SENTENZA N. 74
ANNO 1973
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO Presidente
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Prof. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 301, secondo comma, del codice di procedura penale, nonché del combinato disposto degli artt. 301, secondo comma, del predetto codice e 206, secondo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 9 gennaio 1971 dal giudice istruttore del tribunale di Tolmezzo nel procedimento penale a carico di Pupin Luciano ed altri, iscritta al n. 52 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 87 del 7 aprile 1971.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 17 aprile 1973 il Giudice relatore Nicola Reale;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Zagari, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Il giudice istruttore presso il tribunale di Tolmezzo, nel corso di vari procedimenti penali, concernenti alcuni la revoca dell'internamento, provvisoriamente disposto, in manicomio giudiziario o in casa di cura e custodia, altri l'applicazione, su istanza del P.M., di analoghe misure a carico di imputati risultanti affetti da psicopatie, ubriachezza abituale o intossicazione alcoolica, con ordinanza 9 gennaio 1971, di ufficio ha sollevato la questione di legittimità dell'art. 301, secondo comma, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 111 e 24, secondo comma, della Costituzione. Sotto il primo profilo ha osservato che la norma, nella parte in cui stabilisce che contro il decreto di applicazione provvisoria della misura di sicurezza l'interessato non può proporre reclamo, contrasta con il precetto costituzionale che, contro i provvedimenti restrittivi della libertà personale, dichiara essere sempre ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge.
In contrasto con l'art. 24, secondo comma, Cost, inoltre, la stessa norma dispone che le misure di sicurezza dell'internamento in manicomio giudiziario o in casa di cura e custodia possono provvisoriamente essere ordinate anche prima dell'interrogatorio dell'imputato o della emissione di un mandato:
ancor prima, quindi, della formulazione del capo di imputazione ed anche dell'avviso di procedimento.
Risulterebbe così elusa, si assume, ogni garanzia del contraddittorio, tanto più che non sarebbe prescritta la preventiva nomina del difensore.
Sotto altro aspetto, si aggiunge nell'ordinanza, il sistema previsto dal combinato disposto degli artt. 301 del codice di procedura penale e 206, secondo comma, del codice penale contrasterebbe con l'art. 13, quinto comma, della Costituzione, atteso che, pur importando le misure di sicurezza previste dalla seconda di dette norme, restrizione della libertà personale, tuttavia non ne sarebbero stabiliti i limiti massimi di durata in analogia con quanto previsto per la carcerazione preventiva.
Non sarebbe neppure prescritto il riesame della pericolosità allo scadere di un termine massimo ragionevole e si renderebbe possibile il protrarsi dell'internamento per lungo tempo, posto che non risulterebbe sancito l'obbligo di revocare la misura di sicurezza non appena venga a cessare la pericolosità medesima.
Davanti a questa Corte, costituitasi in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato ha richiesto che le questioni siano dichiarate non fondate.
In riferimento all'art. 111 Cost., l'Avvocatura palesa anzitutto dubbi circa l'applicabilità del ricorso per cassazione al provvedimento in esame, che definisce sostanzialmente amministrativo, in quanto diretto all'applicazione di misura amministrativa di sicurezza. Considerandone, tuttavia, il contenuto restrittivo della libertà personale, seppure "in via soltanto strumentale" e per finalità "terapeutiche" rispondenti anche all'interesse dell'imputato, assume che l'immediata applicazione dell'art. 111, secondo comma, Cost., nei limiti del sindacato di legittimità, e con esclusione dell'impugnazione per motivi di merito, costituisce dato normativo già acquisito ed operante nell'ordinamento positivo.
Circa la violazione dell'art. 24, secondo comma, Cost., l'Avvocatura sostiene che il diritto di difesa dovrebbe ritenersi costituzionalmente garantito soltanto nel giudizio sull'imputazione e non ai fini dell'applicazione provvisoria di misure di sicurezza.
Nel caso, tuttavia, si ritenesse che anche a quei fini la difesa deve essere assicurata, potrebbe trovarsi rimedio con ricorso analogico all'art. 636 c.p.p., ritenendosi che il giudice abbia il dovere di invitare la persona da sottoporre a misura di sicurezza a fare le dichiarazioni che ritiene opportuno nel suo interesse, indipendentemente dall'interrogatorio richiesto nel corso dell'istruzione formale.
In ordine all'ultima censura, l'Avvocatura replica che la natura e lo scopo dell'internamento in casa di cura (o in manicomio giudiziario), diversi da quelli della carcerazione preventiva, ne escluderebbero la durata illimitata, implicando, al contrario (nel rispetto del precetto costituzionale richiamato), l'obbligo del giudice di riesaminare le condizioni medico- legali del soggetto e di revocare la misura predetta non appena si accerti essere mutate le condizioni stesse e venuti meno, quindi, i presupposti che ne richiesero l'imposizione.
