SENTENZA N. 40
ANNO 1977
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Paolo ROSSI, Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 18 giugno 1975, depositato in cancelleria il 28 successivo ed iscritto al n. 24 del registro 1975, per conflitto di attribuzione sorto a seguito dell'atto di promulgazione della legge regionale 26 marzo 1975, n. 22, recante "Provvidenze a favore di cooperative di produzione e lavoro e di trasporto".
Visto l'atto di costituzione del Presidente della Regione Umbria;
udito nell'udienza pubblica del 10 novembre 1976 il Giudice relatore Vezio Crisafulli;
uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il ricorrente, e l'avv. Fabio De Anna, per la Regione.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato il 18 giugno 1975 e depositato il 28 giugno 1975, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente della Regione Umbria, avverso l'atto di promulgazione della legge regionale 26 marzo 1975, n. 22, recante provvidenze a favore delle cooperative di produzione e lavoro e di trasporto.
Il Consiglio regionale dell'Umbria aveva approvato per la prima volta la legge citata il 25 ottobre 1974. Il 22 novembre successivo il Governo ne aveva disposto il rinvio al Consiglio regionale rilevando che la legge riguardava un oggetto non riconducibile ad alcuna delle materie elencate nell'art. 117 Cost. e pertanto esulava dalla competenza regionale. Si rilevava, inoltre, che la utilizzazione di somme del fondo per le spese obbligatorie e d'ordine, disposta dall'art. 12 della legge, non poteva considerarsi corretto mezzo di copertura di spese aventi carattere pluriennale. Il 6 marzo 1975 il Consiglio regionale dell'Umbria, visti i rilievi del Governo, procedeva alla riapprovazione, a maggioranza assoluta, dello stesso disegno di legge, modificandolo nella parte relativa alla decorrenza dei benefici (dall'anno 1975 anziché 1974) ed alla copertura finanziaria, con l'istituzione di un nuovo capitolo di bilancio (n. 4680 "Fondo per far fronte ad oneri dipendenti da provvedimenti legislativi in corso").
Non essendo intervenuto alcun atto da parte del Governo nei quindici giorni successivi alla comunicazione (10 marzo), il Presidente della Regione promulgava la legge in data 26 marzo 1975, facendo seguire alla formula rituale una nota con la quale veniva sottolineato che il visto del Commissario del Governo doveva considerarsi apposto, "essendo decorso il termine prescritto" dall'art. 127, ultimo comma, Cost. "(quindici giorni dal 10 marzo 1975)". Osserva in proposito l'Avvocatura dello Stato che l'approvazione del 6 marzo 1975 non può considerarsi una seconda lettura del medesimo disegno di legge, la quale soltanto avrebbe potuto escludere un secondo rinvio, bensì una prima approvazione di una legge nuova in considerazione delle modificazioni introdotte in quella sede al disegno di legge. Al Governo, pertanto, a norma dell'art. 127, terzo comma, Cost., doveva riconoscersi il potere di effettuarne il rinvio entro i trenta giorni dalla comunicazione, come infatti é avvenuto con nota del Commissario in data 28 marzo 1975.
Si chiede, pertanto, che la Corte dichiari che spettava al Governo il potere di rinviare la legge in questione, che al Presidente della Regione non spettava medio tempore il potere di promulgazione della legge stessa, e che il relativo atto sia annullato.
2. - Si é costituito in giudizio il Presidente della Regione Umbria con deduzioni depositate il 5 luglio 1975. Si chiede preliminarmente che il ricorso venga dichiarato inammissibile, non potendo riconoscersi alla promulgazione di una legge la qualità di atto idoneo a generare un conflitto di attribuzione, per la sua natura di atto costituzionale la cui impugnazione si risolverebbe in uno strumento indiretto di controllo sulla legge regionale in una forma estranea alle ipotesi di cui all'art. 127 della Costituzione.
Nel merito si sostiene l'infondatezza del ricorso, poiché, non potendosi contestare che le modificazioni apportate con l'approvazione del 6 marzo 1975 hanno carattere meramente formale, e che, invece, in quella sede il Consiglio regionale ha manifestato la volontà di confermare il disegno di legge nel suo contenuto sostanziale, al Governo non restava che proporre la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale o di merito innanzi al Parlamento, a norma del quarto comma dell'art. 127 Cost. Non essendo ciò avvenuto, del tutto legittimo deve considerarsi l'atto di promulgazione che ha dato luogo al conflitto.
Nella pubblica udienza, le difese delle parti hanno insistito nelle prese conclusioni.
