Sentenza n.85 del 1973
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SENTENZA N. 85

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco  PAOLO BONIFACIO  Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo  VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 207, primo comma, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico delle leggi sulle imposte dirette), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanze emesse il 10 e il 16 novembre 1970 dal pretore di Roma nei procedimenti civili vertenti rispettivamente tra Menichini Antonio, Risuleo Irene e l'Esattoria comunale di Roma ed altri, iscritte ai nn. 115 e 116 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 106 del 28 aprile 1971;

2) ordinanza emessa il 10 dicembre 1970 dal pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Fabozzi Aurora e l'Esattoria comunale di Roma ed altro, iscritta al n. 128 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 112 del 5 maggio 1971;

3) ordinanza emessa il 22 agosto 1971 dal pretore di Massa nel procedimento civile vertente tra Pitanti Graziella e l'Esattoria comunale di Massa ed altro, iscritta al n. 403 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 304 del 1 dicembre 1971.

Visti gli atti di costituzione dell'Esattoria comunale di Roma e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 17 aprile 1973 il Giudice relatore Giulio Gionfrida;

uditi l'avv. Giuseppe Mesiano, per l'Esattoria comunale di Roma, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Del Greco, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - In un procedimento civile di opposizione di terzo ad esecuzione, promosso da Risuleo Irene contro l'Esattoria comunale di Roma e Baldini Clelia - e, successivamente, in altri analoghi procedimenti instaurati da Menichini Antonio contro l'Esattoria e De Stefano Antonio, e da Fabozzi Aurora contro l'Esattoria e Paolillo Domenico - il pretore di Roma, con ordinanze rispettivamente emesse il 10 e il 16 novembre ed il 10 dicembre 1970, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondato, in relazione all'art. 24 della Costituzione, il dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 207, comma primo, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico delle leggi sulle imposte dirette): il quale prescrive che la opposizione di terzo, nel procedimento di esecuzione esattoriale, "deve essere proposta prima della data fissata per il primo incanto".

Ha prospettato, invero, il giudice a quo - nella parte motiva delle indicate ordinanze - il timore che, per effetto della norma denunziata, risultasse del tutto aleatoria la tutela giurisdizionale dei diritti del terzo.

E ciò per un triplice ordine di ragioni, che, rispettivamente attengono:

a) alla brevità del termine, che può ridursi a 10 giorni dal pignoramento (argomentando dall'art. 223 d.P.R. citato);

b) alla rilevante probabilità che il terzo non abbia tempestiva notizia del pignoramento;

c) alle gravissime conseguenze dell'inutile decorso del termine, in quanto il terzo decaduto dal diritto di opposizione non potrebbe neppure ricorrere all'Intendente di finanza, né agire contro l'esattore dopo il compimento dell'esecuzione (come desumesi dagli artt. 208, primo comma, e 209, terzo comma, d.P.R. citato).

D'altra parte, sempre secondo il pretore, alle considerazioni sopra esposte, altre ancora se ne affiancherebbero, ad ulteriormente fondare il sospetto di illegittimità dell'art. 207 citato, ove di tale norma si condividesse l'interpretazione più rigida:

secondo cui "prima della data fissata per il primo incanto" l'opponente dovrebbe non solo presentare il ricorso al giudice, ma anche notificarlo all'esattore.

In tal caso, al termine perentorio stabilito dal giudice per la notificazione (art. 619, secondo comma, c.p.c.), verrebbe, infatti, a sovrapporsi un termine ancora più breve, autonomamente determinato dall'Esattoria, in relazione alla data del primo incanto, e per lo più sconosciuto al giudice ed al terzo.

Il che rappresenterebbe una vera e propria trappola, in cui rischia di rimanere impigliato l'opponente di buona fede: venendo a dipendere, la tempestività dell'opposizione, dal medesimo proposta, da un elemento affatto estrinseco, quale la tempestiva o tardiva emanazione del decreto da parte del pretore.

