SENTENZA N. 158
ANNO 1975
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 46 della legge 11 giugno 1971, n. 426 (Disciplina del commercio), e dell'art. 669 del codice penale, promossi con ordinanze emesse il 22 gennaio e il 7 marzo 1973 dal pretore di Padova nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Sartié Raimondo e di Vacca Cosimo, iscritte ai nn. 100 e 158 del registro ordinanze 1973 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 126 del 16 maggio 1973 e n. 169 del 4 luglio 1973.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 9 aprile 1975 il Giudice relatore Leonetto Amadei;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Nel corso del procedimento penale a carico di Raimondo Sartié, tratto a giudizio per rispondere del reato di vendita ambulante senza licenza, il pretore di Padova, con ordinanza del 22 gennaio 1973, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 46 della legge 11 giugno 1971, n. 426, e 669 del codice penale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
La violazione del principio di eguaglianza trarrebbe, per il proponente, la sua derivazione dalla diversa regolamentazione penale che, in tema di vendita senza licenza, si é venuta a determinare, per effetto della legge 11 giugno 1971, n. 426, innovatrice della legge 10 luglio 1962, n. 889, tra vendita ambulante e vendita attraverso esercizi stabili.
Si osserva, infatti, che, mentre la legge n. 889 del 1962 all'art.2 comminava una stessa pena per le due forme di vendita senza licenza (ammenda da lire 10.000 a lire 200.000), l'art. 46 della legge n. 426 del 1971, abrogativa della precedente, avrebbe previsto, per la vendita senza licenza attraverso l'apertura di esercizi stabili, una pena diversa e più favorevole di quella per la vendita ambulante senza licenza, che ricadrebbe, per effetto della ricordata abrogazione, sotto la sanzione dell'art. 669 cod. pen. (ammenda fino a lire 40.000 o arresto fino a due mesi). Tale nuova disciplina penale si presenterebbe, pertanto, più sfavorevole nei riguardi del venditore ambulante senza licenza, sia perché prevederebbe la possibilità di comminare, in alternativa, anche una pena restrittiva della libertà personale, sia perché il trasgressore non potrebbe beneficiare dell'istituto dell'oblazione e sia perché l'eventuale condanna dovrebbe essere iscritta nel casellario giudiziario.
La differente valutazione, ai fini delle conseguenze penali, operata dal legislatore, non potrebbe essere giustificata dal fatto che le due attività commerciali illecite si presenterebbero oggettivamente diverse. Avuto riguardo alle limitate dimensioni della attività commerciale ambulante di fronte a quella di una attività in esercizi stabili, la diversità oggettiva dovrebbe portare a ritenere meno grave la prima violazione.
Conseguirebbe, da quanto sopra dedotto, che l'assoggettamento a trattamento penale complessivamente più sfavorevole nei riguardi di un illecito che, sotto il profilo della lesione del bene giuridicamente tutelato, apparirebbe meno grave di quello assoggettato a un trattamento più favorevole, esorbiterebbe da quel criterio di ragionevolezza a cui sarebbe tenuto il legislatore nel disciplinare situazioni giuridiche con aspetti comuni o affini.
Non vi é stata costituzione di parte.
É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato.
L'Avvocatura dello Stato, considerando l'art. 669 cod. pen. nel complesso delle fattispecie ipotizzate, che sulla base della giurisprudenza della Corte di cassazione renderebbero possibili forme di concorso, ravviserebbe una differenza non solo qualitativa, ma anche quantitativa tra detto articolo e l'art. 39 della legge 426 del 1971.
Proprio per la diversità degli interessi tutelati dalle due norme, l'uno attinente alla regolarità ed alla buona fede degli scambi commerciali e l'altro all'ordine pubblico e alla pubblica incolumità, sarebbe giustificata la diversità di trattamento penale prevista dal legislatore.
Inoltre, a parte le esigenze di ordine pubblico particolari al settore del commercio ambulante, la diversità di trattamento penale tra le due ipotesi troverebbe giustificazione anche nelle considerazioni di politica economica che stanno a base della legge n. 426 del 1971. Questa, infatti, avrebbe avuto di mira unicamente la modernizzazione dell'apparato distributivo delle merci mediante l'accertamento dei requisiti soggettivi per un esercizio tecnicamente adeguato alle esigenze del settore e il contenimento della proliferazione delle imprese commerciali.
