità della funzione di controllo sulle delibere relative agli organici, che non potrebbe ritenersi sia stata sospesa dalla legge n. 952 del 1971.
Per le stesse ragioni non sussisterebbe il contrasto con l'art. 130 Cost.
8. - In prossimità dell'udienza, la Regione presenta una memoria aggiuntiva con riguardo a tutti i conflitti in cui è parte ricorrente. In essa si afferma che tra la presentazione dei ricorsi e l'udienza sono intervenute varie disposizioni normative. Il regime dei controlli, stabilito con la legge n. 952 del 1971 e continuamente prorogato - si osserva - è stato modificato dal d.l. n. 946 del 1977 (convertito con legge n. 43 del 1978), che all'art. 6 attribuisce esplicitamente alla Commissione la competenza controversa.
Dato che nessun'altra norma ha successivamente alterato lo stato della disciplina, si dice, viene in considerazione il problema della costituzionalità dell'art. 7 del d.lg. n. 968 del 1954. Peraltro, non sarebbe affatto detto che, la competenza attribuita allo Stato con le norme del 1978, dovesse sussistere anche anteriormente. Di fronte al principio secondo cui le Regioni sono competenti al controllo di legittimità sugli atti degli enti locali, mentre il controllo di merito può solo implicare la richiesta di riesame dell'atto, la norma oggetto della questione andrebbe ritenuta incostituzionale. Per escludere che essa violi l'una e l'altra delle anzidette prescrizioni, dovrebbe infatti risultare che si tratti di una disciplina derogatoria ed eccezionale. Così infatti si assume dallo Stato con la memoria, che l'Avvocatura ha prodotto nel giudizio instaurato con ricorso n. 33 del 1976. L'assunto sarebbe tuttavia chiaramente infondato, avendo la legge n. 43 del 1978 inteso configurare il regime del controllo statale non come transitorio, bensì come normale. Vi è poi il fatto che la competenza in questione è prevista ex art. 6 d.l. n. 946 del 1977, come la sola, attribuita alla Commissione. Ciò dimostra, secondo la Regione, che il controllo statale non è più sorretto da alcun disposto costituzionale, che esigerebbe la sintesi unitaria dei vari e differenti interessi delle comunità locali. Una simile esigenza avrebbe infatti sicuramente richiesto il permanere anche delle altre attribuzioni, di cui l'organo statale era investito. Viene infine dedotto che la contestata attribuzione della Commissione diverge dal sistema della Costituzione, tanto più nettamente, in quanto essa implica un'ingerenza più puntuale e penetrante nella sfera dell'ente locale, rispetto al potere già deferito alla stessa Commissione in sede di approvazione dei bilanci deficitari: o anche del controllo che, ex art. 130 della Costituzione, compete ora al Comitato. Il che spiegherebbe, in conclusione, come l'esercizio del potere statale abbia determinato l'insorgenza del presente conflitto.
Considerato in diritto
1. - Vengono sottoposti all'esame della Corte più conflitti di attribuzione. Come spiegato in narrativa, due di essi sono promossi dal Comitato regionale di controllo della Regione Veneto, ed altri due, successivamente, dietro delibera della Giunta, dal Presidente di detta Regione. L'uno e l'altro dei menzionati organi rivendicano, nei confronti dello Stato, l'esclusiva appartenenza alla Regione della competenza di controllare le deliberazioni dei Consigli provinciali di Verona e Rovigo indicati in narrativa, sotto vario riguardo afferenti al trattamento economico del personale. I ricorrenti impugnano infatti i provvedimenti, mediante i quali la Commissione centrale ha dal canto suo esercitato, con riguardo alle suddette deliberazioni, l'attribuzione ad essa demandata dall'art. 7 del d.P.R. 19 agosto 1954, n. 968 ("Decentramento dei servizi del Ministero dell'interno"). Detta norma dispone che siano sottoposte all'approvazione della Commissione, nella composizione della Sezione organici ivi prevista, le deliberazioni dei Comuni e delle Province con bilanci deficitari: quando - si deve precisare - si tratti di modificazioni ai ruoli organici del personale, le quali importino aumenti della spesa globale di organico.