2. - La medesima questione di legittimità costituzionale dell'art. 207, primo alinea, d.P.R. 1958, n. 645, é stata anche sollevata - in un procedimento civile vertente tra Pitanti Graziella, l'Esattoria comunale di Massa e Giannotti Bruna - dal pretore di Massa, con ordinanza 22 agosto 1971.

In tale ultimo provvedimento il dubbio di legittimità della norma in parola si svolge, peraltro, in più direzioni; in quanto ché vengono ipotizzate - accanto a quella dell'art. 24 - anche le violazioni degli artt. 113 e 3 della Costituzione.

La prima, sotto il profilo della carenza di tutela giurisdizionale, che verrebbe a configurarsi per il terzo, avverso un atto amministrativo (pignoramento) di una pubblica autorità (tale considerando l'Esattoria, quale organo della P.A.).

La seconda, per la "macroscopica diversità di trattamento" riservata al terzo, che rivendichi la proprietà di beni mobili aggrediti, a seconda che si versi in ipotesi di esecuzione esattoriale, ovvero, invece, di esecuzione ordinaria: essendo inibita nella prima - ed in questa soltanto - la facoltà, per l'interessato, di opporsi tardivamente (ai sensi dell'art. 620 c.p.c.).

3. - Tutte le menzionate ordinanze sono state ritualmente notificate, comunicate e pubblicate.

4 - Innanzi a questa Corte - in tutti e tre i giudizi promossi con le ordinanze del pretore di Roma - si é costituita l'Esattoria comunale di Roma, contestando il fondamento della sollevata questione.

La norma denunziata si sottrarrebbe, invero, ad ogni censura e risulterebbe pienamente legittima, anche nella interpretazione c.d. "restrittiva" (che l'Esattoria afferma di condividere).

Ciò, anzitutto, per la decisiva ed assorbente considerazione che il proprietario di beni mobili colpiti da pignoramento esattoriale in danno di un contribuente, cui egli li abbia dati in locazione o, comunque, in godimento, sarebbe perfettamente in grado di conoscere l'esistenza del vincolo e far valere per tempo i suoi diritti, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 214 t.u. (per cui é fatto obbligo all'esattore di dare, entro cinque giorni, notizia del pignoramento a chiunque abbia chiesto di venire informato dei procedimenti esecutivi promossi nei confronti di un determinato contribuente).

D'altra parte - in base al principio (già affermato dalla Corte con la sentenza n. 93 del 1962) che "la congruità di un termine processuale si valuta, oltrechè in rapporto all'interesse del soggetto che ha l'onere di compiere l'atto, anche in relazione alla funzione assegnata all'istituto per il quale il termine é previsto" - risulterebbe nella specie, appunto, "congruo" il termine previsto dall'art. 207: in relazione alle finalità dell'esecuzione esattoriale, che "rispondono ad evidenti interessi generali, hanno natura pubblica ed esigono, accanto a misure di immediato intervento, anche un notevole grado di stabilità giuridica dei provvedimenti".

5. - L'Avvocatura dello Stato - per la Presidenza del Consiglio dei ministri, intervenuta nel solo giudizio promosso con ordinanza 16 novembre 1970 del pretore di Roma - ha, da parte sua, con analogo ordine di argomentazioni, sostenuto, anch'essa, l'infondatezza della questione di costituzionalità dell'art. 207: partendo, però, dal diverso presupposto che il termine, da tale norma previsto, si riferisca al solo deposito del ricorso, e non anche alla emissione del decreto del pretore ed alla sua notifica, come, invece, dall'Esattoria ritenuto.

Considerato in diritto

1. - Le quattro ordinanze indicate in epigrafe propongono sostanzialmente, anche se sotto profili parzialmente diversi, la medesima questione di legittimità costituzionale, e pertanto i relativi giudizi vengono riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - La questione devoluta a questa Corte concerne la legittimità costituzionale dell'art. 207, comma primo, del testo unico sulle imposte dirette, approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, il quale dispone che l'opposizione di terzi prevista dall'art. 619 del codice di procedura civile deve essere proposta prima della data fissata per il primo incanto. Le ordinanze di rimessione sollevano il dubbio che questo termine di preclusione vulneri la tutela giurisdizionale del diritto del terzo garantita dall'art. 24 della Costituzione, sia per la brevità del termine, che - come si desume dall'art. 223 dello stesso testo unico - può ridursi a dieci giorni dal pignoramento, del quale per di più il terzo può non avere avuto conoscenza, sia per la mancanza di rimedi correttivi o sostitutivi in favore del terzo, non essendogli concesso il ricorso all'intendente di finanza a norma dell'art. 208, comma primo, e non potendo egli nemmeno agire contro l'esattore, dopo il compimento dell'esecuzione, per ottenere il risarcimento del danno.

