SENTENZA N.111
ANNO 1980
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Avv. Leonetto AMADEI Presidente
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 bis, comma primo, del d.l. 19 giugno 1974, n. 236, convertito con modificazioni in legge 12 agosto 1974, n. 351 (provvedimenti urgenti sulla proroga dei contratti di locazione e di sublocazione degli immobili urbani), promosso con ordinanza emessa il 3 gennaio 1976 dal pretore di Chiavenna, nel procedimento civile vertente tra Fibioli Speranza e Bianchi Giuseppe, iscritta al n. 293 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 del 3 giugno 1976.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 7 novembre 1979 il Giudice relatore Antonino De Stefano;
udito l'avvocato dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - L'ordinanza del pretore di Chiavenna sottopone alla Corte la questione se sia costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, l'art. 1 bis, primo comma, del d.l. 19 giugno 1974, n. 236, nel testo inserito dalla legge di conversione 12 agosto 1974, n. 351, nella parte in cui prevede che nessun aumento di canone possa essere richiesto dal locatore che non abbia già praticato aumenti, dovendo l'ammontare del canone corrispondere a quello dovuto alla data del 1° gennaio 1971; mentre riconosce un aumento contenuto entro il dieci per cento sul canone dovuto alla data del 1° gennaio 1971, al locatore che avesse già praticato aumenti nello stesso periodo.
2. - L'ordinanza è stata emessa anteriormente all'entrata in vigore (30 luglio 1978) della legge 27 luglio 1978, n. 392, che ha dettato nuova disciplina delle locazioni di immobili urbani.
Peraltro, la Corte rileva che, in virtù dell'art. 82 della sopravvenuta legge, ai giudizi in corso alla data anzidetta continuano ad applicarsi ad ogni effetto le norme precedenti, come quella denunciata, sulla quale, quindi, ritiene di portare il suo esame, senza richiedere al giudice a quo conferma della rilevanza della sollevata questione.
3. - Va preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilità per irrilevanza della questione nel giudizio a quo, opposta dall'Avvocatura dello Stato, la quale assume, come esposto in narrativa, che la denunciata norma non sia applicabile al caso in concreto da decidere, trattandosi di abitazione in cui il conduttore non dimorava abitualmente.
L'eccezione va disattesa. Ben vero che, per effetto dell'ultimo comma dell'art. 1 del citato d.l. n. 236 del 1974, come modificato dalla legge di conversione n. 351 del 1974, le disposizioni di cui ai commi precedenti dello stesso articolo non si applicano alle locazioni relative ad immobili adibiti ad uso di abitazione, diversi da quelli in cui il conduttore dimori abitualmente; ma le norme inapplicabili a siffatte locazioni sono quelle relative alla proroga dei contratti in corso, ed all'aumento dei canoni per i contratti ininterrottamente prorogati anteriori al 1° marzo 1947 e per quelli, egualmente prorogati, stipulati tra il 1° marzo 1947 ed il 1° gennaio 1953. Il successivo art. 1 bis, invece, stabilisce al primo comma, per le locazioni in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione, in base a contratti stipulati successivamente al 1° dicembre 1969, la riduzione del canone all'ammontare dovuto alla data del 1° gennaio 1971; qualora su tale canone siano stati comunque praticati aumenti, questi ultimi sono ridotti in misura tale che gli aumenti stessi non risultino superiori al dieci per cento del canone dovuto alla stessa data dell'1 gennaio 1971.
Questa norma, a differenza di quelle dettate dal precedente art. 1, si applica a tutti i contratti di locazione di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, e non soltanto a quelli prorogati: dai lavori preparatori è dato, infatti, desumere che la mens legis era quella di incidere sui canoni di tutti i contratti recenti, come primo passo per la progettata applicazione dell'equo canone. Del resto la Corte, investita di una censura di incostituzionalità rivolta all'art. 1 ter del d.l. 25 giugno 1975, n. 255, nel testo inserito dalla legge di conversione 31 luglio 1975, n. 363, il cui primo comma mantiene ferme le disposizioni contenute nel primo comma dell'art. 1 bis ora in esame, ha già ritenuto, con la sentenza n. 33 del 1980, che esso prevede la possibilità di riduzione del canone per tutti i conduttori, ivi compresi quelli non beneficiari della proroga legale.
Ora, nel giudizio a quo, il rapporto controverso non è certo soggetto alla proroga disposta dal richiamato art. 1, per effetto dell'ultimo comma dello stesso articolo; ma, essendo sorto a seguito di contratto stipulato dopo il 1° dicembre 1969 (precisamente il 1° settembre 1970), ed essendo in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 351 del 1974, ricade de plano nella sfera di applicazione del primo comma del successivo art. 1 bis, che è appunto la norma denunciata.
Né a ciò osta il successivo terzo comma dello stesso articolo 1 bis, egualmente richiamato a sostegno della tesi dell'inammissibilità. Ché anzi esso, con il disporre che i canoni delle locazioni in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione, relativi ad immobili urbani adibiti ad uso di abitazione non soggetti alla proroga di cui al precedente art. 1, possono < alla scadenza del contratto > essere aumentati in misura non superiore al cinque per cento del canone < determinato a norma dei commi precedenti >, conferma testualmente l'applicabilità del primo comma dello stesso art. 1 bis ai con tratti non prorogati.