Sia dal Comitato di controllo, sia dal Presidente della Regione Veneto si deduce l'illegittimità dell'attribuzione così configurata, sostanzialmente per il seguente ordine di rilievi:
a) il contestato potere di approvazione sarebbe, in conseguenza della legislazione sopravvenuta, privo del nesso funzionale che lo connetteva con le rimanenti competenze della Commissione: e così, prima di tutto, con il potere di approvare i bilanci deficitari degli enti locali (ex art. 332 T. U 3 marzo 1934, n. 383), che si assume implicitamente abolito dall'art. 2 della legge 12 novembre 1971, n. 952. Di qui l'incongruità dei controllo statale in parola, come mezzo tecnico rispetto ai fine, perseguito dal legislatore nel configurarlo, di contenere gli abusi della finanza locale, e comporre a sintesi unitaria gli interessi delle varie comunità territoriali. La incongruità sarebbe così grave ed evidente, da ingenerare la conclusione che la norma in questione non abbia ragione di sopravvivere.
b) D'altra parte - e specialmente di fronte a quei dati della più recente normativa in materia (art. 6, quindicesimo comma, legge 27 febbraio 1978, n. 43), da cui risulterebbe che il contestato potere di approvazione vige attualmente - si prospetta l'incostituzionalità della relativa norma attributiva (nonché degli stessi artt. 59 e 60 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, se intesi nel senso che essi lasciano permanere in capo al suddetto organo statale l'attribuzione, della quale ora si controverte). Precisamente, si asserisce la lesione dell'art. 130 Cost., che riserva ad un organo della Regione i controlli di legittimità sugli atti degli enti locali, e quanto al controllo di merito tassativamente prescrive la forma della richiesta motivata di riesame. Si osserva infatti che il controllo è nella specie esercitato da un organo statale, e per la via dell'approvazione: via diversa dalla sola consentita dall'invocato disposto costituzionale, e peraltro più penetrante - in quanto implica la puntuale ingerenza dello Stato nell'utilizzazione delle risorse finanziarie dell'ente autonomo - rispetto allo stesso potere, ora sottratto alla Commissione, di approvare i bilanci deficitari di detti enti.
c) Il controllo attribuito alla Commissione, fuori dello schema fissato nell'art. 130 Cost., non troverebbe, d'altronde, miglior supporto in altra norma costituzionale: e così, nemmeno nell'art. 119, primo comma, Cost. Ivi, si osserva, è previsto il coordinamento (nelle forme e nei limiti stabiliti dalle leggi della Repubblica) dell'autonomia finanziaria delle Regioni con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni. Ma tale disposto potrebbe solo legittimare la permanenza dei controlli che si esercitano sugli atti della Regione, sempre, del resto, in conformità delle apposite prescrizioni dell'art. 125 Cost. Il che non precluderebbe allo Stato di soddisfare l'esigenza del controllo sulla spesa degli enti locali senza offendere i precetti costituzionali, e mediante altre misure vigenti, diverse da quelle in esame: o ancora, mediante possibili altre, delle quali i ricorrenti configurano, de iure condendo, qualche esempio (così, la nullità ipso iure delle deliberazioni adottate dagli enti autonomi in violazione di limiti posti dalle leggi finanziarie dello Stato).
In conseguenza, si chiede alla Corte di dichiarare che la competenza a controllare le suddette delibere delle Amministrazioni provinciali di Verona e Rovigo spetta esclusivamente alla Regione, annullando gli atti della Commissione, con i quali si sarebbe concretata la dedotta lesione della sfera delle attribuzioni regionali.
2. - Il Presidente della Regione ha riproposto ricorso - come, anche qui, si precisa in narrativa - impugnando le ulteriori decisioni che la Commissione ha adottato, sempre con riguardo alle suddette deliberazioni delle Amministrazioni provinciali, successivamente alle altre, già impugnate con il ricorso introduttivo del conflitto. Ciò sull'assunto che le decisioni impugnate da ultimo costituiscono atti conclusivi rispetto alle precedenti. Argomentazioni e richieste del nuovo ricorso sono identiche a quelle sopra viste.
