SENTENZA N. 164
ANNO 1974
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Giuseppe VERZÌ
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie), in relazione all'art. 2, secondo comma, del codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 6 ottobre 1972 dal tribunale di Novara nel procedimento penale a carico di Botto Sandro e Bruni Giuseppe, iscritta al n. 385 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2l del 24 gennaio 1973;
2) ordinanza emessa il 31 gennaio 1973 dal tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Cappa Giuseppe, iscritta al n. 104 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 126 del 6 maggio 1973;
3) ordinanza emessa il 28 febbraio 1973 dal tribunale di Latina nel procedimento penale a carico di Cappelli Paola ed altri, iscritta al n. 200 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 191 del 25 luglio 1973;
4) ordinanza emessa il 20 giugno 1973 dal tribunale di Latina nel procedimento penale a carico di Petrianni Luigi, iscritta al n. 332 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 249 del 26 settembre 1973;
5) ordinanza emessa il 27 giugno 1973 dal tribunale di Latina nel procedimento penale a carico di Hadley Benito, iscritta al n. 359 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 276 del 24 ottobre 1973.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 30 aprile 1974 il Giudice relatore Paolo Rossi;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Botto Sandro e Bruni Giuseppe, imputati del reato previsto e punito dagli artt. 110 del codice penale, 5 del d.l. 5 maggio 1957, n. 271, per aver eseguito, in data 16 novembre 1970, un trasporto di olio combustibile sprovvisti del certificato di provenienza, il tribunale di Novara ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, in riferimento al principio costituzionale d'eguaglianza.
Osserva il giudice a quo che nella specie, a seguito di abolitio criminis per effetto della legge 15 dicembre 1971, n. 1161, gli imputati non sarebbero stati passibili di condanna penale in virtù dei principi generali sulla successione delle leggi penali (art. 2 c.p.); che tuttavia, in base al criterio di ultrattività delle leggi penali finanziarie stabilito dalla norma impugnata, essi avrebbero dovuto essere egualmente condannati, senza che sia giustificato il diverso trattamento stabilito per gli autori di reati finanziari rispetto agli autori di reati comuni.
É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato con atto del 13 febbraio 1973, chiedendo dichiararsi l'infondatezza della questione sollevata.
La difesa dello Stato premette che il giudizio di costituzionalità va circoscritto a quella sola parte dell'impugnato art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, che stabilisce l'ultrattività delle disposizioni penali delle leggi finanziarie. Nel merito, dopo aver ricordato la ratio della speciale disciplina stabilita dallo stesso art. 2 del codice penale per le leggi eccezionali e temporanee, osserva che in materia finanziaria, a fondamento dell'ultrattività delle norme, viene comunemente ravvisata la particolare necessità di tutela dell'interesse fiscale, avente un esplicito riconoscimento nell'art. 53, comma primo, della Costituzione. Questo interesse sarebbe gravemente pregiudicato ove i contribuenti non potessero essere più colpiti dalle sanzioni originariamente stabilite per violazioni delle norme relative ai tributi, una volta che le sanzioni stesse fossero state abrogate o modificate.
L'Avvocatura dello Stato contesta infine gli orientamenti dottrinari secondo cui la norma impugnata sarebbe stata abrogata dal vigente codice penale.
2. - Il tribunale di Torino, con ordinanza del 31 gennaio 1973, e quello di Latina con tre ordinanze emesse, rispettivamente, il 28 febbraio 1973, il 20 giugno 1973 ed il 27 giugno 1973, hanno sollevato identiche questioni di legittimità costituzionale dell'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, in riferimento al principio costituzionale d'eguaglianza.
Osservano i giudici a quibus che la disparità di trattamento conseguente al principio di ultrattività vigente nella materia penale finanziaria non ha ragionevole giustificazione e deriva in sostanza da anacronistici privilegi del fisco.
Considerato in diritto
La Corte costituzionale é chiamata a decidere se l'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, nella parte in cui sancisce la cosiddetta ultrattività delle disposizioni penali delle leggi finanziarie, contrasti o meno con il principio costituzionale d'eguaglianza, per il dubbio che la deroga apportata ai principi comuni in tema di successione di leggi penali crei irrazionali disparità di trattamento tra i contravventori.
La questione é priva di fondamento.
La norma impugnata, diretta a garantire che la spinta psicologica all'osservanza della legge fiscale non sia sminuita nemmeno dalla speranza di mutamenti di legislazione, appare ispirata alla tutela dell'interesse primario alla riscossione dei tributi (art. 53 Cost.), che, come riconosciuto più volte da questa Corte, é costituzionalmente differenziato (sentenze n. 45 del 1963, n. 91 del 1964, n. 50 del 1965) ed esige una tutela particolare. Non si ha pertanto violazione dell'art. 3 della Costituzione.
Né esiste alcun ostacolo di carattere costituzionale, giacché l'art. 25 della Costituzione vieta la retroattività della legge penale, ma non concerne l'ultrattività che é disciplinata dall'art. 2 del codice penale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie), sollevata, in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe indicate.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 maggio 1974.
Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 6 giugno 1974.