SENTENZA N. 254
ANNO 1974
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Giuseppe VERZÌ
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7, secondo comma, della legge 20 giugno 1952, n. 645 (Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione), promosso con ordinanza emessa il 29 febbraio 1972 dal tribunale di Venezia nel procedimento penale a carico di Perini Agostino ed altri, iscritta al n. 183 del registro ordinanze t972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 158 del 21 giugno 1972.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 2 ottobre 1974 il Giudice relatore Leonetto Amadei.
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Il tribunale di Venezia nel corso del giudizio penale a carico di Perini Agostino ed altri, imputati di concorso in tentata violazione di domicilio pluriaggravata nonché in pubbliche manifestazioni usuali del disciolto partito fascista (artt. 8 cpv., 110, 112 n. 1 del codice penale e 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645), ha sollevato, su istanza della difesa, la questione di legittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 7 della stessa legge n. 645 del 1952, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione.
L'obbligatorietà del rito istruttorio sommario, imposta dall'articolo contestato, costituirebbe, a parere del collegio proponente, non solo violazione del principio di eguaglianza, ma rappresenterebbe, anche, una menomazione del diritto di difesa, in quanto il rito sommario non offrirebbe all'imputato quelle maggiori garanzie che sono proprie dell'istruzione formale.
Nel giudizio davanti alla Corte vi é stato solo l'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato.
Preliminarmente l'Avvocatura dello Stato prospetta la irrilevanza, ai fini della decisione, della sollevata questione di legittimità costituzionale, sotto il profilo che trattandosi, nel caso, di contravvenzione - reato che la legge n. 645 del 1952 non sottrae alla normale competenza pretorile - , il tribunale sarebbe stato chiamato a prendere cognizione di essa per ragioni di connessione, per cui il rito sommario avrebbe tratto la sua esclusiva derivazione dall'art. 389 del codice di procedura penale, per essersi, da parte del P.M., istruito il processo per il delitto di tentata violazione di domicilio con tale rito.
Nel merito, la stessa Avvocatura sostiene la infondatezza della questione tanto in riferimento all'art. 3, quanto in riferimento all'art. 24 della Costituzione.
Non sussisterebbe la violazione del principio di eguaglianza in quanto la scelta del rito sommario sarebbe stata imposta dal legislatore e non già demandata ad una scelta discrezionale dell'organo giudiziario preposto all'esercizio dell'azione penale.
La scelta del legislatore troverebbe una sua ragionevole giustificazione non solo nei motivi di esemplarità, richiamati nella relazione alla legge, ma anche nella esigenza di una speditezza del giudizio più che necessaria nei procedimenti come quello di cui trattasi, atteso l'oggetto specifico della tutela penale.
Non sussisterebbe una violazione del diritto di difesa in quanto, in base alle ripetute decisioni della Corte costituzionale, non vi sarebbe alcuna naturale incompatibilità tra l'istituto della istruzione sommaria e lo stesso diritto di difesa, ma questa potrebbe sorgere solo in relazione alle singole norme che lo regolano.
Rileva, infine, l'Avvocatura che la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 25 della Costituzione, quantunque proposta dagli imputati, non sarebbe stata fatta propria dal tribunale. Comunque, il riferimento all'art. 25 non sarebbe pertinente in quanto il rito da seguire, nel caso in esame, sarebbe stato stabilito in via generale e in anticipo dalla legge con conseguente predeterminazione del giudice naturale.
Considerato in diritto
1. - L'ordinanza del tribunale di Venezia solleva la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, capoverso, della legge 20 giugno 1952, n. 645, ritenuto in contrasto con i principi costituzionali di eguaglianza (art. 3), di pieno esercizio del diritto di difesa (art. 24, secondo comma) e della certezza del giudice (art. 25, primo comma).
La questione non é fondata.
2. - Il primo profilo di incostituzionalità, desumibile dalla più che succinta motivazione dell'ordinanza, fa leva sulla asserita violazione, da parte del legislatore, del principio di eguaglianza in identica situazione processuale. Si osserva che mentre per i procedimenti penali davanti al tribunale il codice di procedura penale stabilisce che si debba seguire come regola l'istruzione formale e che si possa solo nei casi tassativamente previsti procedere con l'istruzione sommaria, la legge contestata, impone, invece, l'applicazione del solo rito sommario, determinando, così, un trattamento differenziato, tra soggetti inquisiti, costituzionalmente non apprezzabile. A riguardo, devesi osservare che il nostro ordinamento giuridico prevede come possibili due tipi di istruzione, quella sommaria e quella formale, determinando a quali organi giudiziari compete procedere all'una o all'altra. I due riti possono alternarsi nei procedimenti di competenza del tribunale e della Corte di assise; il rito sommario diventa esclusivo nei procedimenti di competenza del tribunale per i minorenni e del pretore.
