Sentenza n. 235 del 1974
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SENTENZA N. 235

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 185 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 3 marzo 1972 dalla Corte suprema di cassazione - sezione VI penale - nel procedimento penale a carico di Martone Gennaro, iscritta al n. 285 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 247 del 20 settembre 1972.

Udito nella camera di consiglio del 12 giugno 1974 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - La Corte di cassazione, sezione VI penale, nel corso del procedimento a carico di Gennaro Martone, con ordinanza emessa il 3 marzo 1972, sollevava di ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 185 del codice di procedura penale "in quanto viola il diritto di difesa della parte civile, del querelante e dell'offeso, in contrasto con l'art. 24 della Costituzione".

Ricordava che, a seguito della sentenza n. 132 del 1968, con la quale questa Corte aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 422 del codice di procedura penale nella parte in cui prevedeva la sanatoria della nullità di cui all'art. 412, in relazione all'art. 408 dello stesso codice, nei confronti della parte civile, dell'offeso dal reato e del querelante, erano insorti in dottrina e giurisprudenza contrasti rivolti a riconoscere oppure ad escludere la nullità assoluta rilevabile ex officio in ogni grado e stato del giudizio, per il caso di omessa citazione delle dette persone; e che essa Corte di cassazione, con giurisprudenza costante, aveva ritenuto che con quella sentenza la Corte costituzionale aveva rimosso la preclusione della deduzione delle dette nullità dopo compiute le formalità di apertura del dibattimento; che ciò non vulnerava ; il principio secondo cui non é deducibile dall'imputato la nullità di atti riguardanti disposizioni alla cui osservanza non ha interesse; e che, non avendo interesse alla citazione della parte offesa, l'imputato non era legittimato a dedurre la nullità derivante dall'omessa citazione dell'offeso dal reato (alla cui tutela era tenuto a provvedere, secondo l'ordinamento processuale, il pubblico ministero).

Il ricordato orientamento giurisprudenziale - aggiungeva l'ordinanza - metterebbe in evidenza motivi di grave perplessità sulla legittimità costituzionale del citato articolo 185 perché, nulla essendo dato di rilevare dalla sentenza n. 132 del 1968 di questa Corte "sul carattere della nullità in questione, per stabilire cioè se, oltre ad essere eccepibile dalla parte interessata in ogni stato e grado del procedimento, sia pure da ritenere nullità insanabile e quindi rilevabile d'ufficio", il detto articolo non dà al diritto di difesa della parte civile, del querelante e dell'offeso dal reato (inteso come potestà effettiva di assistenza tecnica e professionale nello svolgimento di qualsiasi procedimento, nell'interesse di tutte le parti in giudizio) una tutela analoga a quella riconosciuta al diritto di difesa dell'imputato (col dichiarare che sono insanabili e devono essere rilevate d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento le nullità derivanti dalla mancata osservanza delle disposizioni concernenti l'assistenza o la rappresentanza dell'imputato stesso).

E quindi la norma denunciata, per quello che non dice, sarebbe in contrasto con il principio secondo cui la difesa é diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, e con altro principio, che al primo si ricollega, della par condicio, circa le garanzie per la tutela dei rispettivi diritti di difesa, tra il pubblico ministero e l'imputato e tra l'imputato e le altre parti private.

2. - Ritualmente comunicata, notificata e pubblicata l'ordinanza, davanti a questa Corte costituiva nessuna delle parti e non spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

La causa veniva pertanto assegnata per la decisione in camera di consiglio.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte di cassazione solleva la questione di legittimità costituzionale dell'art. 185 del codice di procedura penale nella parte in cui, in violazione dell'art. 24 della Costituzione, la norma lascia sprovvisto di tutela analoga a quella accordata al diritto di difesa dell'imputato, il corrispondente diritto della parte civile, del querelante e dell'offeso dal reato.

2. - Nonostante che nell'ordinanza manchi qualsiasi espressa considerazione circa la rilevanza della questione, e all'esame della Cassazione fosse il capo di decisione con cui il tribunale di Napoli aveva rigettato l'eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio per la mancata citazione della persona offesa dal reato, deve riconoscersi il carattere pregiudiziale della decisione della questione de qua e, data la comunanza delle ragioni che stanno a base delle nullità derivanti dalla mancata citazione anche della parte civile e del querelante, la corretta proposizione della questione sollevata nei termini sopra ricordati.

