SENTENZA N. 137
ANNO 1975
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 637, terzo comma, del codice di procedura civile, promossi con ordinanze emesse il 12 giugno 1973 dal pretore di Ferrara in due procedimenti civili vertenti tra Forniti Giorgio e Minerbi Alberto, iscritte ai nn. 370 e 371 del registro ordinanze 1973 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 276 del 24 ottobre 1973.
Udito nella camera di consiglio del 6 marzo 1975 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi.
Ritenuto in fatto
1. - In due procedimenti di opposizione a decreto ingiuntivo promossi da Alberto Minerbi contro l'avv. Giorgio Forniti, il professionista opposto ha invocato l'applicabilità in suo favore dell'art. 637 del codice di procedura civile, in forza del quale giudice competente per l'ingiunzione é il conciliatore, il pretore o il presidente del tribunale, che sarebbe competente per la domanda proposta in via ordinaria e, per i crediti previsti nel n. 2 dell'art. 633, anche il capo dell'ufficio giudiziario che ha deciso la causa alla quale il credito si riferisce, ma "gli avvocati e procuratori possono altresì proporre domanda d'ingiunzione contro i propri clienti al giudice competente per valore del luogo dove ha sede l'associazione professionale alla quale (ed ora l'ordine professionale al quale) sono iscritti".
Il pretore adito non ha però ritenuto di poter applicare alla specie l'art. 637, comma terzo, nonostante che ne ricorressero in fatto le condizioni, avendo dubitato della legittimità costituzionale della norma de qua, e con separate ordinanze, identicamente motivate, del 12 giugno 1973, ha sollevato la questione per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.
La questione sarebbe rilevante nel processo in corso, perché dipenderebbe dalla risoluzione di essa l'individuazione del giudice competente.
Sarebbe poi non manifestamente infondata dal momento che la norma, "da un lato, riserva una posizione di privilegio ad una categoria di cittadini, quella degli avvocati e procuratori, cui corrisponde una correlativa soggezione di tutti gli altri; dall'altro, con lo spostamento della competenza per territorio, scelta a seconda della propria convenienza dal professionista, rende più oneroso il processo, per una delle parti, con l'effetto di creare una remora alla possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri interessi e quindi di violare sostanzialmente il diritto alla difesa".
2. - Le ordinanze sono state ritualmente notificate, comunicate e pubblicate.
Davanti a questa Corte non si é costituita nessuna delle parti; e non ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - Con le due ordinanze del pretore di Ferrara indicate in epigrafe é sollevata la stessa questione di legittimità costituzionale e precisamente si domanda se contrasti con gli articoli 3 e 24 della Costituzione l'art. 637, comma terzo, del codice di procedura civile in forza del quale gli avvocati e procuratori possono proporre domanda di ingiunzione contro i propri clienti al giudice competente per valore del luogo dove ha sede il consiglio dell'ordine nei cui albi sono iscritti.
I due procedimenti possono, per ciò, essere riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Il giudice a quo ritiene che sia violato l'art. 3 della Costituzione, perché la norma in esame, dettata in materia di competenza del giudice a conoscere della domanda d'ingiunzione, tratta in modo differenziato, e senza che ricorra una adeguata giustificazione, una categoria di cittadini, e precisamente quella degli avvocati e procuratori, a cui riserva una posizione di privilegio per ciò che ad essa attribuisce il potere di determinare lo spostamento della competenza ordinaria, e tutti gli altri cittadini che non hanno lo stesso potere ed anzi vengono a trovarsi nella correlativa posizione di soggezione.
Ai fini della individuazione dei termini della questione, va subito osservato che la detta soggezione, in effetti, ammesso che esista e rilevi, non può ricorrere nei confronti dei cittadini diversi dai clienti dei professionisti legali che dalla detta norma non sono né avvantaggiati né danneggiati e ricorre tutt'al più o solo nei confronti dei clienti atteso che gli avvocati e procuratori solamente per i crediti verso di essi possono giovarsi della norma in questione. Ed allora la dedotta discriminazione più propriamente consisterebbe in ciò che unicamente agli avvocati e procuratori é attribuito il detto potere ex art. 637, comma terzo, e non anche a tutti gli altri cittadini (ivi compresi i clienti dei detti professionisti) e che correlativamente all'indicata posizione attiva, riconosciuta agli avvocati e procuratori, si avrebbe quella di soggezione dei clienti degli stessi.
E va ancora tenuto presente che il disposto della norma de qua acquista pratico rilievo tutte le volte in cui il giudice così individuato non sia anche quello del luogo in cui risiede o ha domicilio l'ingiunto (siccome si osserva nella stessa ordinanza di rimessione) o quello del luogo in cui é sorta o deve eseguirsi l'abolizione dedotta in giudizio, ai sensi degli artt. 18 e 20 del codice di rito, ovvero "il capo dell'ufficio giudiziario che ha deciso la causa alla quale il credito si riferisce" (articolo 637, comma secondo, dello stesso codice); e che quindi, l'ambito di effettiva applicazione della norma é ben contenuto e limitato.
3. - Così precisati i termini e la portata pratica del profilo di illegittimità costituzionale in esame, il principio di eguaglianza non risulta violato.
Gli avvocati e procuratori in vista e per il fatto dell'esercizio della professione, si trovano in una posizione che ha aspetti di peculiarità che oggettivamente la differenziano da quella di tutti gli altri prestatori d'opera intellettuale, in ordine alla corresponsione della remunerazione loro dovuta (sentenza n. 132 del 1974), ed é certamente diversa rispetto a quella di tutti gli altri cittadini. Sono essi, infatti, tenuti a superare esami di Stato o avere determinati requisiti o anzianità qualificanti, per potere essere iscritti agli albi e per potere esercitare la professione; e sono ancora tenuti, e tra l'altro, ad osservare nello svolgimento della loro attività norme anche non scritte, sottostando quindi circa la loro condotta e sotto il profilo deontologico, al controllo del consiglio dell'ordine competente. E tali condizioni, limiti e limitazioni risultano posti a tutela dell'interesse di tutti i cittadini ed in particolare di quelli (che a loro volta possono anche essere dei professionisti legali) che agli avvocati e procuratori si rivolgono per la difesa e rappresentanza in sede giudiziale o nella materia extragiudiziale.
