Sentenza n. 63 del 1970

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SENTENZA N. 63

 

ANNO 1970

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori Giudici:

 

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

 

Prof. Michele FRAGALI

 

Prof. Costantino MORTATI

 

Prof. Giuseppe CHIARELLI

 

Dott. Giuseppe VERZÌ

 

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

 

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

 

Dott. Luigi OGGIONI

 

Dott. Angelo DE MARCO

 

Avv. Ercole ROCCHETTI

 

Prof. Enzo CAPALOZZA

 

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

 

Prof. Vezio CRISAFULLI

 

Dott. Nicola REALE

 

Prof. Paolo ROSSI

 

ha pronunciato la seguente

 

 

 

SENTENZA

 

 

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2, ultimo comma, della legge 29 settembre 1962, n. 1462, contenente "norme di modifica ed integrazione delle leggi 10 agosto 1950, n. 646, 29 luglio 1957, n. 634, e 18 luglio 1959, n. 555, recanti provvedimenti per il Mezzogiorno", promossi con diciannove ordinanze emesse dal tribunale di Bari in data 2, 16 e 30 maggio 1968, 6 e 15 giugno 1968, 17 e 24 ottobre 1968, 12 dicembre 1968, 30 gennaio 1969, 20 marzo 1969, 17 e 24 aprile 1969 nei procedimenti civili instaurati da Nitti Giuseppe e Ladisa Anna, Petruzzelli Francesco ed altri, Armenise Crescenza e Domenica, Paparella Michele, Armenise Nicola, Marzulli Nicola e Giuliani Antonia, Guaccero Maria, Vurro Giuseppe ed altri, Calabrese Teresa, Posa Vitantonio ed altro, Mesto Michele ed altro, Siciliani Carlo, Grandolfo Antonia, Paulicelli Nicola, Antonacci Donato e Grazia, Rafaschieri Teresa ed altri, De Fano Nunzia, De Luce Francesco Paolo, Loiacono Maria, contro il Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Bari, iscritte ai nn. 212, 213, 214, 215, 216, 217, 218, 219, 285 e 286 del registro ordinanze 1968, 70, 197, 198, 210, 211, 368, 369, 370 e 371 del registro ordinanze 1969, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 275 del 26 ottobre 1968, n. 305 del 30 novembre 1968, n. 52 del 26 febbraio 1969, n. 78 del 26 marzo 1969, n. 152 del 18 giugno 1969, n. 165 del 2 luglio 1969, e n. 280 del 5 novembre 1969.

 

Visti gli atti di costituzione di Guaccero Maria e del Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Bari;

 

udito nell'udienza pubblica dell'8 aprile 1970 il Giudice relatore Francesco Paolo Bonifacio;

 

uditi gli avvocati Giuseppe Abbamonte e Mario Troccoli, per la Guaccero, e l'avv. Roberto Lucifredi, per il Consorzio.

 

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

 

1. - Diciannove ordinanze del tribunale di Bari - emesse in giudizi nei quali si controverte in ordine alla determinazione della misura delle indennità dovute a seguito di espropriazioni immobiliari disposte a favore del Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Bari - hanno promosso una questione di legittimità costituzionale concernente l'art. 2, ultimo comma, della legge 29 settembre 1962, n. 1462, il quale dispone che per i primi dieci anni dall'approvazione dello statuto consortile "l'indennità di espropriazione sarà determinata sul valore che i beni avevano due anni prima della data di approvazione dello statuto".

 

Ai fini della valutazione della rilevanza della questione le ordinanze non mancano di tener conto della successiva legislazione in materia (L. 6 luglio 1964, n. 608, art. 6; L. 26 giugno 1965, n. 717, art. 31; L. 21 luglio 1965, n. 904, art. 1), ma escludono che le intervenute modifiche abbiano effetto retroattivo e possano trovare applicazione in controversie relative ad espropriazioni disposte prima dell'abrogazione della norma impugnata: i giudizi pendenti non potrebbero, perciò, esser decisi se non previa risoluzione del dubbio sulla legittimità costituzionale di questa norma.

 

Per quanto riguarda la non manifesta infondatezza della questione, il tribunale - ricordati i principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte circa i criteri da stabilirsi per la determinazione dell'indennizzo dell'esproprio, e secondo i quali la misura di questo non può essere puramente simbolica - osserva che la disciplina contenuta nella disposizione impugnata opera, fra la data dell'espropriazione e la data cui va fatto riferimento per il valore dei beni, una dissociazione che, secondo i casi, può raggiungere il limite di un dodicennio e può essere, perciò, di una entità tale da consentire che, intervenuta una frattura sull'equilibrio dei valori dei beni, l'indennizzo diventi irrisorio. Nel lungo arco di tempo che può intercorrere fra la data dell'esproprio e la data di riferimento é possibile - osservano le ordinanze - che sopravvengano elementi perturbatori che possano condurre a liquidazioni meramente simboliche: la sussistenza di tale pericolo é sufficiente a far ritenere illegittima la disposizione de qua, giacché l'art. 42 della Costituzione é violato non solo quando l'indennizzo sia mera parvenza, ma anche quando c'é la possibilità che tale esso diventi.