La Corte, in vari giudizi, ha ritenuto, in via di principio, compatibili i due riti con i precetti costituzionali relativi ai concetti di eguaglianza, di diritto alla difesa e di precostituzione del giudice. Vale ricordare per ultima, la sentenza n. 49 del 1973.
Nel caso in esame, il legislatore ha previsto, nonostante la competenza del tribunale a conoscere di quel particolare tipo di delitti presi in considerazione nella legge 20 giugno 1952, n. 645, l'applicazione del solo rito istruttorio sommario.
Questa Corte osserva che la predeterminazione, da parte del legislatore, del rito istruttorio da seguire non crea problema di legittimità costituzionale, sia per il principio generale su ricordato, sia in relazione all'aspetto tipico della fattispecie legale considerata.
Infatti, non può non essere affidata al legislatore la valutazione discrezionale della scelta del modo di realizzazione della pretesa punitiva in considerazione delle singole condotte antigiuridiche ipotizzate. Nel concetto rientra anche la valutazione dell'opportunità politica della scelta dell'uno o dell'altro rito in dipendenza dell'aspetto qualitativo del reato configurato e della peculiarità della fattispecie soprattutto in relazione all'oggetto specifico della tutela penale.
Rilevanza assumono, per una ragionevole valutazione della scelta operata, anche il momento storico in cui questa avviene, e le finalità che si intendono perseguire. Sempre con riferimento al caso in esame, le finalità rivestono peculiare aspetto di costituzionalità sol che si consideri che la legge ha tratto la sua derivazione dalla XII disposizione finale della Costituzione repubblicana. Tale disposizione ha conferito in modo tassativo al legislatore non solo la potestà-dovere di fissare sanzioni penali in casi di violazione del divieto costituzionale di ricostituzione del disciolto partito fascista, ma anche di ricercare il modo e le forme più idonei e più incisivi per la realizzazione della pretesa punitiva, pur nella salvaguardia dei diritti fondamentali che la Costituzione riconosce a tutti i cittadini, al fine di combattere il più efficacemente e sollecitamente possibile quel pericolo che la citata disposizione, in accordo con l'ispirazione antifascista della nostra Costituzione, ha inteso direttamente e imperativamente prevenire. In sostanza la legge, in tutti i suoi aspetti, e quindi anche in quello processuale, si inserisce nel vasto quadro di quelle esigenze politiche e sociali delle quali lo stesso costituente ha voluto farsi interprete vincolante.
3. - La non fondatezza va affermata anche in ordine al secondo e terzo profilo d'incostituzionalità adombrati nell'ordinanza di rimessione, tanto per le considerazioni già svolte, quanto per altre considerazioni più direttamente legate alle stesse norme costituzionali di riferimento.
Invero la Corte ha già stabilito, nel riconoscere la legittimità costituzionale dei due riti, che le garanzie di difesa previste dalla Costituzione attengono all'uno e all'altro rito in ugual misura e di conseguenza ha dichiarato incostituzionali quelle norme del codice di procedura penale che tali garanzie non salvaguardavano in modo sostanziale.
In base alle distinzioni operate dalla Corte devesi qui riaffermare che i due riti ben possono coesistere e che spetta al legislatore stabilire quando si debba procedere con l'uno o con l'altro: essi rappresentano, in conclusione, un aspetto del processo penale che nulla ha a che vedere con la posizione processuale dell'imputato e con le garanzie giurisdizionali che a lui competono e che in ogni caso debbono essere impregiudicate.
La sentenza n. 117 del 1968, richiamata nella ordinanza a sostegno delle tesi prospettate, non é adattabile alla fattispecie. Tale sentenza ha preso in esame un aspetto particolare della non derogabilità del giudice ricollegabile all'art. 389, terzo comma, del codice di procedura penale. L'illegittimità di tale articolo é stata dichiarata non già perché questo affianca il rito sommario al rito formale, sibbene perché nella sua formulazione offriva al pubblico ministero la possibilità di comprimere la competenza del giudice istruttore mediante la sua insindacabile scelta del rito da seguire.
La sentenza n. 83 del 1971 di questa Corte determina ancor più chiaramente le condizioni di compatibilità dell'istruzione sommaria con l'art. 25, primo comma, della Costituzione, stabilendo che la legge deve predeterminare le fattispecie legali per le quali devesi applicare il rito sommario, sì da consentire un controllo giurisdizionale sulla esistenza effettiva dei presupposti e delle condizioni atti a rendere legittimo il potere del pubblico ministero di procedervi.
Non v'é dubbio che l'art. 7 della legge impugnata corrisponde in pieno a tali condizioni.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, capoverso, della legge 20 giugno 1952, n. 645 (Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 novembre 1974.
Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 12 novembre 1974.