Gli avvocati e procuratori, d'altra parte, debbono avere la residenza nella circoscrizione del tribunale nel cui albo degli avvocati sono iscritti, e nel capoluogo del circondario nel quale sono iscritti nell'albo dei procuratori, e onde far fronte ad un'esigenza ognora crescente, sono portati ad organizzare adeguatamente la loro attività di lavoro autonomo. E la scelta della sede, nella unitarietà dei suoi effetti, non può rilevare in favore di chi legittimamente la compia.
La qualità di professionista legale é il riflesso soggettivo di una disciplina a cui sottostanno interessi pubblici o collettivi ed in cui concorrono mezzi e modi di tutela, appropriati e coerenti. Essa, quale entità materiale e giuridica, non si presta ad essere esaminata analiticamente, ma deve essere valutata in sé, e per ciò le singole norme, da cui si originano gli effetti giuridici particolari (e così quella della cui legittimità costituzionale si dubita), vanno, in sede di controllo della loro conformità a Costituzione, considerate nel loro complesso.
Non si può quindi prescindere dall'ampiezza e portata che ha la tutela giurisdizionale prevista in favore di codesti professionisti. Essi, per conseguire le loro pretese di carattere patrimoniale nei confronti dei clienti, possono adire il magistrato dando vita ad un ordinario processo di cognizione o chiedendo l'emissione di un decreto ingiuntivo o giovandosi della speciale procedura di cui all'art. 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794 (e successive modifiche). Ora, nell'ambito di tale normativa, relativamente alla quale questa Corte, a proposito della procedura da ultimo ricordata, non ha ravvisato l'illegittimità costituzionale di cui alla denuncia (sentenza n. 22 del 1973), rientra l'art. 637, comma terzo, del codice di procedura civile.
Pertanto, l'attribuzione ai professionisti legali del potere di scegliere unilateralmente, e giusta il criterio sopra riferito, la competenza per territorio in tema di procedimento per ingiunzione, appare sufficientemente giustificata.
Né contrasta con il principio di eguaglianza il fatto che i clienti di professionisti legali si trovino nella detta posizione di soggezione, giacché questa é affatto correlata a quella attiva e positiva dei professionisti legali e non può di conseguenza non trovare in essa la propria base: le due categorie di soggetti sono diverse e se é logico che ad una di esse spetti un potere con effetti nei confronti dell'altra, é l'intera situazione giuridica a risultare razionalmente giustificata.
Non si é quindi in presenza di un ingiustificato privilegio, sibbene di una razionale agevolazione per una categoria di lavoratori autonomi.
4. - Non si ha, d'altra parte, la lamentata violazione del diritto di difesa.
Secondo il giudice a quo, l'art. 24, comma secondo, della Costituzione non sarebbe rispettato perché il cliente, oltre a trovarsi nell'indicato stato di soggezione, non avrebbe la possibilità di scegliere il proprio difensore intuitu personae, e perché sarebbe costretto a sopportare spese superiori a quelle a cui andrebbe incontro se il giudizio si svolgesse davanti al giudice del luogo di residenza o di domicilio di esso cliente, e perché, in definitiva, il diritto di difendersi del cliente sarebbe menomato per ciò che potrebbe proporre opposizione al decreto ingiuntivo concesso ai sensi dell'art. 637, comma terzo, solo colui che fosse in grado di sopportare i detti più elevati costi processuali.
Senonché, in contrario, va rilevato che nei confronti di tutti gli esercenti la professione legale iscritti nei relativi albi, si può e si deve presupporre una generica fiducia, come riflesso delle qualità da essi normalmente possedute, e che quindi alla scelta il cliente può attendere con facilità e sicurezza anche se il processo si svolge in una sede diversa da quella che gli sia abituale; e che l'impossibilità o la notevole difficoltà nell'operare la scelta del difensore intuitu personae non ricorrono neppure quando per la migliore assistenza e rappresentanza siano richieste particolari attitudini o specializzazioni nel professionista, perché in tal caso, dovunque si svolga il processo, non mancano i mezzi perché il cliente si possa rivolgere al professionista più adatto.
Tutt'al più possono aversi semplici difficoltà di ordine pratico, ma queste non mancano in ogni processo e per nessuna delle parti e per ciò solo non comportano alcuna rilevante menomazione del diritto di difesa.
C'é poi da tener presente che per il fatto di doversi difendere in località diversa dalla residenza o dal domicilio, il cliente non incontra in ogni caso e necessariamente maggiori spese: il conferimento del mandato ed i contatti con il professionista possono aver luogo in vari modi e senza rilevante aggravio di spesa.
Comunque, l'eccedenza di spesa, ammesso che in concreto ci sia, non é regola tale da mettere il cliente di fronte alla alternativa di provvedere o rinunziare alla difesa.
Infine, e conclusivamente, esclusa la contrarietà al principio di eguaglianza della norma denunciata e considerate, quindi, adeguatamente giustificate le posizioni del professionista e del cliente in ordine alla scelta del foro, non può non rilevare che proprio da tale scelta dipenderebbe l'eventuale maggiore costo del processo per il cliente.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 637, comma terzo, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal pretore di Ferrara con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1975.
Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria l'11 giugno 1975.