Sentenza n. 203 del 1972

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 SENTENZA N. 203

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Costantino MORTATI, Presidente

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio GIONFRIDA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 16, primo comma, lett. a, del r.d. 22 aprile 1909, n. 229 (testo unico delle disposizioni per le pensioni del personale delle ferrovie dello Stato), modificato dall'art. 1 del decreto legislativo luogotenenziale 8 giugno 1945, n. 915 (norme sulle pensioni per il personale destituito delle ferrovie dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 28 novembre 1970 dalla Corte dei conti - sezione III pensioni civili - sul ricorso di Genese Giuseppe contro l'Amministrazione delle ferrovie dello Stato, iscritta al n. 241 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 184 del 21 luglio 1971.

Udito nella camera di consiglio del 23 novembre 1972 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi.

 

Ritenuto in fatto

 

Giuseppe Genoese, dipendente dell'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, per assenza arbitraria superiore a dieci giorni veniva dichiarato dimissionario d'ufficio dall'ottobre 1943 e conseguentemente perdeva il titolo al trattamento di quiescenza.

Dopo avere per due volte ed inutilmente avanzato istanza di concessione della pensione, rinnovava la richiesta, ma l'Amministrazione insisteva nel rifiuto.

Il Genoese, allora, proponeva ricorso davanti alla Corte dei conti, sostenendo tra l'altro l'illegittimità costituzionale dell'art. 16, comma pnmo, lett. a del testo unico delle disposizioni per le pensioni del personale delle ferrovie dello Stato, approvato con il r.d. 2 aprile 1909, n. 229, in riferimento all'art. 36 della Costituzione, nella parte in cui quella norma prevede la perdita del diritto al conseguimento della pensione, da parte dell'agente cessato dal servizio per dimissione.

L'Amministrazione resisteva alle richieste e, pregiudizialmente eccependo l'inammissibilità del ricorso, deduceva il difetto di rilevanza della proposta questione.

Il p.m. concludeva in via principale per l'accoglimento del ricorso, considerando applicabile alla specie la legge 8 giugno 1966, n. 424, che aveva abrogato le disposizioni relative alla perdita, alla riduzione e alla sospensione del diritto al conseguimento e al godimento della pensione e d’ogni altro assegno od indennità equipollente, in seguito a condanna penale o a provvedimento disciplinare. E in via alternativa, per il caso in cui la Corte non avesse ritenuto di natura disciplinare le dimissioni d'ufficio, sosteneva che fosse in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, l'art. 1 della citata legge n. 424 del 1966 nella parte in cui non include tra gli aventi diritto alla pensione anche gli impiegati dimissionari d'ufficio, che abbiano compiuto il periodo minimo di servizio prescritto ai fini del conseguimento di quel diritto.

La Corte dei conti, con ordinanza del 28 novembre 1970, giudicava rilevanti entrambe le eccezioni.

Circa il merito, dichiarava, richiamandosi alle sentenze n. 3 del 1966 e n. 75 del 1968 della Corte costituzionale, di condividere il dubbio che la perdita del diritto a pensione, comminata dall'art. 16, comma primo, lett. a del citato t.u. del 1909 (modificato dall'art. 1 del d.lg.lgt. 8 giugno 1945, n. 915, contenente norme sulle pensioni per il personale destituito delle ferrovie dello Stato), fosse in contrasto con l'art. 36 della Costituzione; e pur non disconoscendo che l'accoglimento di detta eccezione avrebbe risoluto in radice la proposta questione, con effetti più favorevoli per il ricorrente, considerava non manifestamente infondata l'eccezione relativa all'art. 1 della legge n. 424 del 1966, sollevata dal pubblico ministero senza tener conto della prima questione ed in alternativa alla domanda principale d’accoglimento del ricorso, stimando non giustificato il differente trattamento previsto per gli impiegati che abbiano perduto o non abbiano potuto conseguire il diritto a pensione per effetto di condanna penale o di sanzione disciplinare, e per quelli che abbiano spontaneamente abbandonato l'impiego dopo aver maturato il periodo minimo prescritto per l'acquisto del diritto medesimo.

E per tanto la Corte dei conti, con l'indicata ordinanza, sottoponeva le due questioni all'esame di questa Corte.

