Sentenza n. 124 del 1972

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 SENTENZA N. 124

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 479, terzo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 13 aprile 1970 dal pretore di Dolo nel procedimento penale a carico di Canova Gelli, iscritta al n. 293 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 286 dell'11 novembre 1970.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 maggio 1972 il Giudice relatore Enzo Capalozza;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un procedimento penale dinanzi al pretore di Dolo a carico di Canova Gelli per lesioni colpose gravi, essendo risultata una netta discordanza tra i testi escussi, il difensore dell'imputato - nel presupposto che il giudice, anche in relazione alle richieste del pubblico ministero, si determinasse a pronunziare sentenza d’assoluzione per insufficienza di prove - sollevava, in riferimento all'art. 27, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 479 del codice di procedura penale, che prevede tale formula di proscioglimento.

Nel ritenere non manifestamente infondata la questione, con ordinanza del 13 aprile 1970, il pretore afferma che il processo penale sarebbe diretto ad acquisire prove che convalidino o superino la presunzione d’innocenza, permanendo la quale, in difetto di prove sufficienti ad eliminarla, l'imputato dovrebbe considerarsi non colpevole ed essere assolto con formula piena.

Fa, inoltre, presenti i pregiudizievoli effetti, sul piano giuridico e delle relazioni umane, derivanti da una pronunzia assolutoria con formula dubitativa; e richiama la tesi secondo cui questa contrasterebbe con l'art. 6, paragrafo 2, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che - elevando la presunzione d’innocenza a regola di giudizio, per cui l'incertezza dei dati probatori equivarrebbe all'impossibilità di raggiungere la certezza - non consentirebbe una via intermedia tra la colpevolezza e la non colpevolezza.

Il pretore si dà, poi, carico di esporre gli argomenti contrari all'assunto dell'illegittimità. E, così, accenna agli inconvenienti cui darebbe luogo l’eliminazione della formula dubitativa, fra i quali la difficoltà di escludere il dubbio nella motivazione della sentenza e la stessa eventualità che il giudice si possa determinare alla condanna piuttosto che all'assoluzione (specialmente nell'ipotesi di dubbio sull'esistenza di una scriminante). Dopo aver ammesso che, per poter adottare la formula di non provata reità, la legge richiede prove e non indizi o sospetti, afferma che la sua abolizione contrasterebbe con la legittimità costituzionale della carcerazione preventiva, che consente misure limitative della libertà personale soltanto in base al sospetto della commissione di un reato. Aggiunge, infine, che, eliminandosi l'incertezza con l'adozione della formula piena, si verrebbe a considerare certo, nel senso di una certezza negativa, un fatto che é risultato incerto. Solo la Corte costituzionale "per la tranquillità del legislatore, dei giudici e dei cittadini" - conclude - può dare un’esauriente risposta a questi interrogativi.

Nel giudizio innanzi a questa Corte la parte privata non si é costituita.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, intervenuto con atto depositato il 30 giugno 1970, chiede che la questione sia dichiarata infondata.

Dopo aver rammentato l'orientamento favorevole all'abolizione della formula dubitativa delineatosi in Parlamento in occasione dell'esame del disegno di legge di delega al Governo per l'emanazione di un nuovo codice di procedura penale, l'Avvocatura esclude che la norma denunziata contrasti con l'art. 27, secondo comma, della Costituzione o con l'art. 6, par. 2, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Al riguardo deduce che la predetta formula rappresenta la conclusione logica e coerente di un giudizio che, come tale, non può superare il dubbio, momento ineliminabile del pensiero. Osserva, poi, che l'assoluzione per insufficienza di prove, essendo da annoverare fra le formule di proscioglimento, lungi dal contrastare, convaliderebbe la presunzione di non colpevolezza.

Per quanto concerne, infine, le conseguenze sfavorevoli, nel vigente ordinamento, connesse all'insufficienza di prove, rileva che la questione potrebbe prospettarsi in relazione alle disposizioni che le prevedono, e non a quella attualmente denunziata.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il pretore di Dolo dubita che la formula d’assoluzione per insufficienza di prove (in giudizio: art. 479, terzo comma, del codice di procedura penale) sia in contrasto con l'art. 27, secondo comma, della Costituzione.

La questione non é fondata.

Questa Corte ha avuto occasione di affermare (sia pure a fini diversi da quello che viene oggi in questione) che la disposizione dell'art. 27, secondo comma, Cost., nel dichiarare che l'imputato non é considerato colpevole sino alla condanna definitiva, vuol garantirgli l’esclusione della presunzione di colpevolezza durante tutto lo svolgimento del rapporto processuale (sent. n. 107 del 1957; vedasi anche sent. n. 115 del 1964): la condizione giuridica d’imputato - é stato osservato - si ricollega al processo, mentre la condizione giuridica di condannato, cioé di colpevole, segue il processo.