3. - Il Presidente del Consiglio, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, eccepisce anzitutto l'inammissibilità dei ricorsi proposti dal Comitato regionale di controllo, e deduce comunque l'infondatezza nel merito di tali ricorsi, nonché dei rimanenti altri, con i quali il conflitto è invece promosso dal Presidente della Regione. I ricorsi del Comitato regionale di controllo sarebbero inammissibili, perchè proposti da un organo non legittimato. Eccepisce infatti l'Avvocatura che il conflitto di attribuzione fra Regione e Stato deve, ai sensi dell'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, essere sollevato dal Presidente della Giunta regionale, in seguito a deliberazione della Giunta stessa. D'altra parte, il Comitato non avrebbe la veste di un potere dello Stato, abilitato come tale a promuovere conflitto con gli altri poteri. Sempre in punto di ammissibilità, si rileva poi che i ricorsi sono stati prodotti oltre il termine perentorio, stabilito nel secondo comma del citato articolo 39 della legge n. 87 del 1953, di sessanta giorni dall'avvenuta conoscenza delle decisioni impugnate.
L'infondatezza di questi ricorsi, nonché di quelli proposti dal Presidente della Regione, è poi dedotta, assumendo che la soppressione delle altre competenze della Commissione non intacca la permanenza dello specifico potere di approvazione, esercitato da detto organo in materia di ruoli organici degli enti locali; mentre, per altro verso, non sussisterebbe alcuna lesione della sfera attribuita alla ricorrente, con riguardo ai controlli sugli atti dei Comuni e delle Province. Si assume al riguardo che l'art. 130 Cost. - e in attuazione di tale disposto costituzionale gli artt. 59 e 60 della legge n. 62 del 1953 - riservano al competente organo regionale soltanto le tipiche funzioni del controllo, volte per definizione alla cura della buona amministrazione e degli stessi interessi dell'ente controllato. A tali funzioni non potrebbe tuttavia essere ricondotta quella esercitata dalla Commissione nella specie: la quale, si afferma, è preordinata al soddisfacimento di esigenze proprie della collettività nazionale, che trascendono la sfera dei vari interessi degli enti locali e sono necessariamente riservate all'apprezzamento degli organi centrali.
4. - Altri ricorsi del Presidente della Regione Veneto sollevano conflitto di attribuzione, nei confronti dello Stato, in riferimento a decisioni della Commissione, questa volta adottate in sede di approvazione di talune delibere, relative anche qui al trattamento del personale, dell'Amministrazione provinciale di Treviso: e ciò, sempre come si precisa in narrativa. I motivi del ricorso e le opposte tesi del Presidente del Consiglio, che per il tramite dell'Avvocatura deduce l'infondatezza del conflitto, ripropongono le rispettive deduzioni e richieste, sopra riferite a proposito degli altri conflitti, promossi dal Presidente della Regione Veneto.
5. - Tutti i ricorsi sopra menzionati, nel sollevare il conflitto di attribuzione fra la Regione Veneto e lo Stato, investono la Corte della medesima questione. I giudizi con essi instaurati possono essere pertanto riuniti e congiuntamente decisi.
6. - Quanto ai conflitti sollevati dal Comitato regionale di controllo, la Corte deve subito osservare che l'eccezione di inammissibilità del ricorso, proposta dall'Avvocatura dello Stato, è fondata. L'ordinanza-ricorso del Comitato adombra, va precisato, due possibili prospettazioni della controversia instaurata avanti alla Corte. Una prima ipotesi, si dice, è che "stante l'autonomia" di detto organo, il conflitto insorga, a livello interorganico", fra esso e un organo dello Stato, qual è la Commissione, presso il Ministero dell'interno. Sotto altro profilo, tuttavia, il caso di specie potrebbe atteggiarsi come un conflitto tra l'ente regionale e l'ente stato: con il che, si assume che tocchi alla Regione Veneto di sollevano, ai sensi dell'art. 134 Cost. e dell'art. 39 legge 11 marzo 1953, sempre in relazione ai motivi dedotti nell'ordinanza-ricorso.