 

Ad avviso del tribunale, sulla questione nessuna incidenza può avere la circostanza che, in conseguenza delle modifiche apportate dal legislatore, la legge impugnata non ha avuto di fatto applicazione per tutto il periodo di tempo previsto: il vizio originario di legittimità costituzionale non potrebbe essere stato eliminato dai successivi interventi legislativi.

 

L'art. 2, ultimo comma, della legge n. 1462 del 1962 sarebbe illegittimo, secondo le ordinanze, anche in riferimento all'art. 3 della Costituzione, giacché non si potrebbe escludere che la disciplina de qua possa in pratica determinare "una pluralità di trattamenti, differenziati non già in rapporto alle caratteristiche ed al valore dei singoli beni, ma esclusivamente alla data sotto la quale essi vengono espropriati a favore del consorzio", con conseguente violazione del principio di eguaglianza.

 

2. - Nel giudizio promosso con l'ordinanza del 2 maggio 1968 iscritta al n. 218 del registro ordinanze 1968 si é costituita la signora Maria Guaccero, la quale chiede che la disposizione impugnata venga dichiarata costituzionalmente illegittima.

 

Nell'atto di costituzione (29 luglio 1968) ed in una successiva memoria (25 marzo 1970) la difesa della Guaccero, dopo aver osservato che il giudizio sulla rilevanza della questione é di esclusiva competenza del giudice a quo e che comunque nel caso in esame nessun dubbio può sussistere sull'applicabilità dell'art. 2, ultimo comma, della legge n. 1462 del 1962, sostiene che l'attuale questione é sostanzialmente identica a quella che questa Corte decise con sentenza n. 22 del 1965. In tale occasione venne dichiarata l'illegittimità costituzionale dei secondo comma, prima parte, dell'art. 12 della legge 18 aprile 1962, n. 167, a tenore del quale il valore dei beni espropriandi doveva esser riferito a due anni precedenti la deliberazione di adozione del piano, efficace per dieci anni, prorogabili per due anni: la disposizione ora impugnata dà luogo, al pari di quella allora dichiarata illegittima, ad una disciplina che rende possibile una valutazione riferita a dodici anni prima dell'espropriazione e svincola i valori dei beni dalle condizioni di mercato esistenti al momento in cui la valutazione viene compiuta. Ricordati i principi affermati in materia dalla Corte, la difesa osserva che una tecnica di stima dei beni "destinata ad esprimere soltanto incertezze ed arbitri" non può non violare gli artt. 3 e 42 della Costituzione, e conclude richiamando la motivazione della sentenza n. 22 del 1965 che, a suo avviso, deve indurre a ritenere fondata anche l'attuale questione.

 

3. - Nello stesso giudizio ed in quello promosso con ordinanza 2 maggio 1968 iscritta al n. 213 del registro 1968 si é costituito il Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Bari.

 

Nell'atto di costituzione (27 luglio 1968) ed in una successiva memoria (25 marzo 1970) la difesa del Consorzio osserva che la disposizione impugnata é giustificata dallo scopo di escludere che nella determinazione della indennità si debba tener conto dell'aumento di valore che si verifica a causa dell'inserimento dei suoli nella zona industriale: poiché é indubbiamente legittimo che ai fini dell'indennità di esproprio non debba calcolarsi l'aumento di valore derivante dall'esecuzione dell'opera di pubblica utilità (secondo un principio già accolto nella legge n. 2359 del 1865) e poiché la costituzione di un consorzio industriale richiede una lunga e complessa procedura, la legge non poteva non far risalire il momento di valutazione dell'indennizzo ad una data anteriore a quella dell'annuncio della progettata zona industriale, operando in tal modo una scelta politica, ispirata a criteri di pubblico interesse, come tale non censurabile in sede di sindacato di costituzionalità.

