SENTENZA N. 234
ANNO 1976
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Paolo ROSSI, Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 543, quinto comma, e 546 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 18 aprile 1975 dal pretore di Avigliano nel procedimento penale a carico di Troiano Rocco ed altri, iscritta al n. 358 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 268 dell'8 ottobre 1975.
Udito nella camera di consiglio del 7 ottobre 1976 il Giudice relatore Luigi Oggioni.
Ritenuto in fatto
Con sentenza istruttoria del 6 aprile 1973 il pretore di Avigliano dichiarava non doversi procedere perché il fatto non costituiva reato contro Troiano Rocco ed altri, imputati del delitto di cui all'art. 633 cod. pen. per essersi introdotti in terreni, provvisoriamente occupati dall'Amministrazione forestale, ed avere ivi eseguito lavori agricoli non autorizzati. Con sentenza 11 giugno 1973 il giudice istruttore presso il tribunale di Potenza confermava tale sentenza, impugnata dal pubblico ministero, ritenendo difettare l'elemento soggettivo del reato, ravvisato nel fine di occupare anche temporaneamente gli immobili. La Corte di cassazione, su ricorso del pubblico ministero annullava detta pronunzia con sentenza del 6 febbraio 1974, riconoscendo che nel fatto addebitato ai prevenuti ricorrevano, invece, l'estremo della occupazione non temporanea, ed il fine di trarne profitto e, ai sensi dell'art. 543, quinto comma, cod. proc. pen., rimetteva gli atti al pretore competente, cioé appunto allo stesso pretore di Avigliano, per procedere al giudizio in ordine al detto reato. Il pretore, con ordinanza del 18 aprile 1975, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 543 quinto comma, cod. proc. pen, nonché dell'art. 546 dello stesso codice in relazione all'art. 101, secondo comma, della Costituzione. Il giudice a quo afferma nell'ordinanza che il citato art. 543, quinto comma, cod. proc. pen. nel prescrivere specificamente che "se é annullata la sentenza pronunciata in grado di appello dal giudice istruttore a norma dell'art. 399 cod. proc. pen., con la quale é stata confermata la dichiarazione di non doversi procedere, gli atti sono trasmessi al pretore competente perché proceda al giudizio", eluderebbe il principio costituzionale che vuole il giudice soggetto soltanto alla legge, imponendogli non soltanto automatica ripetizione di valutazioni già da altri compiute ma, ciò che sarebbe anche più grave, in senso obbligatoriamente contrario a quanto già da lui deciso. Il che si porrebbe anche in contrasto col principio generale stabilito dall'art. 61 cod. proc. pen. che, invece, prevede l'incompatibilità del giudice in casi del genere.
Né varrebbe obbiettare che la funzione vincolata dal giudice stesso si ridurrebbe solo alla emissione del decreto di citazione in giudizio, e che di conseguenza lo stesso giudice sarebbe libero di acquisire nuovi elementi di fatto e di formulare, in base a questi, nuove conclusioni in punto di diritto. Invero, secondo il pretore, a mente dell'art. 546 cod. proc. pen. non potrebbe porsi in discussione, nel nuovo giudizio, l'accertamento del fatto così come "cristallizzato nella pronuncia di annullamento che al fatto stesso si riferisca nell'enunciazione della regola di diritto".
Nella specie, comunque, secondo il giudice a quo il fatto sarebbe risultato identico, negli elementi materiali, a quello che ha formato oggetto di esame da parte della Corte di cassazione, e il giudice di rinvio, di conseguenza, non sarebbe libero di decidere, ma sarebbe sottoposto ad un coattivo ripensamento di opinioni già espresse. Si profilerebbe così il dubbio di legittimità dell'art. 543, comma quinto, e dell'art. 546 cod. proc. pen. in relazione alla garanzia di indipendenza sancita dall'art. 101, secondo comma, della Costituzione, quanto meno per la parte in cui le dette norme processuali prevedono che il giudizio di rinvio debba svolgersi dinanzi allo stesso titolare dell'ufficio che sulla medesima quaestio facti si era già pronunciato nel merito con decisione conclusiva di una fase del procedimento, quale appunto la sentenza istruttoria.
Non vi é stata costituzione di parti in questo giudizio.
Considerato in diritto
1. - Il pretore di Avigliano denuncia il preteso contrasto degli artt. 543, quinto comma, e 546, primo comma, cod. proc. pen. con il principio della indipendenza del giudice sancito dall'art. 101 della Costituzione ponendo in rilievo che, a seguito delle norme denunciate, lo stesso pretore, il quale, in sede istruttoria, abbia pronunciato sentenza di non doversi procedere perché il fatto non costituisce reato, come nel caso, si vedrebbe poi, a seguito dell'annullamento, da parte della Cassazione, della sentenza del giudice istruttore, confermativa della dichiarazione stessa, costretto a procedere al giudizio ed assoggettato, quindi, ad una pronunzia in senso predeterminato, dato l'obbligo di uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Cassazione.
Inoltre, in applicazione del citato art. 546, il campo della nuova pronuncia risulterebbe rigidamente condizionato dalla pronuncia della Cassazione anche per quanto riguarda l'accertamento dei fatti, i quali risulterebbero definitivamente acquisiti in conformità dei riferimenti posti a base della regola di diritto enunciata nella sentenza di annullamento, il che porterebbe la norma dell'art. 546, anche sotto questo profilo, in contrasto con l'art. 101 della Costituzione.