Va però detto che il Comitato ricorrente non è in alcun caso legittimato a promuovere il sollevato conflitto: nè "a livello interorganico" - come, per un verso, esso prospetta - perchè l'asserita autonomia della funzione di controllo non implica che si tratti di un potere dello Stato, in seno al quale detto organo sia, poi, legittimato a promuovere conflitti con gli altri poteri; e se si considera l'altra ipotesi, perchè - come del resto si avverte nella stessa ordinanza-ricorso - il solo organo abilitato a sollevare il conflitto fra Regione e Stato è, secondo legge, il Presidente della Giunta regionale. Ciò dispensa la Corte dall'occuparsi dell'altro rilievo dell'Avvocatura, che concerne la tardività del ricorso.
7. - I ricorsi proposti dal Presidente della Regione Veneto riguardano, si è detto, le decisioni adottate dalla Commissione, in ordine ai provvedimenti delle Amministrazioni provinciali sopra menzionati (nella specie concernenti le Province di Verona e Rovigo, in due distinte e successive fasi temporali). In ogni caso, quindi, il conflitto, com'é configurato, scaturisce dall'esercizio di un potere dello Stato, che coesiste con il controllo autonomamente e parallelamente esercitato, in conformità dell'art. 130 Cost., dal competente organo regionale. Le stesse delibere provinciali in materia di organico, alle quali si riferiscono i ricorsi qui considerati, sono state infatti sottoposte, per un verso al controllo del Comitato, per l'altro all'approvazione della Commissione. Con il risultato, si assume dalla ricorrente, che il diniego dell'approvazione, anche limitatamente ad una parte dei provvedimenti venuti all'esame dell'organo statale, ha non soltanto impedito all'ente deliberante di esercitare il suo potere di autonomia, ma ha altresì interferito con il funzionamento del Comitato: dove, s'intende, coincidendo i provvedimenti oggetto dei rispettivi controlli, l'organo della Regione e quello dello Stato sono, ciascuno nell'esercizio delle proprie attribuzioni, pervenuti a divergenti risultati. Il nucleo della presente controversia sta dunque in cio: che dallo Stato si nega, e dalla Regione si asserisce, che il potere di approvazione, da cui emanano i provvedimenti impugnati, è compatibile con il disposto dell'art. 130 Cost. Ora la Corte ha in altra pronunzia (149/81) ritenuto fondata la questione - prospettatale anche alla stregua del citato parametro costituzionale - della norma istitutiva dell'attribuzione statale, contestata in questa sede. Ancorché la previsione dell'art. 130 Cost., non abbracci tutti i controlli sugli atti degli enti locali - si è chiarito con l'anzidetta decisione - non è ammessa d'altra parte l'indiscriminata ingerenza dello Stato nella sfera, che è costituzionalmente garantita ai poteri di autonomia. Il mezzo tecnico del controllo statale permane, quindi, nell'ambito consentito dalla citata statuizione costituzionale, solo quando, nel connettersi strumentalmente con un fine della collettività nazionale, esso serva all'attuazione di qualche altro precetto del testo fondamentale, dal quale possa trarre specifico e idoneo fondamento. Il che, invece, non accade nella specie. Dichiarata in questi sensi l'illegittimità costituzionale dell'art. 7 del d.P.R. 19 agosto 1954, n. 968, devono ritenersi fondati anche i ricorsi in esame. Il conflitto è così risolto: nel caso sottoposto al giudizio della Corte, il solo controllo esperibile sulle deliberazioni delle Amministrazioni provinciali è quello riservato al competente organo regionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili, ai sensi dell'art. 39, terzo comma, legge n. 87 del 1953, i conflitti di auribuzione promossi con le ordinanze-ricorso di cui in epigrafe, dal Comitato regionale di controllo del Veneto;
2) dichiara che non spetta alla Commissione centrale per la finanza locale la competenza a controllare le delibere delle Amministrazioni provinciali, come prevista dall'art. 7 d.P.R. 19 agosto 1954, n. 968;
3) annulla in conseguenza i provvedimenti della Commissione per la finanza locale impugnati dalla Regione Veneto con i ricorsi di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1981.
Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 30 luglio 1981.