SENTENZA N. 155
ANNO 1976
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Paolo ROSSI, Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 del r.d.l. 29 aprile 1915, n. 582, contenente norme per regolare l'esecuzione delle opere definitive nelle località colpite dal terremoto del 13 gennaio 1915, promosso con ordinanza emessa il 14 maggio 1975 dal tribunale di Cassino nel procedimento civile vertente tra la società Farina Elio e C. ed il Comune di Sora, iscritta al n. 342 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 249 del 17 settembre 1975.
Udito nella camera di consiglio dell'8 aprile 1976 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza del 14 maggio 1975 emessa nel procedimento civile vertente tra la società Elio Farina e C. ed il Comune di Sora il tribunale di Cassino ha sollevato, in riferimento agli artt. 42 e 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del r.d.l. 29 aprile 1915, n. 582 (contenente norme per regolare l'esecuzione delle opere definitive nelle località colpite dal terremoto del 13 gennaio 1915).
Ha premesso che:
- con decreto del 24 settembre 1969 il Prefetto della Provincia di Frosinone aveva pronunciato l'espropriazione di mq. 506 di terreno di proprietà della detta società e sito in Sora "occorsi per l'attuazione delle opere relative al piano regolatore e per l'ampliamento della città di Sora, in dipendenza del terremoto 13 gennaio 1915" ed aveva determinato la relativa indennità in lire 12.650;
- che la società aveva proposto rituale opposizione alla stima ed il convenuto Comune di Sora, ente espropriante, aveva impugnato la domanda chiedendone il rigetto;
- e che nel contraddittorio delle parti, il consulente tecnico di ufficio, all'uopo nominato, aveva stabilito che il valore dei beni espropriati calcolato secondo il r.d.l. n. 582 del 1915, era di lire 7.100, e calcolato invece con riferimento al valore venale alla data di esproprio era di lire 4.960.000.
Ha osservato in diritto che l'art. 3 del citato r.d.l. applicabile fino al 31 dicembre 1970, dispone al primo comma che l'indennità di espropriazione va determinata "valutando i beni espropriati allo stato in cui essi si trovino al momento dell'espropriazione, ma non mai in misura superiore al valore che avevano il 12 gennaio 1915", ed al secondo comma, che deve tenersi conto della "condizione in cui i beni espropriati si trovavano nel 12 gennaio 1915 prima del terremoto".
E rilevato che l'indennità di espropriazione era stata ed avrebbe dovuto essere determinata secondo il valore dei beni al 12 gennaio 1915 e di contro il decreto di esproprio era stato pronunciato nel 1969 e che, a causa della svalutazione monetaria verificatasi medio tempore, la misura dell'indennità era diventata del tutto irrisoria, ha considerato rilevante e non manifestamente infondata la sopraddetta questione.
Ad avviso del tribunale di Cassino la decisione di questa Corte avrebbe in modo evidente carattere pregiudiziale, e la norma denunciata sarebbe contraria all'art. 42, comma terzo, della Costituzione per ciò che consente, qualora vi sia dissociazione tra momento determinativo dell'indennizzo e momento ablativo, che l'indennizzo venga ridotto a misura soltanto simbolica (così come ritenuto - in relazione ad altra normativa - da questa Corte, con sentenza n. 63 del 1970), e violerebbe altresì l'art. 3 della Costituzione, in quanto discrimina ingiustamente i terremotati del 1915 da quelli delle zone calabro-siciliane colpiti dal terremoto del 1908 (per i quali l'indennità di espropriazione é fissata dall'art. 161 t.u. 19 agosto 1917, n. 1399, in conformità del criterio del valore venale indicato nell'art. 39 della legge 25 giugno 1865, n. 2359).
2. - Comunicata, notificata e pubblicata l'ordinanza, non si é costituita alcuna delle parti e non ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri. E pertanto, ai sensi dell'art. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la causa viene decisa in camera di consiglio.
Considerato in diritto
1. - Per l'art. 3 del r.d.l. 29 aprile 1915, n. 582 "le indennità per le espropriazioni nei comuni di cui all'.art. 1" (e cioé nei comuni colpiti dal terremoto del 13 gennaio 1915) "sono determinate applicando le disposizioni della legge 25 giugno 1865, n. 2359, e valutando i beni espropriati allo stato in cui essi si trovino al momento dell'espropriazione, ma non mai in misura superiore al valore che avevano il 12 gennaio 1915, salve sempre le disposizioni degli artt. 41, 42 e 43 della legge stessa", e "le indennità per le espropriazioni dei terreni debbono essere determinate in base alla condizione, in cui i beni espropriati si trovavano nel 12 gennaio 1915 prima del terremoto".