Va poi rilevato, ai fini dell'identificazione della questione, che, pur esistendo nell'ordinanza un riferimento specifico alle nullità derivanti dalla mancata osservanza delle disposizioni concernenti l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato, siccome a punto di raffronto, l'oggetto della denuncia risiede in ciò che alla tutela del diritto di difesa, latamente inteso (come diritto di azione e di difesa tecnica e professionale), non sarebbero ammessi in modo analogo l'imputato e la persona offesa dal reato per ciò che solo per il primo e non anche per la seconda le nullità degli atti, per la mancata osservanza delle disposizioni previste a garanzia del diritto di difesa, sarebbero insanabili e quindi rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento; ed in particolare, si avrebbe il vizio di legittimità costituzionale perché la pura e-semplice rimozione della preclusione, attuata con la sentenza n. 132 del 1968 di questa Corte, non assicurerebbe in maniera effettiva la difesa in giudizio per la persona offesa dal reato (nonché per la parte civile ed il querelante).

3. - A seguito della richiamata sentenza n. 132 del 1968, con cui é stato eliminato l'ostacolo (risultante dall'art. 422 del codice di procedura penale) alla difesa in giudizio della persona offesa dal reato, questa, la cui sfera giuridica per altro risulta accresciuta con le innovazioni introdotte nel sistema a mezzo delle leggi 5 dicembre 1969, n. 932, e 15 dicembre 1972, n. 773, ha la possibilità giuridica, qualora ad essa non sia stato notificato il decreto di citazione a giudizio, ed anche "non immediatamente dopo compiute le formalità d'apertura del dibattimento", di comparire davanti al giudice per dedurre la nullità del decreto e di costituirsi parte civile per far valere nel processo penale il suo diritto al risarcimento del danno e alle restituzioni nei confronti dell'imputato o delle persone che, a norma delle leggi civili, debbano rispondere per il fatto di lui.

L'esigenza del riconoscimento pieno ed effettivo del diritto in parola, affinché ne sia assicurata l'inviolabilità, giusta quanto sancito dall'art. 24 della Costituzione, risulta in tal modo adeguatamente soddisfatta: alla persona offesa dal reato sono riconosciuti diritti nel processo penale, di questi é assicurato un normale esercizio e sono permesse l'assistenza e la rappresentanza in casi e forme del tutto compatibili con le posizioni soggettive ed il loro svolgimento.

Non appare per ciò necessario che, in funzione del rispetto della disposizione costituzionale di raffronto, la nullità del decreto di citazione derivante dalla mancata notifica di questo alla persona offesa dal reato, sia insanabile e che debba essere rilevata d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento. Considerata la situazione giuridica sostanziale e processuale dell'offeso dal reato sotto l'angolo visuale dell'interesse di questo ad essere presente nel processo penale anche (e soprattutto) per l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno e per le restituzioni, la doverosa rilevabilità d'ufficio della nullità di cui si tratta, in sostanza, nulla aggiungerebbe alla tutela desumibile dalla deducibilità della stessa su richiesta del pubblico ministero e della-parte interessata.

All'offeso dal reato - é ancora da rilevare - é dato, per l'efficacia riflessa del giudicato penale, d'avvalersi, a proprio vantaggio, della relativa decisione nei casi ed entro i limiti previsti dagli artt. 25 e seguenti del codice di procedura penale.

Ed infine, va tenuto presente il disposto degli artt. 27 e 28 di detto codice, quale risulta rispettivamente a seguito delle sentenze n. 99 del 1973 e n. 55 del 1971. La persona offesa dal reato, a cui non sia stato notificato il decreto di citazione a giudizio e sempre che la conseguente nullità di codesto atto non sia dichiarata, rientra certamente tra coloro che rimangono estranei al processo penale, perché non posta in condizione di parteciparvi o di intervenirvi; e pertanto nei di lei confronti nel giudizio civile o amministrativo la pronuncia del giudice penale non ha autorità di cosa giudicata, quanto alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità e alla responsabilità del condannato o di colui al quale sia stato conceduto il perdono giudiziale (art. 27 e sentenza n. 99 del 1973), e non é vincolante nel giudizio civile o amministrativo l'accertamento dei fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale (art. 28 e sentenza n. 55 del 1971).

4. - Il diritto di difesa della persona offesa dal reato, per ciò, non risulta negato, limitato o compresso.

Anzi il relativo principio é, come si é detto, adeguatamente osservato, di modo che in relazione ad esso non acquista rilievo l'asserito mancato rispetto della par condicio nei confronti del Pubblico ministero e dell'imputato e di questo e delle altre parti private, dovendosi ritenere che almeno per quanto concerne la persona offesa dal reato (nonché la parte civile ed il querelante) non é essenziale che il diritto di difesa, che in sé é assicurato, lo sia alla stessa stregua di come lo é per le parti necessarie del processo penale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 185-del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 24.della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 17 luglio 1974.