L'ordinanza veniva regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 184 del 21 luglio 1971.

Davanti a questa Corte non si costituiva alcuna delle parti, né spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

Il procedimento, stante ciò, seguiva le forme previste dall'art. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con ordinanza indicata in epigrafe la Corte dei conti sottopone a questa Corte due questioni.

Viene, anzitutto, denunciato, per contrasto con l'art. 36 della Costituzione, l'art. 16, comma primo, lett. a), del t.u. delle disposizioni per le pensioni del personale delle ferrovie dello Stato, approvato con il r.d. 22 aprile 1909, n. 229, modificato dall'art.1 del d.lg.lgt. 8 giugno 1945, n.915 (contenente norme sulle pensioni per il personale destituito delle ferrovie dello Stato), secondo cui "il diritto dell'agente al conseguimento della pensione si perde per dimissioni dal servizio"; e si assume, in secondo luogo, che violi l'art. 3 Cost., l'art. 1 della legge 8 giugno 1966, n. 424 (abrogazione di norme che prevedono la perdita, la riduzione o la sospensione delle pensioni a carico dello Stato o di altro ente pubblico), nella parte in cui contempla tra i destinatari del diritto alla pensione i pubblici dipendenti colpiti da condanna penale o da provvedimento disciplinare e non anche gli impiegati il cui rapporto sia cessato volontariamente.

2. - Delle due questioni così proposte va esaminata per prima quella relativa all'art. 16 del citato t.u. del 1909, per la preminenza che ad essa dà la Corte dei conti in sede di valutazione delle richieste del ricorrente ed ai fini dell'eventuale più ampio accoglimento di esse.

Di detta questione va riconosciuta la fondatezza.

Con varie pronunce (tra cui le sentenze nn. 3 del 1966, 78 del 1967, 112 del 1968 e 25 del 1972), questa Corte, a proposito del trattamento economico previsto per il lavoratore a corrispettivo della prestazione da lui eseguita, sia durante il corso del rapporto che a seguito della cessazione dello stesso, ha, in riferimento all'art. 36 della Costituzione, dichiarato l'illegittimità costituzionale di norme che prevedevano ingiustificate esclusioni o limitazioni circa la spettanza al lavoratore di quel trattamento, che invece gli era dovuto in dipendenza della prestazione dell'attività lavorativa e come frutto di essa.

Per la norma oggetto della presente denuncia, é dato rilevare come l'agente ferroviario, dimissionario dal servizio per un'assenza ingiustificata superiore a dieci giorni, venga a perdere il diritto al conseguimento della pensione. Ma in tal modo, é evidente che non gli é concretamente assicurata la garanzia del diritto alla retribuzione, apprestata dall'art. 36 della Costituzione e, pertanto, tale disposizione risulta violata.

3. - Dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 16, primo comma, lett. a), del citato t.u. del 1909, rimane assorbito l'esame relativo alla seconda questione.

Infatti, anche se si dovesse constatare la fondatezza del denunciato contrasto con l'art. 3 della Costituzione, dell'art. 1 della legge n. 424 del 1966, nella parte in cui contempla fra i destinatari del diritto alla pensione i pubblici dipendenti colpiti da condanna penale o da provvedimento disciplinare e non anche quelli il cui rapporto sia cessato volontariamente, non risulterebbero modificate le conseguenze discendenti dal primo accertamento, atteso che, in funzione della richiesta di riconoscimento del diritto del ricorrente, l'eventuale seconda pronuncia di illegittimità costituzionale svolgerebbe solo una funzione concorrente e comunque non avrebbe modo di operare per il tempo anteriore alla data di entrata in vigore della detta legge n. 424 del 1966.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 16, comma primo, lett. a), del testo unico delle disposizioni per le pensioni del personale delle ferrovie dello Stato, approvato con il r.d. 22 aprile 1909, n. 229, modificato dall'art. 1 del decreto legislativo luogotenenziale 8 giugno 1945, n. 915, contenente norme sulle pensioni per il personale destituito delle ferrovie dello Stato.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1972.

Costantino MORTATI – Vincenzo Michele TRIMARCHI

Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1972.