2. - Le questioni non sono fondate.
In primo luogo, va ricordato che questa Corte, con la sentenza n. 50 del 1970, ha già riconosciuto la legittimità dell'art. 546 in esame, proprio nei confronti dell'art. 101 della Costituzione osservando che "la pronuncia giudiziaria si mantiene sempre sotto l'imperio della legge, anche se questa dispone che il giudice formi il suo convincimento avuto riguardo a ciò che ha deciso altra sentenza, emessa nella stessa causa, come é nel sistema del rinvio dalla Cassazione. Nella sua sostanza e nelle sue conseguenze l'art.546 non fa che determinare l'oggetto del processo di rinvio, tracciando le linee del procedimento verso la soluzione, attraverso concatenazione di atti, in modo da impedire la perpetuazione dei giudizi".
La Corte ritiene di dover ribadire questa motivazione, non senza aver qui richiamato anche l'art. 65 dell'Ordinamento giudiziario (r.d. n. 12 del 1941) che assegna alla Cassazione la funzione di assicurare l'uniforme interpretazione della legge. Aggiungasi che con la sent. n. 142 del 1971 questa Corte, in applicazione degli stessi concetti, ha ritenuto non contrastante con il principio costituzionale invocato, l'art. 2 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, secondo cui, se la Corte d'appello accoglie il ricorso per la dichiarazione di fallimento in riforma della decisione contraria del tribunale, rimette a quest'ultimo gli atti perché proceda alla dichiarazione di fallimento.
In conclusione, la Corte esclude, nel caso, la violazione dell'art. 101 della Costituzione che mira a garantire che il giudice riceva soltanto dalla legge l'indicazione delle regole da applicare nel giudizio, escludendo qualsiasi intervento esterno circa il modo di giudicare in concreto.
3. - In secondo luogo, la Corte ritiene di non condividere quanto esposto in ordinanza sotto l'altro profilo attinente alla valutazione del fatto, quale già delineato nella fase istruttoria, e che non sarebbe più rivedibile dal giudice di rinvio.
Va osservato che, a termini dell'art. 543, quinto comma, cod. proc. pen., la pronuncia della Cassazione si limita ad ordinare che sulla imputazione decida il pretore "in giudizio", cioé in dibattimento e, quindi, con tutti i poteri a lui spettanti, a termini dell'art. 544, quinto comma, cod. proc. pen. Detta pronuncia non investe, quindi, e non cristallizza il merito del relativo giudizio, rimanendo il giudice di rinvio obbligato soltanto ad uniformarsi alla qualificazione giuridica del fatto, quale risulta prospettato sino allora, secondo il principio di diritto stabilito dal giudice di legittimità.
Ciò non toglie che il giudice di rinvio sia facoltizzato a procedere, nella nuova sede, a tutti gli ulteriori accertamenti, conducenti eventualmente ad una rivalutazione del fatto, sotto tutti i suoi aspetti, soggettivi ed oggettivi, con le conseguenze che ne derivano.
Ciò assume particolare evidenza in riferimento alle pronunce della Cassazione, concernenti, come nel caso, sentenze istruttorie, le quali sono, appunto, caratterizzate dalla mutabilità dei presupposti di fatto, collegata alla funzione essenzialmente preparatoria della fase di giudizio nella quale dette sentenze vengono emesse. Va, quindi, escluso che il giudizio di merito venga ad essere definitivamente condizionato dalla pronuncia della Cassazione, e, di conseguenza, va escluso che l'art. 546, primo comma, cod. proc. pen. sia, anche sotto questo particolare profilo, in contrasto con l'art. 101 della Costituzione.
4. - Infine va esaminato l'altro aspetto della questione sollevata, cioé se l'obbligo di procedere al giudizio, deferito dall'art. 543, quinto comma, cod. proc. pen. allo stesso giudice che già si sia pronunciato al riguardo, e non ad altro giudice di pari funzioni, comporti, di per sé, la violazione dello stesso principio di indipendenza, sancito dall'art. 101 della Costituzione.
Anche sotto questo profilo, la questione non é fondata.
Vero che nello stesso art. 543 cod. proc. pen. é prescritto (n. 3) che quando si tratti di sentenze rese in sede dibattimentale e poi annullate, il rinvio é disposto ad altro giudice diverso da quello che le ha pronunciate e che altrettanto é disposto (art. 561 cod. proc. pen.) in tema di rinvio a nuovo giudizio dopo l'accoglimento della istanza di revisione. Ma, nel caso in esame (a parte la peculiare configurazione del giudice pretorile, in sé assommante poteri di esercizio dell'azione penale, di istruttoria e di giudizio), la particolare natura delle sentenze istruttorie é, quale sopra si é delineata al n. 3, in collegamento con l'art. 399 cod. proc. pen. richiamato dallo stesso art. 543, quinto comma, a giustificare razionalmente il rinvio allo stesso pretore, senza che possano insorgere dubbi di menomata indipendenza dello stesso. Al riguardo sono anche da richiamare utilmente le considerazioni svolte da questa Corte nella recente sent. n. 210 del 1976 a proposito di questione analoga riguardante un rinvio a giudizio disposto dal giudice istruttore davanti allo stesso pretore che aveva in un primo tempo dichiarato non doversi promuovere azione penale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 543, quinto comma, e 546 del codice di procedura penale, questione sollevata con l'ordinanza in epigrafe del pretore di Avigliano con riferimento all'art. 101 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 novembre 1976.
Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 6 dicembre 1976.