In sostanza, la conservata disciplina del commercio ambulante prevista dall'art. 2 della legge 327 del 1934 e dall'articolo 121 del t.u. delle leggi di p.s. non sarebbe stata modificata dalla legge del 1971 proprio in considerazione che la vendita ambulante senza licenza si presenterebbe maggiormente pregiudizievole in ordine all'interesse generale che si é inteso tutelare.
Identica questione, basata sulla stessa linea argomentativa é stata sollevata dallo stesso pretore di Padova anche nel corso del procedimento penale a carico di Cosimo Vacca, con l'ordinanza 7 marzo 1973.
Considerato in diritto
1. - Le due ordinanze del pretore di Padova pongono una identica questione di legittimità costituzionale e pertanto i relativi giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Le ordinanze sollevano, in relazione all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 46 della legge 11 giugno 1971, n. 426, recante norme sulla disciplina del commercio, per avere, con l'abrogazione della legge 10 luglio 1962, n. 889, posto in essere una disciplina differenziata, ai fini penali, tra la vendita abusiva effettuata in forma ambulante e quella effettuata in esercizi stabili e dell'art. 669 del codice penale nella parte in cui prevede per la vendita ambulante senza licenza una pena comparativamente più grave di quella prevista dall'art. 39 della suindicata legge n. 426 del 1971 per i non ambulanti.
La questione non é fondata.
3. - L'esercizio del commercio di vendita al pubblico é stato oggetto, nel tempo, di discipline diverse, alle quali, ai fini della questione sollevata dal pretore di Padova, occorre fare riferimento.
Il r.d.l. 16 dicembre 1926, n. 2174, convertito in legge 18 dicembre 1927, n. 2501, disciplinò il commercio di vendita al pubblico in genere, disponendo l'obbligo di una speciale licenza, da rilasciarsi da parte dei rispettivi comuni, per chi intendeva dedicarvisi. A breve distanza dalla emissione di tale provvedimento legislativo, che abbraccia ogni specie di commercio, il legislatore ritenne opportuno seguire criteri diversi per il rilascio delle licenze per il commercio ambulante, stabilendo una disciplina legislativa più accurata con la legge 5 febbraio 1934, n. 327, e con il relativo regolamento approvato con r.d. 29 dicembre 1939, n. 2255.
Peculiare caratteristica della licenza per il commercio ambulante é quella del suo collegamento, per l'esercizio dell'attività ad essa relativa, con la iscrizione del titolare nel registro degli esercenti di mestieri ambulanti tenuto dalla locale autorità di pubblica sicurezza (art. 121 del r.d. 18 giugno 1931, n. 733 - testo unico delle leggi di p.s.).
L'art. 669 del codice penale ha previsto per la vendita ambulante senza licenza una sanzione del tutto particolare, che costituisce, anch'essa, una differenziazione con altre attività della stessa natura esercitate non in forma ambulante e precisamente l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda da lire 2.000 a lire 40.000. Con d.l.l. 14 marzo 1945, n. 111, in dipendenza della eccezionale situazione del momento veniva comminata, per ogni forma di vendita di merce senza licenza, la pena della multa fino a cento volte il valore della merce venduta o posta in vendita, congiunta a quella della reclusione fino a tre anni. Tale decreto veniva abrogato dalla legge 10 luglio 1962, n. 889, che riduceva la pena per la vendita senza licenza, in qualsiasi modo questa venisse esercitata, da lire 10.000 a lire 200.000 di ammenda.
É da rilevare che, per le peculiari caratteristiche del commercio ambulante, é stato ritenuto configurabile dalla giurisprudenza della Cassazione il concorso tra il reato previsto dalla legge n. 889 del 1962 e quello previsto dall'art. 669 del codice penale, attesa la loro diversa obiettività giuridica.
La legge n. 426 del 1971 ha nuovamente disciplinato il commercio abrogando, nell'impugnato art. 46, il r.d.l. 16 dicembre 1926, n. 2174; l'art. 1 della legge 5 febbraio 1934, n. 327, nonché la legge 10 luglio 1962, n. 889.