 

La difesa rileva che, secondo la giurisprudenza della Corte, la scissione fra la data di riferimento per il calcolo dell'indennità e la data dell'esproprio é causa di illegittimità costituzionale solo se può incidere sull'indennizzo in modo da renderlo irrisorio. Ma ciò non può accadere nella specie, giacché la sopravvenuta abrogazione delle disposizioni in esame fa sì che la sua operatività si limiti a rapporti già esauriti da vari anni ed esclude che possa rientrare nel giudizio sulla sua costituzionalità un'eventualità futura che non potrà mai più verificarsi. Riferita oramai ad espropriazioni passate, la disposizione deve essere valutata in relazione ad un arco di tempo nel quale, secondo i dati della comune esperienza, non vi é stata una vorticosa ascesa dei prezzi: anche se si ammette l'incidenza di una lenta inflazione, questa non ha potuto rendere irrisoria la misura dell'indennizzo.

 

Dopo aver comparato, sulla base delle predette argomentazioni, l'attuale questione con quella decisa con la sentenza n. 22 del 1965 ed aver messo in evidenza che i principi in questa affermati consentono di individuare la netta differenza fra la prima e la seconda, la difesa del Consorzio conclude col rilievo che una dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione in esame creerebbe una disparità di trattamento fra gli espropri secondo che questi siano anteriori o posteriori alla sopravvenuta legge del 1965: i primi sarebbero indennizzati con indennità piena e comprensiva del maggior valore derivante dalla trasformazione dell'area agricola in area industriale, i secondi, invece, verrebbero indennizzati secondo i ben più restrittivi criteri della legge n. 2892 del 1885.

 

4. - Nell'udienza pubblica le parti hanno illustrato le rispettive tesi é conclusioni.

 

 

 

Considerato in diritto

 

 

 

1. - Le ordinanze del tribunale di Bari indicate in epigrafe propongono una stessa questione di legittimità costituzionale. I relativi giudizi vengono pertanto riuniti e decisi con unica sentenza.

 

2. - L'art. 2, ultimo comma, della legge 29 settembre 1962, n. 1462, stabilisce che per le espropriazioni disposte a favore dei consorzi per le aree di sviluppo industriale (previsti dalla legge n. 634 del 1957, in parte modificata dalla legge n.555 del 1959) l'indennizzo sia determinato, entro i primi dieci anni dall'approvazione dello statuto consortile, sul valore che i beni avevano due anni prima della data di tale approvazione.

 

Le ordinanze di rimessione assumono che la dissociazione fra il momento dell'esproprio ed il momento cui occorre far riferimento per la valutazione dell'immobile espropriato, considerato il lungo arco di tempo (fino ad un massimo di dodici anni) che può intercorrere fra l'uno e l'altro, é tale da poter essere causa di liquidazione di un indennizzo meramente simbolico e da consentire una disparità di trattamento delle singole espropriazioni, differenziate solo in base alla mera accidentalità della data in cui esse vengono disposte. Questi, in sintesi, sono i due profili sotto i quali viene denunciata la violazione degli artt. 42 e 3 della Costituzione.

 

3. - Questa Corte ha già affermato (cfr. part. sent. n. 22 del 1965) che il fatto che una legge imponga la determinazione del valore dei beni con riferimento ad una data anteriore a quella dell'espropriazione non costituisce, di per sé, violazione del terzo comma dell'art. 42 della Costituzione. Ed in effetti - essendo pacifico che tale norma costituzionale non garantisce la corresponsione di un indennizzo equivalente al valore del bene espropriato, ma solo il massimo di contributo e di riparazione che, nell'ambito degli scopi di generale interesse, la pubblica amministrazione può offrire a soddisfazione dell'interesse dei privati (cfr. sent. n. 61 del 1957) - la scissione fra le due date non può essere, da sola, ragione di illegittimità costituzionale. Deve anzi aggiungersi che essa, quando, come nella specie, venga disposta allo scopo di impedire che l'espropriando si avvantaggi di un supervalore derivante dalla esecuzione o dal preannunzio di esecuzione di opere pubbliche, non solo non é illegittima, ma, come strumento che preclude ingiustificabili arricchimenti a spese della collettività, é espressione di un indirizzo politico fondato su basilari principi della Costituzione.

 

In verità, come le stesse ordinanze non mancano di mettere in rilievo, quella scissione viola l'art. 42 solo se, valutata nel complesso della disciplina legislativa in cui si inserisce e delle situazioni di fatto in cui é chiamata ad operare, riduca l'indennizzo ad una misura irrisoria ovvero renda possibile che, nel concorso di eventuali sfavorevoli evenienze, tale riduzione abbia a verificarsi. E fu proprio in applicazione di tali principi che questa Corte una volta dichiarò l'illegittimità costituzionale di una legge che prevedeva la liquidazione di un indennizzo rapportato al valore monetario che i beni avevano in epoca anteriore all'inflazione conseguente alla seconda guerra mondiale (sent. n. 67 del 1959), ed altra volta analoga pronuncia adottò a proposito di una disposizione che faceva apparire incerta, nelle sue applicazioni al futuro, la garanzia di una indennità non irrisoria (sent. n. 22 del 1965).

