Sentenza n. 96 del 1970
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SENTENZA N. 96

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZI'

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

AVV. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 206 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 7 febbraio 1969 dal giudice di sorveglianza del tribunale di Mantova sull'istanza di Vella Pio Nono, iscritta al n. 69 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 26 marzo 1969.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 1970 il Giudice relatore Enzo Capalozza;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Pio Nono Vella, sottoposto a custodia preventiva per omicidio, prosciolto per infermità di mente, a seguito di perizia psichiatrica, e ricoverato in un manicomio giudiziario, chiedeva al giudice di sorveglianza del tribunale di Mantova che fosse considerato, come applicazione provvisoria della misura di sicurezza, ai fini della decorrenza di questa, quel periodo di carcerazione preventiva durante il quale (per mesi sette e giorni otto) era stata compiuta la perizia psichiatrica.

Con ordinanza del 7 febbraio 1969, il giudice di sorveglianza escludeva che, in base all'art. 206 del codice penale, potesse attribuirsi tale valore al periodo suindicato; riteneva, per altro, che vi fosse disparità di trattamento fra questa ipotesi e quella dell'imputato pienamente capace di intendere e di volere, a favore del quale, in caso di condanna, ai sensi dell'art. 137 del codice penale, la carcerazione preventiva é considerata come pena; e riteneva rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale del citato art. 206 cod. pen., in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Sulla non manifesta infondatezza della questione, osservava che la disparità non sarebbe giustificata né dalla diversità, pur innegabile, dei fini della misura di sicurezza e di quelli della pena, né dalla considerazione che, mentre per il recupero dell'imputato sembra idonea soltanto la misura di sicurezza, la carcerazione preventiva avrebbe, invece, uno scopo di difesa sociale, tanto nel caso che il provvedimento si concluda con una decisione che presupponga la piena capacità penale dell'imputato, tanto nel caso che la sentenza disponga il ricovero in manicomio giudiziario.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 78 del 26 marzo 1969.

Nel giudizio innanzi a questa Corte la parte privata non si é costituita.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, é intervenuto in giudizio con atto depositato il 31 marzo 1969, nel quale chiede che la questione sia dichiarata infondata.

In via preliminare, l'Avvocatura osserva che, mediante il giudizio di legittimità costituzionale della disposizione denunziata, non si potrebbe ottenere il risultato auspicato dal giudice a quo.

Nel merito, deduce il parallelismo fra l'art. 137 e l'art. 206, ultimo comma, del codice penale e fa presente che proprio dalla diversità delle situazioni ivi disciplinate scaturirebbe la ragionevolezza della diversità di trattamento, non avendo la carcerazione preventiva quel valore di cura in senso medico, che si riscontra nel ricovero in manicomio giudiziario, disposto come misura di sicurezza (provvisoria o definitiva che sia).

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione sottoposta alla Corte con l'ordinanza del 7 febbraio 1969 dal giudice di sorveglianza del tribunale di Mantova é se l'art. 206, ultimo comma, del codice penale, nella parte in cui, ai fini del computo della durata minima della misura di sicurezza, non tiene conto del periodo trascorso in carcerazione preventiva, violi l'art. 3 della Costituzione, per diversità di trattamento rispetto alla detrazione della carcerazione preventiva dalla pena, di cui all'art. 137 del codice penale.

2. - A prescindere dalle indagini sulle funzioni della pena e della misura di sicurezza, é certo che la Costituzione ammette espressamente la dicotomia pena - misura di sicurezza (art. 25, secondo e terzo comma): ora, allo stato della legislazione vigente, non é assimilabile la carcerazione alla misura di sicurezza (detentiva), per la diversità della natura e delle finalità delle due forme restrittive della libertà personale: rieducativa (e, per taluni, anche retributiva) la prima; curativa e precauzionale la seconda. Sicché é la stessa Costituzione che demanda la disciplina al legislatore ordinario e lascia alla sua discrezionalità di definirne i rapporti, senza che ciò possa configurare la violazione dell'art. 3.

Una irrazionalità di trattamento nella norma denunziata é da escludere, perché la carcerazione preventiva, che ha un compito essenzialmente processuale (vedi sentenza di questa Corte n. 64 del 1970), non é equiparabile alla misura di sicurezza detentiva. Infatti, i limiti minimi di questa sono collegati al particolare trattamento che essa comporta (cura dell'infermo di mente, dell'alcoolizzato, del drogato). Invece, se, prima della pronuncia, l'imputato ha subito la carcerazione preventiva, quand'anche fosse stato ricoverato in osservazione presso un manicomio giudiziario, non é stato sottoposto alle cure dirette a poterlo avviare verso la guarigione; dimodoché é giustificabile la norma che non tiene conto della detenzione nel computo del limite minimo della misura di sicurezza.

La soluzione adottata non pregiudica la questione opposta - che non é oggetto del presente giudizio di legittimità costituzionale - se nel computo della carcerazione si debba tener conto della privazione di libertà subita per effetto di una misura di sicurezza detentiva provvisoria, poi riconosciuta non giustificata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 206, ultimo comma, del codice penale, sollevata con l'ordinanza 7 febbraio 1969 dal giudice di sorveglianza del tribunale di Mantova, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

 nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1970.

 

Depositata in cancelleria il 16 giugno 1970.