L'Avvocatura dello Stato obietta altresì che il giudice a quo non avrebbe preso in esame l'eventuale incidenza della normativa intervenuta alla data di emissione dell'ordinanza (3 gennaio 1976) con il d.l. 25 giugno 1975, n. 255, convertito con modificazioni in legge 31 luglio 1975, n. 363. Ma a superare tale obiezione vale ricordare che il primo comma dell'art. 1 ter del richiamato provvedimento dispone, come dianzi già accennato, che rimangano ferme le disposizioni contenute nel primo comma dell'art. 1 bis in parola.
4. - Esaurito con ciò l'esame delle eccezioni pregiudiziali, e venendo al merito della questione proposta dal pretore di Chiavenna, la Corte ritiene che la stessa non sia fondata.
Secondo il giudice a quo la denunciata norma violerebbe il principio costituzionale dell'eguaglianza, in quanto, avendo come destinatari i locatori di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, a seguito di rapporti instaurati dopo il 1° dicembre 1969, avvantaggerebbe quelli che comunque avessero aumentato il canone, consentendo loro di conservare, malgrado la disposta riduzione, una maggiorazione entro il dieci per cento del canone loro dovuto alla data del 1° gennaio 1971, mentre danneggerebbe i locatori che non avessero praticato aumenti, i quali continuerebbero a percepire il canone nell'ammontare loro dovuto alla su indicata data del 1° gennaio 197l. La incostituzionalità, ove riconosciuta dalla Corte, comporterebbe la eliminazione della seconda parte del primo comma dell'art. 1 bis, in guisa che tutti i locatori, avessero o meno praticato aumenti, percepirebbero il canone esclusivamente nell'ammontare loro dovuto al 1° gennaio 1971.
Giova in proposito premettere che come ha affermato la Corte nella già menzionata sentenza n. 33 del 1980, nei confronti sia dello stesso art. 1 bis denunciato sotto diversi profili di incostituzionalità, che dell'art. 1 ter del d.l. n. 255 del 1975, come modificato dalla legge di conversione n. 363 del 1975, nonché delle ulteriori disposizioni di riduzione dei canoni di locazione-l'introduzione generalizzata di meccanismi di contenimento e riduzione del canone non è priva di razionalità, < rivelandosi preordinata ad una obiettiva perequazione e livellamento dei corrispettivi locatizi, sia come misura congiunturale per resistere alle spinte inflazionistiche e speculative in atto, sia in vista della precostituzione di una base omogenea per la successiva (allora già profilata) istituzione dell'equo canone >.
In siffatta prospettiva non irrazionalmente il legislatore ha operato con la denunciata norma, tenendo presente il dato del l'ingente aumento dei canoni di locazione di immobili urbani ad uso abitativo, verificatosi nell'ambito della maggior parte dei contratti stipulati successivamente al 1° dicembre 1969, cui non poteva applicarsi il blocco introdotto dalla legge 26 novembre 1969, n. 833. Sui canoni così aumentati ha inteso dunque incidere la disposta riduzione, con il correttivo della consentita maggiorazione fino al dieci per cento; mentre resta invariata la situazione, quantitativamente circoscritta, dei canoni non aumentati, restringendosi peraltro il preesistente divario tra i primi e i secondi.
Torna perciò puntuale il richiamo a quanto già ritenuto dalla Corte nella sentenza n. 3 del 1976, in ordine ad analoga questione di costituzionalità concernente il comma secondo dell'art. 1 della legge 6 novembre 1963, n. 1444. La norma veniva in quella sede denunciata per asserito contrasto con l'art. 3 della Costituzione, appunto nella parte in cui attraverso la prevista riduzione autoritativa di canoni maggiorati in misura eccedente determinate percentuali veniva in pratica a legittimare aumenti già apportati o concordati, senza contemporaneamente consentire i medesimi aumenti per i canoni rimasti invariati. Ma la Corte escluse la prospettata lesione del precetto di eguaglianza, osservando che la disposizione impugnata operava in realtà nei confronti di due distinte categorie di locatori: di quelli, cioè, che non avevano richiesto aumenti prima dell'entrata in vigore della legge (così facendo presumere di ritenere i canoni stessi per loro equi e remunerativi) e di quelli, invece, che avevano apportato maggiorazioni, ai quali soltanto poteva rivolgersi la prevista riduzione del canone, razionalmente contenuto in limiti percentuali.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 bis, comma primo, del d.l. 19 giugno 1974, n. 236 (provvedimenti urgenti sulla proroga dei contratti di locazione e di sublocazione degl'immobili urbani), nel testo inserito dalla legge di conversione 12 agosto 1974, n. 351, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con l'ordinanza del 3 gennaio 1976 del pretore di Chiavenna.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/07/80.
Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI – Michele ROSSANO – Antonino DE STEFANO – Leopoldo ELIA – Guglielmo ROEHRSSEN – Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI – Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE – Antonio LA PERGOLA – Virgilio ANDRIOLI
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 16/07/80.