E ciò, sia alla stregua del concetto stesso di colpevolezza (lato sensu), che per la dottrina generale del reato é comunemente intesa come presupposto indispensabile per l'applicazione della pena; sia in conformità alla espressione testuale usata dall'Assemblea costituente, che, nel contrasto delle opinioni, non ha sancito la presunzione d’innocenza, ma, con l'emendare l'originaria proposta della I Sottocommissione, ha voluto presumibilmente asserire che durante il processo non esiste un colpevole, bensì soltanto un imputato.

2. - Nel nostro sistema e nella terminologia corrente, dunque, la condizione di non colpevole non sembra identificarsi con quella d’innocente: chi durante il processo, é non colpevole può essere giudicato, con la sentenza definitiva, innocente oppure colpevole.

Se fosse vero il contrario, sarebbe illegittima ogni misura di carcerazione preventiva, che é, invece, ammessa dall'ultimo comma dell'art. 13 Cost. (vedasi la sent. n. 64 del 1970 di questa Corte), e, al limite, sarebbe illegittima - contrariamente a quanto dichiarato da questa Corte con sentenza n. 78 del 1969 - l'applicazione provvisoria di pene accessorie ex articoli 140 del codice penale e 301 del codice di procedura penale.

3. - Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, l'assoluzione per insufficienza di prove presuppone una serie incompleta d’elementi di responsabilità, in altre parole la sussistenza d’elementi probatori d’accusa che possono di per se stessi giustificare un'affermazione di colpevolezza e, insieme, quella d’altri elementi favorevoli che, pur senza svalutare i primi, sono tali da legittimare l'incertezza. La quale rispecchia, nel giudice di merito, l'impossibilità a vincere gli ostacoli che la realtà processuale frappone alla scoperta e alla ricostruzione della verità.

Orbene, se il presidio costituzionale della presunzione di non colpevolezza importa che non sia la mancanza di prove di innocenza, ma la presenza di pertinenti e concludenti prove a carico a giustificare una sentenza di condanna (sent. n. 175 del 1970 di questa Corte), non va dimenticato che, nella realtà, l'insufficienza di prove può riguardare una vasta gamma di situazioni (la sussistenza del fatto materiale; la commissione o la partecipazione al fatto; l'elemento psicologico; i presupposti del reato; le condizioni di punibilità; le cause d’esclusione del reato o di esenzione dalla pena). E l'assoluzione per insufficienza di prove, la quale - come ha giustamente posto in rilievo l'Avvocatura generale dello Stato - é il risultato concreto di un giudizio, che non sempre può superare la perplessità - manifestazione di raziocinio e momento ineliminabile del pensiero -, lungi dal confliggere col principio di non colpevolezza, apertamente lo convalida, dappoiché tutte le sentenze di proscioglimento, nella molteplicità delle formule adottate nel dispositivo, hanno in comune il riconoscimento della non fondatezza dell'azione penale.

4. - Vi é, poi, da tener conto della imprescindibilità della motivazione (art. 111 Cost.), che, come é noto, é il maggior impegno del giudice, perché deve contenere la ricostruzione logica e critica delle prove, per dare ragione della fondatezza della pronunzia e soddisfare le esigenze di giustizia dei consociati (e la contraddittorietà e la mancanza, in un'accezione non restrittiva, della motivazione sono censurabili in Cassazione: art. 475, n. 3, cod. proc. pen.): la valutazione e la enunciazione della insufficienza delle prove per la condanna dovrebbero pur sempre essere contenute nella sentenza, anche se la legge non prevedesse l'assoluzione con formula dubitativa.

5. - L'Avvocatura dello Stato afferma che le stesse considerazioni fatte per l'art. 27, secondo comma, Cost., valgono a dimostrare che la disposizione impugnata non contrasta neppure con l'art. 6, paragrafo 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata e resa esecutiva dall'Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848), il quale reca: "Ogni persona accusata di un reato é presunta innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata".

Si apre qui un problema di interpretazione e di coordinamento affidato al giudice ordinario: problema che parrebbe debba risolversi nel senso della identità sostanziale di significato delle dizioni dell'art. 27, secondo comma, Cost., e di detto art. 6, paragrafo 2, e di un allineamento di questo a quello, dato che la Convenzione contiene norme sulla carcerazione preventiva (art. 5, lett. b e c), che sembrano incompatibili con la presunzione di innocenza, ma conciliabili con la presunzione di non colpevolezza.

6. - É indiscutibile, per altro, che il proscioglimento per non provata reità rende possibile che l'imputato, quantunque assolto, subisca conseguenze a lui sfavorevoli, che discendono anche da disposizioni di legge: art. 604 cod. proc. pen. (vedasi pure l'art. 606 dello stesso codice); art. 64, primo comma, disp. att. cod. proc. pen. (r.d. 28 maggio 1931, n. 602). Ma codeste disposizioni non sono oggetto della dedotta impugnativa.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 479, terzo comma, del codice di procedura penale, sollevata dal pretore di Dolo, in riferimento all'art. 27, secondo comma, della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Enzo CAPALOZZA

Depositata in cancelleria il 6 luglio 1972.