Detta legge fa riferimento agli ambulanti solo nell'art. 3 sottoponendoli all'obbligo della iscrizione ad una speciale sezione del registro istituito, a norma dell'art. 1, presso ciascuna camera di commercio; l'iscrizione può avvenire se e in quanto il richiedente sia in possesso del certificato di iscrizione nel registro di cui all'art. 121 della legge di p.s. Le altre disposizioni della legge riguardano esclusivamente gli esercenti il commercio non ambulante e sono dirette a dare a tale settore una struttura organica e programmata. Le violazioni degli obblighi imposti agli operatori commerciali stabili vengono punite dall'art. 39 con l'ammenda da lire 20.000 a lire 5.000.000. Tale sanzione s'estende anche agli ambulanti limitatamente alle violazioni della disposizione di cui al ricordato art. 3 della legge.
4. - Ciò premesso, la Corte rileva che la diversa disciplina delle due forme di attività commerciale tiene conto di esigenze particolari proprie dell'una e dell'altra. Nel caso di vendita in esercizi stabili il legislatore ha avuto di mira la tutela del commercio, attraverso l'intervento della pubblica autorità, ai fini di una ordinata distribuzione quantitativa e qualitativa delle merci, nell'interesse generale della produzione, del consumatore e delle stesse categorie che vi partecipano. Nel caso, invece, di vendita ambulante, alle esigenze di cui sopra il legislatore sovrappone un'altra esigenza - e di qui il controllo preventivo di polizia - quella, cioé, di impedire che nella categoria si infiltrino soggetti pericolosi, il che, per il modo e le forme in cui l'attività si svolge e si sviluppa, può essere reso facile, con evidente pericolo potenziale per la sicurezza e la libertà dei cittadini.
Questa Corte si é già occupata con le sentenze n. 32 del 1959 e n. 41 del 1971 della legittimità costituzionale della legge 5 febbraio 1934, n. 327, e dell'art. 121 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, in riferimento rispettivamente all'art. 41 e all'art. 4, primo comma, della Costituzione, dichiarando non fondate le questioni proposte.
In particolare con la sentenza n. 41 del 1971 la Corte, nel dichiarare la legittimità costituzionale dell'art. 121 del testo unico di p.s., nella parte in cui prevede un certo controllo sulle persone che esercitano i mestieri girovaghi con l'iscrizione nell'apposito registro presso la locale autorità di p.s., ha precisato che il principio della libertà di scegliere una attività di lavoro non é leso né compromesso in modo tale da essere annullato per effetto di limitazioni poste dalla legge a tutela di altri interessi e di altre esigenze sociali, quali il controllo, per esigenze preventive di pubblica sicurezza, delle persone che esercitano i mestieri girovaghi.
Una volta riconosciuto legittimo tale controllo da parte delle autorità amministrative (rilascio di licenza) e delle autorità di p.s. (iscrizione nel registro), discende come conseguenza logica, la legittimità di disposizioni penali a sé stanti nei riguardi di chi tale controllo tenda ad eludere od eluda.
Nel caso sottoposto all'esame della Corte non può ritenersi violato il principio di eguaglianza per il fatto che il legislatore ha inteso prevedere pene differenziate per la violazione della diversa disciplina normativa strutturata per la concessione della autorizzazione amministrativa a chi intenda dedicarsi al commercio in esercizi stabili e per il rilascio della licenza per chi intenda dedicarsi al commercio ambulante.
L'ambito del principio di eguaglianza é stato ormai precisato da questa Corte in numerose occasioni. É stato, in particolare, riconosciuto come riservato al potere discrezionale del legislatore lo stabilire discipline differenziate per regolare situazioni che egli ritiene ragionevolmente e non arbitrariamente diverse e per il perseguimento di finalità apprezzabili costituzionalmente.
Invero non può considerarsi del tutto identica la situazione di chi si dedichi al commercio in esercizi stabili con quella di chi vi si dedichi in forma ambulante. Il secondo aspetto é una varietà particolare del primo, e crea, di per se stesso, determinati problemi a questo estranei, quale può essere l'ordine e la sicurezza pubblica che il legislatore ha inteso considerare e porre in dovuta evidenza ai fini della loro tutela. Tutto ciò si inquadra nei poteri propri del legislatore, che implicano valutazioni di natura politica il cui sindacato non può spettare alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 669 del codice penale e dell'art. 46 della legge 11 giugno 1971, n. 426 (Disciplina del commercio) sollevata, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1975.
Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 26 giugno 1975.