 

4. - Per una puntuale definizione dei termini dell'attuale questione di legittimità costituzionale é da tener presente che il tribunale di Bari ne motiva la non manifesta infondatezza non già in riferimento agli effetti che la disposizione impugnata ha prodotto sulle espropriazioni già disposte, ma in previsione dei possibili effetti sulle espropriazioni future. In altri termini - come le ordinanze testualmente affermano - il problema da risolvere non é se l'indennizzo calcolato in base alla legge impugnata "sia mera parvenza", ma se "abbia la possibilità di esserlo" in relazione all'ipotesi che nell'arco del dodicennio "si verifichino elementi perturbatori tali da condurre ad una liquidazione dell'indennità in misura irrisoria, se non addirittura simbolica".

 

Ciò posto, assume decisivo rilievo la circostanza che l'art. 2, ultimo comma, della legge n. 1462 del 1962 (già parzialmente modificato dall'art. 6 della legge 6 luglio 1964, n. 608) é stato abrogato dall'art. 31 della legge 26 giugno 1965, n. 717, che per la determinazione dell'indennizzo rinvia alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni (poi intervenute con la legge 21 luglio 1965, n. 904, in forza della quale alla materia de qua é applicabile la disciplina prevista dall'art. 13 della legge 15 gennaio 1885, n. 2892).

 

É vero che, secondo i principi costantemente affermati da questa Corte, l'abrogazione ex nunc di una legge non fa venir meno la rilevanza della questione di legittimità costituzionale, tutte le volte in cui il giudice sia chiamato a decidere controversie su fatti che, in base alle regole sulla successione delle leggi nel tempo, continuano a cadere sotto il regime della legge abrogata: e ciò perché il perdurare di questa sia pur limitata efficacia può essere eliminato solo attraverso la dichiarazione di illegittimità costituzionale (cfr. sent. n. 49 del 1970). É altrettanto vero, tuttavia, che l'abrogazione, limitando ai fatti verificatisi fino ad un certo momento la sfera di operatività della legge abrogata, incide su questa nel senso che, originariamente fonte di una norma riferibile ad una serie indefinita di fatti futuri, essa é oramai fonte di una norma riferibile solo ad una serie definita di fatti passati,.

 

Nel caso in esame, dall'impugnato art. 2, ultimo comma, l'interprete, prima dell'abrogazione, doveva trarre una norma che nella sua sfera di efficacia abbracciava tutte le espropriazioni che dal momento della sua entrata in vigore sarebbero state disposte in favore dei consorzi; sopravvenuta l'abrogazione, dallo stesso testo legislativo egli non può trarre se non una norma caratterizzata ed individuata dal suo riferimento ad espropriazioni passate.

 

Con ciò non si esercita un sindacato sulla rilevanza della questione né, come ritengono le ordinanze di rimessione, si affronta il problema se un vizio originario di illegittimità costituzionale possa essere sanato, ed in quali limiti, da una legge sopravvenuta. Si risolve, invece, il ben diverso problema della interpretazione del testo legislativo (certamente preliminare rispetto alla verifica della conformità della norma alla Costituzione), a proposito del quale non si può certo prescindere dal complesso normativo entro il quale la legge abrogata, nei limiti innanzi precisati, continua ad operare.

 

5. - Poiché, per le cose dette, dall'art. 2, ultimo comma, della legge n. 1462 del 1962 non si può ricavare una disciplina di future espropriazioni e manca quindi il presupposto perché si possa discutere dell'alea che, verificandosi gravi perturbazioni nel mercato dei beni, il meccanismo della scissione fra data di esproprio e data di riferimento del valore degli immobili possa vanificare la garanzia di un indennizzo non simbolico né irrisorio, si deve concludere che la norma che forma oggetto del presente giudizio non viola l'art. 42 della Costituzione.

 

Ad analoga conclusione si deve pervenire per quanto riguarda la supposta violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.). Ed in effetti anche questa denuncia, valutata nel contesto delle motivazioni esposte nelle ordinanze, si riferisce al pericolo di cui innanzi si é fatto cenno: pericolo insussistente, dal momento che la disciplina in esame si applica esclusivamente ad espropriazioni già intervenute.

 

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale, proposta dalle ordinanze indicate in epigrafe in riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione, dell'art. 2, ultimo comma, della legge 29 settembre 1962, n. 1462, contenente "norme di modifica ed integrazione delle leggi 10 agosto 1950, n. 646, 29 luglio 1957, n. 634, e 18 luglio 1959, n. 555, recanti provvedimenti per il Mezzogiorno".

 

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 aprile 1970.

 

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

 

 

Depositata in cancelleria il 28 aprile 1970.