Sentenza n.22 del 1973
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SENTENZA N. 22

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Giuseppe  CHIARELLI, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco  PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo  VOLTERRA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 28, 29 e 30 della legge 13 giugno 1942, n. 794 (onorari di avvocati e di procuratori per prestazioni giudiziali in materia civile), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 6 novembre 1970 dal tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra la società SAIWA e Giorgianni Tullio, iscritta al n. 93 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 112 del 5 maggio 1971;

2) ordinanza emessa il 15 marzo 1972 dal tribunale di Velletri nel procedimento civile vertente tra Capozzi Antonio e Pistolesi Otello, iscritta al n. 295 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 254 del 27 settembre 1972.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione di Giorgianni Tullio;

udito nell'udienza pubblica del 24 gennaio 1973 il Giudice relatore Nicola Reale;

uditi l'avv. Michele Giorgianni, per Giorgianni Tullio, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Dall'ordinanza emessa il 6 novembre 1970 dal tribunale di Genova, nel procedimento civile vertente fra l'avv. Tullio Giorgianni e la società SAIWA, risulta che l'attore, ai sensi dell'art. 633 c.p.c., aveva richiesto ed ottenuto dal presidente di detto tribunale un decreto ingiuntivo per la somma di lire 30.146.956, oltre gli interessi e le spese, nei confronti della convenuta società, a titolo di compenso per prestazioni professionali svolte in numerosi procedimenti civili promossi, nell'interesse della stessa società, negli anni dal 1959 al 1968.

Contro questo decreto la società SAIWA aveva proposto opposizione ed il tribunale, con ordinanza 11 giugno 1970, aveva disposto la prosecuzione del giudizio secondo il rito speciale preveduto dagli artt. 29 e 30 della legge 13 giugno 1942, n. 794, sugli onorari degli avvocati e dei procuratori per prestazioni giudiziali in materia civile, e non secondo le norme di cui agli artt. 645 e seguenti del codice di procedura civile. Nel corso di questo procedimento la stessa società convenuta sollevava eccezione di costituzionalità dei detti articoli 29 e 30 della legge n. 794 del 1942, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione.

Il tribunale ha ritenuto l'eccezione non manifestamente infondata ed ha osservato che le norme in questione prevedono che l'opposizione al decreto ingiuntivo riguardante i compensi e le spese da corrispondersi agli avvocati ed ai procuratori per prestazioni giudiziali civili, deve essere decisa con ordinanza succintamente motivata, non impugnabile ed avente efficacia di titolo esecutivo. Il procedimento, inoltre, informato a criteri di sommarietà, pur richiedendo la comparizione delle parti, anche al fine del tentativo di conciliazione, non ne assicurerebbe la difesa, non esigendo il ministero del difensore e non disciplinando né la possibilità né le modalità della istruzione probatoria. Donde, da un lato, la disparità di trattamento ai danni dei soggetti contro i quali il professionista forense ha ottenuto la pronunzia del provvedimento ingiuntivo, precludendo loro lo svolgimento di un giudizio di opposizione con completezza di istruzione e di cognizione, quali sono attuate, invece, nel giudizio di cognizione ordinario o monitorio; la lesione, d'altro lato, della garanzia della difesa, in senso tecnico ed in senso sostanziale, con l'alterazione del contraddittorio a vantaggio dell'attore professionista legale.

Costituitosi davanti a questa Corte con atto 22 maggio 1971, l'avv. Tullio Giorgianni ha contestato che il carattere di sommarietà del procedimento per la liquidazione dei compensi e delle spese agli avvocati ed ai procuratori leda i predetti principi costituzionali. Ha ricordato che il procedimento stesso non é applicabile quando la controversia esula dalla liquidazione dei compensi, ad esempio a seguito di contestazioni sull'incarico professionale o di azioni riconvenzionali, e che il carattere speciale del procedimento (da considerarsi in relazione alla peculiarità dei rapporti che ne costituiscono l'oggetto) non sottrae il giudizio, né sotto il profilo sostanziale né sotto quello processuale, alle comuni norme circa l'onere ed i mezzi di prova, né al corrispondente dovere del giudice di provvedere entro i limiti della domanda ed in base alle prove raccolte. La giurisprudenza inoltre ha affermato l'obbligo della motivazione anche riguardo all'ordinanza con la quale il procedimento in esame é definito e ne ha ritenuta l'impugnabilità per cassazione.

Analoghe conclusioni e deduzioni sono state formulate dall'Avvocatura generale dello Stato, costituitasi in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri.

Con altra ordinanza, emessa il 15 marzo 1972 dal tribunale di Velletri nel corso del procedimento per la liquidazione degli onorari promosso, ai sensi dell'art. 28 della sopracitata legge 13 giugno 1942, n. 794, con ricorso dell'avv. Antonio Capozzi contro il proprio cliente Otello Pistolesi, é stata sollevata la questione di legittimità degli artt. 28 e 29 della legge predetta, per contrasto con gli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione.