L'ordinanza del pretore di Massa ritiene altresì che la denunciata norma dell'art. 207, comma primo, contrasti in pari tempo, oltre che con l'art. 24 della Costituzione, con l'art. 113, il quale non consentirebbe alcuna limitazione di carattere temporale alla tutela giurisdizionale contro gli atti della Pubblica Amministrazione (e tali appunto devono qualificarsi gli atti del procedimento esecutivo esattoriale mobiliare).

Ricorrerebbe infine la violazione del principio di uguaglianza dettato dall'art. 3 della Costituzione per la ingiustificata esclusione, in materia di esecuzione forzata esattoriale, dell'opposizione tardiva prevista dall'art. 620 del codice di procedura civile.

3. - La questione non é fondata.

La giurisprudenza di questa Corte in materia di termini di preclusione o di decadenza é ferma nel ritenere che la lesione del diritto di difesa costituzionalmente garantito si ha solo quando la irrazionale brevità del termine renda meramente apparente o estremamente difficile la possibilità del suo esercizio, e che la congruità di un termine deve essere valutata tanto con riguardo all'interesse del soggetto che ha l'onere di compiere un certo atto per la salvaguardia del proprio diritto quanto in rapporto alla funzione che nel sistema dell'ordinamento ha lo specifico istituto nella cui regolamentazione il termine é prescritto (vedi, tra le altre, le sentenze n. 93 del 1962, n. 58 e n. 80 del 1967).

Sotto questo aspetto, va considerato che la esistenza nel processo esecutivo di preclusioni o decadenze, poste a garanzia dell'interesse del creditore e a carico del debitore o del terzo e sostanzialmente intese a tutelare l'esigenza obiettiva di una giustizia efficace e sollecita, é tanto più giustificata nel processo esecutivo esattoriale la cui rapidità ed efficienza deve soddisfare l'interesse fondamentale di garantire il regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato (v. sentenza di questa Corte n. 87 del 1962). Ed é con riguardo a questa esigenza che appare razionale la norma dell'art. 207, primo comma, del testo unico del 1958, la quale prescrive che la opposizione di terzo prevista dall'art. 619 c.p.c. deve essere proposta prima della data fissata per il primo incanto.

Non ha consistenza il rilievo che, nell'ipotesi in cui il primo incanto sia fissato nel termine minimo di dieci giorni dal pignoramento previsto dall'art. 223 capoverso del detto testo unico, la tutela del diritto del terzo può risultare del tutto sacrificata o resa estremamente difficile per effetto della preclusione predetta, anche in considerazione del fatto che non gli é assicurata la possibilità di una tempestiva conoscenza del pignoramento.

Sta in fatto che in Ogni caso é garantita al terzo la possibilità di conoscenza del pignoramento almeno cinque giorni prima della data fissata per il primo incanto, sol che si avvalga della facoltà concessa dall'art. 214, il quale prescrive che l'esattore é tenuto ad informare, entro cinque giorni dal pignoramento, chiunque ne abbia fatto richiesta, accompagnata dal versamento annuale di una modica somma, dei procedimenti esecutivi promossi nell'anno a carico di un determinato contribuente. Ed é ovvio che nel caso di violazione di questo obbligo dell'esattore, questi sarebbe tenuto verso il richiedente al risarcimento del danno.