Considerato in diritto
1. - Il conflitto di attribuzione proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti del Presidente della Regione Umbria trae origine dalla promulgazione della legge regionale 26 marzo 1975, n. 22, recante provvidenze in favore delle cooperative di produzione e lavoro e di trasporto, approvata dal Consiglio regionale in seconda deliberazione, a maggioranza assoluta e con modifiche, a seguito di rinvio governativo. Contro tale promulgazione é rivolto il ricorso del Presidente del Consiglio, per ottenerne l'annullamento, previa dichiarazione che il Presidente della Regione non aveva il potere di procedervi senza attendere il decorso del termine di trenta giorni per un eventuale ulteriore rinvio.
2. - É da disattendere preliminarmente l'eccezione di inammissibilità del conflitto, sollevata dalla difesa della Regione, argomentando dalla asserita natura di "atto costituzionale" o "atto di potere politico" della promulgazione delle leggi, nonché dal rilievo che, a ritenere altrimenti, risulterebbe elusa la disciplina dettata dall'art. 127 Cost. per l'impugnazione diretta delle leggi regionali.
Ed invero, quando si sia definita la promulgazione come un "atto costituzionale" o un atto "di potere politico", nulla ancora si sarebbe detto che valga a differenziarla da ogni altro atto idoneo a dar luogo a conflitti di attribuzione tra Stato e Regione, nessuna distinzione al riguardo essendo fatta dall'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, che é il solo testo di diritto positivo che in qualche modo definisca i conflitti di attribuzione intersoggettivi, come quello di cui alla presente controversia.
Senza prendere qui posizione in astratto sul problema se, come si ritiene da parte della dottrina, persino leggi formali ed atti a queste equiparati possano, in particolari ipotesi, essere all'origine di conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, é sufficiente ricordare, mantenendosi entro i limiti del giudizio in oggetto, che - nulla disponendo, come accennato, né la Costituzione né l'art. 39 della citata legge n. 87 - la natura dell'atto, che si affermi invasivo dell'altrui competenza costituzionale, non ha mai assunto, nella giurisprudenza di questa Corte, rilievo determinante ai fini della ammissibilità di conflitti tra Stato e Regioni.
Atti idonei a provocarne l'insorgere sono stati, infatti, ritenuti così concreti provvedimenti amministrativi, come regolamenti ed altri atti generali; così atti di controllo, come pronunce giurisdizionali od atti connessi con l'esercizio della funzione giurisdizionale (e poi ancora, tra gli atti amministrativi: sia atti definitivi, sia atti preparatori; sia atti formali ed esterni, sia atti interni, purché esplicanti effetti per i terzi, ed anche comportamenti concludenti non estrinsecantisi in atti formali).
É perciò indifferente che la promulgazione delle leggi venga configurata - secondo una concezione che può dirsi tradizionale - come atto di funzione esecutiva o che la si consideri inclusa, piuttosto, per attrazione, nel procedimento legislativo, largamente inteso così da comprendere, oltre alla fase costitutiva della deliberazione della volontà legislativa, quella, successiva, diretta a conferirle efficacia esterna nell'ordinamento generale e nei confronti di tutti i soggetti che vi sono sottoposti. Giacché, in entrambe le ipotesi, non si incontrano ostacoli, né di diritto positivo né di ordine logico, a riconoscere la idoneità dell'atto promulgativo a dar luogo a conflitti di attribuzione, quando ne ricorrano, beninteso, le altre condizioni.
E non é vero che, in tal guisa, verrebbe frustrata la distinzione tra giudizio sulle leggi (anche per vizi della promulgazione) e giudizio in sede di conflitto sull'atto promulgativo distintamente considerate, ben potendo darsi il caso (come nella specie) in cui proprio dalla intervenuta promulgazione si assuma risulti menomato un potere costituzionalmente spettante al Governo e la proposizione del conflitto sia l'unico mezzo del quale esso dispone per provocare una decisione di questa Corte che restauri l'ordine delle competenze.
3. - Passando al merito, é opportuno anzitutto riassumere le vicende della controversia su cui la Corte é chiamata a decidere. La legge regionale sopra menzionata era stata rinviata per nuovo esame al Consiglio della Regione Umbria, perché - ad avviso del Governo - eccedente l'ambito delle materie elencate nell'art. 117 Cost. A tale censura il Governo faceva seguire un rilievo circa la correttezza dei mezzi adottati per far fronte agli oneri finanziari pluriennali derivanti dall'applicazione della legge medesima, senza peraltro farne specifico motivo di censura, così come necessario, secondo i principi affermati da questa Corte nella sent. n. 212 dell'anno 1976, quanto meno ai fini che allora venivano in considerazione.