Nell'ordinanza si osserva che le norme in questione conferiscono al solo professionista la facoltà di scelta del procedimento speciale, senza possibilità che il cliente vi si opponga, al fine della instaurazione del giudizio ordinario.

Nello stesso procedimento al convenuto non sarebbe consentito il pieno diritto di prova e sarebbe impedito di opporre fatti diretti ad "elidere o ridurre le pretese creditorie dell'istante".

L'unicità di grado di merito costituirebbe ulteriore limitazione del diritto di difesa del convenuto.

Anche in questo giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, in rappresentanza del quale l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato deduzioni e conclusioni analoghe a quelle di cui all'atto di intervento sopra menzionato.

Considerato in diritto

1. - Nelle due cause sono prospettate questioni connesse che occorre decidere con unica sentenza.

2. - Le ordinanze dei tribunali di Genova e di Velletri denunziano l'illegittimità, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, del procedimento per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti inerenti a prestazioni giudiziali civili, a favore degli avvocati e dei procuratori nei confronti dei propri clienti. Tale procedimento é compreso nella normativa di cui alla legge 13 giugno 1942, n. 794, modificata da altra legge 19 dicembre 1949, n. 957, e con le ulteriori modifiche di cui alla deliberazione 15 febbraio 1958 del Consiglio nazionale forense, approvata con decreto ministeriale 28 febbraio 1958 emanato in virtù della legge 7 novembre 1957; deliberazione confermata da altra 14 aprile 1960, parimenti approvata con decreto ministeriale 20 giugno 1960.

Il tribunale di Velletri, in sede di cognizione di un ricorso per liquidazione di onorari e diritti di procuratore, contesta che siano compatibili col principio di uguaglianza e con la garanzia della difesa in giudizio, l'art. 28 della legge del 1942, in quanto attribuisce al solo professionista legale la potestà di promuovere il procedimento speciale sopraindicato e regolato dal successivo art. 29, senza accordare al cliente convenuto il diritto di opporvisi e di richiedere la instaurazione di un ordinario processo di cognizione; l'art. 29, nelle parti in cui stabilisce non essere obbligatorio il ministero del difensore (terzo comma); non prevede le modalità dell'istruttoria, prescrivendo soltanto che il presidente del tribunale o della Corte d'appello ordini con suo decreto la comparizione degli interessati davanti al collegio in camera di consiglio (primo comma), perché vengano sentiti anche al fine di un tentativo di conciliazione (quarto comma). Se una delle parti non comparisce o se la conciliazione non avviene, la controversia é decisa mediante ordinanza non impugnabile, avente efficacia di titolo esecutivo (sesto comma); il che, secondo il giudice a quo, limiterebbe il diritto di difesa del cliente, lasciando adito al solo sindacato di legittimità a seguito di ricorso per cassazione (art. 111 Cost.).

Analoghe censure contro detta normativa ha prospettato anche il tribunale di Genova, nel corso dell'opposizione proposta, ai sensi dell'art. 645 c.p.c., contro un decreto ingiuntivo pronunziato a favore di un avvocato, che ne aveva fatto richiesta a norma dell'art. 633, n. 2, dello stesso codice.

La rilevanza della questione in questo giudizio é derivata dall'applicazione, fattane nella specie dal tribunale, dell'art. 30 della predetta legge del 1942. Articolo impugnato sotto gli accennati profili, in quanto, con disposizioni analoghe a quelle testé ricordate stabilisce, nel primo comma, che anche l'opposizione, proposta ai sensi dell'art. 645 c.p.c. contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati o procuratori per prestazioni giudiziali, é decisa dal tribunale o dalla Corte d'appello in camera di consiglio (oppure dal conciliatore o dal pretore) con ordinanza non impugnabile, la quale costituisce titolo esecutivo anche per le spese; ed in quanto, nel secondo comma, stabilisce che anche questo procedimento é regolato dal precedente articolo; secondo criteri, cioè, di sommarietà di cognizione che non consentirebbero il pieno svolgimento della difesa e l'espletamento delle prove nell'interesse del cliente.

Le questioni non sono fondate.

3. - Va respinta in primo luogo la censura che lo speciale procedimento di liquidazione dei compensi e delle spese di cui alla normativa impugnata costituisca un ingiustificato privilegio accordato agli avvocati ed ai procuratori legali, non estensibile a tutela di crediti per altre prestazioni di opera intellettuale, il cui esercizio professionale, subordinato alla iscrizione in appositi albi od elenchi, é unitariamente disciplinato nel capo II del titolo III del V libro del codice civile.

L'ambito di applicazione della procedura in esame, in entrambi i casi indicati negli artt. 28 e 30 della legge risulta, infatti, obiettivamente determinato in conformità di quanto disposto dalla normativa sopra ricordata con espresso riferimento ai crediti per spese, onorari e diritti per prestazioni giudiziali in materia civile od equiparata.

Ed a tali requisiti sono condizionate così la proponibilità del ricorso al capo dell'ufficio giudiziario adito per il processo, quanto l'instaurazione del procedimento sommario di opposizione, ove l'interessato abbia promosso il procedimento monitorio.