Tale norma, in vigore all'atto in cui, nella specie sottoposta alla decisione del giudice a quo, era intervenuto il decreto di esproprio, e pertanto ad essa applicabile, sarebbe, secondo l'ordinanza di rimessione, in contrasto con gli art. 42, comma terzo, e 3, comma primo, della Costituzione.
2. - Il dubbio circa la costituzionalità della indicata norma é rivolto a quella parte di essa in cui si stabilisce, ferma l'applicazione delle disposizioni della legge n. 2359 del 1865, che i beni espropriati debbano essere valutati "allo stato in cui essi si trovino al momento dell'espropriazione" e "mai in misura superiore al valore che avevano il 12 gennaio 1915" (comma primo) e che debba tenersi conto della "condizione, in cui i beni espropriati si trovavano nel 12 gennaio 1915 prima del terremoto" (comma secondo). E tale dubbio é prospettato, come si é detto, sotto due profili deducendosi, anzitutto, che essa norma, per ciò che é possibile un esproprio a grande distanza di tempo dalla sua entrata in vigore e precisamente sino al 31 dicembre 1970, e ci si deve riportare al 12 gennaio 1915, per determinare a quella data la condizione ed il valore del bene espropriato ed al momento dell'espropriazione solo pei determinare lo stato di detto bene, consente che l'indennizzo sia di misura puramente simbolica; e mettendosi in evidenza, in secondo luogo, una ingiustificata disparità di trattamento tra i terremotati del 1915 e quelli delle zone calabro-siciliane colpiti dal terremoto del 1908.
La questione di legittimità costituzionale é fondata.
La Corte ha avuto modo in passato di rilevare che l'indennizzo di cui al terzo comma dell'art. 42 della Costituzione non possa essere irrisorio o simbolico; e si ha violazione di tale disposizione, in particolare e tra l'altro, quando nella norma ordinaria si preveda una scissione tra la data dell'espropriazione e quella anteriore considerata ai fini della determinazione del valore del bene espropriato e tale scissione "valutata nel complesso della disciplina legislativa in cui si inserisce e delle situazioni di fatto in cui é chiamata ad operare, riduca l'indennizzo ad una misura irrisoria ovvero renda possibile che, nel concorso di eventuali sfavorevoli evenienze, tale riduzione abbia a verificarsi" (sentenza n. 63 del 1970).
Ed in coerenza con codesti principi, in due occasioni (sentenze n. 67 del 1959 e n. 22 del 1965) ha dichiarato rispettivamente l'illegittimità costituzionale di una legge che prevedeva la liquidazione di un indennizzo rapportato al valore monetario che i beni avevano in epoca anteriore all'inflazione conseguente alla seconda guerra mondiale, e di altra legge che faceva apparire incerta nelle sue applicazioni al futuro la garanzia di una indennità non irrisoria.
Nella specie, la scissione tra le due date é del tutto evidente, perché anche se ai fini della determinazione del valore dei beni é previsto che si debba fare riferimento al momento dell'espropriazione, la norma denunciata impone che tale valore non possa "mai" essere superiore a quello che il bene espropriato aveva il 12 gennaio 1915. In sostanza, la fissazione di un limite massimo circa il valore del bene ancorata ad una data anteriore a quella dell'espropriazione ed addirittura all'epoca della prima guerra mondiale, comporta, considerato il notevole distacco di tempo e tenuti presenti i fatti economici e finanziari medio tempore verificatisi, che razionalmente essa debba essere equiparata ad una pura e semplice previsione di quella lontana data (12 gennaio 1915) come unico momento a cui doversi rifare per la determinazione del valore.
Stante ciò, la norma denunciata nella parte in cui stabilisce che l'indennità per espropriazione deve essere determinata, valutando i beni espropriati "mai in misura superiore al valore che avevano il 12 gennaio 1915", contrasta con l'art. 42, comma terzo, della Costituzione perché, come si é detto, comporta che l'indennizzo non possa non essere simbolico o irrisorio.
Ne consegue che ne rimane assorbito l'esame del secondo profilo di legittimità costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 del r.d.l. 29 aprile 1915, n. 582 (contenente norme per regolare l'esecuzione delle opere definitive delle località colpite dal terremoto del 13 gennaio 1915), limitatamente all'inciso "ma non mai in misura superiore al valore che avevano il 12 gennaio 1915".
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1976.
Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 7 luglio 1976.