Nella seduta del 6 marzo 1975 la legge era approvata con la maggioranza assoluta del Consiglio, venendo peraltro modificata nella parte concernente la copertura della spesa, con l'adozione di un sistema diverso da quello originario. Inoltre, la decorrenza degli impegni di spesa autorizzati e della relativa provvista dei mezzi occorrenti per finanziarli veniva fatta " slittare " di un anno, a partire, cioè, dal 1975, anziché dal 1974.
Il 26 marzo il Presidente della Giunta regionale promulgava la legge, precisando che il visto del Commissario del Governo doveva ritenersi tacitamente apposto per mancata impugnazione entro i quindici giorni dalla seconda deliberazione: onde, come già detto, il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal Governo, che aveva frattanto provveduto altresì, in data 26 marzo, a rinviarla al Consiglio regionale malgrado la promulgazione fattane in quello stesso giorno.
Secondo l'assunto della difesa dello Stato, la legge de qua, per effetto delle modificazioni introdotte al testo approvato in prima lettura, era da considerarsi "nuova" e perciò suscettibile, entro trenta giorni dalla seconda approvazione, di ulteriore rinvio all'organo regionale deliberante: l'intervenuta promulgazione dopo il minor termine di quindici giorni avrebbe pertanto illegittimamente inciso su una competenza costituzionale del Governo, impedendogli di esercitare efficacemente il potere di rinvio, a norma del terzo comma dell'art. 127 della Costituzione.
Secondo l'assunto della difesa della Regione, per contro, le modifiche apportate al testo originario non sarebbero tali da rendere "nuova" la legge, che avrebbe quindi dovuto considerarsi riapprovata "integralmente", ai sensi dell'art. 127, ultimo comma, Cost. (e con la maggioranza ivi prescritta per tale ipotesi) e conseguentemente soggetta soltanto ad eventuale impugnazione entro quindici giorni: di guisa che legittimamente, scaduto questo termine senza che alcuna impugnazione fosse stata proposta, il Presidente della Regione avrebbe proceduto alla promulgazione.
4. - Nei suoi termini essenziali, il problema é, dunque, di stabilire se una legge regionale, rinviata al Consiglio per nuovo esame e da questo riapprovata a maggioranza assoluta, della quale una parte sia stata confermata disattendendo le censure governative ed altra parte modificata, sia qualificabile come la stessa legge approvata "di nuovo", secondo la formula dell'ultimo comma dell'art. 127 Cost., e quindi non più suscettibile di rinvio. Ed in proposito osserva la Corte che il ripetersi nella prassi a poca distanza di tempo di equivoci e contestazioni ed il persistere di gravi dubbi dottrinali convincono della necessità che, al di là degli aspetti particolari che possono presentare i singoli casi di specie, il problema riceva una soluzione netta e lineare, che dia immediata certezza a tutti gli operatori interessati quanto agli obblighi ed alle facoltà che ad essi rispettivamente competono.
Il Presidente del Consiglio regionale, infatti, dev' essere prontamente in grado di conoscere come comportarsi in sede di proclamazione del risultato della votazione avente ad oggetto un disegno di legge in seconda deliberazione a seguito di rinvio, posto che, qualora il testo ne sia rimasto del tutto immutato e la maggioranza assoluta non sia stata raggiunta, la legge non potrebbe dichiararsi approvata, e se invece fosse data per approvata sarebbe censurabile per contrasto con l'art. 127 Cost. (sent. nn. 153 e 235 del 1976). Dal canto suo il Presidente della Regione deve essere messo in grado di decidere sollecitamente se promulgarla dopo il decorso di quindici giorni o se attendere sino al trentesimo giorno; e lo stesso Governo della Repubblica, ove ritenga di opporsi all'entrata in vigore della legge precludendone la promulgazione, se gli incomba l'onere di impugnarla davanti alla Corte (o davanti alle Camere per contrasto di interessi) entro il primo termine, ovvero di rinviarla ulteriormente al Consiglio entro quello di trenta giorni.
Ma qualsiasi distinzione tra modifiche sostanziali e non; tra modifiche più o meno incisive; come pure tra modifiche collegate ai motivi del rinvio, e modifiche ulteriori e diverse, si rivela, all'atto pratico, estremamente difficile e fonte di incertezze. Ed invero:
A) L'atto di rinvio non é formalmente tipizzato dalla legge, potendo perciò accadere (come in fatto é accaduto nella specie) che una modifica sia introdotta aderendo a rilievi governativi, non concretanti però (ai sensi della ricordata sent. n. 212 del 1976) vere e proprie censure, sorgendo allora il dubbio se una modifica siffatta sia da considerare "in accoglimento" del rinvio.