Tale via giudiziaria per il recupero dei crediti per compensi e spese può essere seguita dagli avvocati e dai procuratori non per il solo fatto della loro qualità professionale, risultante dalla iscrizione negli appositi albi di categoria, ma nei soli casi nei quali la prestazione professionale risulti svolta nell'adempimento di un mandato di patrocinio legale in materia giudiziaria civile. Donde l'esclusione, risultante dalla legge, della procedura sommaria di liquidazione per i compensi e le spese riguardanti la materia penale, nei sensi affermati dalla giurisprudenza, come pure in materia stragiudiziale. Si aggiunga che lo stesso procedimento é fermamente ritenuto inapplicabile quando dal convenuto venga contestata l'esistenza del suddetto rapporto di patrocinio e siano proposte domande riconvenzionali.

Come é chiarito nella relazione del Guardasigilli alla legge, il procedimento trova giustificazione e limite nella peculiarità delle fattispecie che ne consentono l'instaurazione e ne consigliano la definizione possibilmente in via conciliativa. Aggiungasi la relativa semplicità degli accertamenti di fatto, solitamente desumibili dagli atti del processo nel quale le prestazioni sono state eseguite o che comunque, in riferimento alla controversia, sono normale esplicazione di attività di patrocinio. Accertamenti tutti compiuti dal giudice alla stregua delle voci e con l'osservanza delle tariffe di cui alle tabelle allegate al testo legislativo, nonché, in determinati casi, tenendosi presente il parere degli organi professionali.

Ed in tali limiti non é dubbio che la disciplina della liquidazione dei compensi e delle spese forensi costituisca un razionale strumento di tutela giurisdizionale, concorrente con i procedimenti di cognizione ordinaria e monitoria.

4. - Né possono essere accolte le censure basate nell'articolo 24, secondo comma, della Costituzione. L'art. 29 della legge in esame, ancorché non lo richieda obbligatoriamente, dà tuttavia potestà alle parti, a loro scelta, sia di avvalersi di un difensore (come avvenuto nei giudizi di specie) sia di stare in giudizio senza ministero di difensore, come é pur consentito dall'ordinamento in altri casi. Né le modalità del procedimento previste dallo stesso articolo importano sacrificio del principio del contraddittorio e tanto meno limitano la cognizione del giudice in ordine all'acquisizione delle prove e alla risoluzione della controversia.

Nella effettiva sua applicazione, attraverso una provvida elaborazione, giurisprudenziale, la normativa in oggetto ha, infatti, assunto contenuto non divergente dalle linee fondamentali del processo civile, in aderenza allo spirito dell'art. 24 della Costituzione.

Il procedimento speciale, si riconosce ormai, non é sottratto alle comuni norme circa l'onere della domanda e della prova, cui rigorosamente é correlato l'esercizio della potestà giurisdizionale sotto il profilo istruttorio e quello decisorio.

Nello stesso procedimento, di indubbia natura contenziosa, sono ritenute ammissibili le indagini volte all'accertamento dei fatti dedotti dalle parti e le prove, in particolare quelle orali per interrogatorio formale e per testimoni. Il tutto da svolgersi nelle forme compatibili con la natura camerale del procedimento, ed ovviamente in attuazione del principio generale della idoneità degli atti processuali al raggiungimento del loro scopo.

Inoltre, alle ragioni addotte dalle parti ed alle risultanze istruttorie il giudice é necessariamente astretto nel decidere la controversia, e su di esse ha l'obbligo di motivare, in modo succinto ma esauriente, nel provvedimento conclusivo. Ancorché questo, come si é ricordato, abbia, ai sensi della legge, forma di ordinanza e sia dichiarato non impugnabile, non si dubita della sua funzione non ordinatoria processuale, ma decisoria di merito, in quanto é diretto a dirimere una lite in conformità della legge e a dare certezza ad un concreto regolamento degli interessi delle parti, con idoneità ad acquistare definitivamente autorità di cosa giudicata. Quindi la non impugnabilità di esso é stata razionalmente intesa negli stretti limiti della non appellabilità in quanto sia emanato nei limiti della materia della liquidazione. In conseguenza, pur escludendosi il doppio grado di cognizione di merito (peraltro non riconosciuto dalla Costituzione quale necessaria garanzia di difesa) si é affermata da lungo tempo l'esperibilità del ricorso per cassazione (e lo ammette lo stesso tribunale di Genova), secondo l'art. 111 Cost., ai fini del sindacato di legittimità nel quale la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire essere compreso il difetto di motivazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 28, 29 e 30 della legge 13 giugno 1942, n. 794 (onorari di avvocati e procuratori per prestazioni giudiziali in materia civile), sollevate con le ordinanze di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 febbraio 1973.

Giuseppe  CHIARELLI – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Francesco  PAOLO BONIFACIO – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE - Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA –Edoardo VOLTERRA.

         Arduino  Salustri – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria l'1 marzo 1973.