É poi appena il caso di dire che, nella ipotesi normale - alla quale deve aversi riguardo - in cui la collocazione del bene del terzo nella sfera di disponibilità di chi é assoggettato all'esecuzione sia dipesa dalla stessa volontà del terzo, la cognizione dell'avvenuto pignoramento é più sollecitamente acquisibile tramite lo stesso debitore, il quale, qualora omettesse di informare il terzo, potrebbe, ricorrendone i presupposti, essere tenuto al risarcimento del danno.

Né, perché l'opposizione possa dirsi tempestiva, occorre che nel termine previsto dall'art. 207 si sia anche provveduto alla notificazione del ricorso all'esattore, unitamente al decreto del pretore che, a norma dell'art. 619 c.p.c., fissa la udienza di comparizione delle parti, bastando invece che nel termine sia stato presentato il ricorso.

Ciò risponde a un principio, del quale la giurisprudenza ha fatto applicazione ormai costante specialmente in tema di riassunzione del processo interrotto, e la cui estensione al caso di opposizione nell'esecuzione esattoriale é legittimata dal richiamo specifico dell'art. 619 contenuto nella disposizione del detto art. 207 e della norma generale dell'art. 200 capoverso dello stesso testo unico.

Non manca, in fine, a completare la tutela del diritto del terzo, il rimedio dell'opposizione tardiva prevista dall'art. 620 del codice di procedura civile. L'applicabilità di essa nella esecuzione esattoriale é riconosciuta dalla dottrina dominante; e tale soluzione, oltre che fondata sul richiamato capoverso dell'art. 200 del testo unico del 1958 e sui precedenti storici, trova anche sostegno nel rilievo che, ritenendo altrimenti, si finirebbe col fare dipendere dal pretore, anche nel caso di opposizione tempestivamente proposta, qualora egli non ritenga di avvalersi della facoltà di sospendere la vendita, la definitiva sorte della opposizione, rispetto al merito della quale egli può, peraltro, mancare della competenza per valore.

L'applicabilità, nella materia de qua, dell'istituto ora considerato comporta che, tanto nel caso in cui, nonostante la tempestiva proposizione del ricorso in opposizione, non si eviti la vendita del bene pignorato (perché il pretore non conceda la sospensione ovvero questa giunga a conoscenza dell'esattore dopo avvenuta la vendita), quanto nel caso in cui l'opposizione sia proposta tardivamente, il terzo sarà comunque in grado di fare valere il suo diritto per ottenere l'equivalente economico del bene, sempre che non sia conclusa la distribuzione del ricavato della vendita.

E tale tutela, pur se sostitutiva, gode delle più ampie garanzie giurisdizionali. Basta considerare che la somma ricavata dovrà in ogni caso, e quindi anche nella ipotesi di vendita compiuta dal sindaco a norma dell'art. 227, essere depositata nella cancelleria della pretura (art. 228); e che, in base ai principi accolti dalla dottrina (la quale riconosce al terzo opponente ex art. 620 c.p.c. la veste di creditore, con diritto alla collocazione in via di prededuzione), il pretore avrà il dovere, e non semplice facoltà, di sospendere il procedimento di distribuzione a norma dell'art. 512 c.p.c., procedendosi poi alla decisione della causa col rispetto anche della norma di competenza fissata dall'art. 17 c.p.c.

4. Per le considerazioni svolte deve escludersi che l'articolo 207, primo comma, del testo unico in questione, visto nel quadro complessivo dei rimedi offerti al terzo, vulneri la tutela garantita dall'art. 24 della Costituzione.

E risultano anche non fondati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dal pretore di Massa con riferimento all'articolo 113 e all'art. 3 della Costituzione: quanto al primo, perché é appena il caso di ricordare che l'essere "sempre" ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi contro gli atti della Pubblica Amministrazione non significa affermare la perpetuità della tutela (v. sentenza numero 47 del 1964); quanto al secondo, perché la violazione del principio di uguaglianza viene dedotta in base all'erroneo presupposto che nella esecuzione esattoriale non sia consentita l'opposizione tardiva prevista dall'art. 620 del codice di procedura civile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 207, primo comma, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico delle leggi sulle imposte dirette), sollevata con le ordinanze di cui in epigrafe, in riferimento agli articoli 24, 113 e 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 giugno 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 19 giugno 1973.