B) Di solito, l'atto di rinvio non contiene proposte specifiche, limitandosi ad enunciare i vizi ravvisati nella delibera legislativa regionale, sicché é ben possibile che il Consiglio regionale abbia dinanzi a sé la scelta tra più modi per conformarsi alle censure governative e che, nel procedervi, incorra in nuovi vizi di legittimità costituzionale o di merito.
C) Può darsi altresì che le modifiche introdotte al testo precedente ne rendano, a giudizio del Consiglio, necessarie delle altre, concernenti disposizioni alle quali l'atto di rinvio non aveva (e non poteva avere) riferimento: nel qual caso, sarebbe dubbio se modifiche conseguenziali del genere siano da attrarre o meno tra quelle "in accoglimento" delle censure del Governo.
5. - Ciò premesso, l'unica soluzione che dia sempre pratica certezza é quella più strettamente aderente al testo e alla ratio dell'art. 127, ultimo comma, Cost.: che ricollega l'esigenza della maggioranza assoluta e il decorso del termine di quindici giorni per la promulgazione o per l'eventuale ricorso governativo al dato, di agevole e sicura verificazione, che la legge sia stata approvata "di nuovo": vale a dire, nel medesimo identico testo che aveva formato oggetto della prima deliberazione e del successivo rinvio.
Letteralmente, infatti, quando l'art. 127 usa l'espressione "ove il Consiglio regionale l'approvi di nuovo", non può che riferirsi a quella determinata legge, già in precedenza approvata, senza che vi sia apportata modificazione alcuna; mentre, logicamente, la norma si giustifica considerando che, in tanto é richiesta la maggioranza assoluta ed in tanto viene aperto l'adito alla impugnazione, in quanto il Consiglio regionale abbia inteso limitarsi a confermare la propria anteriore deliberazione, resistendo al rinvio.
Le conclusioni sopra esposte si allineano, d'altronde, in perfetta simmetria con quanto disposto - sia pure a livello di legislazione ordinaria - dall'art. 48 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, con riferimento all'ipotesi (sotto molteplici aspetti analoga) delle conseguenze del rinvio (anche qui, "per...riesame": art. 47) delle deliberazioni non legislative regionali, per motivi di merito: nel senso precisamente che, "ove il Consiglio regionale confermi senza modificare, a maggioranza assoluta (...) la deliberazione al cui riesame sia stato inviato dalla Commissione di controllo (...), la deliberazione diviene esecutiva se non venga annullata nel termine di venti giorni per vizi di legittimità " (si veda anche, nello stesso ordine di idee, per il controllo di merito sugli atti degli enti locali minori, il successivo art. 60, ultimo comma). E sono altresì coerenti con il principio, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, della necessaria corrispondenza dei motivi di rinvio delle leggi regionali con quelli addotti nell'eventuale successivo ricorso, "in modo da consentire al Consiglio regionale una consapevole deliberazione e al Governo di valutare, tenuto conto di siffatta manifestazione di volontà, se sia opportuno promuovere la questione di legittimità costituzionale" (sent. n. 123 del 1975), o quella di merito davanti alle Camere.
É poi ovvio che, qualora il Consiglio regionale abbia modificato la legge rinviatagli per conformarsi, e realmente conformandosi, ai rilievi prospettati con l'atto di rinvio, senza incorrere in nuovi vizi, il Governo non avrà alcun interesse a disporre un nuovo rinvio, di tal che, decorsi i trenta giorni, la legge sarà promulgata, pubblicata ed entrerà in vigore.
Discende altresì da quanto precede che, ove la legge regionale sia stata modificata in seconda deliberazione, anche se con la maggioranza assoluta, il Governo non può impugnarla, ma soltanto rinviarla per nuovo esame al Consiglio.
6. - Alla stregua delle considerazioni dianzi svolte con specifico riguardo all'applicazione dell'art. 127, ultimo comma, Cost., poiché il Consiglio regionale, in sede di seconda deliberazione, ha innovato alla legge in oggetto relativamente alle disposizioni di carattere finanziario, deve riconoscersi che il Presidente della Regione non aveva il potere di promulgarla senza attendere il decorso del termine di trenta giorni per un eventuale ulteriore rinvio.
A norma dell'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'atto promulgativo deve quindi essere annullato, consentendosi così al rinvio disposto, in pari data, dal Governo di avere il suo corso regolare.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che non spettava al Presidente della Regione Umbria procedere alla promulgazione della legge regionale 26 marzo 1975, n. 22, recante provvidenze in favore delle cooperative di produzione, lavoro e di trasporto, prima che fossero decorsi trenta giorni dalla deliberazione consiliare del 6 marzo 1975, ed in conseguenza annulla la promulgazione medesima.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 gennaio 1977.
Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 20 gennaio 1977.