Considerato in diritto
1. - Il giudice istruttore presso il tribunale di Tolmezzo, nel corso di vari procedimenti penali a carico di imputati di reati contro il patrimonio e contro l'assistenza familiare, infermi di mente o dediti ad ubriachezza abituale o affetti da intossicazione alcoolica, per i quali occorreva decidere circa l'applicazione provvisoria della misura di sicurezza del manicomio giudiziario o dell'internamento in casa di cura e di custodia, ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale:
a) dell'art. 301, secondo comma, ultima parte, c.p.p., in quanto esclude la "facoltà di reclamo" dell'interessato contro il provvedimento di provvisoria applicazione di alcuna delle predette misure detentive di sicurezza, e ciò in riferimento all'art. 111, secondo comma, della Costituzione, concernente l'impugnabilità per cassazione di tutti i provvedimenti sulla libertà personale;
b) della stessa norma, nella parte in cui prevede che le predette misure possono essere disposte provvisoriamente "anche prima dell'interrogatorio dell'imputato o della emissione di un mandato", senza la preventiva designazione di un difensore e prima della contestazione dell'accusa o della comunicazione giudiziaria circa il procedimento in corso. Ciò in contrasto con la garanzia della difesa prevista dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione;
c) della normativa risultante dal combinato disposto degli artt. 301, secondo comma, c.p.p. e 206, secondo comma, c.p. che importerebbe violazione dell'art. 13, quinto comma, Cost. giacché non indica i limiti massimi di durata della misura di sicurezza detentiva provvisoriamente applicata o, quanto meno, il termine massimo per il riesame della pericolosità dell'internato da parte dello stesso giudice.
2. - La prima questione sub a) risulta sollevata nel corso dell'istruzione formale ma prima della pronunzia, da parte del giudice, del provvedimento di cui si censura la non impugnabilità.
Sennonché, posta nei detti termini la questione appare chiaramente inammissibile per difetto di rilevanza, non do vendo il giudice a quo fare applicazione della norma che esclude la reclamabilità del provvedimento.
Ne consegue che la questione appare priva dei caratteri di necessaria e concreta pregiudizialità ed incidentalità richiesti dall'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87.
3. - É invece rilevante e fondata la diversa questione sub b).
Non pare dubbio che la disposizione dell'art. 301, secondo comma, c.p.p. violi la garanzia della difesa, nella parte in cui prevede l'applicazione provvisoria di misure di sicurezza anche prima della contestazione dell'accusa, che avvenga sia nel corso dell'interrogatorio dell'imputato o mediante la notificazione di un mandato enunciante l'imputazione e, giusta l'ordinanza, anche prima che all'imputato sia data comunicazione del procedimento. Ipotesi tutte nelle quali risulterebbe, per giunta, leso il diritto all'esercizio della difesa tecnica, non essendo neppure richiesta la designazione e l'assistenza del difensore.
La tutela del diritto di difesa, invero, quale diritto di partecipare personalmente o a mezzo di difensore alla formazione del convincimento del giudice, non può sicuramente subire limitazione, quando il diritto stesso sia preordinato alla tutela della libertà personale.
Né la finalità di prevenzione speciale che é propria del provvedimento previsto dall'art. 301 c.p.p., in connessione con l'art. 206 c.p., né l'interesse pubblico che ne costituisce il fondamento, possono legittimare il sacrificio del diritto garantito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione. E tale garanzia va, dunque, riaffermata nel procedimento di applicazione provvisoria della misura di sicurezza detentiva, così come é stata enunciata con le sentenze n. 168 del 1972 e n. 53 del 1968 in riferimento al procedimento per l'esecuzione delle misure di sicurezza disposte in via definitiva con sentenza, ai sensi degli artt. 633 e seguenti del codice di procedura penale.
4. - É per contro infondata la questione sub c).
Nel prospettarne i termini il giudice a quo ha impropriamente richiamato i principi inerenti alla disciplina della carcerazione preventiva, obliterandone i caratteri differenziali. Questa Corte, per vero, ha già ricordato, con le sentenze numeri 64 e 96 del 1970 che le misure di sicurezza detentive sono volte ad esigenze diverse da quella tipicamente processuale della custodia preventiva, sicché ad esse non é applicabile il principio contenuto nell'art. 13, quinto comma, della Costituzione.
Il che, peraltro, non comporta l'assenza di garanzie per l'imputato. Basti ricordare che nello stesso ordinamento processuale penale sono operanti rimedi mediante i quali é apprestata tutela alla libertà dell'imputato contro misure restrittive, che, nel corso del procedimento, si palesino illegittime.
La durata della misura di sicurezza disposta nell'istruzione penale, deve ritenersi connessa al perdurare dello stato di pericolosità, il cui accertamento va obbligatoriamente rinnovato dal giudice quando se ne manifestino le esigenze nel corso della stessa fase processuale.
E quando egli ritenga l'imputato non più socialmente pericoloso, ai sensi dell'art. 206 c.p., gli é imposto di revocare la misura già disposta. All'imputato medesimo, inoltre, deve ritenersi conferita la potestà di sollecitare gli opportuni accertamenti ed i conseguenti provvedimenti del giudice, con le garanzie inerenti alla tutela giurisdizionale.
Né va trascurato che il provvedimento del giudice istruttore rimane caducato per effetto della pronuncia nel giudizio di primo grado, a seguito della quale possono avere applicazione immediata soltanto i provvedimenti eventualmente contenuti nella sentenza a norma degli artt. 479, 485 e 486 del codice di procedura penale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 301, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non consente facoltà di reclamo contro i provvedimenti del giudice istruttore concernenti l'applicazione di misure di sicurezza, sollevata, in riferimento all'art. 111, secondo comma, della Costituzione, con l'ordinanza di cui in epigrafe, dal giudice istruttore presso il tribunale di Tolmezzo;
2) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 301, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che le misure di sicurezza possono essere provvisoriamente ordinate dal giudice istruttore anche prima dell'interrogatorio dell'imputato o dell'emissione di un mandato;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 301, secondo comma, del codice di procedura penale e 206, secondo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento all'art. 13, quinto comma, della Costituzione, con la predetta ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 maggio 1973.
Francesco PAOLO BONIFACIO – Giuseppe VERZÌ – Giovanni BATTISTA BENEDETTI – Luigi OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI – Nicola REALE – Paolo ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 6 giugno 1973.